...........................................................................................................................................

L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


...........................................................................................................................................

lunedì 14 novembre 2011

Clemente Rebora

Nato a Milano nel 1885 da famiglia piccolo borghese, Clemente fece nella città lombarda i suoi primi studi e successivamente si iscrisse alla “Accademia Scientifico-letteraria” presso la quale conseguì la laurea in Lettere.
Nel 1908 iniziò la sua attività di insegnante sia nelle scuole pubbliche che in quelle private. Negli anni successivi entrò in contatto con “La Voce”, sulla quale pubblicò alcuni articoli, che riguardavano il problema della educazione dei ragazzi dei ceti più umili, ed altri invece rivolti ai suoi amici letterati, ai quali rimproverava un eccessivo intellettualismo, asserendo la necessità di un avvicinamento ai problemi reali e alla quotidianità.
Scoppiata la grande guerra, fu arruolato ed inviato al fronte con il grado di sottotenente.
Lì scampò alla morte, ma un colpo di mortaio esploso vicinissimo a lui gli provocò uno shock tale, che fu prima ricoverato in ospedale, poi congedato. Nel 1919 abbandonò l’insegnamento nelle scuole governative per andare ad insegnare nelle scuole serali dei quartieri più poveri della città: fu la sua prima scelta vocazionale.
Cominciò così un’esperienza di carità che lo portò ad esempio ad ospitare nella sua modesta abitazione barboni del quartiere (ma talora anche prostitute) per offrire loro un pasto caldo o un letto per la notte.
Nel 1931 entrò nell’Istituto della Carità dei Padri rosminiani di Domodossola e nel ‘36 fu ordinato sacerdote.
Cominciò così per lui un lungo isolamento durante il quale però non cambiò le sue abitudini, né smise di comporre versi, anche se ormai di contenuto prevalentemente religioso.
Colpito da una paralisi, morì dopo molte sofferenze fisiche nel 1957, nel Collegio Rosmini di Stresa.
Clemente Rebora fu un uomo mite, altruista, estremamente sensibile nei confronti della sofferenza altrui, sin dalla giovinezza animato dal desiderio di giovare agli altri, di essere vicino ai poveri e ai bisognosi.
Umile di carattere, ma forte di temperamento, fece dell’amore fraterno la legge della sua vita traducendolo in atti concreti di carità e di dedizione al prossimo suo.
Sacerdote in pectore prima ancora di essere consacrato, seppe fare sin dalla gioventù una scelta di campo che non tradì mai.
Rebora sotto questo riguardo incarna veramente l’ideale del buon Samaritano e ci trasmette un modello di vivere cristiano raro per i giorni nostri.
Benché di educazione familiare laica e positivistica, dilaniato da problematiche esistenziali in un’oscillazione continua tra una fiducia nell’opera dell’uomo e un disgusto per il mondo, tra desiderio di perfezione e coscienza dei suoi limiti, riuscì a trovare una strada d’uscita solo approdando alla fede, dopo per altro aver fatto esperienze religiose diverse ed essere stato per un po’ vicino al buddismo, e abbracciando la vita sacerdotale, dopo l’esperienza sentimentale con la pianista russa Lidia Natus cessata nel ‘19.
Egli pertanto ci ha lasciato alcune raccolte di poesie, e cioè i “Frammenti lirici” del 1913, i “Canti anonimi” del 1922.
Dopo lungo periodo di silenzio apparvero le poesie religiose, il “Curriculum vitae”, biografia in versi del 1955, e i “Canti dell’infermità” del 1957, appartenenti al periodo del sacerdozio e della malattia. A queste seguirono altre poesie religiose (dalla rete).



Dall'immagine tesa

Dall'immagine tesa
vigilo l'istante
con imminenza di attesa -
e non aspetto nessuno:
nell'ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono -
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d'improvviso,
quando meno l'avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.

Clemente Rebora



2 commenti:

  1. Bella poesia,non conoscevo l'autore.Grazie per l'informazione.

    RispondiElimina
  2. Grazie a te di leggere questo piccolo spazio di libero pensiero. I tuoi commenti (e quelli di tutti) mi servono per migliorare il blog e mi danno lo stimolo a continuare.

    Gujil

    RispondiElimina