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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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martedì 25 agosto 2009

A Cinque Lune da Nobegmor (XVI)

CAPITOLO XVI°


Mizaurio ispezionò a lungo e con minuziosa cura ogni angolo del palazzo prima di decidersi a raggiungere il suo Principe nei loro appartamenti.
Aveva attraversato cortili interni, salito scale, esplorato cantine e sotterranei.
Nella sua mente si era già prospettato un abbozzo di piano di fuga, eventualmente ce ne fosse stata la necessità.
D'un tratto l'orologio della torre scoccò sette rintocchi che gli ricordarono l'avvicinarsi dell'orario di cena.
Interpellato un valletto incontrato in un grande corridoio,si fece accompagnare nell'ala del palazzo che lo avrebbe ospitato con Gujil.
Fece un lunghissimo bagno profumato di esotiche essenze e, rivestitosi con abiti sfarzosi e sgargianti, raggiunse Gujil.
Entrambi poi, su invito dei servitori, si accomodarono su uno splendido divano di seta e damasco ed attesero pazientemente.
Fuori dalla stanza era già sceso il buio.
Gujil avvertiva crescere in lui un'eccitazione frammista ad un vago senso di inquietudine.
Un rumore di passi provenienti dal corridoio annunciò a lui e a Mizaurio l'arrivo dei loro accompagnatori.
La grande porta, poco dopo, si aprì e vi entrò Lirmein con alcune persone al suo seguito.
- Era ora! - sbottò Gujil con tono stizzito - Stavamo per mettere radici su questo divano.
- Vogliate scusarmi o Nobili Signor, - disse loro il Ministro - ma il cerimoniale di corte prevede così.
Zittì e battè, in rapida successione, alcune volte le mani.
Dopo brevi instanti entrarono nella stanza dei servi che reggevano sulle spalle una portantina.
Ad un cenno di Lirmein la adagiarono a terra al centro della stanza.
- Accomodatevi, vi prego - disse Lirmein indicando con un gesto la portantina - la mia dolce Signora vi sta aspettando per poter dare inizio al banchetto.
- Ma!... - esclamò Gujil stupito - mica si andrà con quel coso nel salone del banchetto!
Disse e si rivolse verso il Ministro poi, sotto il severo ed accigliato sguardo di questi, riprese:
- Già ... dimenticavo ... il cerimoniale di corte prevede così, nevvero?
Il Primo Ministro assentì e Gujil, scuotendo il capo più volte, seguì l'esempio di Mizaurio e salì a bordo sistemandosi di fianco all'amico.
Solo allora, ad un cenno di Liremein, i servi sollevarono la portantina e cominciarono a muoversi verso l'uscita.
- Un momento! - gridò Gujil e, senza attendere che fosse rimessa a terra, si catapultò come una freccia fuori dalla vettura in direzione della stanza dove aveva alloggiato.
Entratovi vi riuscì poco dopo e, come se niente fosse accaduto, si risistemò a bordo.
- Bene! - disse il Principe - ora possiamo anche andare.
A quell'ordine il piccolo corteo, con Lirmein in testa, si mosse.
- Cosa diavolo sei tornato a prendere? - chiese all'amico Mizaurio.
- Avevo dimenticato questa ... - rispose Gujil e, contemporaneamente alle sue parole, mostrò allo scudiero l'ampolla col filtro, ricevuta da Noretex.
Ciò detto la risistemò di nuovo nascondendola accuratamente sotto il vestito.
- Beh! - disse allora Mizaurio - Speriamo solo di non avere fatto tanta fatica e tanta strada per niente.
Ti sembrerò troppo malfidente mio Gujil, ma questo posto non mi piace ed ancora meno mi piacciono le persone che stiamo incontrando.
Mi sembrano tutti tanti fanatici ...
- Staremo all'erta Mizaurio. Ti sei portato almeno il pugnale? - chiese Gujil.
Lo scudiero assentì con un cenno del capo.
Il resto del tragitto lo fecero in silenzio cercando freneticamente di memorizzare il più grande quantitativo possibile di punti di riferimento.
Dopo alcuni minuti, ad un secco ordine di Lirmein, i servi arrestarono il passo ed adagiarono delicatamente a terra la portantina.
Gujil e Mizaurio scesero e raggiunsero il Ministro che li attendeva di fronte ad una grande porta di legno intarsiata di fregi dorati.
Invitandoli ad attendere, Lirmein varcò per primo la soglia richiudendo la porta alle sue spalle.
Passati pochi secondi la porta si spalancò di nuovo ed uno squillante suono di ottoni accompagnò il loro ingresso nell'immenso salone.
Non appena ebbero varcato quella soglia la musica cessò e loro si trovarono fermi e stupiti in mezzo a due ali di folla che, disposte ai loro fianchi, delineavano un lunghissimo corridoio.
Il silenzio del momento fu frantumato dal rumore sordo che alcuni colpi picchiati sul pavimento avevano provocato.
- Gujil Principe di Ozman e Signore della città di Nobegmor! - annunciò la voce del cerimoniere proveniente dalla loro destra accompagnando a quelle parole altri colpi che si spensero a terra.
A quell'annuncio le due ali di folla si inginocchiarono rispettosamente al cammino di Gujil che, nel frattempo, ad un esplicito invito di Lirmein, si era mosso seguendo il percorso obbligato delimitato dalla gente e, per la prima volta, finalmente, la vide.
Seduta su un trono, nel centro esatto della sala, lei lo stava aspettando.
Controllandosi, il giovane Principe a fatica riusciva a denominare l'agitazione che in lui andava crescendo.
Il sangue fluiva violento nel suo corpo e Gujil ne poteva sentire distintamente il ritmico pulsare alle tempie.
- Calmati Gujil, calmati Gujil. - Continuamente ripeteva il Principe tra sé e sé per farsi coraggio ma, ad ogni successivo passo che andava aggiungendo a quelli già camminati, il suo cuore aumentava i colpi nel petto mentre il corpo veniva scosso da fremiti incontrollabili.
La figura della Principessa si andava delineando sempre più nitida agli occhi di lui.
Finalmente quella pena ebbe termine e Gujil fu sotto il trono al cospetto di Arhiac.
Abbassando lo sguardo, Gujil posò a terra un ginocchio, piegò in avanti il capo e disse con voce satura di emozione:
- possano i miei umili omaggi esserti graditi o Signora di Opoflop poiché altro non ho di che darti.
- Non importa, Principe Gujil - disse la Principessa - non voglio altri regali, ma ora alzati ti prego.
Da tempo, come me, Sinocon attendeva che le sue porte ancora venissero varcate da qualche straniero.
Sei tu quello, Principe, ed Arhiac altro non può fare che ringraziarti per essere giunto ad alleviare la nostra solitudine.
Così disse Arhiac e si alzò accompagnata da un fruscio di finissime sete.
Gujil la scrutò e considerò che aveva una figura minuta ma ben proporzionata.
I lunghi capelli, neri come la notte più fonda, le fluivano fin sulle candide spalle e fermavano la loro ordinata cascata sul morbido promontorio dei seni.
Il volto della Principessa pareva cesellato nel marmo e in esso risaltava la luce splendente di due occhi colore smeraldo da cui traspariva un'eterea tristezza che pervadeva, come un invisibile velo, tutte le tracce dei suoi lineamenti.
Mentre lui divagava, lei si accostò e gli porse la mano graziosa.
Gujil, non senza imbarazzo, la prese nella sua.
Preceduti da Lirmein quindi si diressero verso l'enorme tavole che si apriva a semicerchio occupando un lato della sala.
Una volta arrivati Gujil aiutò la Principessa ad accomodarsi dopodiché si sedette vicino a lei.
Fu proprio in quell'istante che una violenta stilettata, localizzata al basso ventre, gli rammentò che il male covava sotto il controllo della sua mente.
Arhiac vide Gujil impallidire improvvisamente e notò sulla di lui fronte grosse stille di sudore colare a rigargli il volto provato.
- Qualcosa non va? - gli chiese con aria interrogativa.
- Non ... non è niente ... - rispose il Principe con voce appena percettibile mentre, con la mano sinistra, si comprimeva con forza l'addome - sta già passando.
Deve essere la stanchezza accumulata in questi giorni di periglioso viaggio.
Faticosamente riprese il completo controllo e, con un sorriso forzato, dissolse l'ombra della preoccupazione dal viso della bella Principessa.
Cercò poi con lo sguardo Mizaurio e lo vide seduto poco lontano, alla sua destra, in prossimità di una porta.
- Bene, - disse la Principessa alzandosi in piedi - si dia inizio al banchetto! - battè quindi le mani e, alla loro sinistra, si spalancò un uscio dal quale cominciarono ad entrare camerieri recanti vassoi stracolmi di ogni ben di dio.
Durante il banchetto, nel centro del salone, era un continuo esibirsi di giocolieri, acrobati, maghi e giullari di corte la cui abilità veniva sottolineata ora dagli applausi, ora dalle sonore risate dei tanti commensali.
Solamente Arhiac sembrava non partecipasse a quella gioiosa festa; lo sguardo serio ed inespressivo tradiva in lei una tristezza di fondo che aveva contagiato tutti coloro che le sedevano vicino.
Le ore trascorsero veloci e, a tarda notte, le ultime luci del ricevimento si spensero ed il grande salone piombò nel buio.

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