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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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mercoledì 30 aprile 2014

Sguardo innamorato

Sguardo indietro



Con i suoi sguardi
lei mi ritaglia
una finestra

Dentro fioccano nastri di neve
brandelli di vento discorsi di uccelli

Rullare di treni
Poi in primavera
e ancora nell’autunno della scuola
grida di legno
sotto la sega

Le estati da solo nel cortile
Il vuoto nel petto

L’amaro debole
primo essere innamorato



Traduzione di Riccarda Novello
Christoph Whilelm Aigner


poi le frasi, le poesie,
infine i sospiri, i gemiti;
a volte il pianto
ed il riso...
 
innamorato
(ant. inamorato) agg. e s. m. (f. -a) [part. pass. di innamorare]. –
1.agg
a. Che nutre amore o che è preso d’amore per una persona: indica sempre un sentimento d’amore intenso, che può essere incipiente, e perciò più vivo e tormentoso (non mangia, non dorme: dev’essere i.), oppure già da tempo radicato e perciò, se corrisposto, più sereno (dopo tanti anni che sono sposati, è sempre i. di sua moglie): Cantando come donna innamorata (Dante); Orlando, che gran tempo inamorato Fu della bella Angelica (Ariosto); sono innamorati l’uno dell’altra; è innamoratissimo di lei; è ancora, o non è più i., è i. più che mai; fam., è i. cotto, è follemente i.; sono i. pazzi; può indicare anche affetto e attaccamento particolarmente vivi: la nonna è i. di quella sua nipotina; con altro senso, essere i. di sé, avere un eccessivo e vano compiacimento di sé stesso, delle proprie doti intellettuali o fisiche, vere o presunte. Per estens., che ha grande passione, trasporto, simpatia per qualche cosa: è i. del mare, della montagna, dell’Italia, della Sicilia, oppure dell’arte, del bello, della musica, della pittura impressionista, o di Dante, di Goethe, di Cézanne, di Schubert, ecc.; con sign. attenuato: sono i. della mia casetta al mare.
b. letter. In senso attivo, che esprime o ispira amore: se tu ci rechi la ribeba tua e canti un poco con essa di quelle tue canzoni innamorate (Boccaccio); Non ti molceva il core La dolce lode or delle negre chiome, Or degli sguardi innamorati e schivi (Leopardi).

2. s. m. Chi è innamorato, chi è acceso d’amore per altra persona: si sentiva il cuore in tumulto, come un i.; gli i. sono sempre un po’ distratti; anche, amante, fidanzato (o fidanzata), corteggiatore, spasimante: scrive tutti i giorni all’innamorata; è andata al cinema con l’innamorato. In partic., tipico personaggio serio della Commedia dell’arte, vestito alla moda e privo di maschera (detto poi, quando si costituirono i ruoli, amoroso, amorosa).

martedì 29 aprile 2014

Istante, attimo, nulla


D. Cangi, Attimo vibrante

Istante

Colto in un nulla
si stempera, vive;
la luce abbagliante,
le cose distinte,
le frasi accennate.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate



ISTANTE. - Elemento minimo del tempo, definibile come punto che, nell'estensione temporale, è sprovvisto di durata, e viene perciò a coincidere con l'estratemporale "presente".
L'origine del concetto d'"istante" è infatti nella valutazione eleatica, e propriamente parmenidea, del νῦν (l'"ora") come assoluto presente, non nascente dal passato né morente nel futuro.
Ma la sua estratemporalità si trasforma invece in eterna continuità temporale con l'ἀεί di Melisso; e le difficoltà che sorgono dalla sintesi di quella concezione estratemporale con le esigenze della temporalità (essenziale, per es., al moto obiettivamente considerato) si fanno chiare nel pensiero di Zenone di Elea. Di qui le ironie di Platone, che combattendo Zenone ironizza il νῦν eleatico nell'ἐξαίϕνη del Parmenide (l'"improvvisamente": in genere interpretato, con valutazione positiva, come "istante" o "attimo"); di qui, infine, le dissoluzioni critiche di Aristotele, che anche attraverso la riflessione dei problemi zenoniani mostrò come il νῦν fosse mero limite dell'estensione temporale e quindi non suo possibile elemento esteso (donde, tra l'altro, la sua indivisibilità).
Il problema del rapporto tra "istante" e "tempo" si spostò così, d'allora in poi, in quello del rapporto fra eternità concepita come presenza estratemporale ed eternità concepita come infinita durata. Cfr. quindi tempo (enciclopedia TRECCANI).

lunedì 28 aprile 2014

Levante

Levante

La linea
vaporosa muore
al lontano cerchio del cielo
Picchi di tacchi picchi di mani
e il clarino ghirigori striduli
e il mare è cenerino
trema dolce inquieto
come un piccione
A poppa emigranti soriani ballano
A prua un giovane è solo
Di sabato sera a quest’ora
Ebrei
laggiù
portano via
i loro morti
nell’imbuto di chiocciola
tentennamenti
dei vicoli
di lumi
Confusa acqua
come il chiasso di poppa che odo
dentro l’ombra
del
sonno.

Giuseppe Ungaretti


sole che nasce
o che muore sul mare,
sole che irrora le onde,
un poco di vento, una vela,
lo scoglio e la luce...

Come a continuare il testo "Silenzio", questi versi raccontano il viaggio di Ungaretti da Alessandria a Parigi. Il poeta è sempre sul bastimento verniciato di bianco e guarda in avanti, verso Parigi, sebbene nel suo cuore sia forte la "nostalgia" di Alessandria (scomparsa in lontananza in Silenzio). Non c'è altro che il mare: la linea vaporosa (è l'effetto del vapore acqueo nell'aria) del mare finisce laggiù, lontano, dove si confonde con la linea del cielo. In questo vuoto sta solamente la nave (lo stacco è ancora una volta segnalato dalla riga vuota) la cui presenza è rivelata dal suono di picchi di tacchi e picchi di mani, dei ghirigori striduli (straordinario questo verso suggestivo ancora più che onomatopeico: le note acute e dolci al tempo stesso di un clarino che sembrano disegnare nell'aria un arabesco).
All'impressione sonora si somma la visione del mare cinerino che si increspa, quasi fosse inquieto, ma è un'inquietudine dolce, come quella del piccione.
Sulla nave il poeta annota due situazioni contrastanti e separate, anche fisicamente, nella realtà come sulla carta: a poppa emigranti siriani ballano, a prua sta un giovane, da solo. Solo con i suoi pensieri: a quest'ora di sera, in un sabato come questo, laggiù, nella città che egli si è lasciato alle spalle (il giovane è a prua), Ebrei seppelliscono i loro morti (dopo il tramonto, perché prima è proibito, agli Ebrei, di fare qualsiasi lavoro). La seconda immagine è quella dei lumi tentennanti nei vicoli scarsamente illuminati. Nell'ultimo strofa avviene lo svelamento: "che io odo". Dunque quel giovane a prua altri non è che il poeta Ungaretti.
La poesia è costituita di sei strofe ognuna di diversa struttura e di varia misura, e spesso formate di una sola parola che, isolata e "nuda", acquista tutto il suo valore poetico e semantico.
La punteggiatura è sostituita da spazi bianchi i quali, oltre a scandire i periodi separandoli uno dall’altro, hanno due funzioni:
  • Una semantica (le parole acquistano respiro e, così isolate, esprimono a fondo il loro significato);
  • Una espressiva come pausa di silenzio, infatti in questo silenzio le immagini appaiono libere da ogni vincolo metrico e talvolta sintattico.
Inoltre la poesia è costituita da un certo numero di ellissi come "picchi di tacchi picchi di mani e il clarino ghirigori striduli" e da un’analogia "trema dolce inquieto" (il mare è dolce ma trema come gli inquieti piccioni). Le allitterazioni "linea ... lontano" e "cerchio ... cielo" conferiscono al contesto una sonorità soffusa, cui si contrappone la violenza sonora dei due versi successivi.
I versi sono liberi e non c’è nessuna rima.
Questa poesia fa parte di una raccolta del 1919: Allegria dei naufraghi. La sua prima stesura risale al 1915 mentre la seconda è del 1931, apparsa sulla rivista "L’Italia letteraria". L’edizione definitiva è quella del 1942.
La poesia contiene un riferimento biografico, il viaggio attraverso il mare con cui il poeta passa da Alessandria d’Egitto alla Francia.
Il giovane è Ungaretti stesso, nettamente contrapposto nella sua solitudine alla rumorosa allegria dei siriani nella parte opposta della nave. La scena seguente si riferisce a "riti funebri ebraici ai quali assistevano in Alessandria". Predominano infatti nella descrizione i caratteri visivi, tutti concentrati sugli spazi dei vicoli della città vecchia e all’interno delle case, dove il passaggio da una stanza all’altra era spesso consentito solo da ripide scale a chiocciola.
Il buio dell’imbuto corrisponde al buio dei vicoli, rotto dall’ondeggiare dei lumi portati dal corteo funebre in movimento.
Nella parte finale della poesia la visione dei funerali ebraici fa un tutt’uno con l’acqua marina e con le danze degli emigranti siriani. Resta ancora la struttura comparativa rivelata dal come.
Perciò alla descrizione del mare e della situazione sulla nave, subentra l’evocazione improvvisa di una cerimonia funebre nei vicoli di Alessandria, motivata dal libero vagabondare dei pensieri del poeta, che si raffigura in solitudine sulla stessa nave (dalla rete).

domenica 27 aprile 2014

Poesia e riflesso

Il sole declina

Non a lungo avrai ancora sete,
mio cuore bruciato.
C’è una promessa nell’aria,
mi soffia contro da bocche sconosciute:
il grande fresco viene.

A mezzogiorno il mio sole era caldo
sopra di me. Benvenuti, voi che venite:
voi venti improvvisi,
voi freschi spiriti del pomeriggio.

L’aria corre straniera e pura.
Non mi guarda la notte
di lato, con un obliquo
sguardo di seduzione?
Resta saldo, mio cuore ardito,
non chiedere perché.


traduzione di Pino Menzio
Friedrich Nietzsche




melanconiche visioni
nel grigio senz'acqua ancora,
perpetuo
rituali stanchi
così,
ogni giorno...

sabato 26 aprile 2014

Margherita

Nel linguaggio dei fiori, la margherita ha diversi significati, tutti positivi e collegati con il concetto di ‘verità’. E’ innanzitutto il fiore delicato della purezza e dell'innocenza, della semplicità e della modestia, ma anche dell'amore fedele e della pazienza. Da sempre apprezzato per la bellezza della sua apparentemente semplice fattezza, il significato della margherita simboleggia l'innocenza giovanile, libera dai sensi di colpa, dal peccato, dalla corruzione. Un tempo, infatti, era comunemente raccolto nei prati dalle fanciulle e infilato tra le ciocche dei capelli. A seconda dei soggetti interessati, il messaggio insito nelle margherite diventava particolarmente significativo quando venivano regalate e accettate: elogio alle numerose virtù, tante quanti erano i petali di ognuno di questi fiori, consegnava sincerità e irreprensibilità in mano di chi la riceveva, ma poteva anche costituire una promessa di amore fedele. Quindi, quando il silente linguaggio nei fiori era conosciuto a livello popolare, una fanciulla accettava le margherite con grande onore, considerandolo un gesto in onore della sua rispettabilità o una prova di affetto. Ma, se il dono veniva offerto in pubblico, allora si caricava del significato di affidare un segreto in buona fede a chi lo avrebbe custodito al sicuro, celandolo a tutti, senza mai rivelare la verità e accettandolo si prendeva in considerazione la richiesta. Tra innamorati, è sempre stata l’equivalente di una confessione e di pegno di sentimento eterno. Il fiore reciso, riunito in un bel mazzo, è rimasto comunemente celebrativo del 5° anniversario, mentre in bouquet di margherite viene regalato ad una neo-mamma in segno di accoglienza del neonato. Per la forma del fiore, con i petali a raggiera attorno al disco centrale giallo, la margherita infatti allieta come se portasse il sole nella vita delle persone. Gli anglosassoni le avevano dato un nome appropriato: ‘daisy’, che derivava da ‘day’s eye’ e significava ‘occhio del giorno’, visto che si apriva al mattino e si chiudeva di notte, e da questo ne aveva indotto anticamente di utilizzarla per lenire i problemi agli occhi. In alcune zone dell’Inghilterra, era chiamata anche ‘thunderflower’ dato che raggiunge il picco di fioritura stagionale in estate, quando sono più frequenti i rovesci temporaleschi, ma si pensava pure che proteggesse da tuoni e fulmini.

Storia e mitologia


L’origine della margherita risale a più di quattromila anni fa. Sono stati ritrovati reperti di antiche ceramiche così decorate in Egitto e nel Medio Oriente, oltre a forcine d'oro per capelli con questi ornamenti negli scavi del palazzo minoico sull'isola di Creta. Nell'antica Roma, i chirurghi che accompagnavano le legioni romane in battaglia mandavano gli schiavi a riempire i sacchi di margherite fresche da spremere per impregnarne del succo le bende utilizzate per curare le ferite da taglio inflitte da spade e lance. Le foglie fresche triturate servivano per trattare esternamente ulcerazioni, contusioni, pelle screpolata, mentre la pianta, nel corso dei secoli, è stata più impiegata come rimedio popolare per alleviare la pertosse, l’asma, il nervosismo, la sudorazione notturna, l’ittero. Si narra anche che Enrico VIII (1491-1547), re d’Inghilterra e d’Irlanda, si cibasse di piatti a base di margherite per eliminare i dolori di stomaco causati dall’ulcera ma, nello stesso periodo, si credeva pure che si potesse curare la pazzia bevendo, in piccole dosi e per più di 15 giorni di seguito, il succo ottenuto dall’infusione di questi fiori nel vino. Pur avendo un sapore amarognolo, le foglie giovani di margherita vengono ancora servite in insalata in alcune parti d'Italia. Secondo la mitologia romana, una ninfa Belide fu trasformata nel piccolo fiore Bellis – nome scientifico della margheritina pratolina – per soddisfare la sua richiesta agli dei di aiutarla a sfuggire alle attenzioni non desiderate di Vertumno, dio dei boschi e delle stagioni, che la aveva adocchiata ballare con le compagne sul ciglio della foresta. In una leggenda celtica, gli dei avevano sparso a terra le margherite, simbolo di innocenza, per alleviare il dolore ai genitori dei bambini morti durante il parto. Erano anche diffuse numerose credenze popolari, a partire da quella per cui sognare margherite in primavera o in estate fosse di buon auspicio ma, se succedeva in autunno o in inverno, allora significava di sicuro un destino sfortunato. Nel Medio Evo, gli agricoltori inglesi sostenevano che la bella stagione non era ancora arrivata finché non era possibile posare il piede su sette (o nove o dodici) margherite fiorite in un colpo solo nel prato; che trapiantare quelle selvatiche in un giardino coltivato portasse sfortuna e che una ragazza avrebbe potuto sapere per quanti anni doveva ancora aspettare di sposarsi contando quanti di questi fiori erano rimasti in una manciata strappata ad occhi chiusi. I cavalieri innamorati partivano in battaglia con addosso una margherita e le loro amate li attendevano disegnando questo fiore. Dopo avere ricevuto una proposta d’amore, era tradizione che la fanciulla rispondeva in modo affermativo ponendo una ghirlanda di margherite sul capo. Secondo un racconto cristiano, invece, i Re Magi in viaggio capirono di aver trovato dove si trovava la Sacra Famiglia di Gesù neonato quando, dopo aver chiesto un segno in aiuto, notarono improvvisamente moltissime piccole margherite bianche nei pressi di una stalla e ne riconobbero la somiglianza con la stella luminosa a cometa che li aveva condotti a Betlemme.

Significato Margherita : Cultura


"Lui mi ama, non mi ama", cantavano le ragazze tirando via i petali di una margherita, uno per volta, ruotata da destra a sinistra, tenendone il gambo con l’altra mano, finché l’ultimo rimasto è quello decisivo per predire l’esito della questione. Pare che questa pratica profetica, compresa la frase, fosse stata avviata per la prima volta in epoca vittoriana da una cameriera dal cuore spezzato, ma che desiderava trovare di nuovo un corteggiatore che la amasse. Ugualmente Margherita interrogava il fiore omonimo per sapere se Faust la amava nella prima parte del romanzo ‘Faust’ (1808) scritto dal poeta e scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832). Questa forma popolare di profezia, tramutatasi in forma recitata, è continuata ovunque nel tempo, in modo più affievolito, spensierato e scherzoso. Nel Prologo al poema ‘La leggenda delle donne eccellenti’ (scritta nel 1386) – scritto in commemorazione di coloro che, nella storia e nella mitologia, sono state abbandonate – lo scrittore e poeta inglese Geoffrey Chaucer (ca. 1343-1400) professò la sua predilezione per la margherita, difesa da Alcesti e attaccata nella lealtà da Cupido. L'eroina greca fu associata con il simbolo solare di una margherita, che diventò così il ‘fiore di Alcesti’. Il poeta inglese John Keats (1795-1821), in procinto di morire, disse che sentiva già le margherite crescere sulla sua tomba. Come fiore ‘dolce’, questo fiore è evocato anche dal poeta inglese William Wordsworth (1770-1850) nelle tre poesie dal titolo omonimo scritte nel 1802. Considerate nate dalle lacrime della Vergine Maria, le margherite erano spesso rappresentate come simbolo dell’innocenza di Gesù Bambino nelle opere d'arte nel periodo medievale. Rientravano anche tra le varietà utilizzate per i Giardini di Maria idealizzati – fiori, altari, recinti, quadri – in nome delle virtù e degli eventi significativi della vita della Vergine e talvolta di San Giovanni, secondo il simbolismo floreale. Durante i millenni, le margherite sono diventate emblemi di celebrazioni ecclesiastiche per la purezza incarnata – in riferimento al cuore, alla mente e all’anima – fino alla santità interiore, come fiore di San Giovanni Evangelista (6 maggio) in onore di San Giovanni Evangelista e di Santa Margherita (20 luglio) (dalla rete).    


Margherite

Appena c'è nell'aria
odor di primavera
ecco le margherite
nevicare nei prati
mettendo il loro fiorellino
anche all'occhiello
del ciuffo d'erba più meschino.

Corrado Govoni

macchie di bianco e giallo
su prati di campagne e città,
m'ama... non m'ama...
e sole nel cielo...

venerdì 25 aprile 2014

Gino e Tonino


detto Gino il Partigiano "Noemo" 

Gino e Tonino

Gino e Tonino,
fratelli davvero,
il partigiano già uomo
l'altro bambino.
Gino e Tonino
insieme, per mano,
durante la sagra
nel grande paesino.
Gino e Tonino,
lo sparo, il buio,
una mamma piange
quel crudele destino.
Gino e Tonino
insieme ora
ancora per mano
per luce un lumino.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

giovedì 24 aprile 2014

Angelo del dolore

L'Angelo del dolore (Angel of Grief)

è l'ultima opera creata dallo scultore americano William Wetmore Story, nato a Salem, Massachussetts, nel 1819, e trasferito in Italia nel 1848.
Il monumento funebre è in memoria della sua amata moglie Emelyn e si trova nel Cimitero acattolico di Roma. Lo ha terminato poco prima di morire, e Story è sepolto insieme alla moglie ed al loro piccolo figlio Joseph.
Il Cimitero acattolico di Roma (già Cimitero degli Inglesi o Cimitero dei protestanti) si trova nel quartiere di Testaccio, circondato dalle Mura Aureliane. Le regole della Chiesa cattolica vietavano di seppellire in terra consacrata i non cattolici (protestanti, ebrei e ortodossi, ma anche suicidi ed attori), queste persone dopo la morte erano rifiutate dalla comunità cristiana cittadina ed erano seppellite fuori dalle mura della città, o al margine estremo di queste.
Angel of Grief è una stupenda scultura in marmo e pietra. L'angelo è inginocchiato davanti a un piedistallo, con la testa appoggiata sul suo braccio, mentre piange con il volto nascosto. La sua mano penzola impotente oltre il fronte del piedistallo, e la curvatura delle dita così ben dettagliata conferisce un'incredibile sensazione di tristezza e di vuoto all'intera parte frontale della scultura. Alcuni fiori di pietra sono sparsi alla base del piedistallo, come se l'angelo li avesse fatti cadere attanagliato dal dolore in un momento di sconforto. Anche le ali, che normalmente si ergerebbero alte, diritte e fiere, sono tristemente curve e piene di grazia sulla schiena dell'angelo, dando l'impressione che abbia perso la speranza. Il corpo si è come abbandonato totalmente al suo dolore e la sensazione che trasmette l'opera è di straziante umanità.
Il risultato di notevole realismo ha reso quest'immagine famosa, e non c'è da stupirsi che sia diventato un modello di monumento funebre copiato in tutto il mondo, rendendolo popolare soprattutto negli Stati Uniti, dove sono presenti molte riproduzioni dell'opera (dalla rete).


Se il dolore non fosse questa spina,
questa lunga dorsale della vita
forse non saremmo altro che niente,
e dobbiamo ringraziare
che ci venga a visitare e ci porti
notizia delle cose

che nell’ombra ci appaiono e nel turbine.


Daniele Piccini



Angelo del dolore (Angel of Grief), 1894.
William Wetmore Story (1819-1895).
 

dolore come piega dell'anima,
come richiamo al presente;
si sente quando vaga
nel cuore e nella testa...

mercoledì 23 aprile 2014

Invidia

L’invidia degli dèi

Parla piano, dissimula e menti sui nostri giorni
gli dèi sono presenti anche tra le foglie dell’ulivo
tra i disadorni petali della camelia rosa, nella maglia
di piume che il pettirosso in posa ostenta al mondo.
Sono all’ascolto nella limonaia, al riparo
nel folto della macchia, dentro il filo d’acqua
che sgorga raro e improvviso come una notizia
dalla faccia di pietra, sono lí lungo il bordo
del cuscino che ti incornicia il viso. Ricorda sempre
che la loro invidia non arretra di un passo
e ti ammaestra a non scoprire mai la nostra gioia.


Lucio Mariani

...e prese il dardo,
con precisione incoccò;
lo scaglio infranse
un cuore solo...


invidia

Sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé, accompagnato spesso da avversione e rancore per colui che invece possiede tale bene o qualità. mitologia
I. degli dei(gr. ϕϑόνος ϑεω̑ν) Nella concezione di Erodoto, il malvolere degli dei verso gli uomini la cui prosperità superi il limite assegnato.
psicologia
I. del pene In psicanalisi, concetto considerato come una componente della struttura della personalità femmile, anche adulta.
M. Klein ha sviluppato una concezione dell’i. che si discosta notevolmente da quella freudiana, per la posizione centrale attribuita all’aggressività.
religione
Nella dottrina cattolica uno dei sette vizi capitali, considerata peccato mortale (direttamente opposta alla virtù della carità), quando i moti invidiosi siano pienamente acconsentiti. (enciclopedia TRECCANI).

martedì 22 aprile 2014

Fonte

fonte
Vena d’acqua a getto continuo e luogo da cui l’acqua scaturisce; anche getto d’acqua artificiale, architettonicamente configurato (fontana).
Per estensione, principio, origine, ciò da cui qualche cosa emana o proviene direttamente.

Le fonti

Un giorno spezzerò tutti i ponti,
Che legano il mio essere, vivo e totale,
All’agitarsi del mondo dell’irreale,
E calma salirò alle fonti.

Andrò fino alle fonti dove dimora
La pienezza, il limpido splendore
Che mi fu promesso ad ogni ora,
E nel volto incompleto dell’amore.

Andrò a bere la luce e del sole il sorgere,
Andrò a bere la voce della promessa
Che a volte come un volo mi attraversa,
E là compirò tutto il mio essere.


Sophia de Mello Breyner Andresen


Fonti di Poiano



bere acque pure,
fresche e dissetanti,
poi correre ancora,
ancora arrancare...

lunedì 21 aprile 2014

Aforisma

Interrogo la tristezza e scopro
che non ha il dono della parola;
eppure, se potesse,
sono convinto che pronuncerebbe
una parola più dolce della gioia.

Kahlil Gibran


che dire,
è propio vero...
a volte...

domenica 20 aprile 2014

Pasqua 2014

Il poeta crepuscolare Guido Gozzano con la sua “Pasqua” dedica un affresco a uno scorcio di giardino con la parietaria ai muri della vecchia casa e il cielo con nuvole gonfie di pioggia, ma il sereno si fa strada proprio nel pollaio quando anche le galline sentono il richiamo della festività e cantano felici dopo aver prodotto uno dei simboli pasquali: l’uovo!
E' sicuramente un componimento di facile comprensione, allegro e melodico (dalla rete).


Pasqua

A festoni la grigia parietaria
come una bimba gracile s'affaccia
ai muri della casa centenaria.

Il ciel di pioggia è tutto una minaccia
sul bosco triste, ché lo intrica il rovo
spietatamente, con tenaci braccia.

Quand'ecco dai pollai sereno e nuovo
il richiamo di Pasqua empie la terra
con l'antica pia favola dell'ovo.

Guido Gozzano


 
Buona Pasqua.
a chi mi segue
e mi legge,
Buona Pasqua,
a chi s'è stancato
ed è andato.

sabato 19 aprile 2014

Pioggia ed ombrelli

La semplice funzionalità di un accessorio come l’ombrello rende difficile conciliare la sua utilizzazione pratica con un’origine che sfiora il mito; eppure, pochi oggetti del nostro vivere quotidiano possono vantare radici così antiche e leggendarie. L’unico elemento certo è la provenienza non occidentale: la Cina, l’India e l’Egitto si proclamano infatti paese-culla del parasole, ciascuno con motivazioni più che valide. Queste "rivendicazioni" ci permettono di aggiungere un altro dato sicuro ad una storia priva di certezze: l’ombrello è, fin dal suo apparire, collegato alla rappresentazione simbolica del potere, quando non, addirittura, attributo della divinità. Fin dal XII secolo a.C., l’ombrello cerimoniale apparteneva alle insegne dell’Imperatore della Cina e tale rimase per circa trentadue secoli, fino alla scomparsa del Celeste Impero. All’incirca nello stesso periodo, i re persiani potevano, unici tra i mortali, ripararsi dal sole per mezzo di un ombrello, sorretto da qualche dignitario; più democraticamente in Egitto si concedeva tale privilegio a tutte le persone di nobile origine.
In questo paese nasce, forse, il mito più bello, la più profonda simbologia legata all’ombrello: la dea Nut era spesso rappresentate in forma di parasole, con il corpo arcuato a coprire la terra, in atto di protezione e di amore. Il forte significato di status symbol come prerogativa regale, o comunque di potere, assunto dall’ombrello, spiega la sua contemporanea comparsa nell’immaginario religioso. Come in Egitto, anche in India viene associato alle dee della fertilità e del raccolto o, in senso più lato, della morte e della rinascita: nella sua quinta reincarnazione, Vishnu aveva riportato dagli Inferi l’ombrello, dispensatore di pioggia. Alla sfera del mito dobbiamo l’introduzione nel mondo occidentale del nostro accessorio, che compare in Grecia legandosi al culto di Dionisio (un dio di probabile origine indiana), ma anche di dee come Pallade e Persefone, che tra i loro fedeli contavano soprattutto donne.
Sono le donne che, nelle feste dedicate a queste divinità, si riparano in loro onore con un parasole, passato nel III secolo a.C. anche nel mondo romano, dove viene descritto dai poeti come delicato e prezioso oggetto in mani femminili. Sembrerebbe quindi di avere delineato una storia completa: da simbolo di potere, umano e divino, a oggetto di lusso e di seduzione. Eppure, tra i tanti valori e segni di civiltà cancellati dalla scomparsa dell’Impero romani, ci fu anche l’ombrello, di cui non rimase traccia nei "secoli bui", se non per la sua sopravvivenza nel culto cattolico, inizialmente come insegna pontificale, poi nell’uso liturgico. Totalmente sconosciuta all’antichità fu perciò la principale funzione utilitaria dell’ombrello, quella di parapioggia. Mantelli, cappucci e cappelli di pelle risolsero il problema della pioggia nel mondo classico ed in quello medievale (dalla rete, Gignese, Museo dell'ombrello e del parasole).


Piove

Piove sulle mie cose,
di quella pioggia leggera,
rivoli di acqua scivolano
righe profonde di terra.
piove sulla mia vita,
di quel pianto profondo
che lascia spazio al conforto
che regala pienezza.
Piove sul mondo,
beve la terra riarsa,
beve la pianta assetata,
piange un cielo grigiastro.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

venerdì 18 aprile 2014

Marionette



Anche se la paternita’ di questa poesia e’ incerta oggi la voglio riprendere; nel firmamento si è spenta un'altra stella.
Molti la attribuiscono al grande scrittore colombiano G.G. Marquez, premio Nobel per la letteratura nel 1982; forse non è così, ma ci sta bene lo stesso.

«Se per un istante Dio dimenticasse che sono una marionetta di stoffa e mi facesse dono
di un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso,ma penserei a tutto ciò che
dico.
Valuterei le cose, non per il loro valore ma per ciò che significano. Dormirei poco
e sognerei di più, essendo cosciente che per ogni minuto che teniamo gli occhi chiusi,
perdiamo sessanta secondi di luce. Andrei avanti quando gli altri si ritirano, mi sveglierei
quando gli altri dormono.
Ascolterei quando gli altri parlano e con quanto piacere gusterei un buon gelato al
cioccolato. Se Dio mi desse un pezzo di vita, mi vestirei in modo semplice e, prima di tutto,
butterei me stesso in fronte al sole, mettendo a nudo non solo il mio corpo, ma anche la
mia anima. Dio mio se avessi un un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei
l'arrivo del sole. Sulle stelle dipingerei una poesia di Benedetti con un sogno di Van Gogh
e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna.
Annaffierei le rose con le mie lacrime per sentire il dolore delle loro spine e il rosso bacio
dei loro petali. Dio mio se avessi un pezzo di vita, non lascerei passare un solo giorno
senza dire alle persone che amo, che le amo. Direi ad ogni uomo e ad ogni donna che
sono i miei prediletti e vivrei innamorato dell'amore. Mostrerei agli uomini quanto sbagliano
quando pensano di smettere di innamorarsi man mano che invecchiano, non sapendo che
invecchiano quando smettono di innamorarsi! A un bambino darei le ali, ma lascerei che
imparasse a volare da solo. Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia,
ma con la dimenticanza. Ho imparato così tanto da voi, Uomini... Ho imparato che ognuno
vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come
questa montagna è stata scalata. Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima
volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l'ha catturato per sempre.
Ho imparato che un
uomo ha il diritto di guardare dall'alto in basso un altro uomo solo per aiutarlo a rimettersi in piedi
Da voi ho imparato così tante cose, ma in verità non saranno granché
utili, perché quando mi metteranno in questa valigia, starò purtroppo per morire. Di’
sempre ciò che senti e fa’ ciò che pensi. Se sapessi che oggi è l'ultima volta che ti guardo
mentre ti addormenti, ti abbraccerei fortemente e pregherei il Signore per poter essere il
guardiano della tua anima. Se sapessi che oggi è l'ultima volta che ti vedo uscire dalla
porta, ti abbraccerei, ti darei un bacio e ti chiamerei di nuovo per dartene altri. Se sapessi
che oggi è l'ultima volta che sento la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterle
ascoltare una e più volte ancora. Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo,
direi "ti amo" e non darei scioccamente per scontato che già lo sai. Sempre c'è un domani
e la vita ci dà un'altra possibilità per fare le cose bene, ma se mi sbagliassi e oggi fosse
tutto ciò che ci rimane, mi piacerebbe dirti quanto ti amo, che mai ti dimenticherò.
Il domani non è assicurato per nessuno, giovane o vecchio. Oggi può essere l'ultima volta
che vedi chi ami. Perciò non aspettare oltre, fallo oggi, perché se il domani non arrivasse,
sicuramente rimpiangeresti il giorno che non hai avuto tempo per un sorriso, un abbraccio,
un bacio e che eri troppo occupato per regalare un ultimo desiderio. Tieni chi ami vicino a
te, digli quanto bisogno hai di loro, amali e trattali bene, trova il tempo per dirgli "mi
spiace", "perdonami", "per favore", "grazie" e tutte le parole d'amore che conosci. Nessuno
ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per
esprimerli. Dimostra ai tuoi amici e ai tuoi cari quanto sono importanti.»


"Si por un instante Dios se olvidara de que soy una marioneta de trapo y me regalara un
trozo de vida, posiblemente no diría todo lo que pienso, pero en definitiva pensaría todo lo
que digo. Daría valor a las cosas, no por lo que valen, sino por lo que significan. Dormiría
poco, soñaría más, entiendo que por cada minuto que cerramos los ojos, perdemos
sesenta segundos de luz.
Andaría cuando los demás se detienen, despertaría cuando los demás duermen.
Escucharía cuando los demás hablan, y ¡cómo disfrutaría de un buen helado de
chocolate!.
Si Dios me obsequiara un trozo de vida, vestiría sencillo, me tiraría de bruces al sol,
dejando descubierto, no solamente mi cuerpo sino mi alma.
Dios mío, si yo tuviera un corazón, escribiría mi odio sobre el hielo, esperaría a que
saliera el sol. Pintaría, con un sueño de Van Gogh, sobre las estrellas un poema de
Benedetti y una canción de Serrat, sería la serenata que le ofrecería a la luna. Regaría
con mis lágrimas las rosas para sentir el dolor de sus espinas y el encarnado beso de sus
pétalos....
Dios mío, si yo tuviera un trozo de vida..... No dejaría pasar un solo día sin decirle a la
gente que quiero, que la quiero. Convencería a cada mujer u hombre de que son mis
favoritos y viviría enamorado del amor. A los hombres les probaría cuán equivocados
están al pensar que dejan de enamorarse cuando envejecen, ¡sin saber que envejecen
cuando dejan de enamorarse!.
A un niño le daría alas, pero le dejaría que él solo aprendiese a volar.
A los viejos les enseñaría que la muerte no llega con la vejez, sino con el olvido.
Tantas cosas he aprendido de ustedes, los hombres..... He aprendido que todo el mundo
quiere vivir en la cima de la montaña, sin saber que la verdadera felicidad está en la forma
de subir la escarpada. He aprendido que cuando un recién nacido aprieta con su pequeño
puño por vez primera, el dedo del padre, lo tiene atrapado por siempre.
He aprendido que un hombre sólo tiene derecho a mirar a otro hacia abajo, cuando ha de
ayudarle a levantarse. Son tantas las cosas que he podido aprender de ustedes, que
realmente de mucho no habrán de servir, porque cuando me guarden dentro de esa
maleta, infelizmente me estaré muriendo.

"La marionetta" può essere considerata il testamento
spirituale dello scrittore colombiano (Premio Nobel per
la Letteratura nel 1982): con questa poesia, inviata agli amici, egli
infatti si ritira dalla vita pubblica per motivi di salute.