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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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mercoledì 2 aprile 2014

Graf

Ad Arturo Graf,
nato nel 1848 ad Atene da padre tedesco e madre italiana (e morto a Torino nel 1913), è riconducibile uno dei momenti di massimo splendore letterario cittadino del Novecento, coincidente con la nascita del “Giornale storico della letteratura italiana”.
Celebri le sue “Sabatine”, ossia le lezioni di letteratura che teneva il sabato all’università a cavallo dei due secoli a cui assistevano, con enorme partecipazione, studenti e rappresentanti della cultura cittadina (dalla rete).


Fede

E tu candida luna, irradiavi
Il ciel di maggio, e la sparente scena
De’ gran monti nevosi, e la serena
Pace dell’acque ove ti specchi e lavi.
E tu, gentile zeffiro giocondo,
Tripudiavi tra le piante, e il molle
Inebbriante olezzo alle corolle
Givi predando e il polline fecondo.
Lungo i viali del giardin, davanti
Ai tassi bruni, ove a cantar si chiude
Il notturno usignol, nel marmo ignude
Biancheggiavan le ninfe e le baccanti.
Sopra l’alto terrazzo, a canto a un plinto
Che il simulacro dell’Amor reggea,
Sedean gli amanti insieme; egli le avea
L’un braccio al collo flessuoso avvinto.
E poi che il biondo capo ebbe a sè tratto:
"Oh come — disse — io brucio a te vicino!
Deh va’, mi colma di fragrante vino
Il bicchier sacro all’amoroso patto".
Ella sorrise e pronta volse il piede
Entro la stanza: ivi di lucid’asse
Era uno stipo ond’ella il bicchier trasse
Di nitido cristal sacro alla fede.
E di vin lo colmò poscia di seno
Trasse un’ampolla, e con la man di neve,
Senza un sussulto, circospetta e lieve,
V’infuse dentro l’infernal veleno.
Ei bevve, e in premio sull’amata fronte
Dieci e dieci stampò baci soavi:
E tu, candida luna, irradiavi
Il ciel di maggio e la pianura e il monte.
Ei bevve, e dieci e dieci volte al core
Strinse il bel corpo tenero e lascivo:
E tu, gentile zeffiro giulivo,
Tripudiavi tra le piante in fiore.
Ei bevve!... ahimè quale inaudito, orrendo
Strazio fu il suo! qual empia lotta! come
Morì Non sospettò l’amato nome,
L’iniquo nome profferì morendo.
Ella il pianse e più bella in veste nera
Apparve agli occhi d’amator novello: —
Morigerate genti a cui favello,
Non mente il labbro mio, la storia è vera.

Arturo Graf


chiarore diffuso
fuori da qui,
è l'alba
ed io sono sveglio...

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