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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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sabato 14 luglio 2018

Finibus terrae

Finibus terrae


Vorrei essere fieno sul finire del giorno
portato alla deriva
fra campi di tabacco e ulivi, su un carro
che arriva in un paese dopo il tramonto
in un’aria di gomma scura.
Angeli pterodattili sorvolano
quello stretto cunicolo in cui il giorno
vacilla: è un’ora
che è peggio solo morire, e sola luce
è accesa in piazza una sala da barba.
Il fanale d’un camion,
scopa d’apocalisse, va scoprendo
crolli di donne in fuga
nel vano delle porte e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce, regina arsa e concreta
in questi umili luoghi dove termini, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro.
È qui che i salentini dopo morti
fanno ritorno
col cappello in testa.
 
Vittorio Bodini
da "La luna dei Borboni e altre poesie"
 
 

Leuca,
de finibus terrae
 dove tutto incomincia
di Alberto Selvaggi

LECCE -
Non sai neppure come ci sei finito.
Qualcosa evidentemente ti ha portato qui.
È il sentiero dell’esperienza. Leuca non è soltanto una località turistica glamour, è sbagliato quanto è scritto sulle guide e nelle enciclopedie.
E' la fine del mondo, estremità della terra che si fa penisola, e pertanto devi scegliere, sopra alle scalinate infinite che guardano due mari, Adriatico e Ionio, che si rimescolano nel perenne conflitto.
Scegliere se vivere o morire...
...- Leuca
nessuno nel regno la chiama Santa Maria di Leuca – è un fazzoletto nelle proprietà di Castrignano del Capo, comune col quale persiste un «dialogo aperto».
Lo scirocco la imbeve, è cinta da ville erette come corni nell’immaginifico: la Mellacqua turrita, San Giovanni, Meridiana, Episcopo.
Le «bagnarole» di legno per i sollazzi estivi le hanno distrutte i decenni e giusto qualche superstite in muratura ricorda che le signore possedevano ognuna una fetta di mare esclusiva.
Le grotte no, tutte lì, sempre lì culle di reperti paleolitici, iscrizioni greche, latine, come occhi di mare splendenti, a stravolgere nelle orbite allucinogene i parametri dei colori fissati da Goethe.
C’è quella detta del Diavolo perché ruggisce, il terzetto fantasmagorico delle Cazzafri, e la Bambino coi resti preistorici di un elefante e di un rinoceronte, e i Giganti, e la Presepe, e quando il sole agonizza nell’orizzonte tutte fanno a gara per berne i barbagli che dilagano come sangue per vampiri della scogliera.
Più all’interno c’è la Torre dell’Omo morto a guardare l’arrivo dei turchi e dei saraceni, con lo scalo antico dei pescatori ai piedi.
E lassù, a 48,60 metri, 102 dal livello marino, c’è un tizio che si chiama Antonio Maggio, il guardiano del faro, intento a guardare gli uomini che approdano all’estremo di questo lembo di terra, per rendersi conto che è il punto da cui tutto incominci.
(dalla rete)
  

alla deriva, da sempre, anche adesso,
questo beccheggiare nel mare della vita;
go riposto fiducia negli altri, in me,
ora provo dolore, profondo, dentro...
 

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