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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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mercoledì 31 dicembre 2014

Anno vecchio e anno nuovo

Anno vecchio e anno nuovo
filastrocca di Capodanno

Tin-tin, l'orologio rintocca.
Tin-tin, quanti colpi ha suonato?
Tin-tin, qual è l'ora che scocca?
Tin-tin, qualcheduno ha bussato!
Anno vecchio, tin-tin, ti saluto!
Anno nuovo, tin-tin. benvenuto!
 
Anonimo
 

 
che dire... poco,
è stato
un anno di transizione,
ancora verso il domani;
vedremo!
 
Auguri a tutti!
 
Gujil

martedì 30 dicembre 2014

Protesta

Meglio di una protesta
                  

Strappa via dai miei amori ogni frammento:
troverai quel che vedi
uno spaventapasseri
 –non fui io a crearlo, fosti tu
nella tua mente tanto tempo fa.
Soffia sui miei tesori tutte le tue tempeste.
Quando raccogli ciottoli, trattali con prudenza
le mie gemme ti abbagliano, lo vedi, e sono molte.

Ricorda che le bacche e i fiori che portasti
a morire qui in casa hanno uno strano
potere, di rinascere. Io li raccolsi, ed eccoli
sbocciare già nelle mie mani. Rapida
li pianto sotto un albero. Le gocce
risanano le piante a te serbate
e ridonano a me nuovi germogli.

Elizabeth Jennings
Gli istanti del buio

 
 
infiniti risvolti hanno luce ed ombra,
li osservo dal mio angusto rifugio,
la polvere è quella degli anni
immota su libri e strumenti...
 
 
protèsta s. f. [der. di protestare]. – TRECCANI

1. Attestazione, dichiarazione aperta e vibrata (espressa cioè con fermezza) di un sentimento, di una convinzione, di un’idea: fare proteste di stima, di ammirazione, di fedeltà; ampie p. di amicizia, di gratitudine; continuava a fare grandi p. di innocenza.
2. Più com., espressione, manifestazione, dichiarazione energica e ferma della propria opposizione o disapprovazione: elevare, presentare una p.; inviare una lettera di p.; indire uno sciopero, una manifestazione di p.; scendere in piazza per una p. non violenta; i movimenti di p.; la p. dei giovani contro le istituzioni (in partic., quella manifestatasi sul finire degli anni ’60 del Novecento, indicata anche con l’espressione la p. giovanile); hanno scioperato per p. contro le decisioni del preside; alcuni deputati hanno abbandonato l’aula in segno di protesta. Per estens., atteggiamento ostile, ma non espresso verbalmente: una p. muta, silenziosa, passiva; nel diritto internazionale, nota di p., dichiarazione con cui uno stato accusa un altro stato di tenere o di avere tenuto una condotta illegittima nei suoi confronti.
3. Nei contratti dei lavoratori dello spettacolo, recesso dal contratto di lavoro da parte di un impresario nei confronti di un attore, di un cantante e sim. ritenuti privi delle qualità artistiche o tecniche necessarie alla rappresentazione.
 

lunedì 29 dicembre 2014

L'infilascarpe


L'abbiamo rimpianto a lungo l'infilascarpe,
il cornetto di latta arrugginito ch'era
sempre con noi. Pareva un'indecenza portare
tra i similori e gli stucchi un tale orrore.
Dev'essere al Danieli che ho scordato
di riporlo in valigia o nel sacchetto.
Hedia la cameriera lo buttò certo
nel Canalazzo. E come avrei potuto
scrivere che cercassero quel pezzaccio di latta?
C'era un prestigio (il nostro) da salvare
e Hedia, la fedele, l'aveva fatto.
 
Eugenio Montale
 
come rendere oggetti banali, comuni della nostra quotidianità, effetti poetici che sollevano ricordi e occasioni, si inventano fotografie di passati recenti e lontani; fermano nella mente immagini e volti che ci sono stati cari e ci mancano troppo. Montale lo sa e lo dice, noi lo sappiamo e non riusciamo ad esprimerlo in modo compiuto ma non per questo abbiamo sentimenti meno forti.
  
quanti rimpianti,
quante assuefazioni restano;
di nascosto lo stipite,
gli angoli, quelli più bui...

domenica 28 dicembre 2014

Interdizione

Interdizione
                  
Cosa cerchi tu qui in vesti diafane
mentre accosti una coppa di parole
alle labbra indifferenti del tempo?
chi ti ha fatto credere
che gli stagni anelano alla luna
e che un uccello danza al centro della terra?
Perché non accetti il rifiuto,
perché non leghi le gambe
strette strette?
Quel che accade intorno a te
non è più affar tuo
.



Nina Cassian
"C'è modo e modo di sparire"


verso le cose, un percorse,
la fine è dietro l'angolo
poi torno a pensare che sia
che si possa essere...

interdizióne
sostantivo femminile [dal lat. interdictio -onis, der. di interdicĕre «interdire»]. – TRECCANI

1. In genere, divieto, proibizione fatta da un’autorità: i. dell’accesso in zone militari; trattative per l’i. delle armi atomiche e nucleari. Con accezioni specifiche:
a. Nel linguaggio giuridico, esclusione della capacità di agire o dell’esercizio di determinati diritti, che consegue a uno stato d’infermità mentale accertata dal giudice (i. giudiziale) o a una sentenza di condanna (i. legale; i. dai pubblici uffici; i. dall’esercizio di una professione o di un’arte); chiedere, ottenere l’i.; pronuncia d’interdizione.
b. Nel diritto canonico, sinon. poco com. di interdetto.
c. Iinterdizione sacrale, lo stesso che tabù.
2. Nel linguaggio militare:
a. Azione (o tiro) d’interdizione, azione delle artiglierie per impedire al nemico di sviluppare attività di fuoco o di movimento, e per ostacolare o addirittura inibire il funzionamento dei suoi comandi, dei suoi organi logistici e della sua organizzazione di osservazione.
b. In campo aerotattico, l’azione aerea effettuata da velivoli caccia-bombardieri, diretta a prevenire e ostacolare i movimenti del nemico, o a distruggere le sue linee di comunicazione.
3. In linguistica, i. di vocabolario (detta anche tabù lessicale), la proibizione – dovuta a credenze religiose, a superstizioni, al senso delle convenienze, del pudore, ecc. – di usare determinate parole, le quali perciò vengono sostituite con eufemismi, cioè con sinonimi, metafore, perifrasi o con forme alterate per metatesi o altro cambiamento di fonemi (una forma di interdizione è anche l’antifrasi).
4. Nel gioco del calcio, intervento di un giocatore avente lo scopo di impedire o di ostacolare il coordinamento e lo sviluppo delle azioni avversarie: centrocampista con compiti di interdizione.
5. In elettronica, regime di funzionamento di un tubo termoelettronico nel quale l’intensità della corrente anodica è nulla: portare un triodo all’i., far sì che si annulli la sua corrente anodica; potenziale di i. anodico (oppure di griglia), in determinate condizioni di lavoro del tubo, il valore massimo del potenziale anodico (oppure di griglia) per il quale si ha l’interdizione. Analogam., per un transistore, il regime cui corrispondono i più bassi valori dell’intensità della corrente utile (normalmente, quella di collettore).

sabato 27 dicembre 2014

Respirando insieme

insieme [in-siè-me] avv., s. Sabatini Coletti

  • avverbio.
  • 1 Riferito a persone, indica associazione, compartecipazione, condivisione, nonché lo stare in compagnia: dirigono i. l'azienda; pranzare i.; trascorrere le vacanze i.; in senso più stretto, designa comunione di vita anche intima: Maria e Giovanni stanno i. da alcuni anni; significa inoltre “di comune accordo”: decidere i.; preceduto da tutti, tutti quanti esprime completezza di un gruppo, totalità: non posso invitarli tutti i. || mettersi i., associarsi in un'impresa oppure formare una coppia legata da rapporti di tipo coniugale
  • 2 Con riferimento a cosa, indica unione, coesione, integrazione: tavolo e sedie si vendono i.; denota anche accostamento armonioso di elementi (di forme, colori e sim.): questa giacca e questa cravatta stanno molto bene i. || mettere i., formare, creare qlco. partendo da singoli elementi: mettere i. una buona squadra di lavoro | (non) sapere mettere i. due parole, (non) essere capace di esprimere un pensiero
  • 3 Indica coesistenza e contemporaneità di fatti distinti o anche contrastanti: c'erano i. sole e pioggialoc. prep. insieme con, insieme a, introducono un compl. di compagnia o di unione: insieme all'apparecchio mandami le istruzioni
  • sostantivo maschile
  • 1 Pluralità di elementi considerati come un tutt'uno SIN complesso, assieme, totalità: l'i. dei dati raccolti; con accentuazione del valore sintetico: l'i. non è male || nell'i., secondo un giudizio complessivo | visione d'i., che abbraccia e sintetizza tutti gli aspetti di una questione
  • 2 mat. Concetto fondamentale della matematica, legato alla possibilità di considerare oggetti distinti come costituenti un tutto unico: teoria degli insiemi
  • 3 Combinazione di capi d'abbigliamento della stessa stoffa, fatti per essere indossati abbinati SIN completo, parure
 
 
 
Due respiri
 
Non c'è fortuna, non c'è destino,
non c'è sorpresa per me,
non c'è vittoria né aspirazione
così importante per me
non c'è bellezza,
frase ad effetto o un'assoluta verità
ma c'è un istante nell'universo,
attimo eterno in cui mi sento unica

Perché niente è come te e me insieme
niente vale quanto te e me insieme
siamo due respiri
che vibrano vicini
oltre il male e il bene
niente è come te e me insieme

Non serve intento né sacrificio
una tentazione per me
dediderare voler sparire
resta un ricordo per me
non serve dolor, normale attenzione
quella che riservo a te
anche il silenzio,
che sento dentro
quando mi avvolge diventa musica

Perché niente è come te e me insieme
niente vale quanto te e me insieme
siamo due respiri
che vibrano vicini
oltre il male e il bene
niente è come te e me insieme

Non c'è ossessione solo emozione
quella che dedico a te
non c'è tramonto, non c'è una stella
che ci somiglia,
che sia così unica

Perché niente è come te e me insieme
niente vale quanto te e me insieme
siamo due respiri
che vibrano vicini
oltre il male e il bene
niente è come te e me insieme

Tutto è come te e me insieme
 
Chiara Galiazzo

venerdì 26 dicembre 2014

Appello

Appello

La luna piena risplende sul mare
e tu nel mio cuore.
La riva attende e invecchia. Tu non vieni mai.
Fugace il sentiero lunare sul mare che inghiottì
il veliero col quale a lungo avremmo vagato
condotti dal desiderio, suonando il flauto e la cetra
unendo canto e carne nell’argenteo vento.


Harry Martinson
Traduzione di Giacomo Oreglia
 
 
attese, partenze, ritorni,
qualche volta arrivi;
siamo una stazione nel tempo,
con orari discutibili,
spesso incompatibili...
 
appèllo sostantivo maschile [derivato di appellare; in alcune accezioni, ricalca il francese appel]. – TRECCANI

1. Il chiamare più persone per nome, secondo un ordine stabilito (per lo più alfabetico), per accertarsi che siano presenti o per altri motivi: fare l’a. (degli studenti, dei soldati, ecc.); a. dei caduti, rito commemorativo; rispondere, mancare, presentarsi o non presentarsi all’a. (mancare all’a. è anche modo eufem. per annunciare la morte di un soldato, di qualcuno dei partecipanti a un’impresa rischiosa, e sim.); nelle votazioni assembleari, votazione per a. nominale, quando i votanti, chiamati singolarmente per nome dal presidente, esprimono con un o con un no il loro voto (si contrappone alla votazione per scrutinio segreto e a quelle per alzata e seduta o per alzata di mano). Per estens., il segnale dato con la tromba nelle caserme o al campo per adunare i soldati: suonare l’appello.


2. Convocazione. In partic.:
a. Nell’ordinamento universitario, ciascuna delle convocazioni previste per ogni sessione ordinaria d’esame: primo, secondo appello.
b. Nel linguaggio giornalistico, a. alle urne, la convocazione delle elezioni; a. al Paese, il ricorso a nuove elezioni in seguito allo scioglimento anticipato delle Camere, determinato dall’impossibilità di risolvere con la normale prassi una crisi politica.

 
3. Chiamata, invocazione a qualcuno, richiesta d’aiuto: fare a. alla carità del prossimo; rivolgere un a. alla generosità dei benefattori; accorrere, rispondere all’a. della patria in pericolo; si udì un disperato grido d’appello; faccio a. alla tua comprensione. Anche con riferimento alla sottoscrizione di richieste con fini sociali, umanitari, politici: firmare un a. contro la pena di morte; l’a. degli animalisti ha avuto successo. Fig.: fare a. alle proprie forze, alle proprie risorse interiori.
 
4. Altro significato:
a. In diritto processuale, ricorso a un giudice superiore al fine di ottenere la revisione della sentenza pronunciata da un organo giudiziario di grado inferiore, da cui l’appellante si sente gravato: a. civile, penale; a. principale, incidentale; interporre, proporre a.; ricorrere in a.; respingere l’a.; diritto d’a.; procedimento d’a.; sentenza d’a.; nel diritto romano, a. al popolo, la facoltà di appellarsi direttamente al popolo contro le sentenze penali. E per indicare l’organo giudiziario a cui è devoluto esclusivamente l’esame dei ricorsi in appello: Corte d’a.; presidente, consigliere di Corte d’a. (o assol. consigliere d’appello).
b. Per analogia, in competizioni sportive, ricorso ai competenti organi federali, proponibile dai partecipanti a una gara contro le decisioni o le interpretazioni del regolamento da parte dell’arbitro, dei commissarî, della giuria, ecc.
c. Con uso estens., nel linguaggio com., non esserci a., non esserci possibilità di revisione o di contestazione: non c’è a. contro le decisioni della presidenza; contro la morte non c’è a., non c’è rimedio, non c’è riparo; analogam., senz’a., senza possibilità di contraddizione o di opposizione, in forma decisiva e definitiva.

giovedì 25 dicembre 2014

Natale 2014!


E'  
Natale,
forse è Natale,
malgrado le cose,
malgrado le guerre.
E' Natale,
forse è Natale,
un giorno dopo il dolore,
un giorno prima del sempre.
Buon Natale!
Happy X-mas!
 
Gujil
 
 
L'albero di Natale è uno dei simboli più rappresentativi del Natale.
Sulla nascita di questa tradizione vengono narrate moltissime storie e leggende.


L'elemento comune a tutti i racconti è l'interpretazione del simbolo: un albero sempre verde, pino, frassino o abete, rappresenta la vita che continua e l'attesa del ritorno della primavera.
Tutti gli altri simboli legati all'albero di natale richiamano la ricchezza della natura, la luce, gli angeli, i frutti, i campi, le foreste e il mare.
La stella che brilla annuncia la fine del viaggio, il porto della pace.
Tra le più antiche narrazioni relative all'albero di Natale troviamo uno scritto del 1605, quando un cittadino tedesco in visita a Strasburgo, scrisse che in quella città si preparava un albero per il Natale decorato con ornamenti di carta, frutta e dolciumi.


Si racconta che, nel 1611, la duchessa di Brieg, in Germania, avesse preparato tutto nel suo castello per festeggiare la ricorrenza.
Il salone era addobbato quasi interamente, ma la duchessa notò che un angolo appariva vuoto rispetto al resto della stanza.
Avvoltasi nel suo scialle, uscì nel parco adiacente al castello sicura che la natura le avrebbe offerto qualcosa.
Mentre passeggiava pensierosa, notò un piccolo abete e pensò che sarebbe andato sicuramente benissimo per quell'angolo.
Chiamò uno dei suoi giardinieri e chiese loro di adagiare l'alberello in un vaso che venne poi trasportato nel salone delle feste.
Un'altra traccia nei documenti, sempre in riferimento alla città di Strasburgo, risale al 1737. Karl G. Kissingl, professore universitario, racconta di una contadina che preparò un albero di Natale per ogni figlio, accese le candele sugli alberi e mise i regali sotto di loro.
Alla fine della preparazione chiamò ad uno ad uno i suoi figli e gli consegnò oltre al regalo anche l'albero.


Secondo altri l'albero natalizio decorato viene dall'Egitto in quanto il pino assomiglia a una piccola piramide, e sarebbe stato un viaggiatore a riportare l'idea di imitare le piramidi con un albero dalla terra dei faraoni in Europa .
Martin Lutero e i luterani, poi, ebbero l'idea di coprire l'albero di piccole candele per rappresentare la vita e la fede.


Ma la più bella leggenda narrata è quella che narra di un taglia legna che, tornado a casa in una notte ghiacciata illuminata dalla luna, vide uno spettacolo meraviglioso: le stelle che brillavano attraverso i rami di un pino ricoperto di neve e di ghiaccio. Per spiegare a sua moglie la bellezza di quello che aveva visto, l'uomo tagliò un piccolo pino, lo ricoprì di nastri bianchi e di piccole candele per rappresentare il ghiaccio, la neve e le stelle.
La moglie, la gente e i bambini del vicinato furono così meravigliati di vedere l'albero e sentire il racconto del taglia legna che da allora ogni casa ebbe il suo albero di Natale.
La tradizione degli alberi di Natale giunse dall'Inghilterra agli States grazie ai mercenari della guerra di secessione.
Nel 1846, la regina Vittoria e il principe Alberto furono fotografati con i loro figli intorno a un albero di Natale.

L'immagine fu pubblicata nel London News ed ebbe un enorme successo.
Diversamente dagli antenati, questi reali erano molto popolari e con quella fotografia lanciarono una moda che si diffuse in tutta la Gran Bretagna e negli States: ora gli alberi di Natale erano d'obbligo per l'elite Americana come per i nobili inglesi.
Il primo presidente americano a mostrare un albero di Natale fuori dalla Casa Bianca fu Franklin Pierce. Nel 1889 Benjamin Harrison dichiarò che l'albero alla Casa Bianca faceva parte della tradizione americana.
I primi alberi recisi furono venduti nel 1851 in una strada molto trafficata di New York e fu un successo. Il mercato degli alberi crebbe così tanto da portare alla devastazione di numerose foreste. Theodore Roosevelt, per salvare le foreste, decise che la casa Bianca non avrebbe più avuto l'albero. I suoi due figli avevano un piccolo albero in camera e, scoperti con imbarazzo dal padre, furono puniti.


I primi alberi artificiali furono realizzati, intorno al 1880, in Germania per salvaguardare le foreste e l'idea fu subito imitata da una casa produttrice americana.
Gli alberi artificiali avevano il vantaggio di reggere il peso delle decorazioni meglio di quelli veri (dalla rete).

mercoledì 24 dicembre 2014

Lo specchio

Fabio Fiorese
"Sogni allo specchio"
Lo specchio

Nella mia cameretta ove l’amica
Luna dal ciel traguarda e il sol morente,
Sovra il camin pende uno specchio, antica
D’arte veneziana opra lucente.
L’immacolato vetro intorno intorno
Di negro legno una cornice accoglie,
Ove industre scalpel, con stile adorno,
Fiori e frutta intaglio, viticci e foglie.
D’empia Medusa al negro cerchio in cima
La turpe faccia boccheggiar si vede;
Sculta e nel legno e viva altri la stima,
E dall’aspetto orribile recede.
Lo specchio d’un baglior pallido brilla
Da soli antichi nel cristal piovuto:
Oh, la sua grande, immobile pupilla
Sa dio le orribil cose che ha veduto,
Nei marmorei palazzi, entro secrete
Stanze, o di simulati usci pel vano,
Lucida e tonda in mezzo alla parete,
Che sorda, muta, custodia l’arcano!
Or piu non serba e non respinge indietro
Larva ne segno del veduto mondo;
Lucido, eguale, immacolato il vetro
Si stende come un lago senza fondo.
Talor mi pongo a riguardar furtivo
Entro il suo lume, quando il giorno muore,
E nel vedermi, e nel sentirmi vivo,
D’orror mi riempio, mi s’agghiaccia il core.
E l’empia Gorgo mi saetta addosso
L’atroce sguardo e mi trapassa drento;
Vorrei fuggire e il pie mover non posso.
Immobil guardo ed impietrar mi sento.
 
Arturo Graf
 
 

riflette ciò che sembriamo,
a volte ciò che siamo;
io mi ci guardo spesso,
senza vergogne, senza paure...

 

Lo specchio
è una lastra di vetro alla quale,
tramite un processo di verniciatura,
viene fatto aderire
un sottile strato metallico
la cui superficie lucida,
che è vista attraverso la lastra stessa,
riflette la luce e fornisce quindi
un’immagine riflessa
degli oggetti illuminati.



[spèc-chio] s.m. (pl. -chi) - Sabatini Coletti
  • 1 - Lastra levigata di vetro, metallizzata su una faccia, che riflette la luce e le immagini; estens. arredo dotato di uno specchio di varie dimensioni e forme: armadio a tre s. || figg. pavimento a s., lucidissimo | tenere la casa come uno s., molto in ordine e pulita | arrampicarsi sugli s., addurre scuse pretestuose per giustificarsi
  • 2 - fig. Riflesso, espressione: la letteratura è lo s. della società || essere uno s. di virtù, di onestà, di saggezza, esserne un modello
  • 3 - Prospetto, tabella: pubblicare lo s. delle votazioni.
  • 4 - Attrezzo di forma cilindrica, con una lastra di vetro sul fondo, usato dai pescatori per scrutare il fondale marino
  • 5 - Denominazione di superfici varie || geogr. s. d'acqua, laguna o tratto di mare, di lago
  • 6 - sport. Nella pallacanestro, rettangolo a cui è appeso il canestro || s. della porta, nel linguaggio calcistico, piano ideale difeso dal portiere, delineato dalla traversa, dai pali laterali e dalla linea di porta
• aggettivo relativo non derivati dal lemma: speculare.

martedì 23 dicembre 2014

Destino di Antonia Pozzi

La poesia era la sua linfa vitale: «vivo della poesia come le vene del sangue», scrive all’amico poeta Tullio Gadenz, ed è la dichiarazione di un ‘credo’ che, al di là di ogni esperienza positiva o negativa, anzi all’interno di esse (perché la fuga dalla vita non si addice alla Pozzi, nemmeno quando fa la scelta definitiva che da essa la separa), acquista la forza di una vocazione e di un destino, l’accettazione della vocazione di poeta, a costo della solitudine che essa può comportare ed effettivamente comporta per la sua vita.
Elihu Vedder - La Sibilla Cumana
Certo è che, se per Antonia Pozzi la poesia «ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare», essa esige anche la massima fedeltà, la massima sincerità; essa diviene il metro di misura della propria vita, la «voce profonda» che denuncia gli smarrimenti e le inadempienze con il suo silenzio – tu che allora ti neghi e taci - (Preghiera alla poesia); e il silenzio è la peggiore punizione per chi sente la poesia come carne della propria carne.
Quando Antonia pensa e scrive queste cose, nel 1934, è ancora in una situazione di dubbio riguardo al suo ‘essere’ poeta, anche se sente, per una urgenza interiore, che quella è la strada sulla quale è chiamata a camminare. Per questo, per «questa febbre di veder chiari i miei limiti», mostra le sue poesie al professore di estetica, Antonio Banfi, con il quale sta preparando la tesi di laurea; e non ne riceve alcun incoraggiamento.
È il 4 febbraio 1935: giorno della sconsolatezza, si potrebbe dire.
Ma il 13 febbraio successivo – ed è il giorno del suo compleanno! – nasce la poesia Un destino: Antonia ha deciso che la sua vita è e non potrà essere se non quella della poesia: « ora accetti/ d’esser poeta»; ha trovato la sua foce, ha trovato l’infinito sorriso delle «libere stelle» sopra di sé, sopra la sua solitudine.
È una decisione e ogni decisione è un taglio netto, che fa sanguinare la vita, è vero, ma che la rigenera, anche, facendo scaturire dal dolore la gioia, dal silenzio del deserto la parola poetica.
La poesia non è dunque una gratificazione, una consolazione, ma «una catarsi del dolore, come l’immensità della morte è una catarsi della vita»: sono parole sue, a Gadenz. Ai lumi, guida sicura perché qualcuno li tiene accesi, si contrappone la «pallida strada nella notte» che solo il vento scopre (buio, incertezza, instabilità) e «l’argenteo lume delle stelle» che trema (non vi si legge il tremito del poeta, posto di fronte a una scelta dalla quale dipenderà la sua vita?); alle capanne (sicurezza, calore, affetti, conforto) fa da contrappunto l’immagine dei torrenti che precipitano a valle (angoscia, tumulto di sentimenti, sensazione di crollo di fronte alle asperità della vita); il loro chiuso tepore si congela e si spalanca su «l’erba dei pascoli», sulla volta stellata del cielo, sul «limpido deserto dei monti»: una sequenza di luoghi aperti ad ogni possibile evento, senza pareti amiche, senza confortevoli fuochi.
La «pallida strada» sfocia nel limpido deserto: passaggio quanto mai emblematico: da un luogo stretto entro limiti e confini precisi, dove è possibile procedere, sotto il lucore stellare, solamente a fatica e tuttavia con un certa sicurezza, proprio perché strada, a uno spazio aperto, senza limiti e confini e, per questo, col rischio del naufragio; ma è uno spazio «limpido», totalmente illuminato, dove è possibile vedere tutto, anche se questo tutto è il «deserto». Ma il deserto è colmato dalla libertà interiore, dalla coscienza di essere, non solo hic et nunc, ma per la vita, con una propria realtà da comunicare con la parola, da trasfigurare in simbolo: nella solitudine più disperante sgorga, come un fiume che finalmente trova la foce, una gioia che è più grande del dolore, anche se questo si macera nel profondo dell’io.
Si attuano, allora, l’ungarettiano «M’illumino / d’immenso» e il «naufragar dolce» leopardiano, che coincidono, nella Pozzi, con l’accettazione sofferta, dolorosa e dolorante, ma liberante, del dono della poesia per sé e per gli altri: «ora accetti/ d’esser poeta». Onorina Dino (dalla rete)
 


Un destino
  
Lumi e capanne
ai bivi
chiamarono i compagni.
A te resta
questa che il vento ti disvela
pallida strada nella notte:
alla tua sete
la precipite acqua dei torrenti,
alla persona stanca
l’erba dei pascoli che si rinnova
nello spazio di un sonno.
In un suo fuoco assorto
ciascuno degli umani
ad un’unica vita si abbandona.
Ma sul lento
tuo andar di fiume che non trova foce,
l’argenteo lume di infinite
vite – delle libere stelle
ora trema:
e se nessuna porta
s’apre alla tua fatica,
se ridato
t’è ad ogni passo il peso del tuo volto,
se è tua
questa che è più di un dolore
gioia di continuare sola
nel limpido deserto dei tuoi monti
ora accetti
d’esser poeta.
 
Antonia Pozzi
13 febbraio 1935
 
 destini,
solitari,
 incrociati;
destini
alla deriva,
finiti;
rivedo e rivivo
cose e persone
nel silenzio
o nel vocio fastidioso,
rivoglio me stesso
rivendico
innati diritti...

lunedì 22 dicembre 2014

D'inciampo...il mare

 
D'inciampo
a perdifiato nella corsa
un tavolo una sedia per sostare
chi si rialza
ha ancora in mente il mare.

Cristina Fantechi
Spaesamenti di terra per mare
 
 
 
seduto, aspetto,
aspetto su una sedia,
forse mi manca il mare,
forse mi manca...
 
 
mare sostantivo maschile [lat. mare]. - (geogr.) [complesso delle acque salate che circondano i continenti e le isole, oppure una parte qualsiasi di tale complesso] ≈ (poet.) nettuno, oceano, (poet.) onda, (lett.) pelago, (lett.) ponto.
Espressioni: colpo di mare → □; forza di mare → □; gambero di mare → □; fig., gettare a mare [accantonare qualcosa che si usava prima] ≈ abbandonare, disfarsi (di), sbarazzarsi (di); fig., monaca di mare → □; fig., orecchia di mare → □; fig., polmone di mare → □; fig... - TRECCANI
 
Massa d’acqua che circonda la terraferma e ricopre gran parte della superficie terrestre. In senso stretto, si indicano con il termine oceano gli spazi acquei più vasti e si chiamano m. distese acquee minori che, dipendendo da uno o più oceani, si differenziano da questi per caratteristiche proprie (morfologiche, batimetriche ecc.).
Il termine m. si accompagna con opportune determinazioni: Mare Caribico; Mar Giallo; Mar Mediterraneo, a sua volta suddiviso in più mari (Mare Adriatico, Mar Tirreno ecc.).
La differenziazione di questi m. è più o meno marcata secondo l’estensione della zona di contatto con l’oceano da cui esso dipende. Se la zona di contatto è molto ampia, la differenziazione è poco netta: è il caso dei m. periferici (per es., il M. del Giappone), nei quali l’elemento di separazione è costituito da un cordone di isole, e dei m. marginali, caratterizzati dalla mancanza di un qualunque elemento di separazione con l’oceano aperto. I m. marginali del passato geologico (m. epicontinentali) erano molto estesi, occupavano vastissime aree e avevano scarsa profondità. Oggi m. di questo tipo si trovano solo in alcune aree geografiche: Mare del Nord, Mar Baltico, Golfo Persico, Mar Giallo, Mar della Sonda.
Spiccatissima è invece l’individualità dei m. che comunicano con l’oceano attraverso stretti passaggi (m. interni); tra questi particolare importanza hanno i quattro m. mediterranei (Mar Glaciale Artico, Mediterraneo, Mediterraneo americano, Mediterraneo australasiatico).
Non si fa invece alcuna distinzione tra m. e oceano quando si studiano sia i caratteri fisico-chimici sia i caratteri biologici, e i fenomeni che hanno il loro svolgimento nell’ambiente marino in genere: di tali studi si occupa l’oceanografia.
Nell’uso comune, ma non in quello scientifico, si definiscono m. anche zone oceaniche senza caratteristiche proprie: si tratta in tali casi di pure denominazioni geografiche (per es. il Mare Arabico). Lo stesso si dica del Mar Caspio e del Mar Morto che, non comunicando con l’oceano, si dovrebbero chiamare più propriamente laghi