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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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martedì 31 dicembre 2013

Song




The last good day of the year

Don't tell me
that you get sick of living
when the summer's so forgiving
although we have stolen
all of the things that we though
we had owned then
have disappeared

all these things in flavour
won't do you no favours
when the summer's light is fragrant
with scents of returning
you relent, you resent, now you're burning
for nothing to change....

there's something there...
(amongst the fallen fruit and flowers)
won't rest
(only minutes, only hours)
unless
(now the morning breaks in showers)
I guess
we'll remember this all of our lives
on the Last Good Day of The Year

all the leaves are turning
Autumn's fingers burnished
furnished here in hope and in faith in the meantime
kinda working my way through a dream I
was having alone

there's something there...
(amongst the fallen fruit and flowers)
won't rest
(only minutes, only hours)
unless
(now the morning breaks in showers)
I'm left
with the North Wind breathing down my neck...

on The Last Good Day of The Year.....
(don't know where I end and where you begin...)


Cousteau

lunedì 30 dicembre 2013

Poesia e riflesso

 L'anno vecchio

Ebbe la primavera coi bei fiori
ebbe l'estate con i suoi colori
ebbe l'autunno coi grappoli d'oro
ebbe l'inverno con il suo lavoro
di trine e di merletti: erano i bianchi
ghiaccioli e neve. a fiocchi lenti e stanchi.
Fu un anno come gli aItri coi suoi mesi.
con le stagioni e con le settimane:
una fila di giorni che rimane
nel ricordo di chi li ha bene spesi.

Massimo Grillandi




salute e baci
insieme audaci
domani ancora
si incontra l'aurora

domenica 29 dicembre 2013

Aforisma


Leonardo Da Vinci, Uomo Vitruviano


L'uomo
è due uomini
contemporaneamente:
solo che uno
è sveglio nelle tenebre
e l'altro
dorme nella luce.

Kahlil Gibran


  
che dire
come non essere
daccordo

sabato 28 dicembre 2013

Innocenti, santi, martiri

La tradizionale celebrazione dei fanciulli uccisi da Erode alla nascita di Gesù.
Gli Innocenti che rendono testimonianza a Cristo non con la parola, ma con il sangue, ci ricordano che il martirio è dono gratuito del Signore. Veramente, la festa degli Innocenti dovrebbe essere celebrata dopo l’Epifania, perché fu provocata, involontariamente, proprio dai Magi, venuti dall’Oriente per adorare il Bambino nato nella stalla di Betlemme.
Dai "Discorsi" di san Quodvultdeus, vescovo … Che cosa temi, o Erode, ora che hai sentito che è nato il Re? … Le madri che piangono non ti fanno tornare sui tuoi passi, non ti commuove il lamento dei padri per l’uccisione dei loro figli, non ti arresta il gemito straziante dei bambini e mentre cerchi di uccidere la Vita stessa, pensi di poter vivere a lungo, se riuscirai a condurre a termine ciò che brami. … I bambini, senza saperlo, muoiono per Cristo, mentre i genitori piangono i martiri che muoiono. Cristo rende suoi testimoni quelli che non parlano ancora. Colui che era venuto per regnare, regna in questo modo. Il liberatore incomincia già a liberare e il salvatore concede già la sua salvezza. Ma tu, o Erode, che tutto questo non sai, ti turbi e incrudelisci e mentre macchini ai danni di questo bambino, senza saperlo, già gli rendi omaggio (dalla rete).


Santi

Piccole vite spezzate
non chiedono nulla
non fanno rumore.
Nel suono di lame sinistre
ricorrono sempre
e mai si fermano.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate



Innocenti, santi, martiri, nella basilica ostiense di S. Paolo f.l.m. vi sono le memorie di molti di questi bambini fatti uccidere da Erode. In questa basilica il 28 dicembre si celebra in loro onore la festa in rosso e si canta il Gloria, l’Alleluia e il Credo. Cinque dei loro corpi erano qua riposti in un antico sarcofago cristiano, oggi al Museo Lateranense. Sisto V fece portare le loro reliquie nella sua cappella a S. Maria Maggiore.

venerdì 27 dicembre 2013

L'Eucaly'ptus

Il forte odore dell'eucalyptus, una tipica pianta mediterranea, riporta alla mente del poeta il ricordo della Sicilia e della sua triste infanzia. I versi utilizzati sono di varia misura e si alternano strofe di cinque e quattro versi. In tutta la poesia è utilizzato il tempo presente indicativo.
Tutto il componimento è caratterizzato dal più completo rifiuto della sintassi, per cui le immagini si collegano tra loro in spontanee analogie. Mancando di legami logici chiari, il senso è affidato al potere educativo della singola parola, che costituisce da sola delle immagini significative.
Nella prima parte il poeta confessa di non sentirsi veramente vivo e il tempo contribuisce solo ad aumentare questa pena. In questa parte, come in tutta l'opera, la punteggiatura è quasi assente e ciò rende più difficile ancora interpretare la poesia. La sintassi è libera e non è chiaro il legame logico tra i vari versi. Tutto ciò rende la poesia oscura, proprio come prevede lo stile ermetico.
La seconda parte è introdotta dal verso «a fiato d'aspra resina» che si riferisce all'odore acre dell'albero. L'immagine dell'albero affiora dalla memoria assonnata del poeta e porta con sè l'odore delle fronde che come ali si librano nell'aria. In questa parte è evidente la ricerca di effetti sonori: in sole due parole la vocale "a" è ripetuta ben cinque volte.
Nella terza parte l'autore ribadisce ulteriormente la propria condizione di tristezza e solitudine. Il rinverdire dell'albero, il riaffiorare alla memoria dell'infanzia, rattrista il poeta, in quanto sono state rare le gioie in quel periodo. Già allora era presente in Quasimodo la vocazione poetica, un segreto amore che lo spingeva a raccontare di sè al mare.
La conclusione della poesia è piuttosto enigmatica: l'immagine dell'isola al mattino è affiancata dalla visione di una volpe morta presso una sorgente. Quest'immagine potrebbe simboleggiare l'infanzia spezzata del poeta, la visione spietata della vita che non presenta più alcuna speranza (dalla rete). 


L'eucalyptus

Non una dolcezza mi matura,
e fu di piena deriva
ad ogni giorno
il tempo che rinnova
a fiato d'aspre resine.
In me un albero oscilla
da assonnata riva,
alata aria
amare fronde esala.
M'accori, dolente rinverdire,
odore dell'infanzia
che grama gioia accolse,
inferma già per un segreto amore
di narrarsi all'acque.
Isola mattutina:
raffiora a mezza luce
la volpe d'oro
uccisa a una sorgiva.

Salvatore Quasimodo


 
acre e australe
nel credo di poi
in un assioma assoluto
tempo fa
tempo fa...

per ottenere una pianta sana è ben vigorosa è bene porre a dimora l’eucalipto in luogo soleggiato ed al riparo dal vento. E. gunnii non teme il freddo, ma parte della chioma può venire rovinato da venti invernali moto intensi; fortunatamente gran parte degli eucalipti tendono ad autoriparare i danneggiamenti da freddo, producendo nuove foglie, con l’arrivo della primavera, anche a partire dal legno maturo. Ci sono molte specie di eucalipto che sopportano gelate anche intense, per periodi abbastanza prolungati di tempo. Sopportano senza problemi anche l’inquinamento ed il vento salmastro delle coste. Esige il pieno sole.

giovedì 26 dicembre 2013

Frammento

rivoli sporchi,
corridoi d'acque piovane,
risentiti vecchi
tra vetri opacizzati;
le vie della vita,
i parcheggi finali...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati

mercoledì 25 dicembre 2013

Natale 2013

Le poesie di Natale sono un classico imprescindibile per queste feste che ogni anno attendiamo con impazienza. Sono proprio le poesie di Natale che aiutano a trasmettere la tradizione della festa da una generazione all'altra, infatti da quando internet ha fatto la sua comparsa, anche il modo di scambiarsi gli auguri di Natale è cambiato di molto e le nuove generazione conoscono prevalentemente l'aspetto "godereccio" della festa, cioè quello fatto di pranzi, dolci tradizionali e allegria in famiglia. Anche chi non è molto religioso e anche in quelle famiglie dove la cristianità non è di casa, ci si scambia comunque gli auguri natalizi. Invece la poesia di Natale ha il pregio di far ricordare ai bambini il vero significato, quello più profondo, di questa festa che tutti aspettiamo con piacere. E' per questo motivo che ogni anno le maestre e le mamme sono alla ricerca delle poesie di Natale più profonde e più significative, in modo da consentire ai loro piccoli di apprendere cosa è accaduto e come è nata questa festa. Le poesie di Natale, infatti, in poche parole racchiudono significati, pensieri, idee ed emozioni, che non possono essere spiegati e raccontati, ma si possono solo comprendere così come sono usciti dalla penna degli autori. Con questo sito, tutto dedicato alle poesie natalizie, abbiamo dunque la speranza di tramadare ciò che pian piano si sta perdendo utilizzando lo stesso mezzo, internet, che ha contribuito all'allontanamento da quelle tradizioni che per i nostri genitori erano assolutamente di casa. Sono numerose le tradizioni per allietare la festa più bella dell'anno. Tra queste usanze c'è sicuramente quella di cantare tutti insieme sotto l'albero e poi ascoltare i bambini che recitano una poesia di Natale. Ovviamente queste tradizioni si rifanno a tempi in cui non esistevano televisione e altri strumenti di aggregazione che consentissero a tutti di ascoltare canti e musica per allietare queste giornate. A quei tempi chi sapeva suonare uno strumento accompagnava gli altri membri della famiglia che cantavano canzoni e filastrocche, poi ci si riuniva intorno al presepe o al camino e si ascoltavano racconti che avevano il compito di tramandare di anno in anno la conoscenza sulla storia del Natale, sulla nascita di Gesu, sui sacrifici della Sacra famiglia e su tutto il significato religioso. Per fortuna questa tradizione non si è mai perduta anche nei tempi moderni infatti, dopo aver fatto tanti lavoretti manuali per la preparazione di addobbi e decori, i bambini si preparano per una loro piccola recita, accompagnata da una letterina di buoni propositi per il nuovo anno che sta per arrivare. Nella ricerca della poesia di Natale da recitare, i bambini sono spesso aiutati da insegnanti, maestre e genitori. Infatti in molte scuole, già nel periodo dell'avvento i piccoli ricevono il compito di studiare ed imparare a memoria alcune poesie e filastrocche per arrivare a comprendere il vero e profondo significato della festa. Strano a dirsi ma sul Natale si sono cimentati anche molti poeti blasonati e conosciuti (dalla rete).

Il mago di Natale

Se io fossi il mago di Natale
farei spuntare un albero di Natale
in ogni casa, in ogni appartamento
dalle piastrelle del pavimento,
ma non l'alberello finto,
di plastica, dipinto
che vendono adesso all'Upim:
un vero abete, un pino di montagna,
con un po' di vento vero
impigliato tra i rami,
che mandi profumo di resina
in tutte le camere,
e sui rami i magici frutti: regali per tutti.
Poi con la mia bacchetta me ne andrei a fare magie
per tutte le vie.
In via Nazionale
farei crescere un albero di Natale
carico di bambole
d'ogni qualità,
che chiudono gli occhi
e chiamano papà,
camminano da sole,
ballano il rock an'roll
e fanno le capriole.
Chi le vuole, le prende:
gratis, s'intende.
In piazza San Cosimato
faccio crescere l'albero
del cioccolato;
in via del Tritone
l'albero del panettone
in viale Buozzi
l'albero dei maritozzi,
e in largo di Santa Susanna
quello dei maritozzi con la panna.
Continuiamo la passeggiata?
La magia è appena cominciata:
dobbiamo scegliere il posto
all'albero dei trenini:
va bene piazza Mazzini?
Quello degli aeroplani
lo faccio in via dei Campani.
Ogni strada avrà un albero speciale
e il giorno di Natale
i bimbi faranno
il giro di Roma
a prendersi quel che vorranno.
Per ogni giocattolo
colto dal suo ramo
ne spunterà un altro
dello stesso modello
o anche più bello.
Per i grandi invece ci sarà
magari in via Condotti
l'albero delle scarpe e dei cappotti.
Tutto questo farei se fossi un mago.
Però non lo sono
che posso fare?
Non ho che auguri da regalare:
di auguri ne ho tanti,
scegliete quelli che volete,
prendeteli tutti quanti.

Gianni Rodari


Natale diverso,
festa
strana sensazione...

martedì 24 dicembre 2013

L'albero di Natale

L’albero di Natale è, con la tradizione del presepe, una delle più diffuse usanze natalizie. Si tratta in genere di un abete (o altra conifera sempreverde) addobbato con piccoli oggetti colorati, luci, festoni, dolciumi, piccoli regali impacchettati e altro. Questo può essere portato in casa o tenuto all’aperto, e viene preparato qualche giorno o qualche settimana prima di Natale (spesso nel giorno dell’Immacolata concezione), e rimosso dopo le feste. Soprattutto se l’albero viene collocato in casa, è tradizione che ai suoi piedi vengano collocati i regali di Natale impacchettati, in attesa del giorno della festa in cui potranno essere aperti. Ma qual è il significato simbolico dell’albero di Natale? L’albero, inteso come simbolo di vita, era diffuso in tutte le culture, anche prima della nascita del cristianesimo, tale valenza simbolica ha origini molto antiche e trova riscontri in diverse religioni. La festa del Natale si sovrappone quasi perfettamente alle celebrazioni per il solstizio d’inverno, anticamente, quindi, il 25 dicembre si festeggiava il sole che, dal solstizio d’inverno “rinasce”: da questa data le giornate ricominciano infatti ad allungarsi e lasciano presagire il ritorno della primavera, il ritorno della “vita”. Molto diffuso in oriente, in particolare in Siria ed Egitto, era il culto del “Sol Invictus”, le cui solenni celebrazioni prevedevano che i sacerdoti, ritiratisi in appositi santuari, ne uscissero a mezzanotte annunciando che la Vergine aveva partorito il Sole, raffigurato come un infante. Da qui il culto arrivò poi a Roma, dove il “sole che nasce” veniva festeggiato con riferimento al dio Mitra. Simbolo ricorrente legato alle celebrazioni per il solstizio d’inverno è naturalmente l’albero, da sempre e per tutte le culture,inteso come simbolo della vita. La figura dell’albero compare in numerose usanze e riti pagani. Essa è presente ad esempio nell’antica religione di Canaan (l’odierna Palestina) che riconosceva un ruolo religioso agli alberi: ce ne parla la Bibbia, riferendo delle “querce di Mamre” e accennando ai boschetti sacri posti in cima a certe alture; mentre nella celebre saga nordica dei Nibelunghi si dice che al centro della terra vi sia un grande frassino. I druidi, antichi sacerdoti dei Celti, notando che gli abeti rimanevano sempre verdi anche durante l’inverno, li considerarono un simbolo di lunga vita e cominciarono a onorarli nella festa del solstizio d’inverno. Tra le popolazioni dell’Europa centronordica pagana pare che la celebrazione del solstizio d’inverno prevedesse anche l’incendio di un albero (un pino o un abete, alberi resinosi e molto infiammabili), in una sorta di rito propiziatorio e illuminante nella notte invernale che cominciava a regredire. Motivi analoghi stanno forse dietro la consuetudine, ancora oggi notevolmente diffusa, di ardere sulle piazze, tra Natale e Capodanno, grossi tronchi e ceppi d’albero. Nell’alto e basso medioevo, nell’Europa centronordica, molti riti antichi e usi pagani rivivono poi in contesto cristiano. Secondo antiche leggende, rintracciabili fino all’anno mille, quando Gesù è nato le piante sono germogliate e fiorite: ecco allora che in ambito cristiano, in preparazione del Natale, si mettono in acqua per settimane rami di melo o di ciliegio perché fioriscano a Natale e in tempo d’Avvento, si ornano le case di rami di alberi, preferibilmente di sempreverdi. Al Medioevo risale anche la tradizione degli “Adam und Eva Spiele” (giochi di Adamo ed Eva), comunemente noti come “misteri”, vere e proprie messe in scena che si svolgevano sul sagrato delle chiese la sera della vigilia. I personaggi sono ovviamente Adamo, Eva, il diavolo e l’angelo, mentre il quadro decorativo è dato essenzialmente dall’albero, quello del frutto del peccato. La Bibbia non dice di che tipo di albero si tratti e quindi esso mutava a seconda della regione in cui era messo in scena il “mistero”; con il passare del tempo si impone poi ovunque il sempreverde abete ed è proprio la scena biblica dell’Eden, sviluppata nei “misteri”, che ha dato all’albero natalizio il suo significato cristiano. Nella notte in cui si celebra la nascita di colui che, secondo la fede cristiana, ha portato nuova vita nel mondo, l’albero posto al centro del giardino dell’Eden – simbolo della caduta dell’umanità – diventa anche l’albero intorno al quale l’umanità ritrova il perdono. Non a caso molto presto oltre alla mela (o alle mele) si comincia ad appendervi delle ostie che, nel contesto cattolico nel quale si sviluppa questa tradizione, indicano il sacrificio di Gesù che sconfigge e cancella il peccato. Nei secoli successivi, nelle aree protestanti, le ostie furono poi sostituite da dolci natalizi fatti in casa. Si aggiunse quindi la carta colorata, argentata o dorata, simbolo delle offerte dei magi d’Oriente e la “rosa di Natale”, simbolo del “germoglio che spunta dalla radice d’Isai”. Nelle regioni tedesche, in cui era diffusa l’arte vetraria, si aggiunsero più tardi anche le palle di vetro colorato, per dare maggiore luminosità all’albero e, per riprendere il motivo evangelico del “Cristo luce del mondo”, entrarono nell’uso anche le candele. In ogni caso, il motivo caratteristico, nell’uso cristiano dell’albero di Natale, sta nella contrapposizione simbolica di Adamo ed Eva (raffiguranti l’umanità intera), provati e caduti davanti all’albero dell’eden, che si ritrovano, con la nascita di Gesù Cristo, davanti all’albero della vita, perdonati e riconciliati. Per lungo tempo, la tradizione dell’albero di Natale rimase comunque tipica delle regioni a nord del Reno: i cattolici la consideravano infatti un uso protestante ed è solo dopo il Congresso di Vienna che l’usanza prende a diffondersi su larga scala. A Vienna l’albero di Natale appare nel 1816, per volere della principessa Henrietta von Nassau-Weilburg, ed in Francia nel 1840, introdotto dalla duchessa di Orléans. In Italia la prima ad addobbare un albero di Natale fu la regina Margherita, nella seconda metà dell’Ottocento, al Quirinale e da lei la moda si diffuse velocemente in tutto il paese. Perfino lo scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe contribuì alla sua diffusione: pur non essendo estremamente religioso, egli amava infatti moltissimo la tradizione dell’albero di Natale e nella sua opera più famosa, I dolori del giovane Werther, ne inserì una dettagliata descrizione. Da quel momento in poi l’abete natalizio diventerà protagonista anche nella grande letteratura. In questo periodo, invece che essere arso, l’abete inizia ad essere addobbato ed ai frutti si preferiscono sempre più ghirlande, nastri, candeline, fino a quando alcuni fabbricanti svizzeri e tedeschi cominciarono a preparare leggeri e variopinti pendenti di vetro soffiato che diventarono di moda e costituirono l’ornamento tradizionale dell’albero natalizio. La tradizione dell’albero di Natale, così come molte altre tradizioni natalizie correlate, rimane oggi particolarmente sentita nell’Europa di lingua tedesca (si veda per esempio l’usanza dei mercatini di Natale), sebbene sia ormai universalmente accettata anche nel mondo cattolico (che spesso lo affianca al tradizionale presepe). A riprova di ciò, la tradizione introdotta durante il pontificato di Giovanni Paolo II di allestire un grande albero di Natale nel luogo cuore del cattolicesimo mondiale, piazza San Pietro a Roma (dalla rete).

 
Gli amici le portano un albero di Natale
Perdona grande nemica,
Senza pensiero irato
Abbiam portato l’albero,
E qui e lì comprato
Per adornare ogni ramo,
E lei dal letto rimiri
Cose graziose che rallegrino
Una fantasiosa mente.
Un po’ di grazia donale
Anche se un occhio ridente
Ha spiato il tuo volto –
Che muore.
William Butler Yeats


lucine forano
notturni bui e grigiore
la notte
poi giorno...

lunedì 23 dicembre 2013

Il giardino dell'amore


Sono andato al Giardino dell'Amore,
E ho visto ciò che non avevo mai visto:
Una Cappella era costruita nel centro,
Nel luogo in cui io ero solito giocare sull'erba (verde).

E i cancelli di questa Cappella erano chiusi,
E 'Tu non devi' era scritto sull'ingresso;
Così sono tornato al Giardino dell'Amore
Che è fecondo di così tanti e dolci fiori;

E ho visto che era pieno di tombe,
E pietre sepolcrali dove avrebbero dovuto esseci fiori,
E Preti in vesti nere vi giravano attorno,
E incatenavano con rovi le mie gioie e i miei desideri.


Walt Whitman




come quando fa freddo,
niente cresce solo ghiaccio
e pozzanghere sporche...

domenica 22 dicembre 2013

Poesia ritrovata

Giorni dell'attesa

L'aria si fa pesa
nei giorni dell'attesa
plumbei cieli arrancano
bigie presenze che stancano
frettolosi passi veloci e strani
che suonano come lontani.
Nell'ultimo soltizio
ci si perde nel vizio
di frenetica spesa
nei giorni dell'attesa.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

sabato 21 dicembre 2013

Chiedere tra poesia e significati

chièdere v. tr.
[lat. quaerĕre; cfr. l’ant. chèrere, chièrere]
(pass. rem. chièsi o chièṡi, chiedésti, ecc.; part. pass. chièsto; nel pres. indic. e cong., accanto alle forme regolari chièdo, chièdono, chièda, chièdano, esistono anche le forme, oggi ant. o letter., chièggo, chièggono, chiègga, chièggano).

 






Io ti chiesi

Io ti chiesi perché i tuoi occhi
si soffermano nei miei
come una casta stella del cielo
in un oscuro flutto.

Mi hai guardato a lungo
come si saggia un bimbo con lo sguardo,
mi hai detto poi, con gentilezza:
ti voglio bene, perché sei tanto triste

Hermann Hesse

non rispondesti
alla domanda
degli occhi
ti vidi andare
scivolando leggera
nella notte romana...


chiedere. - È la forma dissimilata (r-r in d-r), normale in verso e in prosa, dal latino quaerere; la forma latineggiante (con metaplasma dalla III alla II coniugazione) è ‛ cherère ' (v.). La forma flessionale palatalizzata ‛ cheggio ', analogica su ‛ veggio ', ‛ seggio ', ecc., è l'unica usata per la prima persona dell'indicativo (v. anche si cheggia, Pg XVI 83; ma cfr. cheggala, in Fiore LX 6) sia in rima che all'interno del verso. Da notare la forma sincopata chiedrò del futuro (Fiore CLVIII 9). Il participio passato è ‛ chesto '; la forma dittongata ‛ chiesto ' ricorre una sola volta (Pd XXI 125).
Come il latino quaerere, c. in D. vale sia " c. per sapere " che " c. per avere ". Pur con diverse connotazioni e sfumature semantiche, il secondo significato è più frequente.
Tale il valore di c. nei seguenti esempi in cui l'oggetto della richiesta è una cosa astratta o una cosa concreta, ma in un contesto figurato, o una persona: Vn XII 12 17 averai chesta pietate; Cv IV XXVII 6 e questo [la prudenza] è quello dono che Salomone, veggendosi al governo del populo essere posto, chiese a Dio, e 8 Dunque porterò io lo mio consiglio e darollo eziandio che non mi sia chesto... ?; Pg XX 48 io la [la vendetta] cheggio a lui che tutto giuggia; Pd XIII 95 fu re, che chiese senno / acciò che re sufficÏente fosse; Rime CXVII 10 un'altra donna siede, / la qual di signoria chiese la verga; Vn XIX 7 20 Lo cielo, che non bave altro difetto / che d'aver lei [l'anima di Beatrice], al suo segnor [Dio] la chiede; Rime LXXXVII 9 natura mi chiese a colui / che volle, donne, accompagnarmi a vui. Così in Fiore CLXXV 7. Con costrutto assoluto, in Pd XIII 93 pensa chi era, e la cagion che 'l mosse, / quando fu detto " Chiedi ", a dimandare; XVII 74 'l primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo / ... ch'in te avrà sì benigno riguardo, / che del fare e del chieder, tra voi due, / fia primo quel che tra li altri è più tardo.
In alcuni casi, in cui l'oggetto diretto del verbo è rappresentato da persona, il senso è " chiamare ", " mandare a chiamare ", " far venire ": lf II 97 Questa [la Vergine] chiese Lucia in suo dimando; XXVII 94 e 96 Ma come Costantin chiese Silvestro / d'entro Siratti a guerir de la lebbre, / così mi chiese questi [Bonifacio VIII] per maestro; Pd XXI 125 quando fui chiesto e tratto a quel cappello; Fiore CCXIV 11.
Il valore di "desiderare" è presente in Rime CI 28 io l'ho chesta [la nova donna] in un bel prato d'erba / innamorata, e Pg V 112 Giunse quel mal voler che pur mal chiede / con lo 'ntelletto (cfr. Benvenuto: " quia ita est obstinatus quod numquam potest velle nisi malum "); in costrutti negativi in Rime LXVIII 30 l'anima mia non chiede altro diletto; If XV 120 Sieti raccomandato il mio Tesoro, / nel qual io [Brunetto Latini] vivo ancora, e più non cheggio; XXI 129 andianci soli, / ... ch'i' per me non la cheggio [la scorta]; XIX 93 Nostro Segnore... / Certo non chiese se non " Viemmi retro "; Pg XVI 102, Pd VIII 117. Nell'accezione di " richiedere ", in Rime XCI 8 se [Amor] facesse quanto il voler chiede, / quella vertù che natura mi diede / nol sosterria; If IX 120 [i sepolcri] eran sì del tutto accesi, / che ferro più non chiede verun'arte. Più precisamente per " comportare ", in Pg XIV 47 Botoli... / ringhiosi più che non chiede lor possa.
Il senso intensivo di "pregare" è presente, con costrutto transitivo, in Pg IX 110 misericordia chiesi e ch'el m'aprisse; XVI 53 Per fede mi ti lego / di far ciò che mi chiedi; il verbo è seguito da proposizione oggettiva in IX 107 Chiedi / umilmente che 'l serrame sciolga, e XIII 148.
Il valore di " cercare " è attestato in Pg XVI 83 in voi è la cagione in voi si cheggia; Fiore CXL 11 i' tutta sola a chieder sì l'androe; CLVIII,9, CLXXXII 12, Detto 461. C. assume valore pregnante in alcune frasi tipiche: " c. di parlare ", in Pg VIII 9 l'ascoltar chiedea con mano, e XIX 87 elli m'assentì... / ciò che chiedea la vista del disio; " c. di mostrare ", in Pg XXXI 74 e quando per la barba il viso chiese, / ben conobbi il velen de l'argomento; " c. in elemosina, mendicando ", in Pg XIII 62 li ciechi... / stanno a' perdoni a chieder lor bisogna, e, in costrutto assoluto, in If XXI 69 il mendicante di sùbito chiede ove s'arresta, e Fiore CXIV 11; lo stesso valore ha l'espressione ‛ c. pane ' (CX 2, CLII 14). Altre locuzioni presenti nel Fiore sono: ‛ c. mercé ' (LX 6, due volte), ' c. dispensa ' (CLIV 12), per " procurarsi i mezzi per vivere "; ‛ c. unto al letto del cane ' (CVII 14) nel senso di " cercare cosa impossibile o vana ".
Il valore di "c. per sapere" è presente in Rime CIV 39 lo mio segnore... chiese / chi fosser l'altre due ch'eran con lei; If XIII 81, XXIII 79 Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi; XXIV 136 Io non posso negar quel che tu chiedi; Pd XXI 95, XXIV 129. Così l'infinito sostantivato in Pd XXI 54 per colei che 'l chieder mi concede. Il senso di " desiderare di sapere " è in Cv IV V 20 Per che più chiedere non si dee, a vedere che spezial nascimento e spezial processo, da Dio pensato e ordinato, fosse quello de la santa cittade; e, con la connotazione di " esigere ", in XIII 8 [Aristotele] dice che " 'l disciplinato chiede di sapere certezza ne le cose... ".
Interessante è la sfumatura semantica tra c. e ‛ domandare ', specie là dove i due verbi sono contigui e assumono una funzione variamente intensiva: in If XIII 81 Virgilio dice a D.: parla, e chiedi a lui [Pier della Vigne], se più ti piace, e subito dopo (v. 82), D., rivolgendosi al maestro: Domandal tu ancora / di quel che credi ch'a me satisfaccia: ‛ chiedi ' ha senso più instante e sottintende la maggiore autorità di Virgilio, e ‛ domanda ' il tono più discreto di Dante. Lo stesso rapporto è in If XXIV 128 e 136, Pd XIII 93, XXI 48 e 54.
Il senso "c. d'amore" ricorre solo nelle Rime dubbie, ma nelle forme non dissimilate ‛ cherére ' (v.) e ‛ cherire ' (dizionario Treccani).

venerdì 20 dicembre 2013

Frammento

alba traslucida
da vetri carichi di pioggia,
la roggia dipana
la sua strada nel prato
e si perde
in nebbiose lontane.

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati

 
Clementina Macetti, Riflessi in roggia


giovedì 19 dicembre 2013

Aforisma

Ma come potresti elevarti
al di sopra dei giorni e delle notti
se non spezzerai le catene
che tu stesso all'alba della tua comprensione
hai legato attorno al tuo mezzogiorno.
Ciò che tu chiami libertà

è in verità la più forte di queste catene,
sebbene i suoi anelli scintillino
nel sole e abbaglino gli occhi.

Kahlil Gibran



in alto, nel sole,
con occhi lucenti
e risa,
intorno al cuore
gioia e pace...

mercoledì 18 dicembre 2013

Poesia, riflesso e vita

Per quanto sta in te

E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole e in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.

Costantinos Kavafis

le ombre sfumate,
le attese stremanti;
vita
vissuta,
da vivere,
ancora...

vita s. f. [lat. vīta, affine a vivĕre «vivere»]. –

1. In senso ampio, proprietà o condizione di sistemi materiali (i sistemi viventi, dagli organismi unicellulari a quelli pluricellulari più evoluti) caratterizzati da un alto grado di organizzazione e complessità, e di cui la cellula è considerata unità fondamentale; in essi, un numero elevato di sottosistemi, o organi diversi, concorrono funzionalmente a costituire un tutto unico, per cui si parla di individuo vivente o organismo (e i sistemi viventi formano il mondo organico), che dà luogo a capacità di crescita, sviluppo e movimento autonomo, di autoregolazione, di metabolizzazione, di adattabilità, di reattività e, soprattutto, di riproduzione, agamica o per mezzo di particolari cellule sessuali (gameti). Constatata come proprietà di un numero enorme di specie, è stata ricondotta a un principio unitario dalla teoria dell’evoluzione per selezione naturale (v. evoluzione, n. 3 a) di Ch. Darwin, per cui si parla di origine della v., con riferimento a quel processo iniziale, da alcuni ritenuto eccezionale, da altri relativamente probabile, in cui la materia inorganica si è organizzata in strutture ordinate (composti organici, in partic. le macromolecole fondamentali: proteine e acidi nucleici), capaci di svilupparsi e riprodursi, da cui poi avrebbero avuto origine, in milioni di anni, le specie, estinte, o ancora viventi, che sono state osservate; è aperto tuttavia il dibattito se i virus, che sono incapaci di riprodursi autonomamente (dipendendo per questo da una cellula ospite, precedentemente infettata) siano da considerarsi o no esseri viventi. L’apparente contraddizione tra le proprietà di organizzazione e differenziazione crescente dei sistemi viventi e la tendenza spontanea dei sistemi fisico-chimici al disordine, alla disorganizzazione e all’omogeneità è ricomposta nella moderna termodinamica dei processi irreversibili, in quanto il sistema vivente è visto come sistema aperto (quindi non isolato), che si mantiene lontano dall’equilibrio grazie al continuo scambio di energia e materia con l’ambiente (nel quale la crescita di entropia compensa abbondantemente il decremento di entropia del sistema). Nella storia del pensiero filosofico e scientifico, il concetto di vita è stato variamente riferito sia al complesso dei fenomeni capaci di prodursi e regolarsi autonomamente, sia al principio o causa stessa di tali fenomeni; si sono così contrapposte concezioni vitalistiche (v. vitalismo), che attribuiscono all’organismo vivente proprietà peculiari (spontaneità, finalismo, forza o «slancio» vitale, ecc.), irriducibili alle proprietà della materia inanimata, e concezioni meccanicistiche o materialistiche (v. materialismo e meccanicismo) tendenti a ricondurre i fenomeni vitali a processi di natura fisico-chimica.

2.

a. Nella concezione e nel linguaggio comune, s’intende in generale per vita lo spazio temporale compreso tra la nascita e la morte di un individuo; a questo sign. si riconnettono gran numero di frasi e locuzioni, riferite soprattutto a esseri umani, e anche ad animali (più raram. a piante): venire alla v., nascere; dare la v. a qualcuno, o dare alla v. qualcuno, generarlo, procrearlo; avere v., essere in v., vivere; tenere, mantenere in v.; finché mi resta vita (o, non com., un fil di vita), non cesserò di essergli grato; essere in fin di v.; Pace volli con Dio in su lo stremo De la mia v. (Dante); restare, rimanere in v., sopravvivere (di tanti figli solo tre sono rimasti in vita); finire, spezzare, troncare la v.; il poveretto non dava più segno di vita; uscire di v., morire; privare della v., uccidere; togliersi la v., uccidersi; rendere, restituire alla v., risuscitare o salvare da morte (spesso in frasi iperb.). In contrapp. a morte, in espressioni in cui i due termini sono associati esplicitamente: essere tra la v. e la morte; è questione di v. o di morte; uniti per la v. e per la morte, per sempre, nelle vicende tristi o liete; passare da morte a v., da una condizione insopportabile a una migliore. In espressioni in cui il termine vita richiama necessariamente il suo contrario: mettere a rischio (o a repentaglio) la propria v. o la v. di un’altra persona o di altri, correre o far correre il rischio di morire; ben folle è quegli Che a rischio de la v. onor si merca (Parini); dare la v. (e ant. porre la v.) per la patria, morire per essa, in sua difesa: chi dirà de li Deci e de li Drusi, che puosero la loro v. per la patria? (Dante); salvare la v. a qualcuno, scamparlo da morte; gli deve la v., è sfuggito alla morte per suo merito; gli costò la v.; ci rimise la v.; vendere cara la v., combattere accanitamente prima di soccombere; ottenere qualche cosa a prezzo della v.; ne va della v., o, meno com., la v. (per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schiamazzi: ne va ... ne va la vita!, Manzoni); se vi è cara la v., formula deprecatoria o di minaccia: se vi è cara la v., non fate parola a nessuno di quanto è successo qui; o la borsa o la v.!, intimazione di rapinatori; pena la v., lo stesso (ma ormai poco com.) che sotto pena di morte; fare grazia della v., graziare un condannato a morte, o risparmiare la vita a persona che si aveva l’intenzione o si era in procinto di uccidere; pericolo di v., lo stesso che pericolo di morte.

b. Considerando la vita nel suo svolgersi e nella sua durata, il tempo in cui si vive: Nel mezzo del cammin di nostra vita (Dante), a trentacinque anni, valutando a settant’anni la durata media della vita; avere lunga v.; la v. è breve; non basterebbe la v. di un uomo per ... Frequente la locuz. avv. a vita, per tutta la durata della vita, in frasi come essere nominato presidente, senatore a v. (o, con lo stesso sign., nel linguaggio burocr., v. natural durante), e l’espressione in vita mia, sua, ecc., spesso in frasi di tono enfatico: non ho mai visto una cosa simile in v. mia; non credo che abbia mai preso l’aereo in v. sua (o in tutta la sua vita).

c. Con riferimento alle varie età in cui la vita può dividersi: l’alba, il mattino della v., la fanciullezza; la primavera della v., la giovinezza; l’inverno della v., il tramonto della v., la vecchiaia; nell’uso ant., la v. nuova, l’età giovanile, la giovinezza: Questi fu tal ne la sua v. nova Virtualmente, ch’ogne abito destro Fatto averebbe in lui mirabil prova (Dante; Vita nuova è inoltre il titolo di una breve opera giovanile in rime collegate da brani in prosa in cui Dante ricostruisce la storia del suo amore per Beatrice).

d. Con determinazioni varie, per specificare il modo con cui si vive in rapporto a speciali aspetti che la vita può assumere, a particolari ideali a cui può conformarsi, ecc.: v. di relazione, la vita dell’uomo in quanto si svolge in una società (per il sign. che l’espressione ha nel linguaggio naturalistico, v. relazione, n. 2 c); v. intellettiva, v. sensitiva, v. vegetativa, secondo la divisione aristotelica dell’anima (v. ai singoli aggettivi); v. civile, la condizione di chi, in quanto cittadino, gode dei diritti civili; v. pubblica, la condizione, e il modo di operare, di chi svolge attività politiche e amministrative (v. politica), o ha comunque incarichi pubblici; v. sociale, di rapporti sociali varî; v. privata (contrapp. a v. pubblica e v. sociale): ritirarsi a v. privata; come ministro è freddo e scostante, ma nella v. privata è cordiale e simpatico; fare v. mondana, o, al contr., una v. molto ritirata; v. individuale, ulteriormente determinabile negli aspetti sia professionali: v. lavorativa, v. produttiva; la v. militare (anche per indicare il servizio militare), la v. del soldato, la dura v. del marinaio, la monotona v. dell’impiegato; una v. di studioso, da certosino; fare la v. del poltrone, del beato porco, di Michelaccio (da una nota frase proverbiale: v. michelaccio); sia in quelli fisici e fisiologici: fare una v. sana o poco sana, una v. sedentaria o dinamica, sportiva; avere una v. sessuale normale, intensa, ridotta; sia negli aspetti intellettuali e morali: v. intellettiva, psichica, interiore, e, con più specifico riferimento ai sentimenti, una v. intima, affettiva, sentimentale molto ricca; condurre una v. onesta, corretta, integerrima o disonesta, riprovevole, viziosa; Vita bestial mi piacque e non umana (Dante); di nazion nobile ma di cattiva v. (Boccaccio); darsi alla mala v. (v. anche malavita); avere una doppia v. (v. doppio, n. 2 d); mutare o cambiare vita, per lo più nel sign. di ravvedersi: se non cambi v., vai a finire male; com. la frase prov. anno nuovo vita nuova!; in partic., fare la v., esercitare la prostituzione; ragazza, donna di vita, prostituta, e ragazzi di v. (espressione diffusa dal titolo del romanzo di P.P. Pasolini, Ragazzi di vita, del 1955), i giovani delle borgate romane che vivevano in condizioni di emarginazione, di subcultura e di degradazione morale e sessuale. Con riferimento ad aspetti più o meno esteriori del vivere: una v. agitata, precaria, sicura, tranquilla; poca brigata, v. beata, prov.; fare vita di spiaggia, nelle vacanze al mare; all’organizzazione materiale del vivere e ai mezzi di cui si dispone: gran v.; v. comoda; v. da prìncipi, v. da signore; amare gli agi, i comodi della v.; passare la v. negli stenti, trascinare la vita; faticare tutto il giorno per campare la v.; v. povera, grama; una v. da cani; e assol., per indicare un modo di vivere particolarmente disagiato o faticoso: che vita!; ha fatto una v.!; al contrario, fare una bella v., vivere comodamente, senza preoccupazioni e senza fare fatica: cominciò a fare la più bella v. e la più magnifica che mai si facesse (Boccaccio); fare la bella v. (anche, ma meno com., in forma graficamente unita la bellavita), vivere spensieratamente, da scioperato, e darsi alla bella v. (o alla bellavita), a una vita di piaceri e divertimenti (cfr. il fr. viveur e l’ital. vitaiolo); fare la dolce v., vivere in modo lussuoso e frivolo (v. dolce, n. 3 a); è chiamato dolce vita o dolcevita s. m., anche un tipo di maglione a collo alto e aderente (raram. detto, a sua volta, collo alla dolce vita).

e. fig. L’esistenza, soprattutto come modo e durata, di un’istituzione o attività o impresa, o di un ente: la ditta, l’azienda festeggia il suo 50° anno di vita; un governo che avrà v. breve, o che ha avuto una v. difficile e travagliata; giornali, circoli culturali, centri artistici destinati ad avere v. effimera, o una v. breve. In partic., dare vita a un’istituzione, a un’iniziativa, ecc., crearla, organizzarla; dare, infondere vita a qualcosa, animare, movimentare.

3. Usi e sign. specifici e tecnici:

a. In biologia, v. latente, v. anabiosi.

b. In statistica demografica e in matematica attuariale, v. media (o v. media alla nascita, o speranza media di v.), il numero medio di anni che un individuo di una certa popolazione, supposta in equilibrio demografico, deve aspettarsi di vivere (tale numero è dedotto, con opportuni calcoli, da tavole statistiche di sopravvivenza e mortalità); v. media residua, per un individuo di età x, il numero medio di anni che l’individuo di tale età deve aspettarsi di vivere ancora; v. mediana o v. probabile, il numero di anni che un individuo di età x potrà oltrepassare con il 50% di probabilità, equivalente al periodo di tempo che deve trascorrere perché i sopravvissuti di una data classe di età si riducano alla metà. In fisica, v. media di un nuclide radioattivo o di una particella instabile, il valore medio della distribuzione dei tempi di decadimento di un campione degli oggetti in questione. Con sign. più generico e intuitivo, si parla anche di v. media di prodotti e manufatti varî: la v. media di un motore, di un frigorifero, di un televisore, di un telefonino, ecc., la loro durata media in condizioni di efficienza.

c. In chiromanzia, linea della v., la piega cutanea ad arco che solca il palmo della mano partendo tra il pollice e l’indice e terminando a sinistra, in basso, verso il polso: indicherebbe vita lunga se ben marcata, vita breve se corta, mortale malattia se spezzata.

d. In marina, vita!, voce di avvertimento di allontanarsi o spostarsi, rivolta a chi sta in un punto pericoloso a causa dell’esecuzione in atto di una manovra o operazione; v. di sotto!, quando in quel punto sta per arrivare qualcosa che si ammaina dall’alto o si lascia cadere.

e. In economia, costo della v., la somma occorrente, per un determinato periodo di tempo, al mantenimento di un’unità familiare o, più raram., di un individuo: indici del costo della v., basati sul costo dei beni e dei servizî di maggiore consumo; aumento, diminuzione del costo della v., anche nell’uso corrente.

f. In filosofia, v. attiva e v. contemplativa, contrapposizione già classica, ma affermatasi e precisatasi nel medioevo cristiano, tra due ideali di vita, il primo rivolto all’attività e alla prassi soprattutto etico-politica, il secondo alla scienza, e in età cristiana, alla contemplazione come anticipazione della beatitudine oltremondana. Filosofia della v., corrente del primo Novecento fondata sul predominio del processo della vita e delle sue leggi immanenti sulla ragione e sui valori trascendenti, e rappresentata da pensatori di varia provenienza speculativa (W. Dilthey, M. de Unamuno, J. Ortega y Gasset, ecc.).

g. In diritto canonico, v. comune, la convivenza di membri del clero in una stessa casa, soprattutto come forma di attuazione del voto di povertà.

4.

a. Forza, capacità, impulso di vivere, come condizione e caratteristica individuale che può tradursi in particolare efficienza e operosità, o anche vivacità: nonostante i suoi ottant’anni è ancora piena di vita; ne ha di vita, quella donna; bambini, ragazzi pieni di vita.

b. Vitalità, intesa come forza universale, che anima il tutto: l’aria e il sole sono fonti di v.; Te beata, gridai, per le felici Aure pregne di vita (Foscolo, rivolgendosi a Firenze).

c. fig. Animazione, fermento, movimento vivace: è una città piena di v.; sono intervenuti alcuni giovani a dare un po’ di v. alla riunione; in partic., esistenza e frequentazione di ritrovi, divertimenti, ecc.: è una città di provincia, non ha v. notturna; c’è un po’ di v. studentesca e null’altro; «movida» è una parola spagnola che è oggi di moda per indicare la v. notturna. Con riferimento a opere e realizzazioni letterarie, teatrali, cinematografiche e televisive, musicali, artistiche, dinamicità di svolgimento, vivacità espressiva: una commedia, una descrizione piena di v.; un racconto, un film monotono, senza v.; nella recitazione, o nell’esecuzione, di quel pezzo dovrebbe mettere un po’ più di v.; un dipinto, un monumento ricco di una sua v., o privo di v. e inerte.

5. Con valore concr.:

a. Ciò che costituisce l’essenza, la ragione o l’interesse e il fine fondamentale della vita, che le dà valore e significato: la luce è la v. delle piante; l’aria è v.; lo sport, il lavoro è vita per lui; la poesia, la musica, lo studio, ecc., è la sua v.; quella donna è tutta la sua v.; vita mia!, espressione di affetto che si rivolge a persona amata; la fede è v. dell’anima; e con riferimento a cose inanimate: il credito è la v. del commercio; gli abbonati sono la v. del giornale.

b. Ogni singola persona in quanto dotata di vita: senza perdita di v. umane; talvolta come sinon. di anima: E già la v. di quel lume santo Rivolta s’era al Sol (Dante), l’anima di Carlo Martello.

c. Il mondo umano, il complesso delle situazioni, dei rapporti, dei problemi relativi al vivere individuale, familiare e soprattutto sociale: avere, non avere ancora esperienza della v.; sei troppo giovane per conoscere la vita.

d. Quanto è necessario per vivere, con particolare riguardo al vitto: lavora tutto il giorno per guadagnarsi la v.; E se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe Mendicando sua v. a frusto a frusto, Assai lo loda, e più lo loderebbe (Dante); con sign. più ampio: la v. si fa ogni giorno più cara.

6.

a. Con riferimento alla sopravvivenza dell’anima: passare ad altra v., a miglior v., morire; la seconda v., la v. futura, la v. eterna; quindi questa v., la v. terrena, la nostra v. (in contrapp. alla v. eterna); il libro della v., nel linguaggio biblico, il libro in cui sono segnate le anime che sono o saranno salve.

b. Con riferimento alla sopravvivenza del nome nella memoria dei posteri: E tu ne’ carmi avrai perenne vita Sponda che Arno saluta in suo cammino (Foscolo).

7. Come titolo di opere in cui si narrano le vicende, i casi di una vita: Vita, morte e miracoli di s. Antonio, o di altro santo, o anche di un personaggio (per un uso estens. dell’espressione, v. miracolo); Le vite parallele, opera di Plutarco; Le v. dei Padri (traduz. del lat. Vitae Patrum), raccolta latina di biografie per lo più leggendarie di padri della Chiesa e santi, formatasi nel sec. 6°: le volgarizzazioni più autorevoli sono quelle di D. Cavalca e di F. Belcari; La v. scritta da esso, titolo dell’autobiografia di Vittorio Alfieri. Di qui, per estens., biografia, opera biografica: scrivere una v. di G. Leopardi, di papa Giovanni XXIII; mentre i monaci mangiano, uno di loro legge le v. dei Santi; una v. romanzata (v. romanzare).

8.

a. La parte del corpo sopra i fianchi, in corrispondenza della cintura: afferrare qualcuno per la v.; portare una fascia intorno alla v.; punto di v. (frequente anche in forma ellittica, punto vita), il punto in cui è la vita rispetto all’altezza (avere il punto di v. alto, basso): in questo senso, con riferimento al corpo femminile, il dim. vitino (s. m.) e l’espressione vita (o vitino) di vespa, per indicare una vita molto sottile (v. vespa, n. 1 a). Per estens., la parte corrispondente del vestito: le spalle vanno bene, ma vorrei la v. più stretta; la giacca è un po’ larga di v.; alzare, abbassare il punto v. (o di v.), in un vestito, collocare più in alto o più in basso il restringimento della cintura; v. alta, v. bassa, con riferimento alla posizione del punto vita in una gonna o nei pantaloni, o al punto di raccordo tra la gonna e la parte superiore di un abito intero: quest’anno va di moda la vita alta, o bassa.

b. Tutta la parte del corpo che va dai fianchi alle spalle, soprattutto nelle espressioni su colla vita! esortazione a tenere dritte le spalle e, in senso fig., a non avvilirsi (raram., con lo stesso sign., stare sulla v.: anche don Abbondio prese una faccia più naturale, sprigionò alquanto la testa di tra le spalle ..., si mise a stare un po’ più sulla vita, Manzoni); avere la v. corta, essere corto di v., avere il torace corto in proporzione al resto del corpo; andare, uscire, stare in v., o in bella v. (meno com. in bellavita), senza giacca o cappotto pesanti, quando è freddo.

c. ant. Il personale, il corpo umano nella sua complessione e nel suo aspetto esteriore: essendo egli bianco e biondo e leggiadro molto, e standogli ben la v. (Boccaccio), avendo un bel personale. ◆ Dim. vitina (anche nel sign., ormai ant., di copribusto), vitino s. m. (solo nel sign. 8 a; v. sopra); pegg. vitàccia, vita piena di disagi, di sacrifici e afflizioni: ha fatto una vitaccia, quella poveretta!; è una vitaccia da cani, la mia (dizionario Treccani).