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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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domenica 17 giugno 2007

Ipotesi, Racconto e Fuga (Scritto in 3 progressioni)

La fuga


Frank, un pezzo per organo ed una trascrizione per pianoforte… poi l’ascolto si perde nella musica a seguire melodie secondarie non meno belle della principale.
Il pezzo “Preludio, fuga e variazione op.18” trovo sia molto più bello e suggestivo nella trasposizione pianistica rispetto alla versione originale per organo ed è così che amo ascoltarlo nei rari momenti di solitudine ricercata.




“…Il riferimento all’ organo è dimostrato da come funziona bene il Preludio, Fuga e Variazione tradotto sul pianoforte (da Bauer) dalle Six Piéces pour grand orgue, scritte tra il ’60 e il ’62 – anni chiave della ‘presa di coscienza’ franckiana – e opera di passaggio verso i lavori assoluti che il compositore realizzerà o ultimerà nei suoi tre ultimi decenni a partire dal ’60.
Nel trittico a dar vita al Preludio è un tema cullante di Siciliana che sarà poi nelle corde di Faurè e Ravel, sigla dell’ Ars Gallica.
Una cadenza divisa tra stile severo e modi ornamentali porta alla Fuga il cui soggetto è ricavato per via ciclica da quello del Preludio, che, torna in forma variata come congedo…”
Le spiegazioni tecniche mi lasciano ancora oggi in un senso di prostrazione e difficoltà indicibile (non conosco la musica, la ascolto solamente), ma continuo a leggerle sperando di ricavarci, oltre agli ovvi schemi tecnici, anche qualche vaga dissonanza sentimentale che mi aiuti a capire come un pezzo è stato concepito e poi descritto sul pentagramma.
La verità è che la musica è una costante che accompagna la mia vita da sempre, nei momenti belli e brutti con una fedeltà difficilmente riscontrabile in altre situazioni.
La musica come rapimento, come concrezione nell’ anima.
La musica come fuga da tutto per innalzamento od abbassamento dei livelli personali.
La musica come gioia e dolore.
La musica come amore.
La musica come naturale interpretazione ed estrinsecazione del nostro essere più intimo.
La musica e basta.
La musica ed i miei sempre più rari momenti per ascoltarla ed ammirarla.

Ogni tanto guardo i miei CDs disordinati (tranne quelli di classica in rigoroso ordine alfabetico per autore) e scopro quelli ancora perfettamente avvolti dalla pellicola di plastica (nuovi!) che amo tenere leggermente all’ infuori rispetto agli altri allo scopo di segnalare a me stesso una cosa che so già, la mancanza cronica e continua del cruciale fattore tempo.
Ma sono lì, a fare bella mostra di sè, ed io li rimiro, li tocco, li conto, in attesa della futura meritata ed agognata (almeno per adesso) pensione per illudermi che allora si che potrò riascoltare la musica come un tempo, come facevo da ragazzo quando liceale imberbe vivevo di armoniche sonorità e poesia (ma anche di qualcosa d’ altro ricordo bene).
Nei momenti di ripensamento la tristezza è più forte e mi illudo che riuscirò a trasmettere tutta la mia passione musicale e quella per la pesca a mosca (vedi paragrafo “L’ Ipotesi”) a mia figlia Carolina e, in questo, non credo di essere una genitore diverso dagli altri.

Quando la sensazione di solitudine prevarica con prepotenza il quotidiano, specie in Inverno e di Domenica mattina, amo riascoltare i miei pezzi più belli e, tra questi, la “Sonatina in La minore” di Gianluigi Centemeri musicista monzese (la città in cui sono nato e dove continuo a vivere da allora), morto già da qualche anno, ritenuto un minore (si ritrova qualche sua traccia biografica, peraltro estremamente didascalica e ridotta all’ osso, sull’ enciclopedia della musica edita da Garzanti) ma che ho avuto la grande fortuna di conoscere personalmente in quanto nonno (lui, non io ovviamente) di un mio caro amico del liceo; forse in parte la devo a lui questa fortuna della mia vita che è la musica.
E’ un pezzo fantastico che ovviamente quasi nessuno conosce perché nessuna etichetta si è mai sognata di incidere le musiche di Centemeri ma Marco (l’ amico di cui sopra nonché nipote del musicista) lo ha registrato per sé durante un concerto dal vivo e così anch’ io ne sono felice possessore ed attento e rapito ascoltatore.
Quindi la musica, classica preferibilmente la mattina o la sera e d’ Inverno, ma anche il Rock (prepotente amico della mia adolescenza e di questa incipiente maturità) con tutti i suoi mostri sacri più noti (risparmio pietosamente un elenco), un po’ di New Age (la mia musica adatta per guidare) e i cantautori italiani (memoria storica della mia fanciullezza).
Migliaia di dischi per giorni e giorni di teorico ascolto continuo.
Un mio modo per trovare una via di fuga alquanto normale ma,spero, condiviso da molti.

mercoledì 13 giugno 2007

Lungo le vie...


Si snoda, lungo le vie dell' Oriente,

la carovana delle nostre anime.

In un complesso, come completo

solo poco più chiaro, più tenue.

Miraggio confuso, a ritroso,

come maroso si muove.

Sinuoso passaggio obbligato,

lento...lento...lento...





sabato 9 giugno 2007

Come un istante déja vu...

...ombra della gioventù...

...ci circondava la nebbia.

Ipotesi, Racconto e Fuga (scritto in 3 progressioni)

DI SENSAZIONI SOSPESE “... E a poco a poco si sentì chiamato, indietro: in campagna, nel giardino oscuro, dove i tigli sono così ombrosi e immensi, e i mughetti hanno un profumo così virgineo, dove i tondi salici in fila dall’argine si inchinano sull’acqua, dove la florida quercia cresce dalla terra fertile, dove odora di canapa e d’ortica ... Laggiù, laggiù, nei liberi campi, dove la terra nereggia simile a velluto, dove la segala, ovunque poggiate l’occhio, oscilla dolcemente, in onde tranquille. E cade un pesante presagio dorato, di là dalle bianche, tondeggianti e trasparenti nubi; là si sta bene ...” Richiuse il libro con rabbia; uno sfogo nei confronti di quanto aveva appena terminato di leggere. Fumando si alzò e ripose il volume nell’apposito spazio dal quale era stato asportato e, appoggiando le mani sul tiepido termosifone, guardò fuori dalla finestra. Il continuo andirivieni delle auto in strada captò per alcuni minuti la sua attenzione distogliendolo dalle considerazioni precedenti. Sospirò, si stancò di quella fin troppo risaputa visione e si sedette alla scrivania con la precisa intenzione di mettersi a fare qualcosa ma non gli venne in mente nulla. Passò così alcuni minuti ancora scrutando il chiarore della lampada che invadeva debolmente gli angoli più lontani della camera; poco dopo fu sopraffatto dalla noia. - Forse potrei uscire a prendere una boccata d’aria! - disse a voce alta per tentare di spezzare l’ossessività che impregnava quella situazione e non uscì. Girovagò per la stanza come una belva in gabbia mentre si ingigantiva in lui una sensazione di furore irrefrenabile ed impotente; picchiò con rabbia I pugni contro il muro per spezzare quel groviglio interiore. Calmò forzatamente la sua furia e cercò di concentrarsi in alcuni esercizi di rilassamento che tempo addietro aveva appreso a non ricordava più quale corso di aggiornamento; la cosa parve funzionare ed il suo respirare agitato tornò finalmente tranquillo. Gettò il capo all’indietro ed aspirò con decisione tenendo gli occhi socchiusi. Ruotò più volte il collo sul tronco per sciogliere la rigidità che avvertiva nei legamenti poi, ad occhi chiusi, contò mentalmente il numero dei propri battiti cardiaci finché non si nauseò di quel nuovo gioco. Quando riaprì gli occhi, lo sguardo indugiò incontrando la fotografia che si trovava proprio di fronte a lui. La sua espressione, giocata nella foto sui chiaroscuri del controluce, lasciava trasparire condizioni tutt’altro che piacevoli e i ricordi lo assalirono immediatamente ... …Tony e Mark percorrevano in silenzio la riva verso le lontane strutture della mastodontica centrale idroelettrica. In quel posto lo scorrere del fiume allargava il proprio alveo fino a formare un piccolo lago artificiale delimitato a valle dalla lunga cresta di cemento armato che, sbarrando l’incedere della lenta ma continua progressione dell’acqua, incanalava il flusso della corrente ad insinuarsi negli stretti canali di approvvigionamento delle turbine. Il cielo stellato rifletteva le proprie tremule luminosità sulla liquida superficie. - Comincia a fare freddo sul serio! - esclamò Mark sollevando il bavero dal giaccone. Tony assentì rincorrendo con gli occhi il disegno informe che il proprio fiato stava ritmicamente tracciando nell’aria. I sassi del selciato scricchiolavano sotto i loro passi; in breve si trovarono sotto l’altissimo muro della centrale. - E’ bello qui! - disse Mark all’amico e si guardò intorno scrutando con attenzione l’oscurità notturna. - Si ... E’ molto bello, - rispose Tony - ci venivo da ragazzo con mio padre. Ricordo che passavamo intere ore a contemplare i barcaioli che traghettavano i gitanti della domenica da una riva all’altra del fiume. Erano molti anni che non ci venivo più. Seguimi! L’amico ubbidì ed insieme i due imboccarono la stretta passerella che si protendeva lungo tutta la facciata della centrale a scavalcare il fiume. Potenti fari gialli illuminavano quel tratto di notte. Giunti a metà dello stretto percorso rivolsero I loro sguardi alla superficie del lago artificiale. - Ho l’impressione come di essere sospeso sull’infinito. - disse Mark a Tony con un filo di voce. - Già, che stano ... - gli rispose Tony - ho cercato tante volte di descrivere una situazione del genere ma mi è stato e mi è impossibile; l’unico modo per conoscere una di quelle che io chiamo “sensazioni sospese” è viverla, proprio come stiamo facendo noi ora. Siamo su un piccolissimo ponticello di cemento saldamente aggrappato a due lembi di terra eppure sentiamo sotto di noi il vuoto scorrere e lambirci. E’ stranissimo, è come se stessimo vivendo un’altra sconosciuta e inafferrabile dimensione, indescrivibile a parole, in cui tutto viene vissuto sotto di noi ed il nulla non può essere visto né toccato, non lo si può ascoltare né odorare, solo intuire; sappiamo che c’è ed il nostro corpo reagisce con l’istinto alla fuga da questa situazione di promiscuità, quasi che spaventa. Comunque la nostra anima, la mia almeno, è combattuta da questo misterioso richiamo verso l’oblio dove non hanno esistenza tutte quelle cose che ci condannano alla realtà quotidiana. Smise il suo parlare e, raccolto un piccolo ramoscello lo abbandonò al senso della corrente seguendolo finché non scomparve ... ... Lo assalirono e si ritrovò nel tempo mentre ascoltava sottomesso il lento dondolio che la corrente imprimeva alla barca agganciata con una robusta catena al saldo attracco della riva. Ricordava il lungo corteo dei salici che perdevano le loro foglie ingiallite nell’abbraccio dell’acqua. Stette nuovamente male al dolore penetrante che lo avvolse, proprio come allora. Rivide la nebbia che gravava sul fiume come un manto leggero trasfigurando il panorama della riva dirimpetto. Ricordò tutto con perfezione meticolosa: gli alberi spogli, il colore delle case, le strade bagnate, il preludio all’inverno ed il suo cuore ingrossato. Alle sue narici arrivò ancore l’odore di umido. Era tutto come allora e, come allora fu insopportabile. La porta della camera si aprì e sulla soglia comparve sua madre. - Quando vuoi partire noi siamo pronti. - gli disse. Circa un’ora dopo poteva già scorgere la scura silhouette delle montagne; in breve ne raggiunse i contrafforti e cominciò a seguirli diretto verso la sua casa di fondovalle. L’automobile rossa abbandonò, con una secca curva l’asfalto della statale per immettersi in una stretta via laterale: la brusca manovra fu accompagnata da un violento strombazzare di clackson proveniente dalla vettura che la seguiva. - ‘Fanculo - disse Tony accompagnando a quelle parole un gesto fin troppo esplicativo del braccio. Nell’approcciare il nuovo tragitto l’auto aveva notevolmente rallentato la propria velocità ma non abbastanza da evitare che lo chassis urtasse contro il terreno non appena una delle ruote anteriori finì in una buca poco profonda. - Che cazzo ... - sbraitò Tony e frenò di colpo bloccando le ruote. La manovra sollevò un nugolo di polvere. Tony scese di corsa, tossicchiò un paio di volte, poi, appoggiando una mano sul cofano e l’altra a terra, si chinò a guardare se il fondo dell’automobile avesse o meno subito dei danni. - Sembrerebbe tutto a posto - disse a se stesso più con l’intento di rassicurarsi che altro. Per maggiore sicurezza attese in sosta qualche minuto per verificare l’esistenza di una perdita d’olio. Dopo poco tempo ed una sigaretta risalì a bordo, rimise in moto e proseguì a velocità moderata. Percorse alcune centinaia di metri la strada piegò verso sinistra e, dopo una piccola salita, si immise dolcemente nella via perpendicolare che sormontava l’argine del fiume. Era bello il fiume in quei giorni di marzo; le piogge di fine inverno lo avevano gonfiato senza sporcarlo e a Tony quella massa imponente di acqua che scivolava a valle dava una sensazione impagabile di libertà. - Bella la mia valle! - esclamò ad alta voce. L’auto proseguì sull’argine per un paio di chilometri poi poco prima che la strada si interrompesse in prossimità della foce di un piccolo torrente tributario, Tony voltò a sinistra ed imboccò un lungo viale alberato. In breve, la doppia fila di aceri lasciò posto ad una candida staccionata che terminava in prossimità di una bella casa colonica sul muro frontale della quale giganteggiava un vistoso cartello con scritto a caratteri cubitali “Appaloosa ranch”. Tony inchiodò la vettura e le ruote, bloccate dai freni, strisciarono sulla ghiaia del piazzale. A quel frastuono, dalla porta di ingresso della casa, uscì di corsa un uomo alto, sulla quarantina, con la pelle già indorata dal primo sole primaverile. - Come va Fulvius - disse Tony togliendosi gli occhiali da sole senza scendere dall’automobile. - Ah! sei tu - rispose l’uomo - qualche giorno mi farai prendere un colpo perdio e poi - disse ancora guardando con mascherato disappunto i profondi segni lasciati dalle ruote - ogni volta che arrivi mi tocca rimettere a posto la ghiaia del cortile ... come se non avessi abbastanza da fare! Tony scese dalla vettura ridendo ad alta voce e gli tese la mano. L’uomo la strinse energicamente e si associò alla risata. - Dai, stronzo, vieni in casa - gli disse - non cambierai mai, è inutile! - E’ vero - rispose Tony e, braccio sulle reciproche spalle, si avviarono all’ingresso ed entrarono in casa. - Siediti - gli disse Fulvius - ci si beve una birra insieme, ti va? Tony rispose di si e Fulvius recuperò dal frigorifero due lattine di birra olandese che vennero immediatamente stappate. - Alla salute! - esclamarono all’unisono e bevvero d’un fiato- - Ti fermi qualche giorno? - chiese Fulvius. - No, - rispose Tony - solo per il week-end. Ho dei problemi di lavoro che non posso assolutamente più posticipare. - Capisco - disse Fulvius - come ti va? - Discretamente - rispose Tony - diciamo che potrebbe andare anche peggio- Chi si contenta gode, in fondo. - Che proverbio del cazzo! - rispose Fulvius - sarà che io non riesco mai ad accontentarmi di nulla ... - E’ solo un’opinione - disse Tony - Il mondo intero vive di opinioni e frasi fatte più o meno accreditate. Così è più comodo, più semplice. Alle domande della vita si risponde meglio se c’è qualcosa di precostituito, di già fatto. Qualcosa che ti dà le risposte pronte senza obbligarti a pensarci su più di tanto; il massimo risultato con il minimo dispendio di energia insomma. Più lineare di così ... - Adesso non ricominciare con le tue filosofie - intervenne Fulvius - non attacca. Ho già abbastanza problemi per la testa e l’ultima volta che sei stato qui, a furia di parlare strano, mi hai fatto passare una pessima settimana. Sai che bello ragionare sulle sensazioni sospese mentre si sta spalando letame! Ah! no. Stavolta non mi freghi mica; rimandiamo il discorso a stasera e vedremo se avrai ancora voglia di parlarne. Tony rise sonoramente e si alzò dalla sedia. Stiracchiò le membra intorpidite e, dopo un rumoroso sbadiglio, si rivolse nuovamente all’amico. - Com’è la situazione cavalli? - chiese. - Molti sono già fuori - rispose Fulvius - ma non preoccupati, ho tenuto a riposo Cobra proprio per te; ero quasi sicuro che oggi saresti venuto. A proposito, ho bisogno di un piccolo aiuto se non ti secca. - Dimmi - intervenne Tony. - Ieri mattina, mentre stavo collocando alcuni nuovi ostacoli, Phantom deve avere urtato con lo zoccolo posteriore sinistro una transenna; non me ne sono accorto subito così ho continuato. Quando in serata Claude ha fatto il giro di controllo si è accorto che quella bestiaccia non appoggiava più la zampa al terreno. Mi ha chiamato subito ed insieme abbiamo dato una guardata ma era già buio e non ho visto molto; gli abbiamo lavato e pulito l’articolazione e gli abbiamo fatto una fasciatura semirigida. Stamattina sono tornato a rivederlo ma non mi sembra che la situazione sia migliorata. - Non preoccuparti - gli rispose Tony - dammi il tempo di cambiarmi e poi gli si dà un’occhiata alla luce del sole. Ciò detto uscì e recuperò dal bagagliaio dell’auto una borsa sportiva alla quale erano appesi un paio di stivali da cavallerizzo; rientrò in casa e salì velocemente la ripida rampa della scala a chiocciola che portava al piano superiore. Dopo una decina di minuti ridiscese e con Fulvius si diresse alla volta delle scuderie. - Ti fermi a cena? - gli chiese l’amico durante il tragitto. - Ho in programma uno stupendo stufato di capriolo con relativa polenta. - Vedremo - rispose Tony - dipende da quando rientro. Hai bisogno di saperlo subito? - No, - disse Fulvius - non è necessario tu me lo dica adesso; uno più, uno meno, in fondo non fa nessuna differenza. - Ok allora - disse Tony. Il resto della passeggiata, per altro breve, lo percorsero in silenzio. Arrivati in prossimità della fila di boxes, Fulvius si fermò davanti al primo. - L’ho sistemato qui - disse. - Bene - disse Tony - vedi se riesci a portarlo fuori. Fulvius annuì e sollevò la sbarra che sprangava la porta inferiore della doppia porta; effettuata quella manovra spalancò la porticina ed entrò. Tony rimase ad aspettarlo all’esterno. Il sole era caldo ed egli ne avvertiva la tiepida carezza sul volto e sulle braccia nude. Socchiuse gli occhi. li riaprì quando avvertì il ritmico rumore degli zoccoli del cavallo sull’asfaltato terrapieno del corridoio di accesso alle stalle. - Eccoci - disse Fulvius. - Perfetto - commentò Tony e raggiunse l’amico e l’animale. - Ciao nonno! - esclamò rivolgendosi al cavallo e gli accarezzò il muso intorno alle froge umide di respiro. Il cavallo parve riconoscerlo e nitrì sonoramente scrollando ripetutamente il collo muscoloso. - Bene, - disse Tony a Fulvius - ora tienilo fermo che guardiamo la zampa. - L’amico obbedì. Tony sbendò delicatamente la fasciatura e diede una rapida occhiata all’arto dell’animale; provò a snodare l’articolazione ferita e si accorse che questa, a parte una comprensibile resistenza iniziale, funzionava discretamente. - Sembra tutto a posto - commentò ad alta voce - c’è solo un piccolo edema della capsula articolare, niente di grave comunque. Fagli un paio di iniezioni antiinfiammatorie e starà presto meglio di prima. E’ inutile fasciarlo di nuovo, l’importante è lasciare il cavallo a riposo. - Beh! meglio così - disse Fulvius e riportò l’animale nel box. Tony aspettò fuori e l’attesa fu brevissima. Insieme I due amici percorsero tutta la lunghezza della scuderia lasciandosi alle spalle il grande cortile; giunsero in prossimità di un grazioso cancelletto bianco, ne varcarono la soglia ed entrarono nel frutteto. Lunghe ed ordinare file di meli e di peschi abbandonavano il profumo dei loro splendidi fiori alla debole brezza primaverile. Tony si sentì bene nuovamente. - Bella la mia valle! - pensò e continuò a seguire il cadenzato incedere di Fulvius fino alla fine del terreno alberato. - Ci siamo! - disse Fulvius giungendo in prossimità della lunga staccionata di legno che delimitava un vasto recinto in fondo al quale uno splendido cavallo bianco chiazzato di grigio pascolava tranquillamente brucando la tenera erba. - Bell’animale! - esclamò Fulvius con tono compiaciuto di voce - è il migliore stallone che ho. Tony sorrise e batté la mano sulla spalla di Fulvius. - Vuoi che te lo prepari? - chiese l’amico. - No ... grazie. Ci penso io - rispose Tony e si avviò con passo spedito in direzione della stalla mentre Fulvius, superata di un balzo la staccionata, si mosse alla volta dello stallone. Pochi minuti dopo, cavallo e stalliere, raggiunsero Tony. Fulvius assicurò il moschettone che penzolava all’estremità della pastoia del cavallo ad un anello infisso in uno dei pali che sostenevano lo spiovente del porticato. - Ecco, - disse Fulvius - Cobra è tutto tuo. Ci vediamo più tardi. Ricordati dello stufato, si cena alle sette. - Grazie, - rispose Tony - vedrò di esserci - e mentre Fulvius si allontanava, cominciò a preparare lo stallone. Scelse con cura una sella leggera e la issò sulla groppa dell’animale, infilò un morbido sottopancia nella lunga cinghia che poi tirò con forza per garantire una sicura tenuta della sella. Faticò un poco, come sempre, a posizionare correttamente il morso nella bocca del cavallo facendo ben attenzione di non stringere troppo né il sottobocca né il sottogola per non causargli delle fastidiose quanto inutili abrasioni. Cobra, ormai conscio della vicina cavalcata, cominciò ad agitarsi nervosamente. Tony lo calmò con alcune affettuose pacche sul muso ed uno zuccherino poi, con gesto elegante, fece scivolare sul collo dell’animale le lunghe redini, sistemò le staffe, calibrandone la lunghezza, sui fianchi dell’animale e, più per scrupolo che per necessità, ricontrollò minuziosamente che tutto fosse a posto. - OK vecchio mio - disse ad alta voce - siamo quasi pronti. Diede a Cobra un altro zuccherino ed entrò nel locale degli attrezzi adiacente alla stalla per uscirne poco dopo con indosso un pesante giubbotto di pelle scamosciata, quindi sganciò il moschettone, si pose presso il fianco sinistro del cavallo, mise il piede nella staffa e, appoggiandosi su di essa con tutto il peso del corpo, saggiò nuovamente la tenuta della sella. Rassicurato gettò le redini sul fianco opposto e, aiutandosi con le mani saldamente attaccate alla sella, caricò con forza la gamba destra ancora a terra, diede un forte colpo di reni e si ritrovò in sella. - Su bello, - disse Tony - si va! - e strattonò le redini. Il cavallo, stimolato, rispose indietreggiando e scuotendo ripetutamente il lungo collo muscoloso. Tony lo fermò, lo calmò e, poi, con una leggera pressione dei tacchi degli stivali sull’addome dell’animale, lo condusse al passo attraverso il cortile. L’aria sferzò la sua faccia non appena il cavallo si lanciò al galoppo. A Tony piaceva quella sensazione concreta di precarietà. Sentirsi tutt’uno con il cavallo era una cosa che aveva il potere di annullare le sue negatività, le sue insicurezze. Uomo e animale in una sorta di artefatta simbiosi; sotto di loro rapidi momenti di sassi, di erbe e fiori che Tony, di tanto in tanto, scorgeva d’istinto. Un galoppo furioso, pieno di rabbia; il cavallo per sfogare la sua voglia di corsa, l’uomo per scaricare tensioni e amarezze in uno splendido nulla. Galopparono a lungo ed il dorso dell’animale si ricoprì presto di un manto di sudore, a Tony dolevano I muscoli delle cosce ma continuò a spronare la corsa anche quando il sentiero si infilò nel bosco di robinie. Alcuni rami staffilarono sul volto di Tony il loro disappunto per quella invasione e ciò lo obbligò a rallentare l’andatura fino a costringere il cavallo ad un trotto leggero. Giunti in prossimità di una piccola radura piegarono a destra ed in breve uscirono dal boschetto e si trovarono in prossimità del greto del fiume. Una leggera pressione di talloni e ginocchia e per lo stallone fu ancora galoppo a testa bassa lungo la riva sabbiosa. Improvvisamente Tony cominciò a distinguere la lontana sagoma dell’enorme tronco che, ad un certo punto, sbarrava il loro percorso e si preparò mentalmente al salto concentrandosi sull’ostacolo che andava, via via, avvicinandosi. Anche il cavallo se ne accorse e cominciò a sbuffare innervosito ma non rallentò l’andatura. Giunti ad una ventina di metri Tony spronò ulteriormente la sua cavalcatura ed il cavallo accelerò. A ridosso del tronco Tony impresse una forte pressione con ambedue le ginocchia, si inarcò sul dorso del cavallo e, maneggiando con perizia le redini, lo costrinse al salto. Il cavallo scaricò tutta la potenza sul solido appoggio delle zampe posteriori, sollevò quelle anteriori fino a raccoglierle a ridosso del torace e si staccò dal terreno.Tony visse l’attimo del balzo come in un’immagine cinematografica rallentata, vide il terreno allontanarsi da loro e trattenne il respiro. Fu come se il tempo si fosse fermato; cavallo e cavaliere, protagonisti di una plastica danza, volteggiarono nell’aria come senza peso. Tony chiuse gli occhi e si trovò immerso nell’ infinito di un niente a rivivere, dopo tanto, troppo, tempo la struggente magia di una sensazione sospesa…

lunedì 4 giugno 2007

Camera con svista

La notte scorre inutilmente, gli anagrammi del vero si accavallano e forse il significato è già passato, inosservato.
Il Senso latita da sempre, stolti coloro che cercano.
Cogli la verità come in uno sfasamento temporale: ciò che è stato, è.
Una preveggenza da ubriaco, con la testa pesante del mattino dopo.
Ciò che hai visto si ripete, un effetto doppler mai colto.
Perché niente s'impara.
Troppe variabili, diceva il Logico di "Furia" (Frank Herbert).
La vecchia dai denti marci dispone le carte, ingiallite come le sue dita. Il suo dire è vero, ma si tratta di una verità contorta e nodosa, un'evidenza pesante come il suo alito.
All'improvviso comprendi e vorresti fracassare il cranio dell'orrida babbiona, ma le sue menzogne svaniscono prima che tu possa spiegare al mondo ciò che non sei.
Dovevi accontentarti dei tuoi enigmi, la realtà è solo per chi la sa sopportare. Per quale motivo dovrebbe essere gradevole, solo per piegarsi ai tuoi desideri irrisolti, prismatico mutare dell'incoerente alternarsi delle tue illusioni, delle tue risolute indecisioni? Quanti ossimori del tuo Essere puoi ancora pretendere che il Caso possa tollerare?
Navighi tra le ombre, valichi portali, abbracci convinzioni senza averne alcuna.
Continua a nutrirti di illusioni e lascia il mondo a chi ha i denti per masticare la propria schiavitù: sai bene che non ti piacerebbe.
Hai sempre saputo che i tuoi mondi fatti di parole sono nient'altro che il riflesso, o addirittura la semplice proiezione delle infinite possibilità.
Ti restano solo le parole, non far finta di niente.
Tornerai a intrecciare canestri di parvenze, e anche gli altri ti crederanno, tuo malgrado. Crederanno a un'oscura maledizione, della quale solo tu possiederai la chiave. E, meno te ne importerà, più sarai libero di solcare la linea di confine dell'assurdo con la certezza di avere sfiorato l'Assoluto.
Scrivi, le porte dell'inferno sono spalancate sotto la tua estrema vertigine. Non tentare di sfuggire, ma sonda. Avrai il Potere della Parola, potente come una formula magica. Ti aspetta, per incoronarti e condannarti.

Finestre sul Nulla




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...io solo qui alle quattro del mattino, l'angoscia e un po' di vino, voglia di bestemmiare.

Secondo voi ma chi me lo fa fare di stare ad ascoltare chiunque ha un tiramento?
Ovvio, il medico dice "sei depresso", nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento.
Ed io che ho sempre detto che era un gioco sapere usare o no ad un certo metro:
compagni il gioco si fa peso e tetro, comprate il mio didietro, io lo vendo per poco.
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Francesco Guccini


venerdì 1 giugno 2007

Ipotesi, Racconto e Fuga (scritto in 3 progressioni)

L’ ipotesi

“…le esatte geometrie che accompagnano un lancio tecnicamente perfetto, sono espressione ultima ed estrema sintesi filosofica della pesca a mosca…”





Mah!
Sarà anche così ma a me piace pensare in astratto ed associo a questa passione della pesca a mosca (definita spesso insulsa ed insana da vari membri della mia famiglia) la solita serie di patetiche e rinfuse spiegazioni del caso per attenuare il senso di colpa della mia vigile ma spesso soffocata coscienza pseudoecologista.
In effetti, sono ormai svariati anni che pratico la tecnica del “prendi e molla” (‘catch and release’ per gli anglofili anglofoni) il che viaggia ovviamente a braccetto con la coscienza di cui sopra permettendomi di tacitare i lati tutt’ altro che limpidi delle mie razionali convinzioni.
In realtà è una strana passione difficile da descrivere ai più e, quindi, il rischio di annoiare parenti, amici e conoscenti con il racconto dettagliato di quanto avvincente ed importante possa essere l’ attività alieutica è una certezza più che una ipotesi da sottoporre ad attenta verifica.
Ma poco importa l’ assunto, la verità è che questa cosa che si chiama pescare a mosca, a dirla tutta, non si discosta affatto da altri più conosciuti e blasonati hobbies (golf, sci, tennis, ciclismo etc.) portando quindi il malcapitato praticante ad investire il proprio tempo libero e somme di denaro sempre più cospicue alla ricerca di innovazioni estreme che permettano performances clamorose con la magari segreta speranza di diventare leggende del settore od esempi viventi da additare a schiere di neofiti od associazioni varie.
Destini comuni ad altri sports quindi ma comunque ben lontani dall’ altra faccia della medaglia su cui il mondo ha impresso e considera complementare una tra le tante crudeli attività umane: la caccia.
Caccia & Pesca sono da millenni considerati un binomio inscindibile in quanto volte entrambi a ribadire la innegabile superiorità dell’ uomo sul mondo animale che lo circonda.
Ecco che quindi uccidere altro non diventa che una dimostrazione di potere, di supremazia sulla natura ed io non nascondo il mio passato fatto di mattanze di poveri pesci finiti in padella (qualche volta in posti meno nobili ma non prima di essere stati esibiti a guisa di stupido trofeo a qualche noncurante spettatore).
Un po’ mi vergogno di questo passato (il disprezzo giovanile passa anche attraverso episodi che la maturità poi tende inevitabilmente a minimizzare e, il più delle volte, a celare nelle pieghe della mente) ma è stato e non credo sarà più.
Anni di incessanti ricerche condotte a margine di attività principali, scolastiche prima e lavorative poi, hanno condotto finalmente il mio riluttante superego a considerare canoni alternativi ai classici insiti nel binomio succitato e perseguiti dai più per convergere assieme ad uno sparuto gruppo di pionieri alla pratica del “prendi e molla”.
Posso dire con orgoglio e finalmente che ora io “pesco”, non che do la caccia ai pesci.
Sono un felice e compromesso pescatore di pesci.
Compromettersi è insito nella natura dell’ uomo e comporta spesso la chiusura di un occhio e lo scostamento di prospettiva dai propri ferrei principi basilari; ma non è poi così vergognoso o vigliacco, a volte è parte integrante di un percorso maturativo che ognuno di noi fa e, il più delle volte, anche senza rendersene conto.
Le mie prede sono in fondo anche loro frutto di questo compromesso globale che è la vita sul pianeta, scelgono la preda più facile, quella meno faticosa, ed inciampano così nella trappola tesa dall’ essere umano con una facilità a volte disarmante ed incomprensibile; ancora oggi non so capacitarmi di come sia possibile che un pesce possa scambiare quell’ insieme raffazzonato di peli e piume assemblati in una qualche forma per un vero insetto.
Eppure è così ed il tranello architettato, la trappola malcelata, diventa reale pericolo e scatta sulle malcapitate vittime e le strappa dal loro ambiente per proiettarle traumaticamente in un mondo esterno che per noi è vita e per loro morte sicura.
Tornando sul binomio caccia & pesca e sulla differenza sostanziale che ho artificialmente adottato tra queste due brutalità dell’ uomo non sempre necessarie ai fini della sopravvivenza nel pianeta posso tranquillamente dire che non mi va di giudicare gli altri ma assolvo me stesso ogni volta che allamo (termine tecnico che definisce correttamente il convincere un pesce ad abboccare ad un’ esca che cela un uncino ricurvo il cui scopo è infilarsi nella bocca del suddetto animale) una preda e, dopo averla sconfitta ed umiliata con il rituale della cattura, la lascio di nuovo libera e viva nel suo liquido elemento.
So che qualcuno potrebbe considerare brutale questa cosa definendo barbaro e crudele questo stupido e afinalistico divertimento e non posso né voglio dare torto a questo convincimento.
Io so che per me non è così, che per me è diverso e mi basta aver raggiunto l’ obiettivo di perseguire la mia passione senza uccidere più, di avere compreso il potere di dare la morte o la vita senza per questo sentirmi simile a Dio...