...........................................................................................................................................

L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


...........................................................................................................................................

lunedì 28 aprile 2014

Levante

Levante

La linea
vaporosa muore
al lontano cerchio del cielo
Picchi di tacchi picchi di mani
e il clarino ghirigori striduli
e il mare è cenerino
trema dolce inquieto
come un piccione
A poppa emigranti soriani ballano
A prua un giovane è solo
Di sabato sera a quest’ora
Ebrei
laggiù
portano via
i loro morti
nell’imbuto di chiocciola
tentennamenti
dei vicoli
di lumi
Confusa acqua
come il chiasso di poppa che odo
dentro l’ombra
del
sonno.

Giuseppe Ungaretti


sole che nasce
o che muore sul mare,
sole che irrora le onde,
un poco di vento, una vela,
lo scoglio e la luce...

Come a continuare il testo "Silenzio", questi versi raccontano il viaggio di Ungaretti da Alessandria a Parigi. Il poeta è sempre sul bastimento verniciato di bianco e guarda in avanti, verso Parigi, sebbene nel suo cuore sia forte la "nostalgia" di Alessandria (scomparsa in lontananza in Silenzio). Non c'è altro che il mare: la linea vaporosa (è l'effetto del vapore acqueo nell'aria) del mare finisce laggiù, lontano, dove si confonde con la linea del cielo. In questo vuoto sta solamente la nave (lo stacco è ancora una volta segnalato dalla riga vuota) la cui presenza è rivelata dal suono di picchi di tacchi e picchi di mani, dei ghirigori striduli (straordinario questo verso suggestivo ancora più che onomatopeico: le note acute e dolci al tempo stesso di un clarino che sembrano disegnare nell'aria un arabesco).
All'impressione sonora si somma la visione del mare cinerino che si increspa, quasi fosse inquieto, ma è un'inquietudine dolce, come quella del piccione.
Sulla nave il poeta annota due situazioni contrastanti e separate, anche fisicamente, nella realtà come sulla carta: a poppa emigranti siriani ballano, a prua sta un giovane, da solo. Solo con i suoi pensieri: a quest'ora di sera, in un sabato come questo, laggiù, nella città che egli si è lasciato alle spalle (il giovane è a prua), Ebrei seppelliscono i loro morti (dopo il tramonto, perché prima è proibito, agli Ebrei, di fare qualsiasi lavoro). La seconda immagine è quella dei lumi tentennanti nei vicoli scarsamente illuminati. Nell'ultimo strofa avviene lo svelamento: "che io odo". Dunque quel giovane a prua altri non è che il poeta Ungaretti.
La poesia è costituita di sei strofe ognuna di diversa struttura e di varia misura, e spesso formate di una sola parola che, isolata e "nuda", acquista tutto il suo valore poetico e semantico.
La punteggiatura è sostituita da spazi bianchi i quali, oltre a scandire i periodi separandoli uno dall’altro, hanno due funzioni:
  • Una semantica (le parole acquistano respiro e, così isolate, esprimono a fondo il loro significato);
  • Una espressiva come pausa di silenzio, infatti in questo silenzio le immagini appaiono libere da ogni vincolo metrico e talvolta sintattico.
Inoltre la poesia è costituita da un certo numero di ellissi come "picchi di tacchi picchi di mani e il clarino ghirigori striduli" e da un’analogia "trema dolce inquieto" (il mare è dolce ma trema come gli inquieti piccioni). Le allitterazioni "linea ... lontano" e "cerchio ... cielo" conferiscono al contesto una sonorità soffusa, cui si contrappone la violenza sonora dei due versi successivi.
I versi sono liberi e non c’è nessuna rima.
Questa poesia fa parte di una raccolta del 1919: Allegria dei naufraghi. La sua prima stesura risale al 1915 mentre la seconda è del 1931, apparsa sulla rivista "L’Italia letteraria". L’edizione definitiva è quella del 1942.
La poesia contiene un riferimento biografico, il viaggio attraverso il mare con cui il poeta passa da Alessandria d’Egitto alla Francia.
Il giovane è Ungaretti stesso, nettamente contrapposto nella sua solitudine alla rumorosa allegria dei siriani nella parte opposta della nave. La scena seguente si riferisce a "riti funebri ebraici ai quali assistevano in Alessandria". Predominano infatti nella descrizione i caratteri visivi, tutti concentrati sugli spazi dei vicoli della città vecchia e all’interno delle case, dove il passaggio da una stanza all’altra era spesso consentito solo da ripide scale a chiocciola.
Il buio dell’imbuto corrisponde al buio dei vicoli, rotto dall’ondeggiare dei lumi portati dal corteo funebre in movimento.
Nella parte finale della poesia la visione dei funerali ebraici fa un tutt’uno con l’acqua marina e con le danze degli emigranti siriani. Resta ancora la struttura comparativa rivelata dal come.
Perciò alla descrizione del mare e della situazione sulla nave, subentra l’evocazione improvvisa di una cerimonia funebre nei vicoli di Alessandria, motivata dal libero vagabondare dei pensieri del poeta, che si raffigura in solitudine sulla stessa nave (dalla rete).

Nessun commento:

Posta un commento