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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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sabato 31 maggio 2014

Partenze famose e anonime


File:Francesco De Lemene.jpgFrancesco de Lemène
(Lodi 1634 - Milano 1674),

di nobile e ricca famiglia, interrompe gli studi di teologia per laurearsi in legge a Pavia.
A vent’anni il poema burlesco "Della discendenza e nobiltà de' maccheroni" gli assicura un’immediata popolarità.
Ricopre varie cariche pubbliche, tra cui quella di ‘Oratore della Patria’ presso il senato di Milano, di cui è segretario Carlo Maria Maggi, suo carissimo amico; declina però la carica di senatore, per dedicarsi agli studi letterari nella sua città.
Accademico dell’Arcadia con il nome di Arezio Galeate, scrive drammi pastorali, cantate, strambotti, madrigali, libretti per melodrammi, poesie religiose (il prosimetro Dio, 1684; la raccolta Il rosario di Maria Vergine, 1691) e la commedia in versi in dialetto lodigiano La sposa Francesca (postuma, 1709). Verso i cinquant’anni, credendosi in punto di morte per una grave malattia, ordina al confessore di bruciare le sue opere giovanili.
Delle Poesie diverse (1699) fanno parte anche le Cantate a voce sola e le Ariette, in cui questa Partenza è compresa.


Io parto, ma voi,
speranze, che fate?
partite o restate?
Se negate di partire
resterete col cor mio,
ma so ben ch’ho da morire,
se partendo ha da dir: “Speranze addio”.
Darmi pena maggiore Amor non puoi.
Io parto, ma voi,
speranze, che fate?
partite o restate?
Solo voi consolerete
lontananze tanto amare,
se con me vi partirete 
 e starete con me, speranze care.
Darmi gioia maggiore Amor non puoi.
Io parto, ma voi,
speranze, che fate?
partite o restate?

Io parto, ma voi, speranze, che cosa farete? Partite o rimanete qui? Se decidete di non partire resterete con il mio cuore, ma sono certo che morirò, se nel partire dovrò dire: speranze, addio.
Amore, tu non puoi darmi un dolore più grande. Solo voi potrete consolare il sentimento tanto amaro della lontananza, se partirete con me, o care speranze, e resterete con me. Amore, tu non puoi darmi un dolore più grande.
Nel passaggio tra la poesia barocca del Seicento e quella arcadica del Settecento, dalla musicalità più leggiadra, versi come questi rappresentano un momento di particolare interesse, per l’ariosa leggerezza accoppiata a una funzionalità da orologio in miniatura.
Con il ritornello di tre senari (abb) si alternano due strofe di tre ottonari e due endecasillabi (cdcDA, fefEA), in cui l’ultimo verso è lo stesso, ma con la mutazione da pena a gioia. Fecondo librettista per opere in musica, e alquanto freddo nelle composizioni religiose, il poeta passa nelle sue Ariette, con i metri delle strofette del Chiabrera, dalla sonorità immaginifica e opulenta del Marino a forme pre-settecentesche di gusto quasi rococò, di delicata dolcezza, particolarmente adatta a consolare con lieve eleganza lontananze tanto amare.
(TRECCANI).

Partenze

Debite rotte affrancano
corpi in partenza...ritorno,
eppure rimane il cuore,
quello profondo, intimo;
si sfilaccia la vita ogni volta,
ogni volta si teme...

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate


venerdì 30 maggio 2014

Acropoli, alba e bacio

L'acropoli è un termine (derivato dal greco ἄκρος "akros", alto, πὸλις "polis", città) che originariamente indicava la parte più alta della polis greca. Estendendone il significato, può essere chiamata "acropoli" la parte più eminente e fortificata di un'antica città.
Nella Grecia antica indicava quella parte della città che veniva costruita per ragioni difensive sulla sommità di un'altura e spesso cinta da mura.
Iniziata a diffondersi nell'età del bronzo, la "parte alta" delle città greche, come Atene, Argo, Micene e Tirinto, in età micenea era il luogo di residenza del re, ma col tempo divenne il centro religioso dell'abitato, sede di templi e luoghi di riunione.
Essa si contrapponeva alla zona denominata asty, la parte periferica in cui viveva il popolo.
Al suo interno c'erano case, templi e la piazza principale, l'agorà.
Esempi tipici di acropoli, in parte tuttora ben conservati, sono quelli di Atene e di Selinunte (Sicilia); anche il castello Eurialo di Siracusa può essere considerato parte dell'acropoli di quella città. Ma l'acropoli di Atene, una collina rocciosa che si eleva fino a circa 100 metri sulla città circostante, ha conservato molte caratteristiche originarie.
Tali fortificazioni non sono riferibili esclusivamente al mondo ellenico, bensì si ritrovano in tutto il Mediterraneo orientale (ad esempio presso gli Ittiti) e, dall'età del ferro in Italia (ad esempio l'acropoli di Alatri, Cuma e Arpino sulle origini delle quali, tra l'altro, non è esclusa la matrice mediorientale).
In età romana, la funzione monumentale si sostituì a quella difensiva, che tuttavia venne recuperata nell'alto Medioevo.
(da wikipedia)

Alba sull'Acropoli

Ma mi assale il tempo. Non qui, non ora

in quest'alba calma fra queste colonne.
Non qui, non ora, in questo silenzio vivo, fra le voci
in cui sono nata. Abbiamo un appuntamento, tempo,
ma non qui, non ora, in questa perfezione
che lenta scompare.

E tu ti torci nella pietra lassù, cavallo,
occhio grande, spaventato. Calmati, sei perfetto così.
Vuoi tornare alla sua mano, tu.
Non è qui Fidia, con gli scalpellini morti di Meduno
lui ora cena.

Non qui, non ora. Ma con te non posso lottare.
Resta, allora, senso del tempo, che dandomi la misura
del passare
pronta mi fai a partire dove non arriverò.
Nei vapori mattutini riavvia la ruota Atene e sono anch'io
nel coro di voci e rumori a contrastare il coro improvviso
di antichissime cicale che grideranno
ancora insieme qui, solo loro...

Ma impigliata negli sterpi, la ciocca del dio
che ci corre nelle vene di dormienti inquieti che aspettano
di risalire per le giovani linfe che spargemmo

nella tua dura luce, nostro umano passare.


Ida Vallerugo


...e Lei
scivolava via
leggera,
nella notte romana;
ancora negli
occhi nostri
cariatidi,
storia,
rovine
e quel bacio
nel sole...

giovedì 29 maggio 2014

Fiumelatte

Fiumelatte - Varenna

Una gita interessante è quella alla vicina frazione di Fiumelatte, le cui case si vedono appollaiate ai piedi delle ripide pendici del monte Fopp, m. 1033, coronato dai ruderi del castello di Vezio.
Il piccolo gruppo di case, sorte intorno alla chiesa, deriva il suo nome dal corso d’acqua più breve d’ Italia, appena 250 metri dalla sorgente alla foce di acque candide e spumeggianti; altra caratteristica particolare del torrente è la sua regolare intermittenza.
Il fiume, infatti, compare intorno al 25 di marzo (Annunciazione e festa della frazione) e continua a scorrere fino alla Madonna del Rosario (7 ottobre e patrona di Varenna)perciò è detto anche fiume delle due Madonne.
Il Fiumelatte venne citato già come 'Fiumelaccio' nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, incuriosito da questo fenomeno.
Oggi questa intermittenza, si pensa, possa essere il troppo pieno di una cavità sotterranea del Moncodeno (Grignone), che nessuno è ancora riuscito a raggiungere. 
Il Fiumelatte è un immissario del Lago di Como che nasce nel Gruppo delle Grigne.
È noto per la particolare brevità del suo corso, appena 250 metri.
Fiumelatte è anche il nome del piccolo borgo bagnato dal fiume, frazione di Varenna in LC, le cui case sorgono appollaiate ai piedi del monte Fopp (1033 m), coronato dai ruderi del castello di Vezio.
Una particolarità del torrente è la sua regolare intermittenza dal 25 marzo (festa del borgo e Annunciazione) fino al 7 ottobre (Madonna del Rosario e patrona di Varenna) che motivò il soprannome di "Fiume delle due Madonne".
Questa intermittenza è dovuta al fatto che Fiumelatte rappresenta il troppopieno di un sistema carsico, non ancora raggiunta da nessuno, che inizia nel Moncodeno (Grignone).
Nel 1992 una colorazione con fluoresceina (colorante atossico) nell'Abisso W Le Donne, situato lungo la Cresta di Piancaformia, dimostrò il collegamento tra Fiumelatte e le cavità carsiche del Grignone.
La grotta alla sorgente del Fiumelatte e l'ambiente suggestivo in cui scorre hanno favorito la nascita di alcune leggende.
Fu chiamato già come "Fiumelaccio" nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci che fu molto incuriosito da questo fenomeno.
« È il Fiumelaccio, il quale cade da alto più che braccia 100 dalla vena donde nasce, a piombo sul lago, con inistimabile strepitio e romore. »
(Leonardo da Vinci)
Altri personaggi che ne descrissero le particolarità furono Plinio il Vecchio e lo Spallanzani.
Grande attrazione per i primi turisti, che ne scrivono spesso nei loro appunti di viaggio.
Fra i tanti, curiosa l'osservazione dello scrittore francese Valery che vi passò nel 1827:

« Le torrent Il fiume latte, qui tombe dans le lac, et donne son nom au village situé à ses pieds, me rappela la cascade de Pissevache, près de Martigny.
Le rapprochement de ces deux métaphores populaires, pour rendre le même effet, montre toute la différence du génie italien, et, si l'on peut le dire, du génie suisse. Ainsi les mots peuvent quelquefois servir à l'étude des mœurs et de l'esprit des nations »
(Antoine Claude Pasquin (detto Valery), Voyages historiques..., Vol. 1, p. 223, Parigi, 1831)
Dal cimitero di Varenna, sulla sinistra, si trova un'indicazione per la sorgente del Fiumelatte dove si può sbirciare nelle tenebre della caverna.
Nei pressi della località Fiumelatte sorge anche un monumento commemorativo in memoria dei partigiani della 55ª brigata garibaldina Rosselli fucilati l'8 gennaio 1945 in seguito alla cattura avvenuta a Esino Lario.
I sei compagni trovarono la morte tornando verso valle per avvisare il comando dell'avvenuto sconfinamento in Svizzera.

Questo corso d’acqua è il più breve d’Italia e forse anche del mondo (dalla rete).


Torrente

Spumeggiante, fredda,
fiorita acqua dei torrenti,
un incanto mi dai
che più bello non conobbi mai;
il tuo rumore mi fa sordo,
nascono echi nel mio cuore.
Dove sono? Fra grandi massi
arrugginiti, alberi, selve
percorse da ombrosi sentieri?
Il sole mi fa un po' sudare,
mi dora. Oh questo rumore tranquillo,
questa solitudine.
E quel mulino che si vede e non si vede
fra i castagni abbandonato.
Misento stanco, felice
come una nuvola o un albero bagnato.

Attilio Bertolucci


come dire
acqua
che scorre,
libera,
senza peso,
cristallina
e pura,
alberi e
aghi di pino...

mercoledì 28 maggio 2014

Vecchiaia

vecchiàia
s. f. [der. di vècchio]. –

1.
a. L’età più avanzata nella vita dell’uomo, nella quale si ha un progressivo decadimento e indebolimento dell’organismo, con caratteri morfologici e organici proprî compresi anch’essi sotto il nome di vecchiaia (nel linguaggio medico è preferito il termine senilità): essere sulla soglia della v.; raggiungere la tarda v.; pensare alla v., provvedere alla propria v., mettere da parte per la v., facendo economie e risparmî da potere sfruttare quando si sarà vecchi; chi ride in gioventù, piange in v., prov., gli stravizî giovanili si scontano da vecchi; è morto di v., morirà di v., espressioni fam., riferite a persona mantenutasi sana e robusta fino alla più tarda età; bastone della v., figlio o nipote (o più raramente un estraneo) che sia o si prevede che potrà essere il sostegno materiale e morale di persona molto anziana: tu sarai il bastone della mia vecchiaia. Anche di animali: un cane, un cavallo sfinito dalla v.; estens., di piante, e in usi fig. scherz. di cose: un noce seccatosi per la v.; una vettura ormai fuori uso per troppa vecchiaia. b. Include in genere, oltre all’idea dell’età, quella del peso degli anni, e degli incomodi che la senilità porta con sé (e in questo differisce da vecchiezza): assicurazione per l’invalidità e la v. (v. invalidità); v. precoce; i primi sintomi della v.; gli acciacchi, i malanni della v.; scherz., è la v., caro mio!, a chi si lamenta di qualche incomodo attribuendone l’origine a cause contingenti.
2.
Con valore collettivo, i vecchi: rispettare la v.; la v. ha bisogno di assistenza.

Vocabolario TRECCANI 

Vecchiaia

Ah, sì, invecchiano anche le statue e le poesie.
Molti avevano preso parte a quella storia –
uomini, animali, bambini, fiumi, alberi,
ragazzi e ragazze con motociclette, due papere
bianche,
il matto silenzioso con una cicca e una galletta;
ed era un mezzogiorno estivo d'oro e sventolavano
le piume della gallina sgozzata luccicando in aria,
e la zia Evanghelìa in cucina puliva le bamie,
e una grossa farfalla si posò sulla saliera.
Nessuno, proprio nessuno allora sapeva
che il transitorio passa nel mito. Alla stazione del treno
venne a sedersi su una panchina una vecchia vestita
di nero
che teneva sul grembiule un cesto d'uova come se fosse
l'unica cosa che aveva al mondo. Si addormentò lì.
Qualcuno di passaggio le rubò il cesto. E cadde la notte.
Ah, sì, invecchiano anche le statue e le poesie e i ricordi
degli eroi.


Karlòvasi, 23.VII.87
Traduzione di Nicola Crocetti
Ghiannis Ritsos.


poi i silenzi,
le riflessioni,
le ore
che non passano mai
e quelle
troppo veloci;
la notte, 
la paura 
ed il buio... 

martedì 27 maggio 2014

Ancora Graf



Graf, Arturo.

Poeta e letterato (Atene 1848 - Torino 1913).
Cofondatore (1883) del Giornale storico della letteratura italiana e collaboratore assiduo della Nuova Antologia, coniugò nei suoi studi metodo rigoroso e sensibilità romantica (Attraverso il Cinquecento, 1888; Foscolo, Manzoni, Leopardi, 1898).
La sua complessa personalità si riflette soprattutto nella sua poesia, improntata a un pessimismo fra romantico e positivista, che tuttavia dalle tenebrose visioni, dai titanici miti, dall'iperbolico simbolismo delle prime liriche (Medusa, 1880), si andò sempre più aprendo ad aneliti di speranza, di fede (Dopo il tramonto, 1893), e a un interesse vivo per la natura e la realtà. 
Di padre tedesco e madre italiana, venne a 15 anni in Italia e si laureò in giurisprudenza (1870) a Napoli, dove seguì anche i corsi di F. De Sanctis; si volse quindi agli studi letterari, e fu professore, prima incaricato (1876) e poi ordinario (dal 1882), di letteratura italiana all'università di Torino; dal 1906 fu socio corrispondente dei Lincei.
Nel 1883 fondò, e per sette anni diresse, con F. Novati e R. Renier, il Giornale storico della letteratura italiana
Oltre a quelli citati, pubblicò numerosi volumi di studi storico-critici nei quali alla vastità della cultura e al rigore della ricerca e del metodo si accompagna un'acuta sensibilità romantica: Roma nelle memorie e nelle immaginazioni del Medioevo (2 voll., 1882-83); Il diavolo (1889); Miti, leggende e superstizioni del Medioevo (2 voll., 1892-93); L'Anglomania e l'influsso inglese in Italia nel sec. XVIII (1911); ecc.
Della sua produzione poetica si ricordano anche Dopo il tramonto, 1893; Le Danaidi, 1897; Morgana, 1901; Poemetti drammatici, 1905; Rime della selva, 1906.
Dell'evoluzione spirituale di G. sono inoltre testimonianza: Il riscatto (1901), romanzo psicologico autobiografico, le pagine in prosa Per una fede (1906), e un volume di aforismi e parabole, Ecce Homo (1908) (enciclopedia TRECCANI).

E tu dov'eri?

Strinser le spade e s’affrontar, le chiome
Al vento sparse, denudati i petti,
Belli entrambi e gentili e giovinetti,
Fregiati entrambi di superbo nome.
Muta, glacial copria la notte il mondo:
Di là dal pian che d’alti olmi s’imbosca,
Fra bieche nubi, accipigliata e fosca
Scendea la luna al curvo cielo in fondo. —
Guizzan quai serpi inveleniti i brandi,
L’un’elsa all’altra si raccoglie e serra,
De’ due feroci combattenti in terra
Si stendon l’ombre paurose e grandi.
Balza e rifulge lo schermito acciaro,
E si raddrizza incontanente al core:
Giovani entrambi sono e d’un valore,
Nell’arte iniqua ammaestrati al paro. —
Udiste un grido, udiste? ambo fuor fuora
Trafitti a un punto, ambo riversi al suolo!
Udiste il grido lor? fu un grido solo;
Ambo chiamar morendo Eleonora!
E tu dov’eri allor, bella dal bianco
Petto, dal volto angelico e soave?
Tu dagli amplessi estenuata un grave
Sonno dormivi d’altro amante al fianco.

Arturo Graf


l'amor che invade il core,
quello che riempie e soverchia,
l'amore con le cose storte
quello che non passa mai...

lunedì 26 maggio 2014

Sambuco e poesia

Il sambuco, o anche Sambucus Nigra nella sua denominazione scientifica, è una pianta molto comune sullo Stivale, solitamente ascritta alla famiglia delle siepi. Le piccole dimensioni, infatti, fanno di questo alberello un vegetale pressoché ubiquitario: lo si trova nei boschi di montagna, nei parchi cittadini, ma anche a ridosso di strade e aree urbane. Oltre alla sua funzione prettamente ornamentale – il sambuco presenta piccoli fiori bianchi e bacche violacee – da sempre è sfruttato nella medicina popolare. Quali sono le sue proprietà curative?
Del sambuco si utilizzano sia la pianta che le bacche, per scopi diversi per l’organismo. Attenzione, però, perché la varietà commestibile non deve essere confusa con il Sambucus ebulus, quest’ultimo alto fino a 1,5 metri e velenoso per l’uomo. Per questo motivo, è sconsigliato ricorrere al fai da te nella raccolta, soprattutto qualora non si avesse dimestichezza con la botanica: ci si affidi all’erborista di propria fiducia.
 
 
Eri dritta e felice

Eri dritta e felice
sulla porta che il vento
apriva alla campagna.
Intrisa di luce
stavi ferma nel giorno,
al tempo delle vespe d'oro
quando al sambuco
si fanno dolci le midolla.
Allora s'andava scalzi
per i fossi, si misurava l'ardore
del sole dalle impronte
lasciate sui sassi.

Leonardo Sinisgalli


le porte del passato
chiudono scorsi,
restano scorci di quando
bambini si errava nei campi...

domenica 25 maggio 2014

Poesia, riflesso e ricorrenza

Nel silenzio della notte
io ho scelto te.
Nello splendore del firmamento,
io ho scelto te.
Nell’incanto dell’aurora,
io ho scelto te.
Nelle bufere più tormentose,
io ho scelto te.
Nell’arsura più arida,
io ho scelto te.
Nella buona e nella cattiva sorte,
io ho scelto te.
Nella gìoia e nel dolore,
io ho scelto te.
Nel cuore del mio cuore,
io ho scelto te.

S. Lawrence



nient'altro da dire,
solo camminare ancora
sperando restino
intrecciate le mani...

sabato 24 maggio 2014

Fragile Musa


Apollo è spesso raffigurato come dio dell’arte e della musica, accompagnato dalle muse, le quali vivevano sull’ isola Elicona.
Le muse erano delle divinità che appartenevano ad Apollo  che amavano suonare, cantare e danzare per lui.


Giulio Romano, Le muse danzano con Apollo, Firenze Palazzo Pitti


Fragile Musa

Fragile Musa ascolta,
parole che dissi, che dico,
a volte li chiamo a raccolta
i pensieri che meco conduco.
Fragile Musa ricorda,
parole che ho detto e ripeto,
a volte immagino morda
il dolore quello sparso sul greto.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate 


File:Erato.jpg
Erato dipinta da Simon Vouet (1640)

Nella mitologia greca
Erato
(in greco Ερατώ),
figlia di Zeus e di Mnemosine, è una delle Muse, precisamente quella del canto corale e della poesia amorosa.
 Viene raffigurata come una giovane, con una corona di mirti e di rose, con in una mano una lira e nell'altra il plettro, collocato vicino a lei c'è un Amorino armato d'arco e di turcasso.
Il suo nome sembra significare "Amabile" e deriverebbe da Eros, dando ascolto a quanto suggerisce Apollonio Rodio nella sua invocazione ad Erato che apre il III libro delle Argonautiche.
Erato viene citata insieme alle altre Muse nella Teogonia di Esiodo e veniva invocata nel proemio di un poema ora perduto, la Radina, ricordato e brevemente citato da Strabone.
La romantica storia di Radina, fece sì che la sua supposta tomba, che si trovava sull'isola di Samo, all'epoca di Pausania fosse meta del pellegrinaggio degli innamorati infelici. Erato fu rappresentata come una figura collegata all'amore anche nel Fedro di Platone.
Tuttavia, all'epoca in cui Apollonio scriveva, il III secolo a.C., le Muse non erano ancora viste come figure così strettamente legate ad una specifica arte come avvenne in seguito.
(da wikipedia).

venerdì 23 maggio 2014

Music in me


ANITA
Puerto Rico
My heart's devotion
Let it sink back in the ocean
Always the hurricanes blowing
Always the population growing
And the money owing
And the sunlight streaming
And the natives steaming
I like the island Manhattan
Smoke on your pipe
And put that in!
GIRLS
I like to be in America
Okay by me in America
Everything free in America
BERNARDO
For a small fee in America
ANITA
Buying on credit is so nice
BERNARDO
One look at us and they charge twice
ROSALIA
I'll have my own washing machine
INDIO
What will you have though to keep clean?
ANITA
Skyscrapers bloom in America
ROSALIA
Cadillacs zoom in America
TERESITA
Industry boom in America
BOYS
Twelve in a room in America
ANITA
Lots of new housing with more space
BERNARDO
Lots of doors slaming in our face
ANITA
I'll get a terrace apartment
BERNARDO
Better get rid of your accent
ANITA
Life can be bright in America
BOYS
If you can fight in America
GIRLS
Life is all right in America
BOYS
If you're all white in America
GIRLS
Here you are free and you have pride
BOYS
Long as you stay on your own side
GIRLS
Free to be anything you choose
BOYS
Free to wait tables and shine shoes
BERNARDO
Everywhere grime in America
Organized crime in America
Terrible time in America
ANITA
You forget I'm in America
BERNARDO
I think I'll go back to San Juan
ANITA
I know what boat you can get on
BERNARDO
Everyone there will give big cheers
ANITA
Everyone there will have moved here

 

quasi un mare,
note a scorrere, vive!
Impeti improvvisi
e momenti quieti;
music in me!


giovedì 22 maggio 2014

Aforisma e riflesso


Il vento può infuriare e posarsi,
e il mare si gonfia e si placa,
ma il cuore della vita
è una sfera quieta e immobile.
E la stella che vi rifulge
non avrà mai tramonto.

Kahlil Gibran


“Invaded landscapes”, Yann Le Coroller (2009)


oltre il cuore il sole,
oltre il sole il sale;
la vita, la morte,
le cose piccoline
e quelle più grandi...

mercoledì 21 maggio 2014

Fiore...solitario

 
Un fiore

Perchè pallido fior, solo hai diletto
Degli ermi luoghi ov’è silenzio e pace?
E dove più nereggia il bosco e tace
La valle ivi ti stai solo e negletto?
La rosa al Vizio orna le tempie e il letto
Profuma ove il Piacer disteso giace;
Ma quel che piace ad altri a te non piace,
A te che segui più gentile affetto.
E ti raccogli sulle tombe, al rezzo
Degli alteri cipressi, e spargi ai morti
La carità del tuo soave olezzo.
Umile, casto, pio! ben veggo io certo
Che mano d’uom non t’educava: gli orti
Fuggi, pallido fior, vivi al deserto.

Arturo Graf


fiore isolato,
alla ricerca di acqua,
di luce e calore;
così vitale, eppure solo.

 

Fiore solitario

Ho visto un fiore in un mare di grano solitario il suo unico desiderio era che arrivasse un forte vento per abbassare il mare di grano e vedere un altro come lui.
Ma il forte vento non arrivava e allora il fiore desiderò un grande silenzio assoluto nella speranza di sentire la voce di un essere come lui.
Aspettò ma il silenzio non lo ascoltò, i grilli, le foglie, l'aria vibravano sempre giorno e notte e il fiore cominciò a cantare per farsi compagnia.
Ma cantare non lo aiutava molto, desiderava sempre di più poter incontrare un altro fiore e allora cantò più forte per farsi sentire lontano.
E il suo canto volò finchè una farfalla si avvicinò e con un lieve tocco gli narrò l'amore di un fiore che come lui cercava la gioia il fiore non aveva mai provato niente di simile, una gioia sconosciuta lo avvolse, lo penetrò fino a riempirgli l'anima e non desiderava più nulla ora.
Tutto riluceva adesso, ma la farfalla tornò e dormì per una notte sui suoi petali regalandogli l'amore, e allora vide l'altro fiore in un mare di grano solitario il cui unico desiderio era che arrivasse una farfalla per mandare il suo amore a un altro come lui che da molti giorni cantava da lontano regalandogli l'amore e cantarono insieme a lungo.
Cantarono il loro amore e quello del mondo intero; cantavano forte per far sentire ad ogni creatura la gioia dell'amore.
Il loro canto era così meraviglioso che attirò tante creature, e un arcobaleno scintillante non sapendo quale fiore scegliere si distese toccandoli entrambi.
E arrivò un Angelo portatore d'Amore, che sorpreso udì quel canto, si distese sui colori e cantò coi fiori riconoscendoli.
Allora l'Angelo ricordò i suoi fratelli diventati fiori per far gioire il mondo, gli chiese se avevano nostalgia di volare...
"No" risposero "abbiamo nostalgia dell'amore!"
L'Angelo pianse per il dolore dei fiori, decise che il loro compito nel mare di grano era finito!
Era tempo di mandarli tra gli uomini.
Gli regalò un'ala ognuno e i fiori, divenuti uomini, incontrarono la gioia e il dolore, l'amore e l'odio, il piacere e la sofferenza, ma mai la purezza e la perfezione che anelavano.
Così vivevano travolti dalla vita, aspettavano ancora e ancora, con l'amore negli occhi, aspettavano il momento in cui si sarebbero ritrovati, amati, ritornati uno.
Ma i loro occhi traboccanti d'Amore iniziarono a velarsi di dolore, le loro anime di paure, e gli Angeli fra gli uomini dimenticarono quasi di essere Angeli.
Vissero, amarono, soffrirono a lungo senza mai odiare, fino al punto che credettero d'essere svuotati, morti dentro, dimenticando che erano Angeli portatori d'Amore.
Il loro amore era infinito, amavano senza essere amati e si nutrivano del loro stesso Amore fluente.
Ma cercavano sempre qualcosa che avevano dimenticato.
Il tempo scorreva a volte lento a volte veloce, e loro tentavano spesso di volare, credendo al mondo, accecati dal loro stesso Amore si lanciavano fiduciosi nella vita.
Desideravano volare e far volare!
Alcuni uomini si risvegliavano e volavano brevemente con loro...
... tra le loro braccia potevano vedere l'Infinito!


Paola Pinto

martedì 20 maggio 2014

Poesia e riflesso


A nord di San Francisco

Qui molli le colline toccano il mare
come s’incontrano due eternità.
E le mucche che pasturano lassù
ci ignorano, come fossero angeli.
Anche il maturo aroma di melone in cantina
profetizza la quiete.
Il buio non combatte con la luce
ma ci spinge avanti
verso altra luce, e l’unico dolore
è quello di non restare.
Nella mia terra che vien detta santa
non permettono mai all’eternità
di essere eterna:
l’hanno divisa in piccole fedi
frazionata in territori di Dio
sminuzzata in schegge di Storia
acuminate che feriscono a morte.
Delle sue quiete lontananze hanno fatto
prossimità che freme di pena del presente.
A Bolinas, sulla spiaggia, ai piedi
dei gradini di legno
vidi fanciulle dalle natiche nude
sul ventre stese nella sabbia ebbre
di regno sempiterno,
e le anime in loro come porte
si aprivano e chiudevano,
si aprivano e chiudevano nel ritmo
della risacca.


Yehuda Amichai
Traduzione di Ariel Rathaus




...poi le onde,
le nebbie del porto;
infine un volo stridente,
gabbiani, nel grigio...

domenica 18 maggio 2014

Aforisma, orgoglio e riflesso

Il termine orgoglio si riferisce ad un forte senso di autostima e fiducia nelle proprie capacità, unito all'incapacità di ricevere umiliazioni e alla gratificazione conseguente all'affermazione di sé, o di una persona, un evento, un oggetto o un gruppo con cui ci si identifica.
Un'espressione comune, sinonimo di orgoglio, è "avere un'alta opinione di sé".
L'orgoglio smodato comporta un senso di superiorità rispetto alle altre persone, e prende il nome di superbia, che presso la dottrina cristiana è il più grave dei sette peccati capitali.
Una persona superba tende sempre a voler tutta l'attenzione degli altri su di sé senza preoccuparsi degli stati d'animo delle altre persone.
Se qualcosa non va secondo le sue aspettative, allora tende ad arrabbiarsi con i suoi interlocutori.

 
 
L'orgoglio è una bestia feroce
che vive nelle caverne e nei deserti;
la vanità invece, come un pappagallo,
salta di ramo in ramo e chiacchiera in piena luce.
 
Gustave Flaubert
 
che dire
è proprio così,
io sto a mezz'ombra...

sabato 17 maggio 2014

Le rive dei salici

Salice, nome generico delle varie specie di piante del genere Salix e dei vimini ottenuti dai rami di alcune di queste (Salix alba, Salix viminalis, Salix purpurea ecc.). Il genere Salix, della famiglia Salicacee, comprende numerose specie di alberi o arbusti diffusi quasi esclusivamente nell’emisfero boreale, frequenti nei luoghi umidi, come le rive dei corsi d’acqua, suoli torbosi ecc.
I s. hanno foglie alterne, stipolate, per lo più allungate; i fiori dioici sono riuniti in amenti, quelli maschili hanno 1, 2 o 3-6 stami, mentre i femminili hanno un pistillo bicarpellare uniloculare, che dà una capsula deiscente in due valve con numerosi semi provvisti alla loro base di un ciuffo di peli. Sono note varie centinaia di ibridi, naturali e artificiali, spesso coltivati come piante ornamentali. Particolarmente diffuso nei giardini è Salix babylonica, detto s. piangente, originario della Cina, distinto per i rami molto lunghi e pendenti; si moltiplica soltanto per talee, sicché tutte le piante coltivate in Europa provengono in definitiva da rami di piante femminili, introdotte dal Medio Oriente.
Il legno di s. è bianco, facilmente lavorabile ma poco durevole. In passato veniva utilizzato per sedie, mastelli, botti o per farne un carbone particolarmente usato nella fabbricazione delle polveri da sparo. La corteccia dei rami giovani di varie specie di s., ridotta in strisce sottili è utilizzata in erboristeria come antireumatico, antitermico e astringente. Ha sapore amaro e contiene salicina (0,5-4%) e tannino (10-12%). In passato veniva anche usata per la concia delle pelli e dava un cuoio chiaro, morbido, dall’odore caratteristico, detto cuoio di Russia.
Le Salicacee sono una famiglia di piante Dicotiledoni, ordine Malpighiali, comprendenti alberi o arbusti chiaramente monofiletici sulla base di caratteri sinapomorfi (cladismo) relativi ai fiori nudi, dioici, disposti in amenti eretti o penduli, i sepali più o meno vestigiali e i semi con ciuffo basale di peli per la disseminazione anemocora. Alcuni sistematici in passato hanno considerato le Salicacee come una famiglia primitiva per l’infiorescenza ad amento e le hanno poste tra le Amentifere, un gruppo polifiletico comprendente anche Betulacee, Fagacee, Iuglandacee e Platanacee. Al contrario, sembra che i fiori altamente ridotti delle Salicacee non siano affatto primitivi e che l’impollinazione anemofila si sia evoluta numerose volte all’interno delle Angiosperme. Le Salicacee sono diffuse in prevalenza nell’emisfero boreale, e vengono ascritte ai generi Populus (pioppo) e Salix.
La salicina è un glicoside, di formula C6H11O5OC6H4CH2OH, contenuto nella corteccia del s. e del pioppo: si presenta in prismi o lamelle romboidali, bianchi, splendenti, inodori, di sapore molto amaro, solubili in acqua e in alcol, insolubili in etere. È dotata di azione antireumatica e antipiretica (Enciclopedia TRECCANI).

Le rive dei salici

Le rive dei salici
omdeggiano fronde
sul fiume tranquillo
proiettano giochi di ombre;
seduto in disparte respiro
questo alito lieve, profumo
di intenso vivere continuo.
Frastagliano luci tra i rami
raggi di un tiepido sole;
mi sono assopito nell'erba
tra rumori di grilli e cicale.
Mi è dolce il pensare
tra le rive dei salici
il peso mortale è leggro
e il petto non ansima
la bocca non cerca
il sapore dell'aria tra i denti
e il cuore finalmente tranquillo.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate



Il termine salice ha origini celtiche, significa "vicino all'acqua".
Per molti popoli antichi i fiumi presso cui i salici crescevano non erano altro che le lacrime emesse da questi alberi dalle lunghe e argentate foglie.
Il salice è un albero sia simbolicamente che naturalmente in stretta correlazione con l'elemento acquatico, in particolare con la magia delle acque.
Da sempre il salice è considerato una divinità femminile, legato alla fecondità e ai cicli lunari e muliebri, secondo le leggende evocatore di pioggia e nebbie.
Nella tradizione celtica il culto del salice era molto sentito, nel calendario veniva considerato il quinto albero dell'anno ( periodo che andava dal 12 aprile al 15 Maggio cioè le Calendimaggio).
I druidi celebravano i sacri riti ponendo le offerte in ceste di salice, gli strumenti musicali che utilizzavano per incantare il popolo con suadenti melodie erano costruiti con il flessuoso legno di salice, capace di far risuonare la voce del vento e della natura tra le sue fronde.

Il salice è un arbusto che cresce bene nei luoghi umidi, poiché ama la facile provvista di acqua naturale sorgiva, suo elemento vitale, i torrenti e i fiumi sono la sua “terra”. Il suo nome significa “alba” ed è forse legato alla chiarezza e bellezza delle sue foglie, così delicate.
Molto utile in campagna per intrecciare cesti, fare scope e per legare le viti, grazie ai suoi rami ben flessibili.
Anticamente sacro per Demetra e alla Luna, è usanza ancora oggi, nel giorno della Candelora il 2 febbraio, prendere un ramo di salice e metterlo in casa come protezione dalle inondazioni. Ippocrate, il Padre della Medicina, curava febbre e dolori con la corteccia di questa pianta, che infatti è ricca di tannini e ha proprietà febbrifughe, inoltre può sciogliere le contrazioni muscolari e curare in generale i sintomi del raffreddore.
Si parla del salice anche tra gli  antichi scritti dei Sumeri, nel Papiro Ebers egiziano del 1500 a.C., in cui si elencano circa 800 rimedi a base di erbe.

Le preparazioni naturali a base di salice, che si possono trovare in commercio soprattutto nelle erboristerie, possono rappresentare un’ottima alternativa all’acido salicilico di tipo sintetico.
Per il raffreddore è particolarmente indicato un estratto di salice unito ad estratti naturali di piante ricche di vitamina C, come ad esempio la rosa canina, adatto per dare nuova forza al sistema immunitario, ad esso si potrà unire il
propoli
.
La natura non finirà mai di stupirmi: il salice, come detto in apertura, cresce spontaneamente lungo i corsi d’acqua piccoli o medi o anche grandi, e chi vive in zone come queste spesso soffre proprio di mali legati all’eccessiva umidità, ecco la soluzione a portata di mano offerta dalla Madre Terra, senza acquistare medicine sintetiche basta conoscere le pianete e le loro proprietà e sapersi curare in modo sano, unito a una buona alimentazione, che in questo caso dovrà essere ricca di frutta e verdura, vitamina C e fibre e soprattutto di acqua per essere sempre idratati.
Ideale il salice bianco anche per combattere il male alle articolazioni, durante la menopausa può migliorare le vampate di calore, le cefalee o ancora gastroenteriti e diarree provocate dal caldo eccessivo.

SaliceLa corteccia è possibile raccoglierla durante tutto l’anno (anche se il periodo migliore è la primavera), ma solo da alberi di almeno 2 o 5 anni, e va raccolta in pezzi abbastanza grossi, per poi essere polverizzata prima dell’uso.
Ma quanta corteccia si può usare per i problemi di raffreddore e gli altri sopra citati? Si deve prima di tutto dire che il rimedio è sottoforma d’infuso, in cui si usa un cucchiaino di corteccia in circa 200 ml di acqua bollente da bere per 3 volte al giorno, per le dosi per i bambini consultarsi con il medico
(dalla rete).