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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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lunedì 6 ottobre 2014

Ancora Antonia Pozzi


Abbandonati in braccio al buio
monti
m’insegnate l’attesa:
all’alba – chiese
diverranno i miei boschi.
Arderò – cero sui fiori d’autunno
tramortita nel sole.
 
Antonia Pozzi
(n.d.)

 
 
parole libere, leggere,
direzione indecisa ma forte;
le quasi certezze,
le insidie
e i sospiri nel buio...
 
 
Figlia di una famiglia facoltosa - il padre era un avvocato di prestigio, la madre una contessa -, Antonia si accosta alla poesia fin dall'adolescenza. Dopo gli studi classici al liceo Manzoni, si iscrive alla facoltà di Filologia della Statale di Milano. Gli anni universitari saranno caratterizzati da intense e fraterne amicizie, fra cui quella con il coetaneo Vittorio Sereni, ma anche da una profonda depressione iniziata fin dai tempi del liceo a causa della relazione con il professore di latino e greco Antonio Maria Cervi, di cui Antonia era profondamente innamorata ma che la famiglia osteggiò pesantemente fino a provocare l'allontanamento dei due. Anima appassionata e fragile, Antonia Pozzi restò sempre estremamente vulnerabile sul piano affettivo e sentimentale, riversando i proprio turbamenti nelle poesie di cui riempiva interi quaderni.
Innamorata della natura, che rappresenta per lei un vero e proprio rifugio interiore e che compare come una sorta di costante nelle sue opere, Antonia vive con disagio la situazione politica e sociale del suo tempo, il cui clima sempre più cupo sembra influenzare progressivamente anche il suo stato d'animo e il suo sguardo sulla vita.
Il 15 settembre 1937, pochi mesi prima del suicidio, scrive all'amica Elvira Gandini: Perché e così:prima si sbaglia, ci si perde, ci si arrampica per astratte impalcature intellettuali, finché la vita un bel giorno comincia, coi suoi gesti leggeri e sapienti, a richiamarci a lei:è come aprire gli occhi ad un tratto e ritrovarsi su una striscia di prato al sole, vicino alle pietre e alle piante. Il senso della vita non è più sparso, nel cervello, nelle mani, negli occhi, ma è tutto raccolto nel centro del petto, come un enorme fiore o come una corazza: e il domani non è più che portare sempre più in avanti quel fiore, sereni, eretti, per una grande strada bianca.
Ed è proprio nelle sue stesse parole, in quella vulnerabile corazza che Antonia descrive e con la quale sembra cercare invano di proteggersi, che forse si può scorgere l'anticipazione di quella "disperazione mortale" di cui parlerà nel suo biglietto d'addio, quando il 3 dicembre del 1938 sceglierà di darsi la morte con un flacone di barbiturici. Il padre tenterà a lungo di coprire lo scandalo del suicidio, attribuendo la sua scomparsa a una polmonite ed evitando di far trapelare per molto tempo le sue opere, oggi quase tutte edite.
Alla figura delicata e fragile di Antonia Pozzi, capace di versi intensi e ammalianti troppo presto dimenticati, è dedicato il film-documentario Poesia che mi guardi, della regista Marina Spada. Il documentario, prodotto da Miro Film  nel 2009, è stato presentato fuori concorso alla 66ma Mostra del Cinema di Venezia.
Impreziosito da immagini d'epoca di Antonia Pozzi, tratte dai filmati di famiglia, Poesia che mi guardi tratteggia un ritratto intimo ed intensissimo della poetessa, oltre ad un'accurata testimonianza sulla sua personalità e sulla sua opera. In questa intervista Marina Spada ci parla del progetto che ha realizzato attraverso la lavorazione del documentario e del suo sguardo sulla figura della Pozzi, accompagnando il proprio commosso omaggio alle numerose commemorazioni che nella ricorrenza della nascita le sono state tributate (RAI).

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