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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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lunedì 31 marzo 2014

Il delfino e la laguna

Non è frequente, effettivamente, ma qualche volta anche i delfini si perdono!!
Questo è quello che è capitato ad uno di loro, forse più distratto e più sognatore dei suoi compagni.
La zona in cui normalmente passava le sue giornate a scorrazzare, saltare e scherzare era un grande pezzo di mare azzurro, pieno di pesci colorati di ogni forma; certo, da lì ogni tanto se ne andava a fare qualche viaggetto, qualche piccola escursione, ma poi tornava nel suo solito angolino. E pensava di fare così anche in quel giorno, quando si mise in moto per andare ad esplorare una zona lì vicino.
Ma, chissà che c'era nell'acqua, incominciò a muoversi, senza assolutamente guardare dove stava andando, completamente assorto nei suoi pensieri, nei suoi sogni ed incurante del fatto che tutto intorno a lui stava modificandosi.
Improvvisamente si riscosse perché sopra di lui passò un'ombra scura, di una forma stranissima a lui sconosciuta; e si accorse pure che l'acqua aveva cambiato colore, che tutto sembrava un po' più torbido, e che nessuno dei suoi punti di riferimento era più presente.
Venne di nuovo attratto dalla strana forma nera, di pesce, pensò, che praticamente gli stava sopra.
Nulla che avesse visto nella sua vita assomigliava vagamente a questa strana cosa. Per cercare di capire meglio si avvicinò alla superficie e buttò un'occhiata a pelo dell'acqua: non era un pesce, ma qualcosa di simile ad una barca, ma allo stesso tempo molto diversa, sembrava quasi una grande banana nera, con degli strani simboli di ferro attaccati a prua e a poppa, che fendeva però l'acqua con una grazia ed una leggerezza per lui inusitati. Era spinta da due persone, che si appoggiavano sull'acqua con due lunghi pali di legno, questi sì almeno li riconosceva, vestiti in un modo molto buffo, con delle magliette a strisce bianche e blu e bianche e rosse. Però l'insieme era molto simpatico, così il delfino decise di accompagnare la strana imbarcazione per un po', saltando in segno di amicizia dentro e fuori dall'acqua.
E mentre saltava, buttava lo sguardo di qua e di là, a destra e sinistra, e non finiva mai di stupirsi. Su quello strano mare galleggiavano delle case, bellissime case, sembravano quasi finte o di zucchero, ricoperte di decorazioni a non finire !!
Mai aveva visto nulla di così affascinante, e chissà se allora anche quelle strane case potevano muoversi, forse erano delle barche?? Che posto era mai questo? Continuò a accompagnare la buffa barchetta e si trovò in uno spiazzo d'acqua magico: tante altre imbarcazioni dello stesso tipo, qualcuna più piccola, qualcuna colorata; e di fronte a lui, e sempre che pareva galleggiare sull'acqua, una torre altissima, poi quello che immaginò essere una chiesa, poi un'altra casa grandissima, così grande che poteva forse essere un palazzo ….
Non stava forse sognando? Lo pensò, in effetti, ma poi vide venire verso di lui una forma ben più nota, e allora capì che era tutto vero, seppure strano: una nave, una vera nave gli si stava avvicinando e stava dirigendosi nella direzione dalla quale lui era arrivato. Il richiamo fu troppo forte, gli tornarono in mente tutte le navi a cui aveva saltato intorno, che aveva accompagnato e quindi la seguì, verso il mare aperto, guardandosi ogni tanto ancora intorno, per non scordare mai quella magia.

Anonimo

(dalla rete) 




dove mai tutto
si pone in discussione
ecco un inghippo
ecco una ragione;
chiedo a volte,
a volte rispondo...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati


domenica 30 marzo 2014

Aforisma






Vivi come se
dovessi morire domani.
Impara come se
dovessi vivere per sempre.

Gandhi

sabato 29 marzo 2014

Poesia e ritmo

Contriti ritmici

Sotteso al sogno un segno,
come parallele infinite,
come uno squarcio.
Mi trovo a erodere il tempo;
infinitesimi spiccioli di nulla
accarezzano false promesse.
Vidi e dissi,
come tante altre volte,
in magici rituali, vortici.
Perdute passioni perdurano
sui rimasugli del cuore
nei contriti ritmici.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate




rìtmico
agg. [dal lat. rhythmĭcus, gr. ῥυϑμικός, der. di ῥυϑμός «ritmo»] (pl. m. -ci). –

1.
a. Che si svolge nel tempo secondo un ritmo, cioè secondo un certo ordine e una certa frequenza delle sue singole forme: suoni r., movimenti r.; una nenia r.; un tambureggiamento, un ticchettio r.; un martellare r.; cadenza r., modulazione di un suono o ordinamento di un moto secondo un ritmo; musica r., termine con cui nel linguaggio corrente si indicano collettivamente composizioni di musica leggera, spec. jazz, in cui il ritmo prevale sulla melodia; sezione r., nell’orchestra jazz, la sezione, distinta da quella melodica, formata da pianoforte, chitarra, vibrafono, contrabbasso e batteria; oscillazione r., pulsazione r., passo r.; movimento r. di una danza, di un esercizio ginnico (per la ginnastica r. sportiva, v. ginnastica). Pattinaggio r., specialità del pattinaggio su ghiaccio, per coppie miste, che comprende danze obbligatorie e danze libere eseguite escludendo le esibizioni di forza e di abilità acrobatica che non richiamino movimenti di danza. Per estens., di fenomeno o fatto le cui fasi si succedono secondo un ritmo, o di una serie di fenomeni o di fatti che si svolge secondo un ritmo: il ciclo r. delle stagioni; il succedersi r. delle maree; riferito alla successione stessa: andamento r. di una serie di avvenimenti, di una narrazione. In cristallografia, cristallizzazione r., cristallizzazione di una sostanza che avviene a intervalli di tempo più o meno regolari, come accade nel caso della precipitazione di sostanze cristalline da soluzioni colloidali.
b. fig. Con riferimento al succedersi nello spazio di linee, figure, masse architettoniche, ecc., secondo un ritmo, cioè un ordine e una frequenza regolare: disposizione r. di fregi, di archi.


2.
a. In musica, figura r., insieme di note cui conferisce una fisionomia propria il ritmo con le sue diverse accentuazioni (v. ritmo).
b. Nella metrica, che si riferisce al ritmo del verso: scansione r. di un verso; poesia r., poesia la cui metrica è basata sugli accenti tonici delle parole, mentre quella con metrica quantitativa è detta poesia metrica o quantitativa; accento r., quello che costituisce l’arsi nella scansione ritmica di un verso e coincide di solito con l’accento tonico di una parola. Prosa r., animata da una cadenza liberamente musicale; talora con questa espressione si indica anche (per la cadenza ritmica della lettura moderna) la prosa d’arte classica basata sul succedersi di sillabe brevi e lunghe e sull’uso delle clausole metriche (esse pure chiamate spesso clausole ritmiche). ◆ Avv. ritmicaménte, in maniera ritmica, secondo un ritmo: battere ritmicamente la mano sul tavolo; scandire ritmicamente un verso.

Vocabolario TRECCANI 

venerdì 28 marzo 2014

Poesia e riflesso

Sè avvolto nelle tenebre il mondo, non temere.
Non credere durevole tutto ciò ch’è oscuro.
Sei vicino ai piaceri, amico, alle valli, ai fiori:
osa, non ti fermare. Ecco, già sorge l’alba!

Solo una nebbia lieve il tuo sguardo intimorisce.
La natura benevola prepara sotto il velo
ghirlande di rose e di viole, di nobili narcisi
per te, profumate ricompense ai tuoi canti.


Costantino Kavafis



albe
come non mai
sempre cieli
 sereni vorrei,
eppure,
a volte,
il grigio
e la pioggia...

giovedì 27 marzo 2014

Ingannare

ingannare
v. tr. [forse lat. tardo (dei gloss.) ingannare, di origine incerta].

– 1. Indurre in errore: ingannò l’avversario con una finta; anche con soggetto inanimato: l’apparenza inganna (prov.); se la vista, se la memoria non m’inganna; Non t’inganni l’ampiezza de l’intrare! (Dante); un vino che inganna, che sembra leggero e poi dà ebbrezza. Con soggetto di persona, include spesso l’idea della frode, della malizia: dubitavan forte non ser Ciappelletto gl’ingannasse (Boccaccio); i. il prossimo, il compratore, il cliente (e analogam. nel passivo: essere, rimanere, trovarsi ingannato); sicché acquista talvolta il significato di tradire: i. la moglie, il marito; e di sedurre: i. una ragazza.
- 2. a. non com. Deludere, eludere: i. le speranze; i. la fiducia; i. la vigilanza.
b. Rendere accettabile, con qualche artificio, cosa altrimenti molesta: chiacchierare un po’ per i. il tempo, cioè per passarlo senza annoiarsi; fumava per i. la fame, per attutirne gli stimoli; i. la fatica, la noia, l’attesa.
- 3. Come intr. pron., ingannarsi, giudicare erroneamente, cadere in errore: mi ero ingannato sul suo conto, lo avevo creduto diverso da quello che è realmente; mi sono ingannato sulla qualità della stoffa; ingannarsi in un giudizio, in un’opinione, e più com. nel giudicare, nel valutare; anche assol.: ti credevo sincero, ma vedo che mi sono ingannato; t’inganni, credi a me; lei s’inganna di grosso; e in frasi di tono dubitativo: m’ingannerò, ma quello è un furfante; se non m’inganno, il termine è già scaduto.

Dizionario TRECCANI 

L'ingannatore

Bevvi a piccoli sorsi la menzogna,
come un filtro che induce fantasie
fascinatoci al cuore di chi sogna.
In ogni cosa io scoprii malie
nuove. Talvolta perseguii la traccia
di un dolce incanto per malcerte vie.
Non riguardai l'ingannatore in faccia,
per non tremar di oscura diffidenza
nell'amoroso cerchio di sue braccia.
Quegli blandiva : — Ninna sapienza
che insegni vale un bel gioco che finga.
E mi versava in cuore una sua essenza
fatta d'ombra, d'amore e di lusinga.

Amalia Guglielminetti




è difficile
capire la bugia,
è cercare di sapere
o non volerlo affatto;
si resta in balia di voci,
nel turbine dei pensieri...

mercoledì 26 marzo 2014

Mediterraneo

Il mare Mediterraneo (grafia alternativa: "mar Mediterraneo"; abbreviazione diffusa nel linguaggio comune: "Mediterraneo") è un mare intercontinentale situato tra Europa, Africa e Asia. La sua superficie approssimativa è di 2,51 milioni di km² ed ha uno sviluppo massimo lungo i paralleli di circa 3 700 km. La lunghezza totale delle sue coste è di 46 000 km, la profondità media si aggira sui 1 500 m, mentre quella massima è di 5 270 m presso le coste del Peloponneso. La salinità media si aggira dal 36,2 al 39‰.[2] La popolazione presente negli stati bagnati dalle sue acque ammonta a circa 450 milioni di persone.[2] Il termine Mediterraneo deriva dalla parola latina Mediterraneus, che significa in mezzo alle terre. Il mar Mediterraneo attraverso la storia dell'umanità è stato conosciuto con diversi nomi. Gli antichi Romani lo chiamavano, ad esempio, "Mare nostrum", ossia il nostro mare (e in effetti la conquista romana toccò tutte le regioni affacciate sul Mediterraneo). L'arabo: البحر الأبيض المتوسط‎, al-Baḥr al-Abyaḍ al-Mutawassiṭ, ossia "Mar Bianco di Mezzo", ha evidentemente ispirato la dizione turca di Akdeniz, "Mare Bianco". Nelle altre lingue del mondo, solitamente si ha vuoi un prestito dal latino o da lingue neolatine (es. inglese Mediterranean Sea), vuoi, più spesso, un calco dal senso di "mare medio, in mezzo (alle terre)" (es. tedesco Mittelmeer, ebraico Hayam Hatikhon (הַיָּם הַתִּיכוֹן), "il mare di mezzo", berbero ilel Agrakal, "mare tra-terre", giapponese Chichūkai, "mare in mezzo alle terre", albanese deti mesdhe, Il mare in mezzo alle terre) (da wikipedia).

Mediterraneo

Sono nata per vagare, senza riposo
In vesti cerulee sfrangiate di bianco
Che roteano sotto uccelli di mare a cui ho insegnato
le grida,
Napoli e natiche, con lunghe alghe per capelli,
Viaggiatore che sul mio petto sollevo
Oltre il sapere mortale, la nostra vita un lungo sonno
Finché ci si sveglia a Itaca sotto le lunghe lance
del sole.

Derek Walcott
Traduzione di Matteo Campagnoli

 

mare a perdita d'occhio,
blu, cobalto, ondulato;
e sapore, profumo di sole,
Lei, ora lontana...

martedì 25 marzo 2014

O Natura!

natura s. f. [lat. natūra, der. di natus, part. pass. di nasci «nascere»]. –

1. Il sistema totale degli esseri viventi, animali e vegetali, e delle cose inanimate, che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi. Quindi:
a. La volontà stessa di ordine che si manifesta in quelle leggi, come principio vivo e operante, forza generatrice di tutte le cose (in questo senso può essere personificata, e scritta quindi con iniziale maiuscola): niuna cosa dà la natura, madre di tutte le cose e operatrice ..., che egli [Giotto] con lo stile e con la penna o col pennello non dipignesse (Boccaccio); Una diva scorrea lungo il creato A fecondarlo, e di Natura avea L’austero nome (Foscolo); O natura, o natura, Perché non rendi poi Quel che prometti allor? (Leopardi). Nel linguaggio filosofico, n. naturante, Dio, n. naturata, il mondo degli esseri creati; in partic., in Spinoza, n. naturante è l’infinita sostanza, cioè Dio in quanto causa libera, n. naturata tutti i modi degli attributi di Dio, cioè il complesso degli esseri in cui si esprime l’infinita sostanza. Nell’uso com.: i capricci della n.; l’intelligenza è un dono di n.; e con più chiara personificazione: madre n.; nudo come madre n. l’ha fatto. Per scherzo di n., v. scherzo.
b. L’universo considerato nei suoi fenomeni, nelle sue attività, nel suo ordine, come una realtà oggettiva che l’uomo contempla, studia, modifica: i tre regni della n., animale, vegetale, minerale; i fenomeni, le forze, le leggi, e le meraviglie, i segreti della n.; studio della n.; scienze della n. (più spesso scienze naturali). Filosofia della n., l’enunciazione filosofica generale dei principî essenziali e delle leggi fondamentali che regolano il mondo naturale (più specificamente, secondo le diverse visioni del mondo che hanno caratterizzato le diverse fasi dello sviluppo del pensiero filosofico e scientifico: concezione idealistica, spiritualistica, panteistica, meccanicistica, materialistica, organicistica, teleologica della natura); in determinati contesti storico-culturali la filosofia della natura, o filosofia naturale (v. naturale, n. 1), è stata identificata con lo studio delle leggi più generali del mondo fisico. Questo sign. fondamentale del termine subisce secondo i casi varie limitazioni, di cui alcune indicate qui appresso, spiegandole attraverso l’esemplificazione più che mediante definizioni. Considerando le leggi che governano l’universo come fondamento di un ordine fisico e morale del quale anche l’uomo è partecipe: assecondare la n. o, al contr., fare violenza alla n.; vivere secondo n., una delle massime dell’etica stoica (dove natura coincide con la ragione che regge il cosmo); contro n., espressione di riprovazione morale, riferita spesso a inclinazioni e comportamenti sessuali ritenuti spesso devianti (peccare, peccati contro n.); diritto di n., o naturale, l’insieme dei principî giuridici fondamentali anteriori a qualsiasi sistema giuridico positivo (v. naturale, n. 2 a); in altri casi le leggi stesse sono invece intese come dominate da una causalità quasi meccanica (in opposizione a spirito, libertà, personalità): la lotta dell’uomo contro la n., contro le forze (o contro le forze avverse) della natura. Considerando la natura come una realtà che preesiste all’opera dell’uomo e può da questa essere modificata attraverso il lavoro, l’educazione, l’arte, l’incivilimento, ecc.: allo stato di n., di materie prime che non hanno subìto elaborazione da parte dell’uomo (con altro sign. nella storia del pensiero filosofico, stato di n., condizione ipotetica degli uomini prima della costituzione di un’organizzazione politica e statuale: in tale senso, natura, nel linguaggio dell’antropologia, si oppone al concetto di cultura); e in economia si parla di natura come fattore di produzione con riferimento alle risorse naturali non create dall’uomo (terre, acque, loro prodotti spontanei, materie ed energie in esse racchiuse, clima, ecc.); lasciar fare alla n., lasciare che una malattia segua il suo decorso naturale senza interventi drastici; dove manca n. arte procura (prov.), l’uomo può in molti casi correggere le opere della natura (anche scherz., per es. di chi ricorre all’uso di cosmetici). Molto spesso la natura è intesa come «ambiente» il cui equilibrio originario non può essere alterato senza danno per l’uomo e per la vita in genere: la protezione, la difesa, la conservazione della n., anche in senso concr., come complesso di atti, provvidenze, interventi che tendono a impedire l’alterazione degli ambienti e degli equilibrî naturali, e in ultima analisi dell’intera biosfera, contro lo sfruttamento umano irrazionale e a favore della natura e delle sue risorse (v. ecologia). Ritorno alla n., locuzione (che s’ispira alle concezioni di J.-J. Rousseau, ma non è presente nelle sue opere) con cui si suole affermare la necessità per l’uomo di liberarsi dagli effetti, ritenuti estranei e dannosi, della civiltà e della cultura e da quanto vi è di artificioso e alienante nelle società urbane e industriali, per riaccostarsi a una mitica condizione di vita regolata dall’istinto e in perfetta armonia con la natura, ritenuta unica e sicura guida per la salute fisica e mentale. Più concretam., la realtà fenomenica dell’universo in quanto è o può essere oggetto di contemplazione da parte dell’uomo: l’arte fu definita dagli antichi imitazione della natura. In partic., nelle arti figurative, n. morta, espressione (che ricalca il fr. nature morte) con la quale si indica un genere pittorico affermatosi nei Paesi Bassi intorno alla metà del sec. 16° e poi diffusosi nel resto d’Europa, caratterizzato da soggetti che, estranei ai grandi temi storici e religiosi dell’arte ufficiale, sono costituiti per lo più da interni di abitazioni con arredi domestici, fiori, frutti, cacciagione, ecc., ritratti con minuzioso naturalismo; in epoche successive il genere è stato variamente ripreso e interpretato dalle diverse correnti pittoriche (impressionismo, cubismo, ecc.); anche, un quadro, un dipinto di tale genere: esposizione di n. morte fiamminghe; possedere una n. morta di Morandi. Poco com. il contrapposto n. viva, raffigurazione pittorica di esseri viventi. In senso ancor più ristretto, con riferimento a luoghi in cui siano stati meno operanti la presenza e l’intervento dell’uomo: vivere in mezzo alla n., ricrearsi a contatto della n.; senso della n., sentimento della bellezza di luoghi e paesaggi; con determinazioni, per indicare particolari aspetti di un paesaggio: la n. selvaggia, orrida, o dolce, intatta, incontaminata di un luogo.

2. Con riferimento a uomini, animali o cose, condizione o modo di essere originario, primitivo, intrinseco e che costituisce carattere fondamentale e stabile di una collettività o di un determinato tipo.
a. Dell’umanità in genere, il complesso di qualità, tendenze, disposizioni che si considerano innate, preesistenti all’educazione: è nella n. dell’uomo; la n. umana è fatta così. Con sign. partic., nella teologia cattolica, secondo la prevalente sistemazione della scolastica latina: n. integra, quella dell’uomo creato da Dio e prima del peccato originale (dotato dei doni soprannaturali: immortalità, immunità dalla sofferenza e dalla concupiscenza); n. decaduta, quella dell’uomo che dopo il peccato originale ha perduto i doni preternaturali, si è indebolito nell’intelligenza e nella volontà, ed è soggetto alle infermità corporali, alla morte, alla colpa; n. riparata, la natura dell’uomo dopo la redenzione operata da Gesù Cristo.
b. Del singolo individuo, indole, carattere, disposizione o istinto naturale: un uomo di n. mite, pacifica, socievole, esuberante, violenta, maligna, indolente, ecc.; ciò è contrario, estraneo alla sua n.; non è nella mia n. serbare rancore; seguire la propria n., le proprie inclinazioni; il rispetto per l’ordine (o, al contr., il disordine, l’indolenza, ecc.) è per lui una seconda n., una qualità divenuta quasi costituzionale; anche in questo caso, può contrapporsi a ciò che è acquisito con l’educazione, l’arte, ecc.: Uso e n. sì la privilegia [la casa dei Malaspina], Che ... Sola va dritta e ’l mal cammin dispregia (Dante); talvolta ha valore concr. indicando persona fornita di un dato carattere: una n. nobile, generosa, fiera, ardente; macchinazione ordita da una n. diabolica; sono versi che rivelano una n. profondamente malinconica; o anche, più genericam., creatura, essere creato: Ne l’ordine ch’io dico sono accline Tutte nature (Dante).
c. Riferito ad animali: la n. aggressiva delle bestie feroci; le volpi hanno notoriamente una n. guardinga e astuta; è un purosangue difficile da montare, perché ha una n. focosa e bizzarra.
d. Riferito a cosa, qualità o complesso di qualità che essa ha naturalmente: la n. del ferro, dell’argento; l’oro è duttile per sua n.; e più genericam.: una situazione assurda per sua stessa n.; esempî di varia n.; è nella n. della filosofia la ricerca della verità; è nella n. delle cose che ..., è un fatto naturale; sono argomenti, questi, di tutt’altra natura, di tutt’altro genere.

3. In locuzioni avv.: per natura, di natura, naturalmente, per naturale disposizione, quasi per nascita: buono, cortese per n.; è di n. ambizioso; nella metrica classica si dicono lunghe per n. le sillabe che contengono una vocale lunga (in contrapp. alle sillabe lunghe per posizione). Anticam., con lo stesso valore, da natura: Una petra è sì ardita Là per l’indico mar, che da natura Tragge a sé il ferro (Petrarca). In natura, espressione usata in contrapp. a in denaro per indicare pagamenti, riscossioni, crediti, debiti effettuati o effettuabili in beni o servizî anziché in moneta (spesso, con allusione scherz. maliziosa, di pagamento effettuato con prestazioni sessuali); risparmio in n., accantonamento di parte del prodotto, per es. grano, per consumi o altri impieghi successivi; salario in n., retribuzione di lavoro corrisposta sotto forma di vitto, alloggio o altro; scambio in n., scambio diretto di merce contro merce, senza intervento della moneta. Con altra accezione, in natura, nella realtà esistente, nel mondo terrestre: il minerale di mercurio più abbondante in n. è il cinabro; non si trova in n. un animale più mansueto; non c’è in n. cosa migliore di questa.

4. Per eufem., in passato anche nell’uso fam., la n., le parti genitali, spec. quelle femminili. Pegg. naturàccia, cattivo carattere: con quella sua naturaccia, non potrà certo accogliermi bene.

Vocabolario TRECCANI

O Natura!

Velata dea che formi, agiti, domi,
Con odii arcani e con arcani amori,
Io non intendo ciòhe tu lavori,
Non trovo all’opre tue condegni nomi.
Tu sotto al più del pellegrin, tra’ fiori,
Attorci il serpe, esiziali aromi
Dalle corolle esali, in vaghi pomi
Stilli il velen d’elaborati umori.
Tu sirti occulte alla volante nave
Prepari, e giù dai lucidi Trioni
Sciogli improvviso e ruinoso il vento;
Tu formi un petto candido e soave,
E dentro ascoso ad albergar vi poni
Un cor nato agli obbrobrii e al tradimento.

Arturo Graf


suoni, colori e fiumi,
sapori mischiati a odori
e le leggere folate...
la pioggia pure...

lunedì 24 marzo 2014

Boston

Boston è una città degli Stati Uniti d'America, capoluogo della contea di Suffolk e capitale dello stato del Massachusetts. È la città più grande dello stato e del New England nonché il centro economico e culturale più importante. Nel 2012 aveva una popolazione stimata di 636.000 abitanti che la rende la 21 città più grande della federazione. La città è il fulcro di un'area metropolitana più grande chiamata Greater Boston che ospita 4,5 milioni di persone ed è la decima area metropolitana più grande del paese. Una delle più antiche città degli stati uniti, Boston è stata fondata sulla penisola di Shawmut nel 1630 da un gruppo di coloni puritani provenienti dall'Inghilterra. 
È stato teatro di numerosi eventi della rivoluzione americana, come il massacro di Boston, il Boston Tea Party, la Battaglia di Bunker Hill e l'assedio di Boston. Mediante la bonifica e l'annessione comunale, Boston si è espansa oltre la penisola originale. Dopo l'indipendenza americana dalla Gran Bretagna, Boston ha continuato ad essere un importante porto e centro manufatturiero, così come un centro per l'educazione e la cultura. Molti college ed università della zona fanno di Boston un centro di istruzione superiore ed universitario di rilevanza mondiale. Le basi dell'economia della città comprendono la finanza, servizi professionali ed economici e le attività di governo. La città ha uno dei costi della vita più alti degli Stati Uniti, sebbene rimanga ai vertici della classifica delle città più vivibili. Il nome originario della città era Trimountain, dai suoi tre colli, in seguito fu chiamata Boston dall'omonima città inglese. Boston 1630-1675.Fu fondata nel 1630 dai coloni puritani inglesi, in fuga dalle persecuzioni della madre patria e guidati da John Winthrop. Divenne colonia sei anni più tardi, nel 1636, con il nome di Massachusetts Bay. Fu subito un centro culturale importante; nel 1634 fu fondata la Boston Latin School, ancora oggi un esclusivo liceo pubblico. Per i suoi laureati fu fondata nel 1636 l'Harvard University, famosa e prestigiosa università situata nella contigua Cambridge, l'università con il più grande patrimonio al mondo, attualmente circa 34 miliardi di dollari. Nel 1653 aprì a Boston la prima biblioteca pubblica e nel 1704 uscì il News-Letter, il primo giornale delle Tredici Colonie. Boston ebbe sempre un ruolo importante nella storia del paese dai tempi delle colonie, ed è qui che ebbero origine le lotte per l'indipendenza. Il Boston Tea Party passò alla storia come il primo atto di ribellione nei confronti dell'Inghilterra. Il governo britannico infatti nel 1773 affidò, con una sorta di monopolio, il commercio del tè alla Compagnia Inglese delle Indie Orientali, ma con le tasse imposte era decisamente più costoso rispetto a quello che proveniva direttamente dall'India. Il 16 dicembre 1773, un gruppo di appartenenti ai "Figli della Libertà", travestiti da pellerossa, assaltò nel porto di Boston tre navi della Compagnia delle Indie, e gettò in mare le casse di tè che erano stivate a bordo. Verso la fine del XIX secolo lo sviluppo di altre città costiere e l'espansione verso Ovest, nonché lo spostamento delle fabbriche verso il sud alla ricerca di manodopera a buon mercato, arrestarono l'espansione non solo di Boston ma di tutta la regione della Nuova Inghilterra. Sempre in questo periodo, in seguito a una carestia che colpì l'Irlanda, arrivarono nella regione migliaia di immigrati di religione cattolica, che si stabilirono soprattutto a Boston, mutando l'assetto etnico, religioso ed economico della città. I nuovi arrivati furono ben presto raggiunti da altri immigrati provenienti dall'Italia e dal Portogallo. L'immigrazione ora proviene dall'America Latina (nota la comunità brasiliana con la più grande concentrazione negli USA), dal Sud-est asiatico (Vietnam e Cambogia) tra le altre nazioni. La Old State House di Boston.Negli anni 1860 iniziò la costruzione della Cattedrale della Santa Croce, sede della arcidiocesi. Nel 1919 la città fu sede di una delle più singolari catastrofi del XX secolo, quando in seguito alla rottura di un serbatoio di melassa numerose strade della città furono inondate da quel liquido viscoso. L'evento, che provocò la morte di 21 persone e il ferimento di 150 è passato alla storia come l'inondazione di melassa di Boston. Ad East Boston, quartiere popolare della città, c'è un colle che si chiama Orient Heights e che fu la destinazione dei primi immigranti italiani (durante gli anni 1860), abruzzesi e avellinesi. Il centro statunitense dell'ordine Don Orione si trova a Orient Heights, con un santuario e una statua famosa della Madonna. Anche oggi Orient Height è la zona di Boston più ricca di italofoni. Dopo Orient Heights, il North End è la zona che è più vicina al concetto di una "Piccola Italia", con molti ristoranti anche se recentemente la vita culinaria è diventata più variata e diffusa in tutta la città, soprattutto nei quartieri benestanti di Back Bay e del South End. Nonostante l'esistenza di zone di una certa concentrazione di italiani oggi rimangono pochi emigrati italiani e la maggior parte degli italo-americani sono già assimilati. Il 15 aprile 2013 un grave attentato colpì la città, due ordigni sono esplosi nei pressi del traguardo della maratona cittadina, provocando 3 morti e una dozzina di feriti. Uno dei due presunti attentatori, cittadini americani originari del Daghestan, venne ucciso dalla la polizia il 19 aprile, l'altro fu arrestato il 20 aprile (da wikipedia).


Una sola volta

Una sola volta compresi lo scopo della vita.
Accadde a Boston, inaspettatamente.
Camminavo lungo il Charles
e vidi le luci duplicarsi, tutte
con il cuore al neon e vibrante,
spalancando la bocca come cantanti d
opera;
e contai le stelle, le mie piccole veterane,
cicatrici fiorite, e capii che stavo portando
il mio amore sulla sponda verde notturna, e in lacrime
aprii il cuore alle auto dirette a est e a ovest
e feci passare un ponticello alla mia verità
e la condussi a casa in fretta col suo fascino
e fino allalba accumulai queste costanti
per scoprire poi che se nerano andate.


Anne Sexton
Traduzione di Edoardo Zuccato



le partenze,
i flessuosi richiami;
le stanchezze
di attese deluse,
le vie per la luna...

domenica 23 marzo 2014

Aforisma

La Bellezza è una forma del Genio,
anzi, è più alta del Genio
perché non necessita di spiegazioni.
Essa è uno dei grandi fatti del mondo,
come la luce solare, la primavera,
il riflesso nell'acqua scura di quella
conchiglia d'argento che chiamiamo luna.
 
Oscar Wilde
 
 
 
nel senso delle frasi
un vago nulla
come una bolla
come una farfalla...

sabato 22 marzo 2014

Poesia e quadro

Primo verde

I primi verdi escono
e disegnano finalmente colore,
in un tacito sole risplende
la traccia del mondo;
un merlo canticchiando
mi presenta al mattino.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

V. Van Gogh, Campo verde di grano (1889), Praga

 
CAMPO VERDE DI GRANO è un'opera poco conosciuta di Van Gogh, ma non per questo meno intensa di altre. La costruzione del quadro risponde al tradizionale metodo dell'artista: il campo di grano col primo piano scuro , la zona al centro più luminosa e uno sfondo scuro e movimentato. La superficie piatta della tela è scossa dal movimento oscillante delle spighe, ancora verdi, al passaggio del vento. La pennellata è lunga e traccia linee dritte, ravvivate ora dal verde, ora dal giallo brillante. In basso a sinistra la massa erbosa è accesa da pennellate di azzurro. Questo dipinto è il prodotto di una fase sperimentale durante la quale Van Gogh si proponeva di raggiungere una maggiore astrazione formale; in questo faticoso passaggio, l'artista traeva ispirazione dalla pittura dell'amico Gauguin che, seppur lontano, continuava ad essere per lui un costante riferimento. L'ambizione di Van Gogh era quella di riuscire a riprodurre la naturale bellezza del paesaggio vergine nella maniera più spontanea possibile. Forse il migliore risultato di questo esperimento - testimoniato anche da una lunga e bella serie di disegni - è CAMPO DI GRANO CON CIPRESSO (National Galery di Londra) che risale al settembre 1889. In questo quadro le linee sono maggiormente ondeggianti e chiudono masse e zone cromatiche: viene così creandosi una perfetta simbiosi tra colore e segno. Non è un caso, infatti, che l'elemento più interessante del dipinto di Londra sia il movimento del cipresso scuro che, seppure già presente anche nel quadro che presento ora, assume un movimento di grande spettacolarità: Van Gogh fu così entusiasta di questo lavoro che lo replicò per una copia da offrire alla madre. La tela, né firmata e né datata, fu dipinta da Vincent Van Gogh a Saint-Rémy nel giugno del 1889, durante uno dei permessi a lui concessi dal direttore dell'istituto in cui era ricoverato, per recarsi a dipingere nella rigogliosa campagna provenzale. Esistono molte lettere che mostrano l'intenzione di Van Gogh di partecipare con questa e altre tele con lo stesso soggetto alla mostra che Paul Gauguin e Emile Bernard andavano organizzando al Café Volpini a Parigi. Attualmente l'opera, per quanto mi risulta, è conservata nella Narodni Galerie di Praga, dove sono diversi capolavori della pittura e della scultura francese, databili agli ultimi anni dell'Ottocento (dalla rete).

venerdì 21 marzo 2014

Plenilunio

Il plenilunio

Niente, non aspetto piú niente da te, cielo,
Dovunque mi aggrappi cado con fragore
Dal tuo tetto d’aria colmo di conchiglie
Dal mazzo arrugginito delle tue stelle;
Una luna spropositata sorge in me
S’ingrossa minacciosa sui miei crinali
Sorgerà un plenilunio a frantumarmi.


Antonis Fostieris
Traduzione di Nicola Crocetti


la luce della luna,
quella che affascina
quella che guida gli amanti;
la luce che non fa vedere,
quella che fa solo scorgere...

Il plenilunio (o Luna piena) è la fase della Luna durante la quale l'emisfero lunare illuminato dal Sole è interamente visibile dalla Terra.
Questo succede perché la posizione del satellite è opposta a quella del Sole rispetto alla Terra.
In questo modo la Luna risulta visibile per l'intera notte. Quando la Luna, la Terra e il Sole risultano perfettamente allineati (sulla linea dei nodi) avviene, in concomitanza con la Luna Piena, un'eclisse di Luna (da wikipedia).

giovedì 20 marzo 2014

Suoni

suòno
(poet. o pop. sòno) s. m. [lat. sŏnus].

– 1. La causa delle sensazioni acustiche, consistente in vibrazioni di un mezzo (per lo più l’aria, ma anche mezzi elastici qualunque), che possono essere eccitate in esso o ad esso trasmesse dalle vibrazioni di un corpo (sorgente sonora), e che a loro volta eccitano l’orecchio (generalm. per azione diretta sul timpano attraverso l’aria presente nel condotto uditivo, raramente attraverso le ossa del cranio, la cosiddetta conduzione ossea); anche, la sensazione acustica stessa. Tali vibrazioni sono onde elastiche (onde sonore) longitudinali che si propagano nell’aria o in altro mezzo con determinate caratteristiche: l’intensità deve essere compresa tra la soglia di udibilità (al di sotto della quale non c’è sensazione di suono) e la soglia di dolore (al di sopra della quale la sensazione diventa dolorosa), mentre la frequenza, per un convenzionale orecchio normale, deve essere compresa tra 16 Hz e 20.000 Hz (al di sotto del primo valore e al di sopra del secondo si hanno, rispettivam., gli infrasuoni e gli ultrasuoni); le soglie di intensità e i limiti di frequenza, oltre a essere diversi da persona a persona, variano, rispettivam., al variare della frequenza e dell’intensità del suono. Propagazione del s., la trasmissione delle onde sonore dalla sorgente (per es., una corda o una membrana elastica in vibrazione) fino all’orecchio dell’ascoltatore (o fino al microfono di un dispositivo di registrazione o amplificazione sonora), determinata dal fatto che nell’aria circostante la sorgente si viene a creare una successione di strati compressi e rarefatti che si allarga tutto intorno: ciascuna delle particelle d’aria investite dalla perturbazione prende a vibrare in sincronismo con la sorgente, spostandosi al di qua e al di là della sua normale posizione di equilibrio lungo la direzione di propagazione; s. puro, quello nel quale lo spostamento della generica particella è una funzione sinusoidale del tempo; s. composto, un suono non puro, costituito dalla sovrapposizione di più s. armonici, cioè di suoni puri di opportuna ampiezza e fase iniziale e di frequenza multipla del suono puro di frequenza più bassa, detto s. fondamentale (o primo armonico); pressione del s., da non confondersi con la pressione sonora (v. sonoro, n. 1 a), la pressione esercitata dall’onda sonora contro un ostacolo su cui venga a battere, che ha carattere continuo nel tempo, determinando forze agenti sull’ostacolo in direzione e verso concordi con quelli di propagazione dell’onda; velocità del s., la velocità di propagazione delle onde sonore, che equivale, nell’aria secca in normali condizioni di temperatura e di pressione, a circa 340 m/s (tale valore aumenta notevolmente nei liquidi e nei solidi). Altezza di un s., la frequenza maggiore (s. alti, acuti) o minore (s. bassi, gravi) del suono stesso, se si tratta di un suono puro, oppure del suono fondamentale, se si tratta di un suono composto; intensità di un s., l’intensità della sensazione sonora da esso provocata, in base alla quale si distinguono, soggettivamente, s. forti, s. intensi, s. deboli; timbro di un s., carattere, assente nei suoni puri, che è difficilmente precisabile in termini generali: è legato alla composizione armonica dei suoni, e distingue, per es., una stessa nota musicale emessa da due diversi strumenti (s. metallici, lignei, sonori, risonanti, ecc.). Per muro o barriera del s., in aerodinamica, v. barriera, n. 3 d; per colonna del s., o colonna sonora, in cinematografia, v. colonna, n. 5 g. Registrazione e riproduzione del suono, l’insieme delle tecniche con le quali possono essere registrate (su supporti magnetici, dischi ottici, ecc.) e successivamente riprodotte le più diverse sorgenti sonore (musica, voce, ecc.); tecnico del s., tecnico addetto alla registrazione dei suoni su dischi, nastri magnetici, colonne sonore, ecc., o anche al funzionamento degli impianti di amplificazione sonora.
- 2. Con sign. e uso più generale, fenomeno sonoro, in quanto prodotto e percepito. In partic.: a. Fenomeno sonoro prodotto da strumenti musicali (s. musicali) o da apparecchi di segnalazione acustica: l’arte, la tecnica dei s., la musica; nell’esecuzione musicale (dove per lo più è sinon. di nota), s. armonici, v. armonico, n. 2; s. flautati (o note flautate), v. flautato; il s. del pianoforte, del violino, della chitarra; il s. dolce dell’arpa, il s. melodioso del flauto, il s. grave del violoncello; il s. della tromba (e suoni di tromba, come segnali militari); il s. delle campane; il s. del campanello, del clacson, della sveglia; Viene il vento recando il suon dell’ora Dalla torre del borgo (Leopardi); il s. lacerante o assordante delle sirene. Nell’uso letter., ant. e raro, la capacità e l’attività di suonare strumenti musicali: di canto divenne maestro e di suono (Boccaccio); o anche motivo, aria musicale: e più danze si fecero e sonarono diversi suoni (Boccaccio). b. Con riferimento alla voce umana: una voce dal s. grave, caldo, dolce o acuto, stridulo; riconoscere uno dal s. della voce o riconoscere il s. della voce; ci deve essere qualcuno: ho sentito un s. di voci. In linguistica, s. articolato o assol. suono, unità fonico-acustica del linguaggio orale (termine generico, ormai raro e sostituito dai termini specifici fono in fonetica e fonema in fonologia: v. le due voci): i s. dell’italiano, del greco; i s. nasali del francese, i s. fortemente gutturali del neerlandese; s. vocalici, consonantici; gli scilinguati pur cantando mandano fuori i suoni articolati di difficil pronunzia (Vico). c. Riferito a fenomeni sonori diversi da quelli prodotti da strumenti musicali o di segnalazione e dalla voce umana (per lo più come sinon. letter. o più elevato e raro di rumore): Voci alte e fioche, e suon di man con elle (Dante); parendogli che di quindi venisse il suono dello starnuto (Boccaccio); di tanto in tanto arrivava suono di acque lontane (Buzzati); il s. della risacca, delle onde che si frangono sugli scogli, del ruscello, del vento; il s. minaccioso delle cannonate; questo vaso di porcellana ha un s. falso, deve essere incrinato. d. In semeiotica medica, suoni di percussione, le vibrazioni provocate con la manovra della percussione (soprattutto del torace) e apprezzate dall’esaminatore come un suono o un rumore (s. alto, s. chiaro, s. polmonare). e. In tutte le precedenti accezioni, la parola sottolinea spesso il fatto soggettivo della percezione di un fenomeno sonoro, in relazione alle azioni e al comportamento da essa provocati o condizionati: sentendo il s. di quella voce nota, si voltò all’improvviso, o ebbe un tuffo al cuore; la popolazione accorreva richiamata dal s. delle campane a stormo; spec. nella locuz. avv. al s. di o a suon di, in espressioni proprie: ballare al s. di una fisarmonica, di un’orchestrina, della musicassetta; pattinare a suon di musica, marciare a suon di tamburi; i bersaglieri sfilarono al s. della fanfara; e fig.: l’oratore fu accolto a suon di fischi; li buttarono fuori a suon di pugni e schiaffi; la rivolta fu domata a suon di cannonate.
- 3. a. La caratteristica di maggiore o minore armonia e musicalità di elementi fonici e di parole, frasi, realizzazioni linguistiche, e l’impressione che ne risulta: un incontro di consonanti, o di vocali, di s. sgradevole (v. cacofonia); una parola, un nome di suono o dal s. armonioso, suggestivo.
b. estens. Il senso stesso, in sé, di parole, frasi, discorsi: Va in mezzo Argante e parla in cotal suono (T. Tasso); il s. delle sue parole è amichevole, ma il tono è ostile; in usi letter., rari, il discorso stesso: qui puose fine al lagrimabil suono (Dante).
- 4. fig., letter. Fama, risonanza: Li accorgimenti e le coperte vie Io seppi tutte, e sì menai lor arte, Ch’al fine de la terra il s. uscìe (Dante); Or dov’è il suono Di que’ popoli antichi? (Leopardi).


Suoni

Gioie senza limiti accalcano
le lente stazioni dl tempo,
un povero sogno si infrange,
un altro si staglia nel cielo.
Uno spicchio di blu comporta
pensieri di sole e calore,
quando l'alba confonde
si cerca un motivo per gli occhi.
Colori diffusi, sventagli,
di lunghi sospirati doveri;
in un angolo angusto ripone
il cuore, l'affetto, le croci.
Dove vanno gli assoli
si scompongono i suoni;
rimane e perdura
un'eco soltanto.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

lunedì 17 marzo 2014

Tavolo

Mobile costituito da un piano orizzontale e adibito a diverse funzioni (quello da pranzo, attorno al quale ci si siede per consumare i pasti, è detto preferibilmente tavola). L’uso del t. è assai antico nel mondo greco-romano e negli ambiti più diversi: del culto, dell’industria e commercio, della vita domestica. La forma più antica di t. pare di provenienza greca, rettangolare, su tre piedi, diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo. Molto frequente in Grecia, da dove passò a Roma, era un t. a gamba centrale divisa in tre parti, detto mensa delphica, forse derivante dal tripode delfico. Molta fantasia appariva nella forma dei supporti, generalmente a zampe d’animale, ma anche con figure umane; la fascia che nascondeva l’attacco delle gambe al t. era spesso riccamente ornata. Questi t. erano di legno, di marmo, di bronzo. In Egitto e in Babilonia era anche in uso un tipo, generalmente rettangolare, a quattro zampe. Da questo derivò il ricco t. in uso specialmente a Roma, con le gambe riunite a due a due, molto ornate, e anche il t. a gambe incrociate in uso in Egitto e soprattutto a Roma, in genere di legno o di marmo. Quelli di legno raro, thuia o cedro, erano detti mensae citreae, ed erano arricchiti da piedi d’avorio, d’oro, d’argento, di rame argentato, di bronzo e incrostati di pietre preziose. Fino al 14° sec. il t. fu ridotto agli elementi essenziali; era generalmente coperto da tovaglia o tappeto, e veniva smontato e riposto dopo il pasto; consisteva di un asse nudo e stretto, posato su sostegni, per lo più tre. Nel 14° sec. vennero in uso t. muniti di due ritti quadrangolari, terminanti, in basso, in un doppio piede a forma di mensola rovesciata. In seguito, il t. ebbe forme sempre più ricercate, adeguandosi agli stili del tempo: nel Rinascimento, le gambe furono finemente scolpite (a zampa di leone, a chimera, a foglia d’acanto), o ebbero forma architettonica (a balaustro). Particolarmente ornati furono i t. non da mensa, ma ornamentali, che ebbero svariatissime forme, caratteristiche per ogni regione. Fra i più sontuosi quelli con il piano a intarsi di ebano e avorio, o di pietre dure ecc. Si fecero anche t. di marmo o di pietra. Nel periodo barocco la ricerca di effetti cromatici, sia in pittura, sia mediante applicazioni di materie diverse, si sviluppò in forme ricche e fantasiose. In Inghilterra nel 18° sec. furono inventate molte forme nuove di t.: a cancello, con le zampe incernierate, di cui una metà gira sull’altra mentre anche il piano, diviso in due metà, si ribalta; a nido, con una serie di tavolini di misura decrescente che possono trovar posto l’uno dentro l’altro ecc. In Francia si ebbe una tipologia assai varia, dai grandi tavoli con piano di cuoio e rivestimenti di bronzo dorato (tables ministère), ai piccoli tavolini con un cassetto e zampe a liuto detti guéridons, ai piccoli tavoli da notte detti bonheur du jour ecc. Anche in Italia si hanno norme e tipologie diverse, dallo scrittoio alla scrivania al leggio, al tavolo tondo, ovale ecc. Per influenza orientale, nell’arredamento occidentale è entrato, al principio del 20° sec., il t. basso solitamente collocato davanti a divani o poltrone (enciclopedia TRECCANI).


Sul tavolo

Ci terrei a precisare che ho comprato
questa tovaglia
con il suo semplice disegno ripetitivo
di fiori viola scuro non menzionati
da alcun botanico
perché mi ricorda quel vestito stampato
che indossavi
l’estate che ci siamo conosciuti (un vestito
– hai sempre sostenuto –
che non ti ho mai detto che mi piaceva).
Be’, mi piaceva, sai. Mi piaceva.
Mi piaceva un sacco, che ci fossi tu dentro
oppure no.

Come è potuto uscirsene così in silenzio
dalla nostra vita?
Detesto (proprio detesto) l’idea di qualche
altro sedere
che faccia svolazzare a sinistra e a destra
quelle pesanti corolle.
Detesto ancor più immaginarmelo sgretolarsi
in una discarica
o fatto a brandelli – un pezzo qui che pulisce
un’astina dell’olio
un pezzo là intorno a una crepa in un tubo
di piombo.


È passato tanto tempo ormai, amore mio,
tanto tempo,
ma stanotte proprio come la nostra prima
notte sono qua,
la testa leggera tra le mani e il bicchiere
pieno,
che fisso i grossi petali sonnolenti fino
a quando si mettono in moto,
amandoli ma con il desiderio di sollevarli,
di schiuderli,
persino di farli a pezzi, se questo è quanto
ci vuole per arrivare
alla tua bellissima pelle, desiderosa,
calda, candida come la luna.

Andrew Motion
Traduzione di Helena Sanson

 
 

 
io ricordo
quella dei monti
in legno di pino
fragrante e calda
piena di vino...