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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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venerdì 7 agosto 2009

A Cinque Lune da Nobegmor (XIV)

CAPITOLO XIV°


- Hai fame Principe Gujil?
La voce arrivò alla mente del giovane Signore di Ozman come un invito lontano, ma il cervello la percepì distintamente.
A quello stimolo le palpebre si sollevarono di scatto e la luce gli colpì le pupille.
Roteando lentamente il capo verso la fonte di quelle parole la vide.
Era seduta al suo fianco, poco lontano ed alla luce delle fiamme ricamava una camicia di candida tela con le piccole mani.
- Da quanto tempo mi trovo qui? - chiese Gujil alla fanciulla.
- Da quando ti trovai ferito e tremante due notti e due giorni sono trascorsi. Hai ancora a tua disposizione il corso di tre lune per raggiungere quello che insegui con tanto affanno. - gli disse smettendo il lavoro.
- Ma come puoi tu sapere di me? - chiese interrogandola il Principe - E chi sei? - continuò e si pose a sedere sul letto.
Si accorse con meraviglia che le ferite più non gli dolevano.
- Vlisia mi chiamo, ma ha forse importanza questo mio nome? - disse la donna - Ho saputo di te dal delirio che animava il tuo corpo dando voce ai tuoi incubi.
Qui, in questa mia casa, ti ho curato le ferite ed ho atteso il tuo risveglio.
Ma avrai fame dopo tanto digiuno.
Perché ora non smetti le tue domande e mangi qualcosa?
- Si. - rispose il Principe - Farò ciò che mi hai detto.
Sono affamato.
Non sento più il dolore nè al fianco nè alla spalla. Ti ringrazio e mi scuso per essere stato scortese.
Dov'è Mizaurio?
- E' arrivato nel tardo pomeriggio ed ora è intento a preparare i cavalli per affrettare la vostra partenza.
Tieni. - disse la giovane donna e porse a Gujil la bianca camicia.
Il Principe si alzò dal letto e si vestì molto in fretta.
Durante quell'atto un ricordo improvviso bussò alla soglia dei suoi pensieri ed egli disse:
- Perdonami Vlisia, ma con me portavo un tascapane di pelle ... - non fece in tempo a formulare completamente la richiesta.
- E' là! - gli rispose Vlisia indicando l'ingresso della piccola casa - Lo troverai appeso dietro la porta con il prezioso contenuto che tu ben conosci ancora intatto.
In quel preciso istante la porta si aprì e vi entrò lo scudiero.
- Ti sei svegliato finalmente! - disse Mizaurio a Gujil -Ora preparati perché ce ne torniamo immediatamente a Ozman di gran carriera.
Forse tu non rammenti ma già due lune sono trascorse dalla profezia di Aulis.
- Cosa? - ribattè il Principe - sei piuttosto smemorato amico mio. Noi si andrà verso Sinocon, non a Ozman!
- Ma tu devi essere diventato pazzo! - riprese infuriato Mizaurio - Non ti è forse bastato ciò che ci è finora accaduto?
Oltre alla serenità ci vuoi forse rimettere anche la vita in questa assurda e tragica farsa?
Manda al diavolo amico mio, Opoflop, Sinocon, Arhiac ...
Non vale la pena rischiare così tanto, credimi, ed in cambio di cosa poi?
Bada mio Principe, udisti le parole di Noretex, dobbiamo andarcene in fretta o Nobegmor, la tua bella città, mai più avvertirà la tua regale presenza nelle sue grandi torri.
Andiamocene Gujil, ascoltami almeno una volta, ti scongiuro!
- No! - fu la secca risposta di Gujil.
Ciò detto si sedette a quella povera mensa, accuratamente preparata da Vlisia, e cominciò a mangiare con appetito.
Avvertì che, dentro di lui, la belva temuta stava ricominciando a crescere.
Ancora una volta riuscì ad arginarla.
- Manca molto cammino alla città di Sinocon? - chiese rivolgendosi a Vlisia.
- No Gujil, - ella rispose - se ti affacci alla mia finestra ne potrai scorgere le immense luci proprio di fronte.
Nella stanza ridiscese il silenzio e, nel silenzio, Gujil finì la sua cena.
Mizaurio, appartato in un angolo, aspettava.
- Andiamo! - disse Gujil rivolto all'amico e si alzò dalla sedia.
- Aspetta giovane Principe! - la voce di Vlisia fermò i movimenti di lui che volse lo sguardo a quello della donna.
- La notte è ormai fonda - ella riprese - e Sinocon dorme; non uno ti aspetta stanotte e le guardie di Arhiac hanno già sbarrato le porte di accesso alla città con il tassativo ordine di non lasciare entrare nessuno.
Sarebbe inutile il tuo arrivo fino al nuovo mattino.
Solo allora le porte riapriranno i battenti e voi potrete raggiungere indisturbati il palazzo di Arhiac.
Ascoltatemi, sedetevi ed aspettate pazienti, non v'è altro modo che attendere il giorno.
- Maledizione! - esclamò Gujil con un moto non controllato di stizza - ma, forse, è meglio così.
Domani, alla luce del giorno, sarà tutto più facile.
Che ne dici Mizaurio!
Il servo grugnì come risposta ed uscì sbattendo dietro di sé la porta.
Gujil non si meravigliò di quel comportamento e non reagì alla provocazione del gesto compiuto, con rabbia palese, dallo scudiero.
Sapeva che avrebbe comunque potuto contare su di lui fino alla fine.
Si accorse anche che quella forzata sosta imprevista non gli provocava sensazioni spiacevoli o pesanti; inoltre considerò che sarebbe giunto a Sinocon fresco e riposato e questo mitigò l'impazienza che fremeva in lui al desiderio di vedere, finalmente Arhiac.
Prese dalla tavola un pezzo di pane e cominciò a sgranocchiarlo dirigendosi alla volta del camino dove si sedette su un coccio di legna ad osservare i movimenti delle lingue giallastre del fuoco.
- Vuoi che ti canti qualcosa? - disse Vlisia rivolgendosi al di lui pensare che sapeva irrequieto.
- Come? ah! si, grazie, mi farebbe piacere. - rispose Gujil.
La giovane donna allora si mosse ed andò verso un angolo buio della casa dove campeggiava un grande ed antico baule; ne sollevò quindi il pesante coperchio e tornò verso di lui con in mano una cetra.
Sotto le abili dita di Vlisia, le corde di quello strumento cominciarono a vibrare producendo sonorità sognanti che avvolsero l'aria immota di quella piccola stanza impregnandola di sensazioni soavi ma tristi.
Al delicato tocco dei suoni si sciolse l'anima di Gujil, fondendosi con essi e venne proiettata in uno spazio senza tempo ne confini.
Quando anche la voce della fanciulla si unì a quella melodia l'effetto divenne completo.
Cantava Vlisia e Gujil ascoltava quella canzone con rapito trasporto.

"Venne un giorno, soffiando da Sud,
una brezza foriera di nubi ingrigite
e fu pioggia impalpabile a bagnare la terra.
Venne un giorno ma nessuno ricorda
un giovane Principe a cavallo del vento
lungo la difficile strada del sogno
che conosce l'amore e conosce il dolore.
Colui che varca con passo sicuro
di tanto in tanto, la consumata soglia,
non sa altro che gli usati sospiri
a ripercorrere ancora i tortuosi obbligati.
Trovò pace eterna quell'uomo,
dopo lungo e faticoso cercare,
misurando gli abbracci ed i baci
di lei che sapeva d'oblio
e le certezze vissute di Lui
naufragarono in sogni perduti
sfumandosi, in tinte più tenui.
Quando fermò la mano gli istanti
che lenti, ancora, si sfaldano al tocco
di fredde, insensate carezze,
trovò pace eterna e lasciò questa terra..."

Negli occhi di Gujil apparvero stille di un malinconico abbandono e, quando la canzone finì, Vlisia ripose la cetra e sospirò nel silenzio.
- E' molto bella. - disse il Principe.
- Si. - rispose Vlisia - E' molto bella e molto triste.
Questa canzone di Opoflop ora si sente nei discorsi dei vecchi che lamentano, alle braci rossastre del fuoco, quando fuori il tempo è inclemente e percuote con gelide raffiche le case degli uomini.
- Amore e dolore, - continuò Gujil - la solita storia del tempo.
- No, Gujil, - disse la donna - è una storia diversa ogni volta perché si presenta con gli stessi risvolti.
Nomi e figure si confondono, sempre, ad intrecciare i loro infiniti ed usati ruoli per dare un senso alla vita di tutti gli esseri umani e non di questo creato.
Vedi l'amore, quel sentimento cui anelano uomini e donne indistintamente in ogni parte del mondo, essi non sanno che l'amore ha molteplici facce che ognuno disegna con tratti e colori diversi.
Per il prode guerriero è esso conquista, perché il guerriero ha la forza in sé grande e tramite essa si muove per compiere ogni cosa; invece per il marinaio è il legame con la solida e amata terra sua patria, per resistere all'imperioso richiamo che, su di lui, esercitano quelle possenti distese marine che con la nave egli solca.
Infine, per la madre, non è altro che il giovane figlio che ella vede già adulto e maturo al crudele distacco.
Quante facce ha l'amore ...
Per te è quel sogno che covi nel petto il giorno e la notte, senza tregua alcuna, ed esso ti annebbia i pensieri nell'allettante promessa del gusto che ai tuoi sensi saprebbero e potrebbero dare i suoi caldi frutti.
Per me è come un'illusione leggera che vola sopra le ali del falco padrone dei cieli infiniti.
E' come la ridente acqua di quel ruscello che scorre, saltellando veloce in primavera e nel nebbioso autunno, ma secca nell'arida estate e gela l'inverno, così che quando noi ne si sente più forte il bisogno perché la seta secca le nostre riarse labbra, di essa non rimane che qualche rada pozza fangosa imputridita dal sole cocente o cristallizzata nel perfetto disegno del ghiaccio che al gelo si forma.
E con più energie tu ricerchi l'amore, con più energie di quante si pensi egli riesce a sfuggirti beffardo ridicolizzando i tuoi modi gentili quasi fosse un bizzarro individuo imprevedibile.
Intendi quello che dico o dolce mio Gujil?
- Forse Vlisia. - rispose il Principe - Però mi è difficile prestare ascolto a parole che so ma mai vorrei sentire pronunciate da altri.
- Non diverso è il dolore. - continuò la fanciulla sorridendo agli occhi di lui rapiti all'ascolto - Perché legato è all'amore da un'invisibile corda che niuno mai è finora riuscito a spezzare in nessun modo.
Non è forse un immenso dolore che provano coloro che per amore muoiono?
Ed il dolore nel fisico, quello che tanto si teme, non è forse strettamente connesso alla folle paura che tutti noi si va provando all'idea di perdere una qualche parte del nostro corpo che amiamo e curiamo nell'aspetto perché possa apparire bello a vedersi e toccarsi?
Vedi Gujil, il dolore è quella parte dell'amore di cui nessuno vorrebbe mai fare la conoscenza diretta.
Però questo non è giusto.
Il dolore è un male necessario perché senza di esso che peso avrebbe l'amore?
Ed il dolore interiore?
Quella strana sofferenza che costringe il respiro sotto un immane peso?
Il tuo grande dolore Gujil!
Non è quello delle ferite, esse guariscono in fretta, ma quello che ti cova nel seno e si espande come una macchia oleosa che più tenti di arginare più avanza.
No, Principe, io sento che ormai in te vi è il suo seme che nacque dalla feconda pianta dell'amore di cui è figlio e fratello e padre.
Germoglierà in esso con i suoi rami infestando la tua più intima essenza che è pura; e non vi è rimedio alcuno per te.
Altri guariscono.
Altri guarirebbero.
Ma in te il destino ha voluto si trasferisse un troppo grande amore che, per cause indipendenti dalla tua volontà, ha germinato i suoi più duri frutti.
No, Gujil, tu non guarirai, ma la serenità che dispensa la pace ti aspetta perché il tuo impulsivo coraggio, le tue idee ed i tuoi sogni, non vadano a smarrirsi nell'oceano dell'oblio che tutto riesce a celare.
Sai, quei fiori che colsi per te sono come effimere anime che alleviano con i profumi ed i colori anche le immagini tristi ed i tuoi occhi, le tue verdi pupille che piangono, ora, le eterne chimere che non sanno afferrare, un giorno, un istante, le sapranno vedere e gioiranno di questo perché non avranno orizzonti distorti da delusioni e disturbi.
Io, come te, inseguirò col pesante fardello che sai, col cuore che balza nel petto ad ogni più lieve sussulto, ad ogni singhiozzo.
Un giorno non lontano il sorriso incresperà le tue pallide labbra come fa il vento con l'erba e tu vedrai senza essere visto e, unito finalmente all'amore, gusterai la dolce armonia delle cose senza più temere la sera che offusca la luce del dì e riporta ai pensieri le visioni che mescoli all'ansia, alle attese, alle mattine di pioggia.
Gujil ascoltava attento le parole di Vlisia e le ore percorrevano la notte alla volta dell'alba.
- Il tuo volo imperfetto, - continuò la giovane donna - a sorvolare cordigliere di monti innevati e mari e pianure, è un volo di pochi e, proprio per questo, è assai meno facile del cammino che costeggia le ampie strade percorse da uomini e donne.
Guarda quella lama che porti con disinvoltura al tuo fianco; quante volte si è sollevata per dare dolore in nome di quell'amore che dici essere in te grande ed universale?
No, non mi dare risposta.
Ho citato la lama, è vero, ma potrei dire i gesti, le parole, gli sguardi.
Non pretendo tu accetti queste mie scarne parole, ma vorrei tu pensassi a queste cose che dico perché anch'io, come te, ho in me quella pianta sinistra che non riesco ad amare ma accetto come fosse una figlia.
Mai non ti meravigliare Gujil se le visioni cui per tanto tempo anelasti appariranno diverse ai tuoi occhi, perché più un desiderio è grande meno importante sarà la sua realizzazione finale perché non soddisferà mai così come vorremmo in cuor nostro.
Quanti ricordi si scordano in fretta perché sono soppiantati da altri a cui diamo maggiore importanza?
Eppure essi non sono abbandonati lungo la strada del costante pensare, ma giacciono nella nostra essenza più intima coperti da un manto come di polvere che un refolo di vento può sollevare quando meno ce lo si aspetta.
Ascoltami ancora.
Io non possiedo sfere di cristallo, nè so leggere il linguaggio degli astri celesti, ma ho udito il tuo battito ed il tuo cuore, limpido e forte.
Mi ha ridato speranza ed una gioia da anni ritenuta sopita e silente.
Il futuro è qualcosa che giunge assai in fretta e si aggiunge al bagaglio di ognuno, sia esso leggero o pesante. a seconda di come ognuno lo vive.
Mi capisci, o Principe?
- Si, Vlisia. - rispose Gujil con voce pacata - io ho compreso.
- ora preparati, giovane Gujil di Nobegmor, perché tra non molto nascerà, dalla notte, il chiarore che vedrà te ed il tuo compagno varcare le porte di Sinocon.
Non ti accompagnerò a quella porta - ancora gli disse additando l'uscita - perché non sopporto gli addii.
E questo è un addio.
Sappi però che Vlisia è con te, al tuo fianco, ad ogni passo che il piede sicuro macinerà di questa tua dura e difficile strada.
Ciò detto distolse lo sguardo profondo da quello di lui che ascoltava e riprese un lavoro di ferri.
Gujil si alzò sospirando.
Avrebbe voluto portarle un abbraccio, stringerla forte al suo seno per farle capire quale calore provava alla sua presenza.
Non ne ebbe il coraggio.
Si avviò con passi decisi verso l'uscio, raccolse le sue armi ed il tascapane prezioso appeso alla parete e varcò quella soglia senza più voltarsi.
La fredda e penetrante aria del mattino gli scivolò sul viso e diede vita ai folti capelli che si agitarono leggeri a quel tocco.
.... E Mizaurio che lo stava aspettando poco lontano trattenendo le redini dei cavalli scalpitanti e spazientiti al pensiero imminente del prossimo galoppo.
Senza parlare i due amici montarono in sella.
Dopo un ultimo sguardo inforcarono la strada alla volta di Sinocon.

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