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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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mercoledì 4 luglio 2018

Destino? Fato?


Le Parche romane
 
Come tutte le divinità romane, anche le Parche traggono i propri attributi dalle Moire greche. In origine sembra che esistesse una sola Parca, che rappresentava il nome tutelare della nascita. Ben presto, però, le furono affiancate Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi della gravidanza. In seguito, assunsero progressivamente tutte le caratteristiche delle Moire. Come nel caso delle antenate greche, ognuna delle tre Parche controllava una fase della vita degli uomini: la prima filava, la seconda assegnava il destino della vita di ciascuno e l’ultima tagliava il filo. Nel Foro romano vi era una statua che le rappresentava chiamata Tria Fata, “i tre destini”; infatti, proprio per la loro connessione con le sorti del mondo e dell’umanità, le Parche erano conosciute nel mondo romano anche con il nome latino di Fatae, coloro che presiedono al Fato.
 

Destino allegro
 

Ci hanno abbandonato a mezzo del cammino.
Tra la luce andavamo ciechi.
Siamo uccelli di passo, nuvole alte estive,
vagabondi eterni.
Brutta gente che passa cantando per i campi.
Benché il cammino sia aspro e siano duri i tempi,
cantiamo con l’anima. E non c’è un uomo solo
che capisca la viva ragione del nostro canto.


Viviamo e moriamo vite e morti altrui.
Sulle nostre schiene pesano molto i morti.
Il loro profondo grido ci chiede di morire un po’,
come morirono tutti loro,
di vivere in fretta, bruciando follemente
la vita che loro non vissero.


Fiumi furiosi, fiumi torbidi, fiumi veloci.
(Ma nessuno ci misura il profondo, bensì lo stretto.)
Mordiamo le rive, demoliamo i ponti.
Dicono che andiamo ciechi.


Ma viviamo. Trasportano le nostre acque l’essenza
delle morti e delle vite dei vivi e dei morti.
Vedete se è buona allegria sapere a scienza certa

che siamo nati per questo.
 
 José Hierro
traduzione di Alessandro Ghignoli

 
All'operato delle Parche Dante  Alighieri dedica questi tre versi all'interno del Purgatorio nella sua Divina Commedia:

Ma perché lei che dì e notte fila,
non gli avea tratta ancora la conocchia,
che Cloto impone a ciascuno e compila…

[Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27]
 

comunque destino, fato, domani,
il tempo nessuno lo vede, lo tocca,
eppure si vive, giorno dopo giorno;
il destino è scritto? segnato?...
 
Nonostante tali divinità siano quasi totalmente assimilabili alle Moire, in realtà si possono notare delle sfumature leggermente diverse. Benché analogamente alle divinità greche fossero tre sorelle filatrici dal carattere scorbutico e dall’aspetto alternativamente giovane o anziano, esse non si limitavano a impersonificare solo il destino dell’uomo, ma anche le sue età della vita: nascita, matrimonio e morte. Quindi le Parche erano custodi anche delle fasi di evoluzione di ogni individuo e accompagnavano i fanciulli nel passaggio dall’infanzia all’età adulta e nella scoperta della sfera sessuale.
 

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