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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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lunedì 31 ottobre 2011

Malinconia


Albrecht Dürer, Melencolia I, 1514.
La malinconìa è un sentimento che provoca una tristezza costante.
Detta anche melanconia (o melancolia) è uno stato d'animo e non una lieve forma di depressione.
La parola deriva dal latino melancholia, che a sua volta trae origine dal greco melancholía, composto di mélas, mélanos (nero), e cholé (bile), quindi bile nera[1], uno dei quattro umori dalle cui combinazioni dipendono, secondo la medicina greca e romana, il carattere e gli stati d'animo delle persone.
Gli antichi Greci, da Ippocrate in poi, ritenevano infatti che i caratteri umani e, di conseguenza, i loro comportamenti, fossero frutto della varia combinazione dei quattro umori base, ovvero bile nera, bile gialla, flegma ed infine il sangue (umore rosso).
Questi "umori", ovvero liquidi (dal greco ygrós, "umido, bagnato"), proprio in conseguenza delle credenze antiche, significano "stati d'animo" e da essi derivano etimologicamente il carattere "melanconico", quello "flegmatico" (flemmatico), quello "sanguigno" ed infine il "collerico". Di per sé quindi ciascuno dei quattro umori non costituiva una malattia ma un loro squilibrio poteva però esserne la causa fino a degenerare nella morte.
Il significato di "umore nero" non era da ricollegare al senso moderno di rabbia o stizza, ma piuttosto al "dolce oblio", una leggera venatura di tristezza che pervadeva il carattere, rendendolo profondo ed orientato alla pace ed all'introspezione. Ancora oggi riconosciamo agli artisti un carattere prevalentemente melanconico, proprio per questo capace di cogliere gli aspetti della vita che sfuggono ai più audaci ed irruenti.
Il carattere melancolico era inoltre abbinato al clima freddo e secco, l'autunno, ed il suo elemento era la terra. D'altronde gli antichi popoli indoeuropei abbinavano ai quattro umori i cicli del creato, come l'alternarsi delle stagioni.
E' necessario notare che la medicina ippocratica è perdurata in Europa fino al XIX secolo, mentre la "moderna" teoria di Carl Gustav Jung sui caratteri e sui temperamenti è dei primi anni del XX secolo.
Francesco Hayez, Pensiero Malinconico 1842

La malinconia è una sorta di tristezza di fondo, a volte inconsapevole, che porta un soggetto al vivere passivamente, senza prendere iniziative, adattandosi agli avvenimenti esterni con la convinzione che non lo riguardino o che in essi non possa avervi un ruolo determinante. 
Si potrebbe definire come il desiderio, in fondo all'anima, di una cosa,di una persona mai conosciuta o di un amore che non si è mai avuto, ma di cui si sente dolorosamente la mancanza o per raggiungere i quali non ci si sente all'altezza. La malinconia si manifesta in espressioni del viso e in atteggiamenti indolenti che caratterizzano spesso l'intera esistenza di un individuo.
In psicoanalisi la malinconia assume il significato di lutto, principalmente quando questo riguarda un oggetto investito narcisisticamente, cioè quando riguarda un investimento pulsionale su un oggetto che può essere ricondotto a caratteristiche o attributi propri della persona. Per cui nella perdita della melanconia è l'Io a sentirsi svuotato e non la realtà esterna, come avviene nel lutto. La parte dell'Io identificata con l'oggetto perduto va incontro a scissione e s'instaura una dinamica interna che genera collera per questa perdita che il Super-Io non accetta e si sfoga attaccando l'Io.
Questo determina le autoaccuse tipiche della melanconia (wikipedia).


LA MALINCONIA

Malinconia
la vita mia
struggi terribilmente;
e non v'è al mondo, non c'è al mondo niente
che mi divaghi.

Niente, o una sola
casa. Figliola,
quella per me saresti.
S'apre una porta; in tue succinte vesti
entri, e mi smaghi.

Piccola tanto,
fugace incanto
di primavera. I biondi
riccioli molti nel berretto ascondi,
altri ne ostenti.

Ma giovinezza,
torbida ebbrezza,
passa, passa l'amore.
Restan sì tristi nel dolente cuore,
presentimenti.

Malinconia,
la vita mia
amò lieta una cosa,
sempre: la Morte. Or quasi è dolorosa,
ch'altro non spero.

Quando non s'ama
più, non si chiama
lei la liberatrice;
e nel dolore non fa più felice
il suo pensiero.

Io non sapevo
questo; ora bevo
l'ultimo sorso amaro

dell'esperienza. Oh quanto è mai più caro
il pensier della morte,

al giovanetto,
che a un primo affetto
cangia colore e trema.
Non ama il vecchio la tomba: suprema
crudeltà della sorte.


Umberto Saba

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