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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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giovedì 31 luglio 2014

E...tu

Tu vivi sempre nei tuoi atti.
Con la punta delle dita
sfiori il mondo, gli strappi
aurore, trionfi, colori,
allegrie: è la tua musica.
La vita è ciò che tu suoni.
Dai tuoi occhi solamente
emana la luce che guida
i tuoi passi. Cammini
fra ciò che vedi. Soltanto.
E se un dubbio ti fa cenno
a diecimila chilometri,
abbandoni tutto, ti lanci
su prore, su ali,
sei subito lì; con i baci,
coi denti, lo laceri:
non è più dubbio.
Tu mai puoi dubitare.
Perché tu ha capovolto
i misteri. E i tuoi enigmi,
ciò che mai potrai capire,
sono le cose più chiare:
la sabbia dove ti stendi,
il battito del tuo orologio
e il tenero corpo rosato
che nel tuo specchio ritrovi
ogni giorno al risveglio,
ed è il tuo. I prodigi
che sono già decifrati.
E mai ti sei sbagliata,
solo una volta, una notte
che t’invaghisti di un’ombra
l’unica che ti è piaciuta -.
Un’ombra pareva.
E volesti abbracciarla.
Ed ero io.

Pedro Salinas

ultimi di Luglio
in un cielo di indaco;
non fa caldo
ma scorrono pensieri...


1974
estate e mare,
lei,
un sogno irraggiungibile
poi crebbi

mercoledì 30 luglio 2014

Anni che vanno...(tanti...)

anno s. m. [dal lat. annus].
- 1. [periodo di tempo della durata di dodici mesi] ≈ [spec. per il vino] annata. ● Espressioni: anno santo → □; avere molti anni addosso ≈ essere avanti con gli anni. ↔ essere nel fiore degli anni; buon anno [augurio che ci si rivolge a capodanno] ≈ ⇑ (tanti) auguri.
- 2. (estens.) a. [somma di danaro, raccolto o altro ricavati in un anno: il primo a. di stipendio] ≈ annata, annualità. b. [periodo di studio di varia estensione, della durata massima di un anno: deve ancora finire gli esami del primo a. di Ingegneria] ≈ ‖ classe, corso. c...
Dizionario TRECCANI

Tanti anni
 
Noi abitiamo in una rosa rossa.
Passavano treni in corsa alla periferia
- un gomito sonoro -
e tutto il resto era un fermento di cieli.
Un meriggio d'inverno, col sole su un muro bianco,
riconoscemmo la nostra amata calligrafia.
Chi avrebbe mai pensato
che voi scriviate come un'ombra d'alberi,
come i pettini freddi
con i denti coperti di capelli!
 
(S'era in pena per voi.)
Così passammo la notte.

da "Altri versi"
Vittorio Bodini


gli anni sono parti
di ognuno ricordo frammenti;
eppure se ritorno,
mi rivedo com'ero
qualche volta sorrido...

 

martedì 29 luglio 2014

Treno

treno [trè-no] s.m.

  • 1 Serie di vagoni trainati da una o più locomotive, che costituisce un convoglio ferroviario: prendere il treno. || figg. andare come un tremo, velocemente | perdere il treno, lasciarsi fuggire una buona occasione
  • 2 estensivo. Successione di veicoli o di oggetti mobili
  • 3 fig. Serie completa di oggetti, di elementi: t. di gomme
  • 4 fig. non com. Modo di vivere, tenore di vita.
     
dizionario Sabatini Colletti 


Treno amore

Un’altra patria, insonne, non la mia,
d’altro timbro e metallo, gode e illumina
il profilo in rapida penombra
bq. della tua fotografia.
Profilo incerto, annunzio illuminato
seguito da mia ombra che s’affanna
a ridurre la luce di finestra
bq. ad un quadretto nero.
Chiaroscuro vano, un vano duello
che vendicativo spezza lo spazio,
che interrompe un abbraccio fuggitivo
bq. del tuo e mio anelito.
In nessuna stazione, ombra sfuggita
di tua fissa prigione, in nessun punto
tu berrai la luce. T’incita accanto,
bq. ma quanto è lontana!

Rafael Alberti






quei treni passati,
quelli mai presi,
quelli montati;
quelli mai giunti...

lunedì 28 luglio 2014

Attimi in fuga


un attimo fugge
e noi siamo diversi;
come in un
contesto vago
ritrovo me stesso,
il mio fare...




àttimo s. m. [variante pop. di atomo; cfr. lat. tardo in atŏmo «in un istante», locuz. ricalcata sul gr. ἐν ἀτόμῳ].
– Spazio brevissimo di tempo, istante: non avere un a. di tempo libero, di requie; sarebbe bastato un a. di distrazione, per provocare un disastro; in un a., in un batter d’occhio; l’attimo fuggente, la gioia effimera che la vita ci offre o, anche, il momento propizio al successo: cogliere l’a. fuggente.
attimo /'at:imo/ s. m. [var. pop. di atomo; cfr. lat. tardo in atŏmo "in un istante"]. - [spazio brevissimo di tempo] ≈ baleno, istante, lampo, momento, secondo. ↔ eternità, secolo, vita. ▲ Locuz. prep.: in un attimo ≈ celermente, ipso facto, rapidamente, velocemente. ↔ lentamente....
◆ Dim. attimino, fam., frazione brevissima di tempo: un a. e sono pronto; tra un a. la riceveranno.
dizionario TRECCANI

domenica 27 luglio 2014

Aforisma


Cesare Pavese
Cesare Pavese

Far poesie
è come far l'amore:
non si saprà mai
se la propria gioia
è condivisa.

Cesare Pavese



così semplicemente
si torna e ritorna
solo quando si parte...

sabato 26 luglio 2014

Diluvio estivo

Diluvio
 
Mi coglie lo scroscio dirotto
a mezzogiorno sul ponte:
dintorno la città - chiese e palazzi -
si scioglie in fumo e non si vede più.
 
Anche quell' ultima cupola spare.
 
Rimasto solo è il ponte,
tagliato dalle sponde,
sospeso in alto in alto fra le nuvole
con le sue statue d' angioli grondanti.
 
Ma mentre la città mi si cancella
nel fumante diluvio
dentro la nube uno spiraglio ride
verso uno sfondo di monti sereni:
e dietro un vetro limpido e sottile
l' ultima pioggia un praticello splende
avvicinato in quell' umida lente.
 
Fuori di porta è già tornato il sole.

da "Canto fermo"
Giorgio Vigolo

sembra non dover mai smettere,
questo piovere estivo;
freddo e aria contrastano
pochi giorni di sole,
in cuore un ricordo pesante...


dilùvio s. m. [dal lat. diluvium, der. di diluĕre «lavare, bagnare»: v. diluire].
- 1. [pioggia dirotta e abbondante: fuori c'è il d.] ≈ acquazzone, rovescio, scroscio. ↑ nubifragio. ↓ pioggia.
- 2. (iperb., fig.) [gran quantità: un d. di lacrime, di parole] ≈ caterva, (lett.) colluvie, infinità, (fam.) mucchio, (lett.) profluvio.
- 3. (non com.) [atto di sommergere le terre, anche fig.] ≈ alluvione, inondazione, piena, straripamento....
(dizionario TRECCANI)

1.
a. Pioggia dirotta e abbondante: non vorrai uscire con questo d.!; piove a d.!; restiamo in casa, fuori c’è il d.; può venire il d., che lui non si muove, di persona indolente, apatica.
b. In varie tradizioni mitiche del mondo antico, pioggia torrenziale che, con la sua violenza e lunga durata, avrebbe provocato l’inondazione di tutta o di vasta parte della Terra; per antonomasia, il diluvio, il d. universale, quello con cui Dio, secondo il racconto biblico, sommerse il mondo per punire gli uomini dei loro peccati, eccetto la famiglia di Noè salvatasi nell’Arca con due esemplari di ogni specie animale.

c. In modi iperb. e fig., gran quantità: un d. di lacrime, di proiettili, di legnate, d’insulti, di parole, di bestemmie; un d. di braciole di maiale in gratella, che furono spolverate in un baleno dalla chiassosa brigata (Fucini).
d. Meno com., inondazione, alluvione di acque terrestri; fig., invasione di popoli: O d. raccolto Di che deserti strani, Per inondar i nostri dolci campi! (Petrarca).

2.
Divisione geologica dell’era neozoica (frequente con questo sign. la forma lat. scient. diluvium, più rara la forma italianizzata diluvio), adottata prima per indicare i depositi continentali del pleistocene, poi il periodo stesso.

3.
Nel linguaggio venatorio, grande rete ad imbuto terminante con un cono a nassa, nell’interno del quale viene posta una lampada, usata per catturare di notte uccelli, soprattutto storni e passeri. È vietata dalla legislazione vigente.

venerdì 25 luglio 2014

La memoria

Memoria
 
È la memoria una distesa
di campi assopiti
e i ricordi in essa
chiomati di nebbia e di sole.
 
Respira
una pianura
rotta solo
dagli eguali ciuffi di sterpi:
 
in essa
unico albero verde
la mia serenità.

da "Io non ho mani"
David Maria Turoldo


solo le mani,
in ancestrali gesti,
come creature libere;
disegnano l'aria
di cose vissute...



Passa del tempo e non ricordate qualcosa? Non vi affidate alla vostra memoria poiché è la principale imputata a modificarli. É quanto afferma una recente ricerca, le cui conclusioni sono state pubblicate su Journal of Neuroscience.
In pratica, il cervello umano è stato paragonato ad un telefono senza fili. Infatti, ogni volta che richiama il ricordo di un evento passato ne modifica alcuni particolari. Con il trascorrere degli anni, i cambiamenti effettuati dal cervello si stratificano a tal punto da rendere l'evento richiamato alla memoria quasi del tutto irriconoscibile. Ogni ricordo, quindi, sarà il frutto di una successiva elaborazione e sarà anche la base su cui si tornerà a ricordare lo stesso evento.
"La nostra memoria non è affatto statica", chiarisce Donna Bridge, autrice della ricerca presso la Northwestern University Feinberg School of Medicine. "La memoria tende a integrare dettagli differenti e inediti" e, in questo modo, il ricordo evocato viene contestualizzato al momento il cui viviamo, sbiadendo di fatto il passato dal quale viene richiamato. "Un ricordo non è semplicemente un'immagine che si produce tornando all'evento originale, ma può essere un'immagine un po' distorta a causa delle volte precedenti in cui abbiamo ricordato", dichiara la Bridge.
Non è raro, infatti, che, quando rammentiamo un particolare evento, tendiamo ad riformulare il ricordo originale e lo integriamo con elaborazioni legate al presente. In questo modo, il ricordo dell'evento originale verrà trasformato fino a diventare la nuova base di partenza dell'evento. Ecco perché la nuova versione del ricordo sarà quella più attendibile.
La ricercatrice spiega che "la nostra memoria non è affatto statica. Se ricordiamo un evento alla luce di un nuovo contesto e di un periodo diverso della nostra vita la memoria tende a integrare dettagli differenti e inediti" e conclude: "quando le persone sostengono di ricordare esattamente cosa hanno vissuto mi scappa da ridere".
Tuttavia, il cervello non solo modifica ma cancella. Un altro studio, questa volta dell'Università di Uppsala, ha rivelato che le emozioni forti e ad alto impatto emotivo possono essere cancellate dal nostro cervello. Durante un esperimento, i ricercatori hanno mostrato una foto neutra ad alcuni soggetti. Nello stesso momento veniva somministrata loro anche una scossa elettrica. Così facendo, la figura suscitava paura, scaturendo in un ricordo spaventoso riattivato quando veniva rimostrata la foto.
I risultati potrebbero avere importanti implicazioni per le testimonianze dei processi penali. "Forse un testimone ricorda qualcosa in modo abbastanza preciso per la prima volta perché i suoi ricordi non sono così distorti", spiega la ricercatrice. "Dopodiché comincia a perdere vividezza". dalla rete Federica Vitale.

giovedì 24 luglio 2014

Fosco

fósco agg. [lat. fŭscus] (pl. m. -chi). – Tendente allo scuro, a un tono grigio cupo: un quadro a tinte f.; Non fronda verde, ma di color fosco (Dante); offuscato, privo di chiarezza e di trasparenza: luce f., velata, che non lascia distinguere chiaramente le cose; aria, atmosfera f., caliginosa; È fosco l’aere, Il cielo è muto (Fusinato). Con usi fig.: rappresentare (cosa o persona) a tinte f., mettere in cattiva luce; occhio, sguardo f., velato, non limpido, e più spesso cupo, torvo; e così pensieri f.; aspetto f., d’una persona, che non lascia presagire nulla di buono, che rivela animo cattivo; avvenire f., incerto, minaccioso.
◆ Avv. foscaménte, in modo fosco, cioè scuro, cupo, non chiaro, soprattutto in senso fig.: guardare, rappresentare foscamente.

fosco /'fosko/ agg. [lat. fuscus] (pl. m. -chi). - 1. (non com.) [che ha poca luce] ≈ buio, cupo, offuscato, oscuro, plumbeo, scuro, (lett.) stigio. ↔ chiaro, luminoso. 2. [di atmosfera, privo di limpidità] ≈ brumoso, nebbioso. ‖ nuvolo, nuvoloso. ↔ limpido, nitido, terso, trasparente. 3. (fig.) a. [che mostra cattiva disposizione d'animo: sguardo f.; pensieri f.] ≈ cupo, sinistro, torbido, torvo. ↔ benevolo, bonario, ridente. b. [che lascia presagire sventure] ≈ cupo, nero. ↔ propizio, roseo....(TRECCANI)


La storia della Fosca

...Spesso quando la tempesta si scatenava, illuminando con tetro bagliore la selva, i valligiani vedevano scendere lentamente dal castello di Savignone una processione di spettri che si spargevano per le valli deserte e all'alba svaniva nel nulla.
Re, duchi, cardinali e baroni, vestiti magnificamente, accompagnati da una atmosfera lugubre e misteriosa, avvolti nella nebbia della notte, sembravano rievocare antichi riti. E la fantasia creava così personaggi ed avventure: passaggi segreti, tesori, grandi amori e raduni di streghe...


C'era una volta, tanto tempo fa, un sovrano, nel Ducato di Milano, che si innamorò perdutamente di una bellissima fanciulla, figlia di un conte del feudo di Savignone, e la volle in sposa. La felicità dei protagonisti si manifestò nell'organizzazione di uno splendido banchetto nuziale, che durò per oltre un anno ed al quale parteciparono tutti i migliori cavalieri dei due regni.
Un brutto giorno, però, la Fosca, così era timidamente chiamata la giovane principessa, perse il profumo delle virtù che la rendevano angelica, tra i corrotti costumi della corte milanese, e divenne malvagia e cattiva, tanto che il popolo del suo nuovo regno si vergognava dei suoi mondani comportamenti.
La giovane fanciulla decise fermamente di abbandonare il vetusto regno lombardo ed iniziò a viaggiare di corte in corte, da Mantova a Venezia, lasciando in tutti i posti una triste immagine di sé.
La fama, come si sà, è simile al vento e si accresce di luogo in luogo, di bocca in bocca, e quando giunse agli orecchi del principe era ormai offuscata a tal punto da indurlo alla tremenda vendetta. Solo uccidendo la Fosca ed il suo reale amante, egli avrebbe lavato la macchia recata al suo nome ed al suo casato.
La bellissima sovrana, consapevole del suo tragico destino, decise di trovare rifugio nella solitudine delle montagne del suo antico regno, Savignone, rifugiandosi all'interno dell'inespugnabile castello paterno.
Alcuni giorni dopo il suo segreto arrivo, un pellegrino dalla lunga barba cadente sul petto, coperto da un saio lacero, salì al castello e chiese, per misericordia, che gli fosse concessa ospitalità presso la Cappella di San Rocco, ai piedi del dirupo. Grazie alla diplomazia della giovane principessa, gli venne offerto ricovero ed ospitalità.
Ogni giorno la fanciulla si recava dal viandante a fargli visita, intrattenendosi per lunghe e frequenti orazioni.
In poco tempo la fama di quest'uomo, paragonata a quella di un santo, arrivò anche nei paesi vicini. Ben presto la Fosca dovette interrompere le sue visite, poiché intorno al castello giravano tipi sospetti, forse sicari di quel lontano marito bramoso di vendetta.
Il pellegrino, turbato e preoccupato dalla continua assenza della fanciulla alle loro ormai famose riunioni, decise di avere sue notizie.
In una notte tetra, dall'interno della piccola cappella si scorgeva un filo di luce, che rompeva la monotonia dell'oscurità circostante, mentre due occhi pensierosi e languidi cercavano invano dalle gotiche arcate del castello di lanciare un messaggio al cielo, che dominava il profondo burrone. Se un raggio di luna avesse illuminato le cavità della voragine, si sarebbe visto un baldo giovane, abile come uno scoiattolo, arrampicarsi lungo la parete rocciosa, afferrarsi agli sterpi, riuscire faticosamente a raggiungere la base del verone, che poco prima era stato malamente chiuso. Dall'alto di una torre, una fune gli veniva segretamente calata ed in un baleno il giovane scalatore sparire all'interno di una finestra.
Il giovane era il fedele amante della fosca, che per necessità aveva dovuto cambiare il luogo dei loro segreti incontri.
Al mattino la fanciulla sempre si affrettava a mandare le provviste al suo giovane amico, sinché un brutto giorno i servitori non lo trovarono da nessuno parte. Tutto il paese fu messo a ferro e fuoco, ma di lui nessuna traccia.
Poco tempo dopo venne ritrovato un giovane imberbe sfracellato in fondo al burrone del castello, avvolto da un enorme serpente. Gli scherani del principe milanese avevano compiuto tristemente il loro compito. L'infelice era passato in un attimo dagli amplessi al sepolcro.
Da quel giorno la rocca prese il nome di Salto dell'Uomo.
La Fosca si riconciliò con il principe suo marito e si vendicò avvelenandolo.
La leggenda continua dicendo che in certi periodi dell'anno si notano dall'alto della rocca due fiammelle che si agitano nel vento, volteggiando, unendosi ed infine dividendosi, una verso la strada per il castello e l'altra per il dirupo.
Come tutti sanno le leggende possono contenere anche un fondamento di verità.
Isabella Fieschi, figlia di Carlo Fieschi, conte del feudo di Savignone, e nipote di papa Adriano V, sposò Luchino Visconti, signore del ducato di Milano. La storia tramanda che la fanciulla fosse realmente bellissima e le cronache che narrano che si lasciò andare a numerose avventure amorose con i migliori cavalieri dell'epoca, tra cui il Doge di Venezia, Francesco Dandolo, e Ugolino Gonzaga, signore di Mantova.
La fantasia popolare identifica nelle due fiammelle le anime di due amanti, Isabella Fieschi ed un baldo giovane, mentre nella serpe Luchino Visconti, il cui stemma di famiglia era un enorme biscione a due teste.
(Alta Valle Scrivia, dalla rete)

Fosche

Fosche le notti di pioggia,
battiti ritmici al cuore
si spegne una luce.
Roteanti visioni abbagliano
il cielo bigio e pesante;
si stagliano volti, nel nulla,
perdura quel senso sospeso.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

mercoledì 23 luglio 2014

Fiore e poesia

fiore Parte delle piante Fanerogame che contiene gli apparati riproduttivi; in essa avviene l’impollinazione, la fecondazione e la formazione del seme. In senso lato, il f. è un germoglio trasformato (asse con le relative foglie) che porta gli sporofilli, foglie speciali adibite alla funzione riproduttiva, in quanto produttrici di spore. Gli sporofilli sono sempre di due specie: microsporofilli, detti stami o foglie staminali, che danno origine alle microspore (granelli pollinici) e macrosporofilli detti carpelli o foglie carpellari, sui quali si originano, dentro all’ovulo, le macrospore. Gli stami formano le microspore nelle quali si organizza il gametofito maschile con gli spermi; gli ovuli producono una o più macrospore dalle quali origina il gametofito femminile con l’oosfera, che è l’apparato sessuale femminile. Mentre nelle Gimnosperme i f. sono molto semplici, perché constano di un asse più o meno allungato che reca o solo stami o solo carpelli, nella maggior parte delle Angiosperme i f. possono essere anche molto complessi.
Nella sistematica i f. sono più importanti delle foglie perché, a differenza di queste, presentano caratteri più costanti e perciò la distinzione dei diversi gruppi sistematici come generi, famiglie, ordini delle Angiosperme, si basa essenzialmente sui caratteri del fiore.
Nelle Angiosperme, intorno agli sporofilli si trova il perianzio, che è un complesso di foglie sterili, più o meno metamorfosate (dette antofilli); il perianzio serve da protezione agli sporofilli e in molte specie al richiamo dei pronubi. Caratteristica delle Angiosperme è la presenza del pistillo, un apparato chiuso formato da uno o più carpelli fusi insieme, nella parte più rigonfia del quale, l’ ovario, sono racchiusi gli ovuli. In un f. bisessuale si distinguono: il ricettacolo fiorale o talamo, formato dall’estremità distale del peduncolo fiorale; il perianzio; l’ androceo, che è il complesso degli stami (che può ridursi anche a uno solo); il gineceo, formato di uno o più pistilli. Il ricettacolo è per lo più conico o convesso; spesso diviene concavo o depresso. Dalla sua forma e dal suo sviluppo dipende la posizione che i verticilli fiorali assumono rispetto al gineceo; così, quando il ricettacolo è convesso, il gineceo (e quindi l’ovario), posto nella parte superiore, si trova più in alto dell’inserzione dei verticilli che lo circondano e viene detto supero; le altre parti del f. sono ipogine. Nel caso inverso il gineceo riposa nel fondo della depressione ed è quindi infero e i verticilli esterni sono epigini. Se poi le parti periferiche del f. circondano l’ovario mantenendosi sensibilmente su di un medesimo piano, il gineceo è medio e i verticilli esterni perigini.
2. Differenti tipi di fiori
A seconda dello sviluppo degli antofilli si distinguono: f. aclamidati, privi di perianzio (per es., salice); f. aploclamidati, che hanno antofilli tutti uguali disposti in un verticillo o a spirale; gli antofilli, in questo caso detti tepali, sono bratteoidi o petaloidi; f. diploclamidati, con due complessi di antofilli, che possono essere uguali fra di loro (tepali) e allora i f. sono detti omeoclamidati, oppure disuguali (f. eteroclamidati), perché il verticillo esterno, detto calice, consta di sepali che hanno spesso caratteri fogliacei, mentre il verticillo interno, che forma la corolla, consta di petali, che sono per lo più colorati e spesso molto appariscenti, svolgendo la funzione di attrarre gli insetti impollinatori. Quando il perianzio è costituito di soli tepali è detto perigonio.
Tutte le parti fiorali possono essere libere una dall’altra (calice corisepalo, corolla coripetala ecc.) oppure, quelle omologhe, essere concresciute (calice gamosepalo ecc.). Di regola i pezzi fiorali sono riuniti in verticilli: perianziali, staminali, carpellari ecc., e si hanno allora i f. ciclici. Meno spesso solo gli antofilli o parte degli antofilli sono verticillati ( f. emiciclici, per es. nelle Ranuncolacee); solo di rado tutti i pezzi sono inseriti in linee spirali ( f. aciclici, per es. nelle Calicantacee). Il numero dei verticilli dei f. ciclici è vario (da 1 a 16); più comunemente essi sono 4 o 5 nelle Dicotiledoni, 3 nelle Monocotiledoni. Anche il numero dei pezzi formanti un verticillo è vario (1-30) ed è un carattere molto importante per la distinzione delle famiglie. I cosiddetti f. doppi ( doppio) derivano da una trasformazione morfologica di alcune parti (stami trasformati in petali) o da un anormale aumento del numero dei membri.
Rispetto ai rapporti di simmetria, si hanno f. attinomorfi, o a simmetria raggiata, se presentano almeno due piani di simmetria: f. zigomorfi, con un solo piano di simmetria; f. bizigomorfi, se hanno due piani di simmetria di valore differente; f. asimmetrici, se non presentano nessun piano di simmetria. Tra le singole categorie di appendici fiorali si intercalano talora delle porzioni allungate dell’asse, a guisa di peduncoli, come il ginoforo sotto i carpelli, l’ androginoforo, l’ androforo e l’ antoforo. Il tratto compreso tra il perianzio e l’androceo (Passiflora) o fra l’androceo e il gineceo (Citrus) può dilatarsi e ipertrofizzarsi assumendo forma di anello, scodella, di solito nettarifera, di squame, filamenti ecc.
Riguardo alla grandezza, esistono f. minutissimi, spesso sono raccolti in fitti gruppi (➔ infiorescenza), f. grandissimi, come quello di Victoria regia, che ha 2-4 dm di diametro e più ancora quello di Rafflesia arnoldi di Giava, che è il f. più grande che si conosca, con 1 metro di diametro  (enciclopedia TRECCANI).


I fiori vengono in dono e poi si dilatano
una sorveglianza acuta li silenzia
non stancarsi mai dei doni.
 
Il mondo è un dente strappato
non chiedetemi perché
io oggi abbia tanti anni
la pioggia è sterile.
 
Puntando ai semi distrutti
eri l'unione appassita che cercavo
rubare il cuore d'un altro per poi servirsene.
 
La speranza è un danno forse definitivo
le monete risuonano crude nel marmo
della mano.
 
Convincevo il mostro ad appartarsi
nelle stanze pulite d'un albergo immaginario
v'erano nei boschi piccole vipere imbalsamate.
 
Mi truccai a prete della poesia
ma ero morta alla vita
le viscere che si perdono
in un tafferuglio
ne muori spazzato via dalla scienza.
 
Il mondo è sottile e piano:
pochi elefanti vi girano, ottusi.
 
 
 
C'è come un dolore nella stanza, ed
è superato in parte: ma vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita.
 
C'è come un rosso nell'albero, ma è
l'arancione della base della lampada
comprata in luoghi che non voglio ricordare
perché anch'essi pesano.
 
Come nulla posso sapere della tua fame
precise nel volere
sono le stilizzate fontane
può ben situarsi un rovescio d'un destino
di uomini separati per obliquo rumore.



da "Documento"
Amalia Rosselli


scrivere fiumi di parole
imbrattare fogli di pensieri;
ora tutto è virtuale,
la passione?...
la stessa!

martedì 22 luglio 2014

Frammento


fremito residuo,
piccolo gesto
in un mare si suoni;
come un bagliore,
nel buio profondo...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati


lunedì 21 luglio 2014

Di curve


Curva minore



 
Perdimi, Signore, che non oda
gli anni sommersi taciti spogliarmi,
si che cangi la pene in moto aperto:
curva minore
del vivere m'avanza.
 
E fammi vento che naviga felice,
o seme d'orzo o lebbra
che sé esprima in pieno divenire.
 
E sta facile amarti
in erba che accima alla luce,
in piaga che buca la carne.
 
Io tento una vita:
ognuno si scalza e vacilla
in ricerca.
 
Ancora mi lasci: son solo
nell'ombra che in sera si spande,
né valico s'apre al dolce
sfociare del sangue. 


Salvatore Quasimodo


Fatelo voi il post
tono minore
non significa meno importante;
la curva della vita,
quella dove si passa il limite
poi si torna indietro e...


curva s. f. [femm. sostantivato dell’agg. curvo]. 

1.
a. Nel linguaggio com., ogni linea che non sia retta.
b. In matematica, sinon. di linea, intendendosi quindi anche la retta come una particolare curva. Molte curve di tipo particolare sono usualmente denotate mediante il nome del matematico che per primo le considerò, ovvero mediante un nome che indichi una loro proprietà o il modo di generarle, ovvero ricordi la loro forma; per es., la curva detta di Gauss o gaussiana, o anche c. degli errori perché riproducente l’andamento statistico degli errori di osservazione o di misurazione, e c. a campana per la sua conformazione campaniforme (v. gaussiano). C. piana, ogni curva contenuta in un piano; c. sghemba (o gobba), ogni curva che non giace in un piano, ma nello spazio ordinario o in un iperspazio. C. piana algebrica, ogni curva piana riducibile alla forma f(x, y) = 0, ove f è un polinomio; c. sghemba algebrica, ogni curva sghemba che risulti intersezione (completa o no) di due superfici algebriche. C. analitica, curva piana che si rappresenta in coordinate cartesiane uguagliando a zero una funzione analitica in due variabili.
c. Nel linguaggio scient. e tecn., rappresentazione grafica (detta anche grafico o diagramma) dell’andamento quantitativo di una determinata grandezza in funzione di un’altra da cui dipende: c. di magnetizzazione, in fisica (v. magnetizzazione, n. 2), c. glicemica, in medicina (v. glicemico), ecc.; in economia, c. della domanda, diagramma che rappresenta la relazione tra il prezzo del prodotto e la quantità domandata; c. d’indifferenza, v. indifferenza, n. 3.

2.
a. Parte di strada che gira ad arco; in partic., tratto di strada non rettilineo con limitata visibilità, che di norma viene segnalato a opportuna distanza da appositi cartelli indicatori: in quel punto la strada, o la ferrovia, fa, o disegna, una c., un’ampia c.; una strada tutta curve; c. pericolosa; rallentare, accelerare in curva, affrontare bene, male una c., prendere una c. con troppa velocità, superare, sbandare in curva, alla guida di autoveicoli, motoveicoli o biciclette; attenti alle c.!, anche fig., come scherz. avvertimento davanti a rischi o pericoli in genere.
b. Nel linguaggio sport., parte della pista o del percorso che disegna un arco; anche, uno degli ordini in cui sono divisi i posti a sedere negli stadî.

3. 
Nella navigazione, c. (o circolo) di evoluzione, la traiettoria che descrive un bastimento quando procede a una data velocità, con angolo costante di timone.

4. 
In antropometria, tratto di superficie corporea convessa, soprattutto del cranio, compreso tra due punti di riferimento.

5. 
In geografia e topografia, curve di livello, le isoipse.

6. 
In linguistica, c. d’intonazione o c. tonale o c. melodica, il diverso movimento tonale che caratterizza ogni singola frase e che, spec. nell’elevazione o nell’abbassamento finale dell’altezza della voce, distingue, per es., la frase interrogativa e rispettivam. quella imperativa dalla frase enunciativa o assertiva.

7. 
scherz. Rotondità alquanto accentuata del corpo femminile, spec. al seno, ai fianchi, alle natiche; per lo più al plur.: hai visto che curve!  

◆ Dim. curvina, curvétta; accr. curvóna, raro curvóne m.; pegg. curvàccia, riferiti tutti quasi esclus. a curve stradali. 

dizionario TRECCANI