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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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martedì 28 febbraio 2017

Verginità passata

Verginità

Noi...
Caos di nocciòli trasandati dopo la pioggia
profumo di polpa delle grasse nocciòle,
le mucche partoriscono nell'aria afosa
nelle stalle splendenti come stelle. –
O ribes e frumenti maturi
o succulenza pronta a sgorgare,
o lupa che allatti i piccoli,
occhi di lupa dolci come gigli!
Scolano le resine destinate al miele,
la poppa della capra pesa come zucca–
– scorre il bianco latte come l'eternità
nei templi del seno materno.

E noi...
... nelle ermetiche –
come termos d'acciaio –
stanzette color pesca
impigliate fino al collo nei vestiti
facciamo
discorsi
culturali.

 
Zuzanna Ginczanka
La gioia eroica della vita
traduzione di Paolo Statuti
 
 

Noto come La perdita della verginità, questo dipinto fu realizzato da Paul Gauguin nell'aprile del 1891: si tratta dell'ultimo lavoro importante realizzato dall'artista prima della sua partenza per Tahiti. Anche se nell'opera viene raffigurato un paesaggio della Bretagna, terra molto cara all'artista, il dipinto fu realizzato nel suo studio di Parigi. La protagonista principale è la ragazza nuda, distesa in primo piano: a posare per permettere la realizzazione di questa figura fu Juliette Huet, ventenne amante di Gauguin all'epoca (il pittore l'avrebbe poi abbandonata al momento di partire per l'Oceania).
La ragazza sta abbracciando una volpe, che a sua volta le mette una zampa sul cuore: come lo stesso Gauguin ricordava in una sua lettera a Emile Bernard, secondo la simbologia indù la volpe sarebbe simbolo di perversione (e lo sguardo poco rassicurante dell'animale ci dà visivamente idea del suo connotato negativo).
Paul Gauin
"La perdità della verginità"
Museum of Arts and Science - Norfolk (Virginia, Stati Uniti)
Ci sono altri simboli che rimandano alla perdita della verginità: la ragazza tiene in mano un fiore reciso (simbolo della sua verginità che è stata, appunto, colta) e la stagione in cui l'opera è ambientata è l'autunno, il periodo dell'anno in cui le piante iniziano a spegnersi e a perdere le foglie, un altro chiaro rimando alla perdita dell'innocenza. Sullo sfondo vediamo una processione di personaggi che indossano gli abiti tipici della Bretagna: potrebbe essere simbolo del fatto che la ragazza, avendo perso la sua purezza, è ora esclusa dalla società.
La ricchezza dei simboli, così come i modi del dipinto (i colori pieni, le forme nettamente marcate) rimandano alla pittura simbolista, da cui Gauguin era fortemente attratto all'epoca della realizzazione dell'opera.
Il dipinto, rimasto proprietà dell'artista fino al 1895, fu poi acquistato dal conte Antoine de la Rochefoucauld, nella cui collezione rimase fino al 1948. Dopo aver girato attraverso varie collezioni private entrò nelle collezioni di Walter Chrysler junior, figlio dell'omonimo fondatore della celebre casa automobilistica. Nel 1971 l'opera entrò a far parte, insieme a una vasta sezione della raccolta di Chrysler, del Museum of Arts and Science di Norfolk (Virginia, Stati Uniti), che in seguito alla corposa donazione di Chrysler cambiò nome in Chrysler Museum: l'opera è ancor oggi conservata qui (dalla rete).
 
 
portali scardinati, deflorati,
la mia verginità di facciata, per gli altri;
mari tersi e terre incontaminate,
questi doni per me, lontani...

lunedì 27 febbraio 2017

Giorni di minime #43

 
 
il primo pensiero del giorno a chi va?
il mio da tempo è per loro, per chi qui continua
a sembrare una presenza importante;
Poi penso alle cose, alle ansie, alla corsa,
a ciò che mi aspetta e impedisce imbrigliando
deviazioni possibili, cercate.
Poi penso alle cose...
 
Gujil
 

domenica 26 febbraio 2017

Destino


Destino

                  Se non sono radice e solo questo,
ahi, quando si vedranno il mio stelo e i miei fiori,
e quando nasceranno i frutti?
Quale giorno attende il tempo, quale l'aria,
e perché Dio mi vuole lancia oscura
nella sua dura terra?

Non è che non voglio più essere radice
quando già posso esser tronco, foglie, rami,
dei miei fiori più belli.
Frutto fra i denti degli uomini,
voglio continuare ad essere radice.
Spiccare il salto trascinando terra
e unirla al cielo.

Sempre radice, tra il grano
scuro come ora sono scura.
Ma andando verso il regno del volo,
camminando tra le brezze; essere il porto degli uccelli,
il legno della nave, e che le coppe
si colmino del mio corpo e della mia essenza.

Se non spero d'essere fiore, aprirmi in frutto,
avere tra le mani terra e cielo,
vibrare come colonna tra i due...
Tu Dio; tu che mi hai creato, non costringermi
ad essere una radice della terra:
radice, solo radice: profonda radice!

 
Carmen Conde
Senza Eden
traduzione di Gabriele Morelli
 
 
Il destino dietro l'angolo,
la scusa per viversi addosso o vivere contro.
Il destino a volte
siamo solo noi che
curviamo il volante della vita
anche se la strada è diritta.

Gujil

 
Rassegnarsi agli accadimenti della vita, solo perché si pensa voluti dal destino, non aiuta, in effetti, a reagire di fronte agli ostacoli e alle avversità.  A noi uomini è stato conferito il libero arbitrio, quindi quando sbagliamo ne paghiamo le conseguenze e il destino – forse – non centra proprio nulla.
Spetta all’uomo prendere le decisioni finali; in parte dunque la fortuna siamo noi, per un’altra parte il destino.
Teniamo sempre a mente di non affidare al destino il nostro futuro perché esso si può sempre cambiare con forza e determinazione, pazienza e tanta  forza di volontà. E si potrebbero citare tanti esempi di persone che, giorno dopo giorno, sono  riuscite con pazienza e tanti sacrifici a cambiare radicalmente la propria vita (dalla rete).

il fato, ciò che ci aspetta,
dietro angoli più o meno illuminati,
dopo ogni svolta della strada il destino,
quello che ci aspetta al varco...sempre...

sabato 25 febbraio 2017

L'auriga di Delfi

L'Auriga di Delfi è una scultura greca bronzea (h. 180 cm), databile al 475 a.C. e conservata nel Museo archeologico di Delfi.
Rinvenuta negli scavi del santuario di Apollo a Delfi, faceva parte di una quadriga, commissionata da Polizelo (Polyzalos di Deinomedes), tiranno di Gela, forse per ricordare una vittoria ottenuta nella corsa con i carri, nel 478 o 474. Venne rinvenuta poiché sepolta da una caduta di massi dalle rupi Fedriadi nei pressi di dove era collocata. L'autore della statua è sconosciuto; l'ipotesi più probabile è che sia opera di Sotade di Tespie o di Pitagora di Reggio o di Pitagora di Samo.
La statua era collocata su un carro tirato da cavalli, del quale si conservano solo pochi frammenti. Lo stato di conservazione è ottimo, anche se è mancante del braccio sinistro. Venne fusa a pezzi in bronzo spesso, perché più resistente all'esposizione alle intemperie, con rifiniture eseguite a freddo: col bulino e con applicazioni di argento per la benda ("tenia"), rame per le ciglia, pietra dura per gli occhi. L'auriga veste un lungo chitone cinto in vita, pesante, scanalato, rigido quasi a costruire una colonna; nella mano destra tiene delle redini; il volto è leggermente rivolto a destra. Attorno al capo la tenia del vincitore, con decoro a meandro e incrostazioni di rame e argento. I capelli sono finemente disegnati, in riccioli che non alterano le dimensioni del capo. Lo sguardo è intenso e vivo, con la tensione competitiva appena leggibile, stemperata dall'atteggiamento sorvegliatamente misurato del corpo. I piedi sono resi con una naturalezza fresca e precisa, molto veristica: mostrano infatti i tendini tesi per lo sforzo appena compiuto. Nessuna statua pervenutaci lontanamente rassomiglia all'auriga: solo alcuni esemplari ritrovati nella Magna Grecia similmente e sommariamente ci ricordano il modello di Delfi.
È soprattutto nel volto che si concentra la singolarità di questo bronzo: lontano dalla bellezza ideale, dotato di tratti particolarissimi, è possibile che si tratti di un volto individuale. Nonostante la statua sia evidentemente legata ai moduli arcaici, essa è percorsa da un vigore innovativo. L'Auriga di Delfi come il celebre Cronide di Capo Artemisio sono da considerarsi appartenenti allo stile severo, sviluppatosi in Grecia tra il 480 e il 450 a.C. (da Wikipedia)


da Chanson d'aventure
 
I misteri dell'amore crescono nelle anime
e tuttavia il corpo è il suo libro.
 
          III                 
 
L'auriga a Delfi resiste,
i suoi sei cavalli andati insieme al carro,
la mano sinistra potata

dal polso protuso come una cannella aperta,
redini bronzee fluenti nella destra, gli occhi fissi
vuoti come lo spazio dove dovrebbe stare il tiro,

la postura eretta, sguardo in avanti, simile alla mia
mentre faccio fisio nel corridoio, sorreggendomi
come se mi ritrovassi una volta ancora al passo


tra due stanghe, un'altra mano sulla mia,
ogni scivolata del vomere, ogni sasso che urtava
iscritto come una pulsazione nella presa lignea.


Seamus Heaney
Il Virgilio irlandese
Traduzione di Luca Guerneri

 
in un crescendo incredibili il mio eroe
perpetra indicibili nefandezze,
preso di rabbia scompone visioni
in tessere fotografiche minime...

venerdì 24 febbraio 2017

Giorni di minime #42 a perdifiato


viviamo nel fragore dei giorni, dei mesi,
passano le stagioni e noi dietro, trascinati dalla vita;
a volte vorrei fermare il tempo e ragionare,
in un limbo assoluto di sentimenti ed emozioni,
fermo, come un albero accarezzato da brezze marine;
invece sono qui che corro a perdifiato ancora e spesso piove...
 
Gujil
 
 
perdifiato
[comp. di perdere e fiato]
– Nella locuz. avv. a perdifiato, fino a perdere il fiato, fino a non poter più respirare per lo sforzo eccessivo:
urlare, gridare, cantare a p.; correre a perdifiato.
sostantivo maschile [comp. di perde(re) e fiato]. - [solo nella locuz. a perdifiato]
▲ Locuz. prep.: a perdifiato [fino a perdere il fiato: correre a perdifiato]
≈ all'impazzata, a più non posso, a rotta di collo, (non com.) a tutta lena.
TRECCANI

giovedì 23 febbraio 2017

Freddo mattutino e galaverna

Il freddo mattutino è tipico della stagione invernale, la terra si è ulteriormente raffreddata durante la notte e la mattina può portare gelate o brinate, in Lombardia è tipico un fenomeno detto Galaverna.
 
Nel mattutino freddo
 
Nel mattutino freddo andremo
dove il ghiaccio allenta la morsa
ci arriveremo in fretta, di corsa
per bere un sorso e sospireremo;
 
le estati risolte negli occhi
primavere incomplete nei sogni
come fossero ancora preziosi bisogni
nei nostri afflati un po' sciocchi;
 
perdurano tempi di difficili cose,
scompigliano pensieri e ansie vicine
come fossero fugaci, sensuali ballerine
nel cuore agitato di giovani spose.
 
Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate
 
 
In meteorologia la galaverna o calaverna è un deposito di ghiaccio in forma di aghi, scaglie o superficie continua ghiacciata su oggetti esterni che può prodursi in presenza di nebbia quando la temperatura dell'aria è inferiore a 0 °C. La galaverna è costituita da un rivestimento cristallino, opaco e bianco intorno alle superfici solide; di solito non è molto duro e può essere facilmente scosso via. Essa si forma perché le goccioline d'acqua in sospensione nell'atmosfera possono rimanere liquide anche sotto zero (stato di sopraffusione). Il fenomeno della galaverna è il passaggio da vapore acqueo a ghiaccio, che avviene non solo sul terreno, ma anche sugli alberi, sui tetti delle case, sulle auto ecc. La galaverna richiede piccole dimensioni delle gocce di nebbia, temperatura bassa, ventilazione scarsa o nulla, accrescimento lento e dissipazione veloce del calore latente di solidificazione. Quando questi parametri cambiano si hanno altre formazioni, come per esempio la calabrosa, che si forma quando le gocce di nebbia sono più grosse e il vento è più forte. La galaverna si distingue dalla brina perché questa non è coinvolta dal processo di sopraffusione delle gocce d'acqua e si forma per il brinamento del vapore sulle superfici raffreddate a causa della perdita di calore per irraggiamento durante la notte. Le formazioni di ghiaccio, simili alla galaverna, che si producono in assenza di nebbia con temperature molto basse e un'alta umidità relativa dell'aria superiore al 90% possono essere chiamate ugualmente galaverna (in inglese soft rime).

 
Ciro Chistoni descrisse un fenomeno assimilabile alla galaverna, che egli definì forte brinata invernale. Il fenomeno avviene con cielo inizialmente limpido e con formazione di brina sugli oggetti. Scendendo la temperatura, l'aria raggiunge il punto di saturazione di vapore acqueo e, per la presenza di nuclei di condensazione, si forma una nebbia bassa. In questa situazione avviene la solidificazione delle goccioline d'acqua nella nebbia con formazioni aghiformi di ghiaccio amorfo o cristallino che si sovrappongono alla brina. Il fenomeno sarebbe più frequente in autunno avanzato e più raramente in inverno, in particolar modo su oggetti compresi tra il suolo e quattro-sei metri d'altezza. Data la confusione allora presente tra fenomeni di brinamento e solidificazione della nebbia, è probabile che lo scienziato si riferisse a quella che oggi è la galaverna in senso proprio (da Wikipedia).
 

mercoledì 22 febbraio 2017

Nei campi

da
Lavoro sul campo
III

Non la chiazza di fango,
non l'acqua scura infestata da erbacce
piena di pigne di ontani e di foglie butterate.

Non il cerfoglio selvatico in inverno
con i suoi vecchi stinchi e polsi imbiancati,
il suo sibilo, il suo tremolio.

Nemmeno l'ombra verde acido dell'estate
densa di farfalle
e con rotondità di fungo come una sella di cuoio.


 No. Ma in un angolo quieto,
puntellato al suo muro di ghiaietto,
pesante, attirato dalla terra, tutto bocca e occhio,

il girasole, che sogna terra d'ombra.

                  
Seamus Heaney
Il Virgilio irlandese
Traduzione di Marco Sonzogni
 
 Enrico Bartezaghi
"Sul Campo di lavoro"
Roma - Camera dei deputati


"Paesaggio con contadini"
Autore: Bartezago, Enrico (1820-1905)
Cronologia: post 1890
Tipologia: pittura
Materia e tecnica: tela/ pittura a olio
Misure: 185 cm x 80 cm
Notizie storico-critiche: Del dipinto, rappresentante una distesa di terra animata dalle figure dei contadini che la lavorano, vinse il premio Mylius nel 1890. Dell'opera non si hanno testimonianze critiche, come sommarie sono le infomazioni relative all'artista che sappiamo partecipò alle mostre braidensi dal 1879 al 1888 e poi ancora, saltuariamente, nel 1891, 1892, 1896 e 1906 (Tamaini Francesca, 2009, dalla rete).
 
lavorare stanca, spossa, produce,
a chi piace, a chi non, indifferenza;
forte di un passato remoto incontro
le file dei disperati nelle attese...

martedì 21 febbraio 2017

Rasserenarsi

Quando l’aira rischiara e rinserena,
e ‘l mondo torna in grande diletanza
e l’agua surge chiara de la vena
e l’erba vien fiorita per sembianza
e gli augilletti riprendon lor lena
e fanno dolzi versi i[n] loro usanza,
ciascun amante gran gioia ne mena
per lo soave tempo che s’avanza;
ed io languisco ed ò vita dogliosa;
com’altr’amante non posso gioire,
che la mia donna m’è tanto orgogliosa,
e non mi vale amar né ben servire:
però l’altrui alegrezza m’è noiosa,
e noiami ch’io vegio rinverdire.
 
Bondie Dietaiuti
 
 

Parafrasi:

Quando l’aria si fa più chiara e serena, il mondo ridiventa molto più lieto e l’acqua sgorga chiara dalla sorgente e l’erba diviene fiorita sotto il nostro sguardo e gli uccelletti riprendono vigore ed emettono dolci gorgheggi secondo la loro abitudine, tutti gli innamorati si mostrano molto felici per la dolce stagione che sta avanzando; io (invece) soffro e la mia vita è triste; non posso rallegrarmi come tutti gli altri innamorati, perché la mia donna è estremamente altera con me, e non è sufficiente che io l’ami e sia suo fedele servitore: perciò l’allegria degli altri mi è sgradita, e tutto questo rifiorire mi dà fastidio.        

 
 


il sereno torna sempre, sempre,
"homo selvadego per natura", si scrive,
come me , mancato uomo dei boschi,
quando piove rido al sereno.
 

Commento:

Arriva la primavera, col cielo azzurro; la terra si risveglia lietamente, l’acqua zampilla chiara dalle fontane, l’erba cresce rigogliosa, gli uccelli gorgheggiano: è il classico paesaggio primaverile della poesia provenzale.

Ma la dama del poeta è altera e superba, e lui è l’unico, in contrasto con tutti gli altri lieti amanti, a sentirsi non solo triste, ma anche infastidito da tutto questo risveglio.

Il sonetto è diviso simmetricamente in un’ottava (gioiosa) e una sestina (triste).

Come altri poeti siculo-toscani di transizione tra i Siciliani e gli Stilnovisti, verso la metà del XIII secolo, anche Bondie gioca con questi schemi culturali mostrando, se non grande originalità, una delicata sicurezza di toni e d’accenti.

Tema analogo e identica struttura si ritrovano nel celeberrimo Zefiro torna e ’l bel tempo rimena del Petrarca, e dureranno a lungo nella nostra poesia.

Forse è superfluo osservare che per Bondie sarebbe quasi impossibile immaginare un verso folgorante come il petrarchesco e primavera candida e vermiglia.     

(TRECCANI - scelta, parafrasi, commento e note a cura di Gigi Cavalli) 

lunedì 20 febbraio 2017

Erato



Angelika Kauffmann
"Erato, la Musa della poesia,
 con un Putto"
Di pari passo con Erato
 
Già da un pezzo vivo questo amore.
E la sua traccia
e il desiderio come virtù

e il desiderio come debolezza. 

Mi ossessiona.
Plasmo a fatica la sua forma.
Non mi riesce mai perfettamente.

Non lo finisco mai fin nei minimi particolari.
 
Finché non entro in esso come la prima volta:
piena d'incertezza,
con estrema cautela,
mai del tutto a mio agio,
sembra un grande

amore. 

Chiudo gli occhi.
Di fronte al suo splendore
mi fermo,

ammutolisco.

E il desiderio descrive il suo cerchio.
 
Maja Razborsek
 
  


Nella mitologia greca Erato (in greco Ερατώ), figlia di Zeus e di Mnemosine, è una delle Muse, precisamente quella del canto corale e della poesia amorosa.
Edward John Poynter,
"Erato, la musa della poesia”
 
Viene raffigurata come una giovane, con una corona di mirti e di rose, con in una mano una lira e nell'altra il plettro, collocato vicino a lei c'è un Amorino armato d'arco e di turcasso.
Il suo nome sembra significare "Amabile" e deriverebbe da Eros, dando ascolto a quanto suggerisce Apollonio Rodio nella sua invocazione ad Erato che apre il III libro delle Argonautiche.
Erato viene citata insieme alle altre Muse nella Teogonia di Esiodo e veniva invocata nel proemio di un poema ora perduto, la Radina, ricordato e brevemente citato da Strabone.
La romantica storia di Radina, fece sì che la sua supposta tomba, che si trovava sull'isola di Samo, all'epoca di Pausania fosse meta del pellegrinaggio degli innamorati infelici.
Erato fu rappresentata come una figura collegata all'amore anche nel Fedro di Platone.
Tuttavia, all'epoca in cui Apollonio scriveva, il III secolo a.C., le Muse non erano ancora viste come figure così strettamente legate ad una specifica arte come avvenne in seguito.
Da lei nacquero Tamiri (suonatore di lira, quindi poeta e cantore) e Cleomene (che divenne poi sposo di Flegias).
Inoltre dalla sua unione con Arcade nacque Azano. (da Wikipedia) 

  poesia amorosa, musica e danza,
le muse accompagnano cuori impetuosi;
per me ricordo giovanili slanci,
fatti di sogni, pieni di suoni...


domenica 19 febbraio 2017

Fatica... e sogno



Se pur fatiche e sogni

Se pur fatiche e sogni
e la mesta ubbidienza me malvivo
fanno, e rare tue fronde, poesia,
un'ultima gaiezza mi soccorre
e brevemente il mio deserto illude.
Sorriso estremo, labile
zampillo d'acque che dal perso tempo
smorzato appena insorge, e i duri raggi
del dispietato sole di mia vita
fa un attimo brillare,

ultimo dono dell'avara infanzia,
questo: giocare.
 
Sergio Solmi 
(da “Fine di stagione”, Carabba, 1933)
 


 
Gustave Dorè 
"Il peso dei sogni"
Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno /
toglieva li animai che sono in terra /
da le fatiche loro…
(Dante - Inferno - vv. 1-3)


Fatica
(fatica) sostantivo femminile (pl. -che)
  • 1.- Sforzo prolungato, calo delle capacità psicofisiche di resistenza dovuto ad esso SIN spossatezza, stanchezza: accusare la f.
  • 2.- estens. Attività di carattere materiale o intellettuale, dura e impegnativa SIN lavoro, opera: la f. dei campi; l'ultima f. di uno scrittore || uomo di f., incaricato di svolgere lavori pesanti | f. sprecata, sforzo inutile
  • 3.- fig. Difficoltà, stento, pena || durare f., fare f., avere difficoltà | costare f., riuscire gravoso | a f., a stento
  • 4.- tecn. Deterioramento di un materiale sottoposto a particolari sollecitazioni SIN usura
  • 5.- agr. Condizione per cui un terreno, sfruttato da anni con la stessa coltura, si impoverisce
pegg. faticaccia


sogni mattutini, quelli che si ricordano
prima della sveglia, prima del giorno;
poi la fatica, quella del quotidiano incedere
tra cose venali, superflue e finte, quella della vita... 


sabato 18 febbraio 2017

In un assurdo di cicale

Le cicale cantano di giorno, non ti lasciano un attimo di tregua sotto il sole afoso.
Per attirare le femmine per l’accoppiamento, che si dice siano attratte proprio da chi ha il canto più potente, i maschi attivano degli organi stridulatori. Le cicale hanno “lamine (timballi) tese da tendini che le collegano a muscoli, sui lati dell’addome; per produrre il suono l’insetto fa vibrare le lamine e camere d’aria provvedono alla risonanza. Non si tratta quindi di un suono prodotto da sfregamenti di parti del corpo.”
Le Cicale fanno da sempre parte delle culture contadine di tutto il mondo e sono simbolo di prosperità e salute, fin da antiche testimonianze greche. Solo per Esopo la cicala è emblema di imprevidenza, messa a paragone con la lungimirante formica, ma per le tradizioni di tante parti del mondo questo è solo un racconto. (da Wikipedia)




In un assurdo di cicale
 
In un assurdo di cicale
sogno la mia estate invernale,
preda del ansia riprovo
cose passate, di nuovo;
le sagome altere dei tetti
stagliano contorni perfetti,
non dormo, decanto nei sogni
attento alle cose, ai bisogni
 
Anonimo
del XX° Secolo
poesie ritrovate
 
 

venerdì 17 febbraio 2017

Baci


 
Le mie voglie di baci … 

Le mie voglie di baci e di parole
sono una stanza molto grande dove
siede assurdamente il cuore.
Vale a dire, sopravvive.
Nel taglio delle sue strane correnti.

Juan Gelman


 
 

Non lasciate per domani i baci che potreste dare oggi

“Il bacio che conservo per te ora rischia di volare via,
di uscire dalle mie labbra e cercarti o di perdersi nel tentativo di trovarti”
Ligia García y García
 

Mai...Non smettete mai.
Perché i baci di oggi sono anche sorrisi e complicità.
Perché i baci di oggi dicono tutto e domani potrebbe essere troppo tardi.
I baci non sono solo un atto fisico: rappresentano l’amore, il rispetto e l’amicizia; essi sono l’unica lingua del mondo che non lascia nulla di non detto e che non ha secondi fini.
Grandi, piccoli, brevi, lunghi, caldi, freddi, umidi, asciutti…
Un bacio ci parla dell’esistenza del tutto e del nulla.
Baciare è un’arte in cui bisogna saper dare e saper ricevere
I nostri baci, con la loro intensità e il loro calore, dicono tutto.
Perché baciare significa cercare una destinazione in cui voler restare,
anche solo per pochi secondi.
Restare per sentire il contatto e ciò che quel bacio significa (dalla rete).
 
baci e baci e baci sempre,
i giovani vivono di baci,
gli adulti li danno passionali
i vecchi li desiderano ancora...
 

giovedì 16 febbraio 2017

Giorni di minime #41

solo,
nel consesso dei puri,
oltre il sole,
oltre la vita...
 
Gujil
 
 

mercoledì 15 febbraio 2017

Montenuovo (Monte Nuovo)


Strane rupi, aspri monti

Strane rupi, aspri monti, alte tremanti
ruine, e sassi al ciel nudi e scoperti,
ove a gran pena pòn salir tant’erti
nuvoli in questo fosco aere fumanti; 
superbo orror, tacite selve, e tanti
negri antri erbosi in rotte pietre aperti:
abbandonati, sterili deserti,
ov’han paura andar le belve erranti;
a guisa d'uom, che per soverchia pena
il cor triste ange, fuor di senno uscito,
sen va piangendo, ove il furor lo mena,
vo piangendo io tra voi: e se partito
non cangia il ciel, con voce assai più piena
sarò di là tra le meste ombre udito. 


 Luigi Tansillo
monti lontani da tempo,
le mie visioni varianti di rosa,
al tramonto, al balcone amato e vissuto;
qualche raggio di sole...ancora...
 
 
Rupi bizzarre, montagne dirupate, rovine alte e pericolanti, pietre messe a nudo ed esposte a cielo aperto, sulle quali possono a fatica salire tanto alte nuvole di fumo in questa densa e scura atmosfera; luogo deserto e spaventoso, dense foreste silenziose, e tante nere caverne, invase dalle erbacce, aperte dentro gli spacchi delle rocce franate: deserti sterili e abbandonati, dove temono di avventurarsi, vagando, anche le bestie feroci; come un uomo che per il troppo dolore il cuore fa tristemente soffrire fino a perdere il senno, ed erra qua e là dove lo porta la sua furia disperata, io vado piangendo in mezzo a voi: e se il cielo non cambia le proprie decisioni, nell’Aldilà, tra le meste ombre (dei morti), sarò sentito (lamentarmi) con voce molto più forte.
La visione apocalittica del Montenuovo, formatosi in seguito all’eruzione vulcanica dei Campi Flegrei nella notte del 29 settembre 1538, è presentata in questo noto sonetto (dal Canzoniere) come un paesaggio paragonabile alle tormentose pene di un amore infelice: si allarga faticosamente in versi cupi, altisonanti e, si direbbe, tridimensionali, più simili a quelli di Dante che alle melodie petrarchesche (delle quali, però, non manca l’eco nelle terzine conclusive). Tra Rinascimento e Controriforma, anticipando l’ondata barocca, Luigi Tansillo impone autorevolmente la sua nobile forma manierista e pre-marinista nel panorama della poesia meridionale del suo tempo.        
(Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli - TRECCANI)