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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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lunedì 30 aprile 2012

Poesia e riflesso

RICORDO IL TEMPO

Ricordo il tempo ch'ero monello,
non mi lamento d'esser stato così
correva pei boschi la voce del fiume
ed io vi tuffavo la mia giovinezza
cantando.
A piedi scalzi
coglievo la rugiada nei campi,
bagnavo i miei occhi
nella dolcezza delle cose nuove.

Bartolomeo Di Monaco
17 giugno 1966


dettagli imprecisi i ricordi,
le piccole mani a raccogliere,
gli esili piedi a correre
e gli occhi, sgranati smeraldi
ad imprimere il mondo...

domenica 29 aprile 2012

Lettera

"La marionetta"
può essere considerata il testamento
spirituale dello scrittore colombiano
(Premio Nobel per la Letteratura nel 1982):
con questa poesia, inviata agli amici, egli
infatti si ritira dalla vita pubblica per motivi di salute.


Lettera di Addio

Se per un istante Dio si dimenticherà che
sono una marionetta di stoffa e
mi regalerà un poco di vita, probabilmente non
direi tutto quello che penso,
ma in definitiva penserei tutto quello che dico.
Darei valore alle cose, non per quello che valgono,
ma per quello che significano.
Dormirei poco, sognerei di più,
capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli
occhi, perdiamo sessanta secondi di luce.
Andrei avanti quando gli altri si fermano,
starei sveglio quando gli altri dormono,
ascolterei quando gli altri parlano e
come gusterei un buon gelato al cioccolato!!
Se Dio mi regalasse un poco di vita,
vestirei semplicemente,
mi sdraierei al sole lasciando scoperto non solamente
il mio corpo ma anche la mia anima.
Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei
il mio odio sul ghiaccio e
aspetterei che si sciogliesse al sole.
Dipingerei con un sogno di Van Gogh
sopra le stelle un poema di Benedetti
e una canzone di Serrat sarebbe la serenata
che offrirei alla luna.
Innaffierei con le mie lacrime le rose,
per sentire il dolore delle loro spine
e il carnoso bacio dei loro petali...
Dio mio, se io avessi un poco di vita...
Non lascerei passare un solo giorno
senza dire alle persone che amo,
che le amo.Convincerei tutti gli uomini e le donne
che sono i miei favoriti e
vivrei innamorato dell'amore.
Agli uomini proverei
quanto sbagliano al pensare
che smettono di innamorarsi
quando invecchiano, senza sapere
che invecchiano quando smettono di innamorarsi.
A un bambino gli darei le ali,
ma lascerei che imparasse a volare da solo.
Agli anziani insegnerei
che la morte non arriva con la vecchiaia
ma con la dimenticanza.
Tante cose ho imparato da voi, gli Uomini!
Ho imparato che tutto il mondo ama vivere
sulla cima della montagna,
senza sapere che la vera felicità
sta nel risalire la scarpata.
Ho imparato che
quando un neonato stringe con il suo piccolo pugno,
per la prima volta, il dito di suo padre,
lo tiene stretto per sempre.
Ho imparato che un uomo
ha il diritto di guardarne un altro
dall'alto al basso solamente
quando deve aiutarlo ad alzarsi.
Sono tante le cose
che ho potuto imparare da voi,
ma realmente,
non mi serviranno a molto,
perché quando mi metteranno
dentro quella valigia,
infelicemente starò morendo.

Gabriel Garcia Marquez


nausea e dolore comprimono
le sabbie del tempo, riarse,
in attesa di chissà quali umori;
nel fido consesso ritiro
le frasi e i pensieri latenti
come un guscio racchiudo
le mani rovinate dal freddo...


sabato 28 aprile 2012

Riflesso e poesia

Addio a una vista
da "La fine e l'inizio"

Non ce l'ho con la primavera
perché è tornata.
Non la incolpo
perché adempie come ogni anno
ai suoi doveri.

Capisco che la mia tristezza
non fermerà il verde.
Il filo d’erba, se oscilla,
è solo al vento.

Non mi fa soffrire
che gli isolotti di ontani sulle acque
abbiano di nuovo con che stormire.

Prendo atto
che la riva di un certo lago
è rimasta - come se tu vivessi ancora -
bella come era.

Non ho rancore
contro la vista per la vista
sulla baia abbacinata dal sole.

Riesco perfino ad immaginare
che degli altri, non noi
siedano in questo momento
su un tronco rovesciato di betulla.

Rispetto il loro diritto
a sussurrare, a ridere
e a tacere felici.

Suppongo perfino
che li unisca l'amore
e che lui la stringa
con il suo braccio vivo.

Qualche giovane ala
fruscia nei giuncheti.
Auguro loro sinceramente
di sentirla.

Non esigo alcun cambiamento
dalle onde vicine alla riva,
ora leste, ora pigre
e non a me obbedienti.

Non pretendo nulla
dalle acque fonde accanto al bosco,
ora color smeraldo,
ora color zaffiro,
ora nere.

Una cosa soltanto non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza -
ci rinuncio.

Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano.

Wislawa Szymborska


così, a precipizio tra i flutti,
annaspo nel senso comune
incespico gradini di ansie
e corrompo candida mente
in riflessi e giochi di luce...

venerdì 27 aprile 2012

Tavolozza

1. (arte) piano solitamente di legno o di plastica adatto ad essere tenuto in mano dove si mescolano i colori da usare nella pittura; dopo aver dipinto è buona abitudine lavare sempre la tavolozza
2. (per estensione) la totalità dei colori usati da un pittore (Giorgio usa una tavolozza vivace)
3. (senso figurato) l'insieme degli stilemi usati da un artista
4. (archeologia) (storia) piano di pietra egiziano usato nella preparazione di cosmetici o come ex voto (dalla rete).


nè le corde del suono
si stinsero in  quadri sonori
quasi schizzi sinfonici
su tavolozze di note sparse;
dispersi le gioie al vento
attraversando mari e procelle;
alfin vissi e vivo ancora...

anonimo del XX° secolo
frammenti ritrovati

giovedì 26 aprile 2012

Arturo Graf

poeta, storico e scrittore italiano.
Nato ad Atene nel 1848 e morto a Torino nel 1913.
Figlio di padre tedesco, fece i suoi studi in Romania e li completò a Napoli, dove si laureò in legge; dopo varie vicende si stabilì definitivamente a Torino e dal 1882 insegnò letteratura italiana all'università. Personalità eclettica, fu nella critica letteraria un ricercatore appassionato e un espositore brillante, non un maestro di metodo. Il suo lavoro, la sua stessa vita rispecchiano chiaramente il dramma e la crisi della cultura del suo tempo, incerta spesso tra il razionalismo evoluzionistico di marca positivistica e lo spiritualismo mistico teosofico; ma, nonostante questi limiti, la sua influenza nel mondo culturale piemontese di fine Ottocento fu notevole. Fu, tra l'altro, uno dei fondatori del Giornale storico della letteratura italiana, che diresse per sette anni. Proprio per il carattere asistematico e antiaccademico del suo magistero poté riunire intorno a sé giovani che poi presero le strade più diverse, dal poeta Gozzano al filosofo Martinetti. Interessanti come documento della temperie culturale in cui il Graf si trovò a operare sono le sue poesie: Medusa (1880), Dopo il tramonto (1893), Rime della selva (1906). Della sua attività di saggista vanno ricordati: Studi drammatici (1878), Roma nella memoria e nelle immaginazioni del medioevo (1882-1883), Il diavolo (1889), Miti, leggende e superstizioni del medioevo (1892- 1893), Foscolo, Manzoni, Leopardi (1898), e, soprattutto, L'anglomania e l'influsso inglese in Italia nel sec. XVIII (1911) (dalla rete).

La fonte

Gelida, cristallina
dalla rupe zampilla
l’onda; giù per la china
fugge guizzando, brilla
del sole al lume, e franta
ride fra i sassi, in mezzo all’erba e canta
« Io son la dolce e pura
acqua che vien dal cielo,
onda che in nube e in gelo,
si muta e trasfigura;
la lucida e gioconda
acqua son io che terge e che feconda.

Arturo Graf

mercoledì 25 aprile 2012

Un Angelo che non vide il 25 Aprile

TESTIMONIANZA DI MACCALLI GIUSEPPINA: Tempo di guerra.

Sono ritornata dalla manifattura di Legnano nel 1941 e la guerra era già iniziata da oltre un anno. In bicicletta raggiungevo Crema perché avevo trovato lavoro presso il linificio e quando suonava l'allarme si correva ai rifugi che erano sotto lo stabilimento.
Si aveva la tessera data dal comune per acquistare il pane e la carne, ma siccome quello che ci davano non bastava, perché era tutto razionato allora ci si sfamava con polenta e minestra.
Alla sera c'era il coprifuoco, non si doveva accendere nessuna luce e oscurare le finestre, perché c'era la ronda delle squadre fasciste che controllavano e se scoprivano che qualcuno non eseguiva correttamente gli ordini era considerato una spia dei partigiani.
Il clima in paese era abbastanza tranquillo, ma c'erano i fascisti che bersagliavano i partigiani e le loro famiglie soprattutto quelli conosciuti: c'erano i rastrellamenti e gli uomini che venivano trovati erano mandati a lavorare alla T.O.D.T. e in Germania. Alla sera quando si sentiva il rumore degli aerei era il segnale di scappare perché venivano a bombardare gli obiettivi strategici e qualche fosso anche pieno d'acqua diventava un rifugio e la salvezza.
Ho ben impresso nella mente il funerale del partigiano di Izano Angelo Zanoni: c'era tutto il paese ma il clima era di tensione e paura perché i fascisti con in mano il fucile, avevano proibito ai partigiani qualsiasi manifestazione.
Venne finalmente il 25 aprile: quel giorno non si poteva uscire di casa e i fascisti erano in ritirata, mentre i partigiani avanzavano sul canale.
Mi ricordo che ero sul cancello di casa mia e ho visto i fascisti, che alloggiavano nel palazzo Noli, scappare su due camionette col ritratto del Duce posto sul davanti della macchina e con il mitra sulle spalle: si dirigevano verso Crema e non trovarono nessuna resistenza.
I partigiani, che erano sul canale entrarono in paese e presero possesso del Comune (IZANO NOVECENTO A cura di Marco G. Migliorini).

Una Farfalla Di Cenere

Sarà festa grande
al taglio del maggese
per coriandoli di farfalle innamorate
libere dalle culle
dell’amore agreste
Voleranno
verso la vela
tenera del cielo
tra grida pulite
di bambini
frammenti ansiosi
d’albe serene
nati dalla brace
della carne accesa
E tornerà puntuale
il ricordo
della bimba di Bologna
che sognava
una farfalla di fiordaliso
da chiudere
nella gabbia del cuore
Vedo la sua immagine
dibattersi prigioniera
fra i rovi delle schegge
come rosa di macchia
nella siepe
Ogni anno
- per non dimenticare -
un filo di calendule d’oro
illuminerà
il sentiero di cenere
grigio
come la dolcezza
d’un settembre
Angela
non rivedrà più
gronde di luna
né si scalderà
all’abbaino del sole
con occhi
di passero sperduto
Di lei resta solo
un volo immenso
di cenere
che si posò leggero
sui suoi capelli
“come solinga
lampada di tomba”

Giuseppe Bartoli


il silenzio trafigge un ricordo
che lieve si scioglie nel tempo
in un lungo passato lontano...

martedì 24 aprile 2012

Il raccontafiabe

C'era una volta un povero diavolo, che aveva fatto tutti i mestieri e non era riuscito in nessuno.
Un giorno gli venne l'idea di andare attorno, a raccontare fiabe ai bambini. Gli pareva un mestiere facile, da divertircisi anche lui. Perciò si mise in viaggio, e la prima città che incontrò, cominciò a gridare per le vie:
- Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentir le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti, e gli fecero ressa attorno. Lui cominciò:
- C'era una volta un Re e una Regina, che non avevano figliuoli, e facevano voti e pellegrinaggi...
- To'! Questa la sappiamo a mente, - dissero i bambini - è la fiaba della Bella addormentata nel bosco. Un'altra! Un'altra!
- Ve ne dirò un'altra.
E cominciò:
- C'era una volta una bambina, che aveva la mamma matta e la nonna più matta di lei. La nonna le fece un cappuccetto rosso...
- To'! Questa la sappiamo a mente: è la fiaba di Cappuccetto rosso.
- Un'altra! Un'altra!
Quel povero diavolo, un po' seccato, cominciò da capo:
- C'era una volta un signore che aveva una figliuola. Gli era morta la moglie e ne aveva presa un'altra, vedova con due figlie...
- To'! È la fiaba di Cenerentola. Sappiamo a mente anche questa.
E visto che era buono a raccontare soltanto fiabe vecchie, i bambini gli voltarono le spalle e lo piantarono come un grullo.
Partì e andò in un'altra città. E, appena arrivato, si messe a gridare per le vie:
- Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti e gli fecero ressa attorno. Ma non cominciava una fiaba, che quelli non urlassero tosto:
- La sappiamo! La sappiamo!
E visto che era buono a raccontare soltanto fiabe vecchie, gli voltarono le spalle e lo piantarono come un grullo.
Quando ebbe provato più volte e sempre con lo stesso cattivo successo, quel povero diavolo si perdette d'animo, e non sapeva più dove dare di capo.
Angustiato, si mise a camminare senza sapere dove lo portassero i piedi, e si trovò in mezzo a un bosco.
Sopravvenuta la notte, si stese sull'erba, sotto un albero, per dormire; ma non poté chiuder occhio: aveva una gran paura. Gli pareva che le piante, collo stormire delle fronde, parlassero sotto voce fra loro; gli pareva che le bestie e gli uccelli notturni, con quei loro strani gridi e canti, tramassero qualche cosa contro di lui.
Il cuore gli batteva forte nel petto, e non vedeva l'ora che fosse giorno.
Alla mezzanotte in punto, che vede? Vede una gran luce pel bosco, e da ogni pianta sbucava gente che rideva, che cantava, che ballava; e intanto da tutte le parti venivano rizzate prestamente tante bellissime tende e tavole piene di cose non mai viste, che luccicavano più dell'oro. S'accòrse di essere capitato in mezzo alla fiera delle Fate; si fece coraggio e si levò. Avea pensato:
- Le Fate debbono vendere anche delle belle fiabe, nuove di zecca: vo' veder di comprarle.
E accostatosi a una che vendeva roba sotto una ricca tenda là vicino, le disse:
- Ci avete fiabe nuove?
- Fiabe nuove non ce n'è più; se n'è perduto il seme.
Poco persuaso di questa risposta, andò da un'altra Fata che teneva in mostra sulla tavola e nei barattoli tante bellissime cose, che la prima non aveva:
- Ci avete fiabe nuove?
- Fiabe nuove non ce n'è più; se n'è perduto il seme.
E due!
Girò attorno un altro pezzo, osservando qua e là; e come vide una tenda, che gli parve la più ricca di tutte, si accostò alla Fata venditrice e le domandò timidamente:
- Ci avete fiabe nuove?
- Fiabe nuove non ce n'è più; se n'è perduto il seme.
E tre!
Vedendolo rimasto male, quella Fata gli disse:
- Sapete, quell'uomo, che dovreste voi fare? Dovreste andare dal mago Tre-Pi che n'ha pieni i magazzini.
- E dove si trova cotesto mago Tre-Pi?
- Lontan lontano, fra' suoi boschi di aranci.
Prima dell'alba, la fiera finì. Le Fate, le tende, ogni cosa disparve; e quel povero diavolo si trovò solo in mezzo al bosco, e non sapeva se fosse stato sveglio o pure avesse sognato.
Cammina, cammina, incontrò un viandante:
- Compare, sapreste dirmi dove sono i boschi di aranci del mago Tre-Pi?
- Andate avanti, sempre avanti.
Cammina, cammina, incontrò una vecchia:
- Comare, sapreste dirmi dove sono i boschi di aranci del mago Tre Pi?
- Andate avanti, sempre avanti.
Non si arrivava mai!
Finalmente, ecco i boschi di aranci. Ma c'erano i muri attorno, e si doveva entrare da un piccolo cancello guardato da un mastino.
- Chi cerchi da questa parte? - gli domandò il mastino.
- Cerco il mago Tre-Pi.
- È fuori: aspetta.
Ed ecco, sul tardi, il mago Tre-Pi, nero come il pepe, con una barbona nera e certi occhi neri che schizzavano fuoco.
- Ah, buon mago Tre-Pi, dovreste farmi un favore!
- Parla, che cosa vuoi?
- Vorrei delle fiabe nuove. Voi, che ne avete dei magazzini, dovreste darmene qualcuna.
- Fiabe nuove non ce n'è più: se n'è perduto il seme. Di quelle che ho io tu non sapresti che fartene. E poi, servono a me, per conservarle imbalsamate. Vuoi vederle?
E lo condusse dentro, nei magazzini.
C'erano tutte le fiabe del mondo, situate nei cassetti fatti a posta, classate e numerate; e il mago Tre-Pi gli guardava sempre le mani, per paura che quello non gliene portasse via qualcuna.
- Ma non c'è proprio verso di poterne trovare delle nuove?
- Le nuove, - rispose il mago - forse le sa una vecchia Fata, fata Fantasia: ma non vuol dirle a nessuno. Vive sola in una grotta, e bisognerebbe andarci in compagnia della Bella addormentata nel bosco, di Cappuccetto rosso, di Cenerentola, di Pelosina, di Pulcettino e simil gente. Prova; però ti dico che è fatica sprecata.
- Non importa; proverò.
Tornò addietro e andò dalla Bella addormentata nel bosco:
- O Bella addormentata, vi prego, venite con me.
- Volentieri.
- O Cappuccetto rosso, ti prego, vieni con me.
- Volentieri.
- O buona Cenerentola, ti prego, vieni con me.
- Volentieri.
Insomma li radunò tutti, e si misero in via. Quelli sapevano il posto della grotta dove la vecchia Fata viveva rinchiusa, e ve lo condussero facilmente. Picchiarono all'uscio.
- Chi siete?
- Siamo noi.
Fata Fantasia li riconobbe alla voce, e venne ad aprire.
- Che cosa volete? E chi è costui? Temerario, come osi di venire da me!
E voleva scacciarlo via.
Quelli la rabbonirono e le esposero il motivo della loro venuta:
- Questo povero disgraziato ha tentato tutti i mestieri e non è riuscito in nessuno. Si era anche messo a fare il racconta-fiabe; ma i bambini, che già sanno a mente le nostre storie, ora vorrebbero delle fiabe nuove, e non gli prestano attenzione. Bella fata Fantasia, aiutatelo voi!
- Fiabe nuove non ce n'è più; se n'è perduto il seme.
- Bella fata Fantasia, aiutatemi voi!
Sentendosi pregare colle lagrime agli occhi, fata Fantasia s'intenerì:
- Vado e vengo.
Rientrò nella grotta, e dopo un pezzetto, ricomparve col grembiule ricolmo:
- Tieni; con questa roba forse ti riescirà.
E gli diede una stiacciata, un'arancia d'oro, un ranocchino, una serpicina, un uovo nero, tre anelli, insomma tante cose strane.
- Che debbo farne?
- Portali teco e vedrai.
Ringraziò, tutto contento, accompagnò quegli altri alle case loro e, la prima città che incontrò, si messe a gridare per la via: - Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti e gli fecero ressa attorno.
Lui prese la stiacciata in mano e cominciò:
- C'era una volta...
Non sapeva neppure una parola di quel che dovea raccontare; ma, aperta la bocca, la fiaba gli usciva filata, come se l'avesse saputa a mente da gran tempo. E fu la fiaba di Spera di sole.
La fiaba piacque ai bambini:
- Un'altra! Un'altra!
E quello, preso a caso uno dei regali della Fata, che portava seco in una borsa, cominciò:
- C'era una volta...
Non sapeva neppure una parola di quel che dovea raccontare; ma, aperta la bocca, la fiaba gli usciva filata, come se l'avesse saputa a mente da gran tempo.
E raccontò la fiaba di Ranocchino, porgi il ditino.
La fiaba piacque ai bambini:
- Un'altra! Un'altra!
E così di seguito; ne raccontò più di una dozzina, e lui ci si divertiva più dei bambini.
Poi andò in un'altra città:
- Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
E ricominciò da capo. I bambini contentissimi.
Ma, infine, erano sempre quelle: Spera di sole, Ranocchino, Cecina, Il cavallo di bronzo, Serpentina, Testa-di-rospo... Sicché, all'ultimo, i bambini si seccarono, e appena cominciava:
"C'era una volta..." lo interrompevano:
- La sappiamo, la sappiamo a mente!
Che cosa farne di quelle fiabe, ora che i bambini non volevano più sentirle, perché le sapevano tutte a mente?
Pensò di regalarle al mago Tre-Pi, per metterle nei cassetti, colle altre fiabe imbalsamate.
E andò a trovarlo.
Al cancello c'era il solito mastino:
- Chi cerchi da queste parti?
- Cerco il mago Tre-Pi.
- È fuori: aspetta.
Sul tardi, ecco il mago Tre-Pi, nero come il pepe, col suo barbone nero e quei suoi occhi neri che schizzavano fuoco:
- Sei tornato di nuovo? Che vuoi da me?
- Nulla, buon Mago; vengo anzi a farvi un regalo. Queste son fiabe nuove e nei vostri cassetti non ce le avete. Ora che tutti i bambini le sanno a mente, ho pensato di regalarvele per metterle insieme colle altre imbalsamate.
- Ah, sciocco! Sciocco! - rispose il Mago. - Non vedi che cosa hai in mano?
Il racconta-fiabe guardò: aveva in mano un pugno di mosche!
E tornò addietro scornato, e di fiabe non ne volle più sapere.
Perciò si conchiude:
- Fiabe nuove non ce n'è più; se n'è perduto il seme!
Come e perché, cari bambini, lo saprete facilmente quando sarete più grandi.

Luigi Capuana

lunedì 23 aprile 2012

poesia

V

Se la parola perduta è perduta, se la parola spesa è spesa
Se la parola non detta e non udita
E' non udita e non detta,
Sempre è la parola non detta, il Verbo non udito,
Il Verbo senza parola, il Verbo
Nel mondo e per il mondo;
E la luce brillò nelle tenebre e
Il mondo inquieto contro il Verbo ancora
Ruotava attorno al centro del Verbo silenzioso
.
0 mio popolo, che cosa ti ho fatto.

Dove ritroveremo la parola, dove risuonerà
La parola? Non qui, che qui il silenzio non basta
Non sul mare o sulle isole, né sopra
La terraferma, nel deserto o nei luoghi di pioggia,
Per coloro che vanno nella tenebra
Durante il giorno e la notte
Il tempo giusto e il luogo giusto non sono qui
Non v'è luogo di grazia per coloro che evitano il volto
Non v'è tempo di gioire per coloro che passano in mezzo al rumore e negano la voce

Pregherà la sorella velata per coloro
Che vanno nelle tenebre, per coloro che ti scelsero e si oppongono
A te, per coloro che sono straziati sul corno fra stagione e stagione, tempo e ternpo,
Fra ora e ora, parola e parola, potenza e potenza, per coloro che attendono
Nelle tenebre? Pregherà la sorella velata
Per i fanciulli al cancello
Che non lo varcheranno e non possono pregare:
Prega per coloro che ti scelsero e ti si oppongono

0 mio popolo, che cosa ti ho fatto.

Pregherà la sorella velata fra gli alberi magri di tasso
Per coloro che l'offendono e sono
Terriffcati e non possono arrendersi
E affermano di fronte al mondo e fra le rocce negano
Nell'ultimo deserto e fra le ultime rocce azzurre
Il deserto nel giardino il giardino nel deserto
Della secchezza, sputano dalla bocca il secco seme di mela.

0 mio popolo.

Thomas Stearns Eliot
(da mercoledi delle ceneri)

domenica 22 aprile 2012

Scarborough Fair

La fiera.
Durante il periodo medievale la località marittima di Scarborough era un importante punto di riferimento per i commercianti provenienti da tutto il Regno Unito. La cittadina era sede di un'esposizione commerciale che aveva inizio il 15 agosto e durava quarantacinque giorni, un periodo eccezionalmente lungo per una fiera, a quei tempi. I mercanti giungevano da ogni parte dell'Europa: Inghilterra, Norvegia, Danimarca, il Baltico e lImpero bizantino. La fiera di Scarborough nacque da uno statuto approvato dal re Enrico III d'Inghilterra il 22 gennaio 1253. Il documento, che conferì a Scarborough numerosi privilegi, stabiliva che i cittadini e i loro eredi avrebbero potuto tenere una fiera all'interno delle mura del paese; fiera che sarebbe iniziata con la Festa dell'Assunzione della Beata Vergine Maria e avrebbe avuto termine con la Festa di San Michael. Secondo il moderno calendario romano cattolico, le date corrispondevano al 15 agosto e al 29 settembre). Questa manifestazione attirò non solo commercianti: essi necessitavano di un luogo dove potersi rifocillare e amavano essere intrattenuti con giochi. Pertanto la fiera era affollata da compratori, venditori e i cosiddetti cercatori di divertimento. I prezzi erano stabiliti dalla regola dai e prendi, e i beni venivano scambiati con la regola del baratto. Testimonianze mostrano che dal 1383 il successo di Scarborough era destinato a crollare.
Nei primi anni del XVII secolo la concorrenza dei mercati e dalle fiere delle città vicine e la tassazione sempre più opprimente furono un duro colpo per la fiera, tanto che alla fine dovette essere abolita. Il mercato si riprese nuovamente nel XVIII secolo, ma a causa dell'accesa concorrenza, Scarborough Fair si spense definitivamente nel 1788. La tradizionale Scarborough Fair non esiste oggigiorno, sebbene si svolgano ancora alcune celebrazioni durante il mese di settembre per ricordare l'evento originale. Nel luglio 2006 Scarborough Fair fu testimone delle Medieval Jousting Competions, finanziate attraverso il patrimonio reale, in aggiunta alle usuali attrazioni.

La ballata.
La canzone narra la storia di un giovine che invita il lettore a domandare alla sua amata di svolgere per lui una serie di imprese impossibili; solo quando ella avesse portato a termine il compito sarebbe stata libera. Una delle immagini più famose è quella della donna che si vede costretta a preparare per lui una camicia senza poter usare ago e filo e quindi lavarla in un pozzo privo di acqua. Spesso la canzone è cantata come un duetto nel quale a sua volta la donna pretende dal suo amante una serie di prove e solo quando il ragazzo avrà finito potrà avere la sua camicia senza cuciture. Nonostante le versioni della ballata conosciuta come Scarborough Fair si limitano a raccontare la storia di questi improbabili accordi, sono state avanzate molte ipotesi riguardanti il suo significato. Una di esse riconosce la "sofferenza dovuta alla Peste" come fulcro di tutta la vicenda. Infatti, Scarborough Fair sembra derivare da una ballata scozzese più antica (ed ora sconosciuta) intitolata Il cavaliere elfo (The Elfin Knight), che si fa risalire al 1670, ma potrebbe essere addirittura anteriore. La ballata tratta di un elfo che minaccia una donna di diventare il suo amante a meno che lei non compia una durissima prova (For thou must shape a sark to me / Without any cut or heme, quoth he); ella risponde per le rime, con la sua lista di compiti da portare a termine. Da quando iniziò a diffondersi, la canzone fu adattata, modificata, e riscritta al punto che nel XVIII secolo esistevano dozzine di versioni diverse, nonostante solo un numero molto esiguo di queste siano cantate oggi. I riferimenti a Scarborough Fair e il ritornello parsley, sage, rosemary and thyme, si riferiscono ad alcune versioni del XIX secolo. Il ritornello in particolare richiama alcune immagini e addirittura sembra essere tratto dalla ballata Riddles Wisely Expounded.
Numerose versioni della canzone sono state incise o eseguite da artisti di musica pop e rock, la più celebre delle quali è probabilmente quella di Simon & Garfunkel.
In Italia la ballata è stata pubblicata da Angelo Branduardi nell'album Futuro Antico I del 1996. In questo album Angelo Branduardi parte alla scoperta di musiche medievali nell'ambito sia del sacro che del profano. I brani sono suonati con l'ensemble musicale Chominciamento di gioia, il tutto è diretto ed orchestrato con la collaborazione di Renato Serio (dbflorindo).


Scarborough fair
Scottish trad.

Are you going to Scarborough Fair?
Parsley, sage, rosemary and thyme.
Remember me to one who lives there.
For once she was a true love of mine.
Tell her to make me a cambric shirt.
Parsley, sage, rosemary and thyme.
Without any seam or fine needlework,
and then she'll be a true love of mine.
Tell her to wash it in yonder dry well,
parsley, sage, rosemary and thyme;
where water never have sprung, nor drop of rail fell,
and then she'll be a true love of mine.
Oh, will you find me an arce of land,
parsley, sage, rosemary and thyme;
between the sea foam and the sea sand
or never be a true love of mine.
Oh, will you plough it with a lamb's horn,
parsley, sage, rosemary and thyme;
and sow it all over with one peppercorn,
or never be a true love of mine.
And when you have done and finished your work,
parsley, sage, rosemary and thyme;
then come to me for your cambric shirt,
and you shall be a true love of mine.


 


Scarborough fair
trad. Scozzese

Quando andrai a Scarborough Fair
salvia, menta, prezzemolo e timo
Tu porta il segno del mio rimpianto
alla donna che allora io amavo.
Vorrei in dono una camicia di lino
salvia, menta, prezzemolo e timo
tu dille che non voglio ricami
ma che sappia che ancora io l'amo.
Per me basta un acro di terra
salvia, menta, prezzemolo e timo
Quella casa tra il mare e le dune
e la donna che allora io amavo.
Tornerò a coltivare i miei campi
salvia, menta, prezzemolo e timo
e distese di erica in fiore
perchè sappia che ancora io l'amo.


sabato 21 aprile 2012

Vega

Come è forte il rumore dell'alba!
Fatto di cose più che di persone.
Lo precede talvolta un fischio breve,
una voce che lieta sfida il giorno.
Ma poi nella città tutto è sommerso.
E la mia stella è quella stella scialba
mia lenta morte senza disperazione.

Sandro Penna
da una strana voglia di vivere
(1949-1955)

Vega, costellazione della lira

vivere costa gioia e fatica
in un crescendo di passioni,
attimi irrisori di breve entità;
poi rimane il riflesso opaco
di giovanili sbagli, di errori
calpestati da irruenza e rabbia
e si cerca il riposo...

Vega (α Lyr / α Lyrae / Alfa Lyrae) è la stella più brillante della costellazione della Lira, la quinta più luminosa del cielo notturno, nonché la seconda più luminosa nell'emisfero celeste boreale, dopo Arturo. Vertice nord-occidentale dell'asterismo del Triangolo Estivo, Vega è una stella piuttosto vicina, posta a soli 25 anni luce di distanza, la più luminosa in termini assoluti entro un raggio di 30 anni luce dal sistema solare. Si tratta di una stella bianca di sequenza principale di classe spettrale A0 V, che possiede una massa circa due volte quella solare ed una luminosità circa 37 volte superiore. L'astro è caratterizzato da un'altissima velocità di rotazione sul proprio asse, che gli conferisce l'aspetto di uno sferoide oblato. Questa rapida rotazione, a causa di un fenomeno noto come oscuramento gravitazionale, si riflette sulla temperatura effettiva fotosferica, che varia a seconda della latitudine presa in esame: infatti, si è notato che la temperatura all'equatore è di circa 2000 K più bassa rispetto a quella rilevata ai poli, ed è proprio in direzione di uno di essi che la stella risulta visibile dalla Terra. È inoltre una sospetta variabile Delta Scuti, che manifesta pulsazioni nella luminosità di pochi centesimi di magnitudine ogni 0,19 giorni (circa 4,56 ore). Vega, definita dagli astronomi "la stella più importante nel cielo dopo il Sole", riveste una grande importanza nell'astronomia, dal momento è stata impiegata per calibrare gli strumenti osservativi e come riferimento per la misurazione di alcuni parametri comuni a tutte le stelle; inoltre, circa 12 000 anni fa, a causa della precessione dell'asse terrestre, ha svolto il ruolo di stella polare, e lo ricoprirà nuovamente tra altri 13 700 anni. A metà degli anni ottanta il satellite IRAS ha scoperto che la stella presenta un eccesso di emissione infrarossa, attribuito alla presenza in orbita di un disco di polveri circumstellare. Queste polveri sarebbero il risultato di collisioni plurime tra gli oggetti orbitanti all'interno di una cintura asteroidale, assimilabile alla fascia di Kuiper nel sistema solare. Alcune irregolarità riscontrate nel disco suggerirebbero la presenza in orbita di almeno un pianeta, per massa simile a Giove. Il nome Vega deriva dalla seconda parte del nome in arabo della stella an-nasr al-wāqi‘, Avvoltoio che plana (da wikipedia).