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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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venerdì 31 ottobre 2014

Quanti addii


quanti addii
nelle nostre vite;
amore, passione, poi nulla;
qualche volta
rimane il sapore,
qualche volta è solo torpore...


 
addìo
interiez. e s. m. [dalla locuz. a Dio, sottint. «ti raccomando» o sim.].
a'd:io/ [dalla locuz. a Dio, sottint. "ti raccomando" o sim.] (con la prep. a o assol.). - ■ interiez.
1. [forma di congedo, spec. quando il distacco è definitivo] ≈ ‖ arrivederci, ciao.
Espressioni: fig., dire addio (a qualcuno o qualcosa).
2. [esprime disappunto per una perdita: se bevo anche solo un caffè dopo cena, a. sonno] ≈ (fam.) arrivederci, buonanotte (a).
■ s. m. (pl. addii) [il salutarsi, spesso per sempre: l'a. non fu molto cordiale] ≈ commiato, congedo, distacco, saluto, separazione.
Espressioni: fig., dare l'addio (a qualcuno o qualcosa) [lasciare qualcosa in modo definitivo] ≈ rinunciare, ritirarsi (da: si è ritirata dalle scene), salutare (ø). □ dire addio (a qualcuno o qualcosa) [andare altrove rispetto a qualcuno o a qualcosa] ≈ allontanarsi (da), privarsi (di), rinunciare, salutare (ø), separarsi (da).
 –  Vocabolario TRECCANI -

1. interiez.
a. Forma di saluto usata per accomiatarsi definitivamente: a. e buon viaggio; a. a tutti!; Addio, mia bella, addio, inizio dell’inno «Addio del volontario» di C. A. Bosi da lui composto nel 1848, un tempo molto popolare, e ripetuto, con tono scherzoso, ancora oggi; ormai disus. come congedo epistolare: a. di cuore; termino con un cordiale a.; rafforzato: addio addio; addio, mille volte addio. Oggi è usato generalmente tra persone che si danno del tu; non sempre così in passato. Può essere rivolto talora anche a esseri inanimati che si lascino con rammarico o per lungo tempo: A., monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo (Manzoni); Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! (Carducci). Solo in Toscana si adopera anche col sign. di «arrivederci»: a. a più tardi; a. a domani; a. a presto; talora si insiste sulla differenza: non ti dico a., ma arrivederci; a. si dice a chi muore (spec. per esprimere, a chi parte, la speranza di rivederlo). Locuzioni: dire a. a qualcuno, salutarlo nel separarsene: Era già l’ora che volge il disio Ai navicanti ... Lo dì c’han detto ai dolci amici a. (Dante); andarsene senza neanche dire a., senza salutare, in modo brusco o villano; dire a. per l’ultima volta, a chi muore o, da parte di chi muore, ai superstiti; dire a. alla propria casa, al proprio paese, allontanarsene; dire a. al mondo, ai piaceri, ai divertimenti, al quieto vivere, ecc., rinunciarci, non pensarci più; e di cosa ormai trascorsa: è da tempo che ho detto a. alla giovinezza.

b. In qualche caso esprime rimpianto per cosa che si considera perduta: a. le mie fatiche!; a. pace in famiglia; con questo fracasso, a. sonno; anche assol.: se non riesco questa volta, a.! (è finita, non ci riesco più); con altro senso: rispondigli di no, e a. (e tronca lì, non se ne parli più, o sim.).
 
2. s. m.
a. Saluto, commiato, distacco: l’a. non fu molto cordiale; Lasciâr nelle sale del tetto natio Le donne accorate, tornanti all’a. (Manzoni); l’a. di Lucia nei Promessi Sposi; il giorno dell’a., della separazione; lettera, lezione d’a., di congedo; serata d’a., quella in cui una compagnia dà l’ultimo spettacolo; passo d’a., il saggio finale degli allievi delle scuole di ballo annesse ai grandi teatri eseguito con orchestra e dinanzi al pubblico (ogni licenziando partecipa così per la prima volta a uno spettacolo con un numero virtuosistico personale); il «valzer d’adi Chopin; l’ultimo a., il supremo a., la separazione finale tra il morente (o il defunto) e i superstiti; dare un a., dare l’a., a un luogo, a una cosa, separarsene per sempre: è andato in pensione e ha dato un a. alla scuola; dare l’a. alle scene, ritirarsi dal teatro. Anche plur., gli addii, gli ultimi saluti, la separazione: Nel mestissimo giorno degli addii (Gozzano); «Gli addii» (nell’ediz. originale, in fr., Les adieux), titolo della sonata in mi bemolle maggiore op. 81 di Beethoven.
b. Poesia recitata dalla prima attrice nel prendere congedo dal pubblico al termine di una serie di recite; in uso spec. nel sec. 18° e al principio del 19°, era composta dal poeta della compagnia o da un autore noto (Goldoni, Gozzi, ecc.) per favorire un’attrice di grido. ◆ Un esempio interessante della parola, nel suo valore consueto ma con la consapevolezza del valore originario, è offerto dal Tommaseo in una lettera ad Antonio Rosmini del 19 marzo 1832: Addio di cuore, e pregatelo per il vostro Tommaseo.

 
Soltanto addio

Non dire: "Addio, ci divide un caos",
perché io non vedo nessun caos.
Bella la notte, con uccelli, con sussurri in fiore,
Bella la notte, e le stelle scintillano, e ridono
lontano le insegne gioiose della felicità...

Non dire: "Addio, ci divide l'infinito",
perché si può misurare quel che ci divide,
perché non è affatto l'"infinito" a dividerci,
ma è il martellìo spietato dell'infelicità che frantuma cuori,
demolisce i legami di ferro e le coscienze,
sradica gli alberi,
spezza le ancore e fa incagliare le navi,
spiana le grida della primavera, i cieli, i profumi e i sogni,
sono le mie mani morsicate,
il mio viso, scavato dai pallini della perfidia,
sono le rondini ferite dei miei occhi
- e i desideri nomadi del tuo corpo...
Chi ha mai pensato di farli schiavi?

Perciò non dire: "Addio, ci divide un abisso".
Guarda com'è semplice e pulita questa stradina con i melangoli, e di' soltanto "Addio".

 
Traduzione di Nicola Crocetti
Viron Leondaris

giovedì 30 ottobre 2014

Succederà, poesia, riflesso e significato


Succederà
 
Quando anima e spirito
e corpo sapranno,
e la luna sarà bella perché io la amai
ed il mondo sarà appeso al filo
della memoria e
sanguinerà la luce dietro
il bagno della sua grazia,
obbligheremo il futuro
a ritornare ancora. Allora
tutti gli occhi saranno uno
e la parola tornerà a parolare
contro le sue creature.
Avrà termine l'eternità e questa poesia
cercherà ancora il suo
equipaggio e ciò
che non seppe nominare, tanto lontano.


Traduzione di Laura Branchini
La notte lentamente 

Juan Gelman

 

già di notte,
tutto nel silenzio;
sempre di corsa
e attento...
 
 
succèdere
v. intr. [dal lat. succedĕre, comp. di sub- «sotto» e cedĕre «andare»; propriam. «andare sotto»] (pass. rem. io succèssi o anche, escluso il sign. 3, io succedéi o succedètti, tu succedésti, ecc.; part. pass. succèsso o, escluso il sign. 3, succeduto; aus. essere). – Vocabolario TRECCANI

1. Subentrare, prendere il posto di un altro in una carica, in un titolo, nella proprietà o nel possesso di beni, ecc.: ad Augusto, primo imperatore romano, successe (o succedette) Tiberio; il professore vorrebbe che, andando in pensione, gli succedesse nella cattedra uno dei suoi allievi; il padre è morto, e nella direzione dell’azienda sono successi (meglio succeduti) i due figli. Nell’uso ant., spettare in proprietà, riferito a beni: non avea alcun erede, né a chi legittimamente succedesse il suo (Sacchetti).

2.
a. Seguire, venire dopo in ordine spaziale: proseguendo verso nord all’altopiano succede l’alta montagna.
b. Con riferimento a fenomeni e avvenimenti in genere, venire dopo, cioè seguire, presentarsi posteriormente: all’alba succede il tramonto; al lampo succede il tuono; a un giorno ne succedeva un altro senza che nulla cambiasse; anche, susseguirsi come effetto o conseguenza di un altro o di altri fenomeni o avvenimenti: a quelle parole successe un putiferio; perduta la riputazione, si perde la benivolenza, e in luogo di quella succede lo essere disprezzato (Guicciardini).
c. ant. Avere effetto, riuscire: non gli successe il disegno (Machiavelli); di ferir lui Non gli successe, ma del grande Acate Graffiò la coscia lievemente (Caro).


3. Accadere, avvenire, sia in dipendenza causale da altri avvenimenti o in relazione di semplice posteriorità con essi: temevo che succedesse uno scandalo; fa’ in modo che non succedano complicazioni; ha lasciato aperto il gas ed è successo un disastro; non ricordo più ciò che successe poi; sia con riferimento al puro e semplice verificarsi di un fatto: ciò è successo molti anni fa; un giorno successe che, tornando a casa, fu aggredito e derubato; dev’essere successo un incidente; che cosa ti è successo?; sono cose che succedono, modo di dire con cui si esprime l’accettazione rassegnata di un caso increscioso o si esorta alla rassegnazione.


4. Nel rifl., succedersi, con valore reciproco, presentarsi uno dopo l’altro, susseguirsi: gli alberi si succedevano alla distanza di quattro metri l’uno dall’altro; i rintocchi si succedevano sempre più rapidi; quest’anno è stato un continuo succedersi di fatti preoccupanti; le autocolonne si succedevano a intervalli regolari. ◆ Part. pres. succedènte, con funzione verbale, non com., e nell’uso letter. anche (ma raro) come agg.: gli uomini si riducono ad abbandonare le proprie terre da una di queste quattro cagioni, ... l’una succedente all’altra (Vico); [le api] più e più succedenti invide ronzano A far lunghi di sé aërei grappoli (Foscolo), susseguendosi le une alle altre in sempre maggior numero.

mercoledì 29 ottobre 2014

Burrasca


Scherzo di natura

 
Il mar senza confin ride in bonaccia,
Sull’onde azzurre il chiaro sol balena;
Per l’aria un dolce venterel si sfrena
Che lungo soffia i nugoletti in caccia.
Sicuro i flutti un gran naviglio fende
Che tutte mostra le sue vele fuora;
Risplende in oro la tagliente prora,
Di spume a poppa un strascico si stende.
 
Il mar s’imbruna, il mar rugge in tempesta;
A soqquadro va il ciel tra lampi e tuoni;.
Corron dinanzi al vento i cavalloni
Drizzando in alto la bavosa cresta.
Pugna la nave conquassata e stracca,
S’imprua, straorza, sobbalza, s’affonda;
Cupa rintona sui gran fianchi l’onda,
Dopo l’uno l’altr’albero si fiacca.

Il mar senza confin ride in bonaccia,
Sull’onde azzurre il chiaro sol balena;
Per l’aria un dolce venterel si sfrena
Che lunge soffia i nugoletti in caccia.
In fondo al mar, sopra l’arena giace
Lo scafo enorme, e sur un fianco pesa:
Pel cassero qua e la sparsa e distesa
La ciurma amica al ciel riposa in pace.

Arturo Graf


 
mille tempeste agitano
i miei pensieri notturni,
fin all'alba galleggio,
fino al mattino derivo...


 
burrasca
s. f. [der. del lat. boreas «borea, tramontana»].
 
Il termine burrasca si riferisce al vento abbastanza forte appartenente all'ottavo grado della scala di Beaufort, in grado di strappare facilmente ramoscelli dagli alberi e rendere difficoltoso camminare controvento.
Nel mare la burrasca comporta onde alte.
Le creste si rompono e formano spruzzi vorticosi che vengono risucchiati dal vento.
La velocità del vento di una burrasca in genere varia tra i 34 e i 40 nodi (vale a dire dai 63 ai 75 km/h oppure dai 17.2 ai 20.7 m/s; 1 nodo è una velocità equivalente ad un miglio nautico l'ora, 1,852 km/h).
L'altezza media delle onde marine in genere è di 5.5 metri, le altezze massime difficilmente superano i 7.5 metri.
 
1. Vento forte che, nella scala internazionale di Beaufort, è caratterizzato da una velocità compresa tra 15,3 e 25,1 metri al secondo, e distinto, a seconda della velocità, in b. moderata, forte, fortissima.
 
2. Nell’uso com., tempesta di mare, con turbini di vento impetuoso: far b.; tempo di b.; mare in b.; prov., il buon pilota si conosce alle b., fig., il valore si rivela nelle difficoltà; per estens., tempesta in genere: oggi il tempo è a b.; una b. di neve (più com. bufera). B. magnetica, sinon. di tempesta magnetica.

3. fig.
a. Avvenimento grave, disgrazia, disavventura: ne abbiam passate delle b. (in famiglia, negli affari); il pover’uomo era riuscito a passare i sessant’anni, senza gran burrasche (Manzoni); la b. della guerra.
b. Situazione di scontri, di contrasti, con sviluppi spesso drammatici: c’è stata b. ieri alla Camera, per la discussione della legge; c’è aria di b., clima di tensione, anche con riferimento a persona singola, della quale si prevede prossimo uno scoppio d’ira, una sfuriata di collera, una sgridata violenta.

c. Lotta intima, contrasto di passioni (più com. tempesta).
 
◆ Dim. burraschèlla, burraschétta, burraschina;
accr. burrascóna, e burrascóne m. (tutti poco com.).
(Wikipedia e vocabolario TRECCANI)
 

martedì 28 ottobre 2014

Adorabile

Ti adoro
 
T’adoro al pari della volta notturna,
o vaso si tristezza, o grande taciturna!
E tanto più t’amo quanto più mi sfuggi,
o bella, e sembri, ornamento delle mie notti,
ironicamente accumulare la distanza
che separa le mie braccia dalle azzurrità infinite.
Mi porto all’attacco, m’arrampico all’assalto
Come fa una fila di vermi presso un cadavere e amo,
fiera implacabile e crudele, sino la freddezza
che ti fa più bella ai miei occhi.
 
Charles Baudelaire
 
 
a-do-rà-bi-le -
Degno di adorazione; amabile, dal latino: ad rafforzativo, a orare pregare.

A sua volta pare derivare da os bocca, e quindi l'etimo successivo risulta ben orientato ma confuso nella moltitudine di gesti di adorazione che prevedono il bacio, la pronuncia di formule, l'assunzione di libagioni sacre.
 
Ciò che è adorabile dovrebbe essere qualcosa di elevato, di sacro, di sublime, meritevole di preghiere, da contemplare.
Così il Mosè di Michelangelo è adorabile, è adorabile il Simposio di Platone, è adorabile la luna piena nel cielo notturno spazzato dal vento.

Ciononostante, la piega che ha preso questa parola è decisamente orientata verso una diversa denotazione, più affine a tenero, carino.
Quindi sarà adorabile un cucciolo, un abitino bellino, una lettera scritta dall'amico o dal figlioletto.

Senza dubbio questo corrisponde ad un impoverimento del carattere
ieratico di ciò che ci sembra essere adorabile, ma qui possiamo fare una riflessione importante: il senso originale dell'etimologia è intatto.

Infatti anche l'adorabile carino e tenero è qualcosa che coinvolge la bocca, pur se fuor di rito, in smorfiette dolci e sbaciucchiamenti.
 
 
Per evitare il sacrificio di uno dei due significati - che convivono in un sol corpo e hanno la medesima radice - non resta che evidenzare quello che si vuole intendere col contesto o col tono della voce.

(dalla rete).
 

amori
fuori e dentro di me,
a volte incombono,
spesso ridono
ed è gioia;
quando ripenso, ritrovo, rivivo,
mi accelera il battito 
in petto...  

lunedì 27 ottobre 2014

Radici

Tra le mute radici
che sostentano il bosco,
arcangelo mio d’ombra,
nell’insistente quiete
sotterranea,
apriamo rose d’amore,
trasudiamo il vino
dell’uva unica,
dolce sole della genesi
perenne,
che le nostre labbra
invitano a godere
dal clamore
dell’umida erba
che ci protegge.


Clara Janés
a cura di Annelisa Addolorato
  
 
radici,
quelle che legano,
 costringono,
quelle che alimentano,
quelle cantate...
 


 
 
Le radici degli alberi sono termostati capaci di 'spegnere' gli sbalzi di temperatura dell'intero pianeta, limitando in questo modo i rischi del riscaldamento globale. Lo ha scoperto la ricerca coordinata dall'Università britannica di Oxford e pubblicata sulla rivista Geophysical Research Letters.

Le radici sono organi delle piante specializzati nell'estrarre acqua e sostanze nutrienti dal terreno e nella loro crescita non conoscono ostacoli, tanto da poter facilmente frantumare le rocce che incontrano durante il loro percorso.
La rottura delle rocce ha però conseguenze che si ripercuotono sull'intero clima del pianeta. Le rocce, soprattutto quelle di origine vulcanica, si comportano infatti come una sorta di spugna, assorbendo l'anidride carbonica.

La rottura ne aumenta infatti la quantità di superficie esposta e ne amplifica l'assorbimento. Analizzando per anni lo sviluppo delle radici di alberi delle foreste di alcune regioni montane del Peru', i ricercatori hanno scoperto che la crescita e' legata direttamente all'aumento della temperatura. Il calore, quindi, aiuta le radici che rompono una maggiore quantità di rocce, e di conseguenza un maggiore assorbimento di gas serra: un fenomeno dovuto al caldo ma che ne contrasta l'aumento. "Sembra agire come un termostato - ha spiegato Chris Doughty, uno dei responsabili dello studio - che assorbe anidride carbonica dall'atmosfera quando si riscalda e meno quando si raffredda (dalla rete).

 
 
Radici
 
La casa sul confine della sera
oscura e silenziosa se ne sta,
respiri un' aria limpida e leggera
e senti voci forse di altra età,
e senti voci forse di altra età...

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l'anima che hai,
se vuoi capire l'anima che hai...

Quanti tempi e quante vite sono scivolate via da te,
come il fiume che ti passa attorno,
tu che hai visto nascere e morire gli antenati miei,
lentamente, giorno dopo giorno
ed io, l'ultimo, ti chiedo se conosci in me
qualche segno, qualche traccia di ogni vita
o se solamente io ricerco in te
risposta ad ogni cosa non capita,
risposta ad ogni cosa non capita...

Ma è inutile cercare le parole,
la pietra antica non emette suono
o parla come il mondo e come il sole,
parole troppo grandi per un uomo,
parole troppo grandi per un uomo...

E te li senti dentro quei legami,
i riti antichi e i miti del passato
e te li senti dentro come mani,
ma non comprendi più il significato,
ma non comprendi più il significato...

Ma che senso esiste in ciò che è nato dentro ai muri tuoi,
tutto è morto e nessuno ha mai saputo
o solamente non ha senso chiedersi,
io più mi chiedo e meno ho conosciuto.
Ed io, l'ultimo, ti chiedo se così sarà
per un altro dopo che vorrà capire
e se l'altro dopo qui troverà
il solito silenzio senza fine,
il solito silenzio senza fine...

La casa è come un punto di memoria,
le tue radici danno la saggezza
e proprio questa è forse la risposta
e provi un grande senso di dolcezza,
e provi un grande senso di dolcezza...
 
Francesco Guccini

domenica 26 ottobre 2014

Retaggi arte e amplessi




Pippi Giulio detto Giulio Romano
Giove e Olimpiade, da Amore e Psiche a palazzo Tè Mantova

Giove e Olimpiade

Nella camera di Amore e Psiche del Palazzo Te (in quel di Mantova città sulle rive dell'omonimo lago,in Lombardia), sulla parete est, è affrescato questo brutale e gofurioso amplesso di Giove (il più importante degli dei romani, lo Zeus greco) che si trasforma in un sinuoso e possente serpente per congiungersi carnalmente (il quadro non lascia alcun dubbio in proposito e nemmeno spazio all'immaginazione direi) con Olimpiade (sono famosi e documentatissimi specie nei quadri e disegni di vari periodi storici i suoi stratagemmi e travestimenti per raggiungere lo scopo di farsi qualche bella donzella dell'epoca).
La scena, dipinta sopra la prima finestra della parete orientale, mostra il concepimento di Alessandro Magno: Giove, entrato nel letto della Olimpiade in forma di serpente, ha ripreso la forma umana e si appresta a congiungersi alla regina di Macedonia. Filippo II, sposo di Olimpiade, spia la scena nascosto dietro l'uscio, ma l'aquila di Giove punisce la curiosità del re, colpendo il suo occhio con il fulmine che sorregge con gli artigli. Attorno all'affresco è una cornice embricata con foglie d'acanto angolari. Le figure si inseriscono in questa cornice in maniera tridimensionale: la mano destra della regina si appoggia infatti di essa. L'affresco è stato eseguito su undici stesure di intonaco (giornate). Per quanto concerne le tecniche di riporto del disegno si riscontra la presenza di spolvero per le figure principali. La figura dell'aquila è stata riportata per mezzo di incisioni indirette da cartone, poi quasi tutte ripassate a incisione diretta. Al centro della parte superiore dell'affresco è impressa nell'intonaco l'impronta a "U" di uno strumento utilizzato per il fissaggio del cartone alla parete. Il motivo a scaglie della cornice embricata è realizzato con incisioni dirette da compasso, di cui è possibile riconoscere il punto dei fori. Anche le foglie d'acanto angolari sono incise direttamente. L'affresco si trova in una situazione conservativa preoccupante: subfloresenze ed efflorescenze saline intaccano la superficie, causando sollevamenti della pellicola pittorica. Fra le aree più danneggiate sono la parte di cornice sulla sinistra, la figura dell'aquila, la testa di Filippo. Estremamente diffuse le zone di scarsa coesione fra gli strati dell'intonaco, soprattutto in corrispondenza di lesioni, crepe e fessurazioni sulle figura di Olimpiade (gamba destra) e di Giove (petto genitali). Altre zone di scarsa adesione fra gli strati di intonaco interessano la parte superiore della cornice. Risultano decoese e mobili anche le stuccature di restauro. Quasi la totalità dell'affresco risulta interessata dalla cristallizzazione di sali solubili al di sotto di uno strato di resina acrilica stesa nel corso dell'ultimo restauro, con conseguente imbiancamento della superficie. Amedeo Belluzzi (1998) assegna a questo affresco il numero 506 (dalla rete).
Gli amori di Giove sono uno dei soggetti mitologici più rappresentati nella pittura di genere, senza tuttavia mai raggiungere il crudo realismo di questa raffigurazione, dai toni quasi pornografici.




Giove procrea in Giunone,
disegno erotico di Agostino Carracci

 
Retaggi
 
Retaggi distratti quadrano
cerchi immaginifici, colorati,
pastelli delicati, come carezze;
invio segnali ancestrali,
raccolgo improbabili sfide
poi stanco mi quieto.
 
Nel vento dal monte
respiro attimi di pace
ma il freddo che giunge
rivolge al cuore un allarme;
cospiro contro me stesso
e reclino la testa.
 
Retaggi distratti sfumano
come ghiaccio al calore
di pelli unite in amplessi
che ancora mi scuotono,
che ancora ricordo,
che ancora rivivo...
 
Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate
 


re-tàg-gio
- Sign Eredità (dalla rete)

attraverso il francese antico: eritage,
dal latino: hereditare.


È una parola estremamente elegante e ricercata, ottima per il solenne e l'ironico, che oggi si trova usata soltanto in senso figurato: quello del retaggio è un patrimonio culturale o spirituale che si eredita dal passato - un significato che è una splendida via di mezzo fra la venalità dell'eredità e l'impalpabilità della tradizione.
Così un modo di dire locale può essere retaggio di un'identità che va via via scomparendo; lo strano rapporto con l'iconografia della morte che hanno i mesoamericani può essere un retaggio delle civiltà precolombiane; e certi gusti o passioni possono essere un retaggio della nostra infanzia.

 

1. - (letteralmente) eredità, estrazione familiare
2. - (senso figurato) patrimonio intellettuale e morale, di cultura o tradizioni che si eredita dal passato.
 



Affreschi erotici
del periodo romano
am-plès-so
- Sign Abbraccio; per estensione, unione sessuale
 

dal latino: amplexus, da amplecti abbracciare, composto da amb- intorno e plectere intrecciare
parallelo al greco pleko intreccio.
 
È una delle parole di grazia più vertiginosa e di forza più gigantesca e dolce che esista nella nostra lingua, l'unione di due persone nel castone di un abbraccio che non sia stupida mescolanza, ma intreccio vitale - ed in modo speciale, nell'abbraccio supremo dell'amore, picco primo di comunione.
L'amplesso stravolge i sensi, nell'abbraccio e nell'amore, abbatte l'egemonia della vista e dell'udito, resuscita il tatto profondo e sottile, l'olfatto - sensi antichi che col capo affondato fra una testa e una spalla tornano a regnare - abbraccio che così ti richiama da tutto l'esterno di luci, suoni, cure, occorrenze, prenotazioni, coincidenze, appuntamenti col dovere che non sei tu e in cui sei polverizzato, abbraccio che ti riunisce, che ti rende intero - quasi come se, con la pur leggera ed effimera pressione di braccia e fianchi si ripetesse il moto delle profonde viscere della terra che attraverso gli eoni, con le pressioni delle loro masse titaniche, schiacciano la sparsa fluidità dei magmi in diamanti eterni ed indomabili.



1. -  (senso figurato) rapporto sessuale, coito
2. -  (letteralmente) abbraccio | avvinghiamento, stretta. 

sabato 25 ottobre 2014

Balbettare

Per balbettare così...

Per balbettare così il mio destino
con parole sconnesse
e con la foglia amara d'alloro tra le labbra...

Il destino è un oracolo
che chiedi e che ricevi da te stesso
per sfuggire a ciò a cui non sfuggirai
per comprendere ciò che non comprenderai
ovvero un discorso inopportuno e infausto
che ti dissuade da quello a cui ti stimola
ti spinge in senso opposto a quello in cui ti tira
e il solo modo per compierlo è violarlo

Per questo sei esiliato da te stesso
e cadi nel banale
in miserande lotte per l'esistenza
in sedicenti avventure e agoni
risolvendo magari indovinelli e uccidendo i mostri della quotidianità
facendo il giusto e dicendo l'insignificante
in espiazioni inutili e intollerabili
inginocchiandoti per vivere

Così anch'io che ho avuto la sorte più pesante e nera
mi sono trovato a sopportare
una vita così incredibilmente banale.


Traduzione di Filippomaria Pontani
Viron Leondaris

 
 


quotidiano,
come lo stillicidio dei giorni,
uno in più alla vita,
uno in meno al futuro;
focalizzati alla meta...




 

balbettare

[bal-bet-tà-re] v. (balbétto ecc.)

v.intr. (aus. avere) [sogg-v]
1 Parlare inceppandosi: b. per la paura
2 Detto di bambini molto piccoli, emettere suoni già riconoscibili come elementi della lingua.
 
v.tr. [sogg-v-arg] Dire qlco. con difficoltà o imbarazzo SIN biascicare: b. delle scuse; anche con arg. espresso da frase (introd. da che): balbettò che non era sua la colpa

venerdì 24 ottobre 2014

Sala d'aspetto

La sala d'aspetto
 
 
Chi non ha casa e non ha letto
si rifugia in sala d'aspetto.
Di una panca si contenta,
tra due fagotti s'addormenta.
Il controllore pensa: "Chissà
quel viaggiatore dove anderà?"
Ma lui viaggia solo di giorno,
sempre a piedi se ne va attorno:
cammina, cammina, eh, sono guai,
la sua stazione non la trova mai!
Non trova lavoro, non ha tetto,
di sera torna in sala d'aspetto:
e aspetta, aspetta, ma sono guai,
il suo treno non parte mai.
Se un fischio echeggia di prima mattina,
lui sogna d'essere all'officina.
Controllore non lo svegliare:
un poco ancora lascialo sognare.
 
 
Gianni Rodari
 
 
attésa s. f. [der. di attendere]. –

1. L’attendere, e il tempo che si attende: l’a. del treno; sala d’a., d’aspetto; fare una lunga attesa. Anche, lo stato d’animo di chi attende, cioè il desiderio, l’ansia con cui si attende un evento: grande era nel pubblico l’a. dello spettacolo annunciato; venir meno all’a.; deludere l’attesa. Molto com. la locuz. avv. in attesa, aspettando: in a. di conoscere l’esito; essere, restare in a.; spec. nelle lettere: in a. d’una tua risposta, ti saluto cordialmente; di più recente diffusione, la locuz. agg. di attesa, per indicare, anche nel linguaggio polit., situazioni non definite né definitive: essere in posizione di a.; prendere una decisione di a., e sim. In telefonia, a. in blocco, quella che si ha quando un centralino, nel corso di una comunicazione esterna, effettua un collegamento con un apparecchio interno, pur mantenendo in blocco la linea con l’esterno. In informatica, tempo di a. di una memoria, intervallo di tempo che trascorre dal momento in cui l’unità centrale del calcolatore ordina un trasferimento da o verso la memoria e il momento in cui esso comincia. Nel linguaggio sindacale, lavoro di semplice a. (in contrapp. a lavoro effettivo), tipo di prestazione che per la sua stessa natura (di autista privato, di fattorino, ecc.) impone degli intervalli d’inattività.

attese lunghe vite,
aspettare, nell'ansia,
poi cosa?
quando?

2. La cosa che si attende, significato corrente in statistica; precisamente, per una variabile casuale ai singoli valori della quale può essere assegnata una probabilità di occorrenza, è il valore con probabilità maggiore, detto anche a. matematica, speranza matematica, valore di a., valore di aspettazione. È detta condizionata l’attesa di una variabile casuale se essa è precisabile soltanto specificando il valore di un’altra variabile casuale.
 
Sala d'aspetto
 
Fendendo aria immota
il viaggio perdura
in una verde radura
ritrovo una fede remota;
è silenzio, solo silenzio,
rivedo me stesso riposto
ancora in un solito posto
davanti goccia d'assenzio.
Fui là poi fui dove
ricordo che sempre pioveva
il bavero alzato, la breva,
foschia..., le rive nuove.
Ora parte il traghetto
sospiro e ancora mi chiedo
ascolto il mio corpo, mi siedo
è un ennesima sala d'aspetto.
 
Anonimo
del XX° Secolo
poesie ritrovate