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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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giovedì 10 maggio 2012

Poesia e riflesso

Solitudine

Ha una sua solitudine lo spazio,
solitudine il mare
e solitudine la morte - eppure
tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare,
che è un’anima al cospetto di se stessa:
infinità finita.

Emily Dickinson


unica mente disbrigo
faccende ritenute vicine,
il contesto che stride riporta
le vie della seta, le spezie;
affrango usate consuete
e rivoglio la vaga impotenza
che arride, nel dire, agli sciocchi...

mercoledì 9 maggio 2012

Barchetta di carta



Ecco una parola:
io sono:
una parola che significa
a volte nulla
a volte un infinito.

Kahlil Gibran

in una barca di carta
ripongo le mie cose di ieri,
le lasci in balia del vento;
la pioggia dilava un rivolo,
lo traccia nel duro selciato,
la vedo andare lontano...


Dalla rete.
Vecchia come il mondo questa è una creazione che tutti vorremmo saper fare, e probabilmente molti di voi la sanno già fare perché insegnata da mamma o papà o da qualche nonno o zio.
Ma per chi non avesse nessun esperto in casa ecco come si fa in otto mosse.
Occorrente:
Carta da pacco o un foglio di giornale.
Procedimento:
1) Taglia un rettangolo di carta di cm 50x70cm e piega il foglio prima a metà.


2) Fai queste piegature


3) la barchetta è pronta per giocarci!



martedì 8 maggio 2012

Colori

Gli oggetti e gli ambienti che ci circondano sono in gran parte colorati.
Ciò dipende dal fatto che la luce si diffonde attraverso onde di diversa lunghezza: ad ogni onda corrisponde un colore.
La differenza tra 'colore' e 'non colore' è spesso labile e soggettiva: la conoscenza della 'teoria dei colori' è affascinante e varia.
Il nostro occhio percepisce solo una piccola parte delle onde luminose esistenti in natura; a questa corrisponde uno spettro di sette colori: il rosso, l’arancio, il giallo, il verde, l’azzurro, l’ìndaco e il violetto.
Il fisico inglese Isaac Newton dimostrò, nel 1672, che la luce, che vediamo bianca, è in realtà composta dai sette colori dello spettro solare.
Nel suo esperimento Newton fece passare un raggio di luce attraverso un prisma di cristallo.
Il raggio si scompose così nei sette colori dello spettro solare, dimostrando che il bianco è la somma di quei colori.
Una cosa simile accade nell’arcobaleno: la luce che passa attraverso le piccole gocce d’acqua, sospese nell’aria dopo una pioggia, si scompone nei sette colori dello spettro (con tutte le relative gradazioni intermedie).
Deriva quindi questa osservazione: l’oggetto che riflette tutte le onde luminose appare bianco (bianco = somma di tutti i colori); l’oggetto che assorbe tutte le onde, senza restituirle ai nostri occhi, viene visto dai nostri occhi nero (nero = assenza di colori); l’oggetto che assorbe tutte le onde tranne uno, ha il colore corrispondente a quell’unica onda ( ad esempio: un oggetto che non assorbe il verde, viene visto dai nostri occhi verde).
I colori hanno una "temperatura" e si suddividono in caldi, freddi e neutri in base alle diverse sensazioni che trasmettono, alle immagini e alle situazioni che richiamano alla mente.
I rossi, i gialli e gli arancio sono luminosi e si associano alla luce del sole ed al suo calore, mentre i blu, i violetti e i verdi evocano la neve, il ghiaccio, il mare, il cielo.
Per questa ragione alcuni artisti definiscono il bianco e il nero “non colori” perché il bianco è dato dalla somma di tutti i colori, il nero dall’assenza di colori (dalla rete).


Infrapensieri la notte

Il sonno, il nero fiume -
v'immerge la sua tempra
per il fuoco dell'aurora
che lo avvamperà, lo spera,
l'indomani -
                 Sono oscuri
il turchese ed il carminio
nei vasi e nelle ciotole,
                                 li prende
la notte nel suo grembo,
li accomuna a tutta la materia.
Saranno - il pensiero lo tortura
un attimo, lo allarma -
pronti alla chiamata
quando ai vetri si presenta
in avanscoperta l'alba e, dopo,
quando irrompe
e sfolgora sotto la navata
il pieno giorno -
                       hanno
incerta come lui la sorte
i colori o il risveglio
per loro non è in forse,
la luce non li inganna,
non li tradisce? E stanno
nella materia
                             o sono
nell'anima i colori? -
                                divaga
o entra nel vivo
                      la sua mente
nella pausa
della notte che comincia -
                    smarrisce
e ritrova i filamenti
dell'arte, della giornata...
                                    Esce
insieme ai lapislazzuli
l'oro dal suo forziere, sì,
                                   ma incerto
il miracolo ritarda,
la sua trasmutazione
in luce, in radiosità
gli sarà data piena? Avrà
lui grazia sufficiente
a quella spiritualissima alchimia?
                               Si addorme,
s'inabissa,
                è sciocco,
                                lo sente,
quel pensiero, è perfida quell'ansia.
Chi è lui? Tutto gioca con tutto
nella universale danza.

Mario Luzi

lunedì 7 maggio 2012

Marina e rfilesso


Barche lontane affrontano un mare calmo in una giornata apparentemente priva di vento; la spiaggia deserta fa pensare alla prima mattina con ancora una luce indecisa ma preludio ad una giornata di sole.
La spiaggia in primo piano è un esile trampolino verso l'ignoto dell'oceano immenso di fronte.
Colori tenui sembrano dare vita al quadro e traspare dalla tela l'umore del mare e l'odore di salsedine è forte quando si chiudono gli occhi.
Altro che impressioni, Degas coglie l'essenza del paesaggio "en plein air" e ce la trasmette con una potenza evocativa quasi assoluto.
A noi non resta che ammirare.


Edgar Degas, MARINA TRAMONTO, 1869


passi sicuri affrontano
erte e dirupi di una vita
con il petto in affanno in salita
ed il fiato più lieve in discesa;
a tratti è quieto il respiro
quando il cammino è dolce
ed è rena marina...

domenica 6 maggio 2012

Poesia e riflesso

Canto mattinale

Al chiaro sol di maggio
il passero trillò spiccando il volo:
l'allodola un «a solo»
dolcissimo intonò; e il fresco canto
nel cielo risuonò. pieno d'incanto:
« Sei bella, vita. che ci rechi il sole,
primavera che porti le viole,
amor da cui germoglian mille nove
piccole vite,
amor che le famiglie tieni unite!
Benedetto Colui che tutto muove!
Benedetto sia il sole e la Natura
e l'aria fresca e pura;
l'olmo paterno che sostiene il nido,
il gorgheggio ed il trillo
e la canzon monotona del grillo,
i chicchi, i vermiciattoli e le larve
che ci sostentan! ». Disse e poi disparve.

Hedda


fronde agitate sopportano
brontolio di tuono e temporali,
il giardino impregnato si scrolla
mentre l'acqua dilava la terra;
assorto in silenziosa preghiera
frullo nel pensiero i contesti
il rumore che sento è la pioggia...

sabato 5 maggio 2012

Frammento di nube

Le nubi sono costituite da minuscole gocce d'acqua o da cristalli di ghiaccio della dimensione da 1 a 100 micron. Si formano per condensazione: quando l'acqua terrestre evapora, si trasforma in vapore acqueo che risale nell'atmosfera raffreddandosi, per condensarsi attorno a piccole impurità (cristalli di sale marino, particelle di polvere...) generando così goccioline d'acqua o cristalli di ghiaccio.
Questi elementi rimangono sospesi nell'aria sostenuti in movimento verso l'alto, possono evaporare e riformarsi, la loro velocità di caduta è di millimetri al secondo, quindi impercettibile e la quantità d'acqua condensata non supera il grammo per metro cubo di vapore acqueo. Le quantità variano secondo l'estensione verticale ed orizzontale delle nuvole.
Salvo casi di nubi con grande estensione verticale (i cumulonembi sviluppati), la nube non si svuota nel generare pioggia o neve, essendo continuamente alimentata da correnti di vapore acqueo. La grandine risulta, nei cumulonembi, un rimescolamento continuo di gocce d'acqua verso il basso poi verso l'alto, causato da violenti correnti verticali. Caricandosi continuamente di nuove particelle d'acqua, i chicchi di grandini possono assumere dimensioni considerevoli (sono stati osservati elementi da 1 chilogrammo) e cadere alla velocità di 8 metri al secondo.
L'aspetto delle nubi, cioè la forma, la densità e colori, dipendono dalla natura dei loro componenti e dalle condizioni atmosferiche: i contorni netti indicano in genere la presenza di grandi componenti, la trasparenza è indice di pochi elementi condensati, l'opacità caratterizza una nube molto spessa ed una struttura fibrosa e diafana è legata a cristalli finissimi.
Un'atmosfera stabile determina solo movimenti orizzontali e le forme sono distese; l'instabilità causa movimenti verticali con formazioni globulari. La posizione del sole sull'orizzonte determina riflessi e colori, che non sono legati ai componenti della nube.
Le nuvole hanno due forme caratteristiche, "stratificate" o "a sviluppo verticale": nel primo caso l'estensione si presenta maggiore sul piano orizzontale e minore su quello verticale (dalla rete).


Sebbene le nubi siamo in mutamento continuo, si identificano soltanto dieci principali generi di nuvole, classificati in base alla loro struttura, alla forma e all'altezza nella quale si formano, rispetto alla superficie terrestre:
Cirro - è il prefisso per nubi alte (sebbene le altezze varino secondo la stagione e la latitudine) - comprendono cirri, cirrocumuli e cirrostrati, che non portano precipitazioni.
Alto - è il prefisso per nubi che si formano ad altezza media, costituite da goccioline d'acqua e cristalli - comprendono altocumuli, altostrati e nembostrati
Ad altezza inferiore si trovano stratocumuli e strati, che recano precipitazioni leggere.
Due generi infine cumuli e cumulinembi, molto instabili e verticali, possono estendersi attraverso gli altri livelli
Il prefisso nimbo- e il suffisso -nembo indicano che la nube causerà precipitazioni.





lente dinamiche, nubi che sciamano
costellano il mio cielo mattiniero,
forme disgiunte, in controluce richiamano
quello che sono, quello che ero;
fu dolce adagiarsi nel nulla...

anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati

venerdì 4 maggio 2012

Poesia e riflesso

Ti dono questi versi, perché se un giorno il mio
nome approderà felicemente alle epoche lontane e
farà sognare qualche sera i cervelli degli uomini,
vascello assecondato da un gran vento,
il ricordo di te, pari alle vaghe favole, affatichi il
lettore come un timpano, e resti appeso come un
fraterno e mistico anello alle mie rime altere;
essere maledetto cui, dagli abissi profondi sino al
più alto dei cieli, nulla all'infuori di me risponde! O
tu, che come un'ombra dall'effimera orma,
calpesti con piede leggero e sguardo sereno gli
stupidi mortali che t'hanno giudicato amara, statua
dagli occhi metallici, grande angelo dalla bronzea
fronte!

Charles Baudelaire


stinte cornici abbagliano
soli distanti, aliene spiagge
che cingono sabbiosi approdi;
così in un sogno peregrino
arriva la mia anima al lido...

giovedì 3 maggio 2012

I versi

Il verso è l'unità metrica base per la poesia, sia sotto il punto di vista ritmico che puramente visivo.
Tipograficamente è delimitato dalla discesa a capo.
Nella metrica scolastica, consiste in una successione di sillabe strutturata secondo certe regole (in base al loro numero, alla dislocazione delle sillabe toniche e atone, e alla posizione degli accenti).
Il verso libero può essere incluso entro una definizione più ampia, come porzione di testo che l'autore elegge ad unità di segmentazione.
La divisione di un testo in versi indirizza subito il lettore verso un'interpretazione del testo focalizzata non solo sul suo significato ma anche sul modo in cui questo è espresso e organizzato, in altre parole sulla dialettica tra forma e contenuto.
La segmentazione versale entra in relazione con quella linguistica in un gioco di corrispondenze e sfasature che a loro volta vengono ad assumere un rilievo espressivo e formale.
I versi possono essere raggruppati in strofe.
La poesia italiana tradizionale si basa sui versi che vanno dal quadrisillabo all'endecasillabo.
Molto raro è l'utilizzo di versi più brevi e più lunghi.
I più usati, nella poesia di stile elevato, sono l'endecasillabo e il settenario, sovente abbinati tra loro e al quinario. Questi tre versi imparisillabi, infatti, condividono per lo più il profilo ritmico, con una prevalenza di accenti sulle sedi pari e la frequente (obbligatoria nel caso del quinario) accentazione della quarta sillaba metrica.
I versi parisillabi (quadrisillabo, senario, ottonario e decasillabo) hanno un andamento più cadenzato e un tono più popolare.
Il verso novenario, messo all'Indice dalla poesia classica, presenta lo stesso ritmo cantilenante dei versi parisillabi in forma ancora più accentuata.


I versi

Se ne scrivono ancora.
Si pensa ad essi mentendo
ai trepidi occhi che ti fanno gli auguri
l’ultima sera dell’anno.
Se ne scrivono solo in negativo
dentro un nero di anni
come pagando un fastidioso debito
che era vecchio di anni.
No, non è più felice l’esercizio.
Ridono alcuni: tu scrivevi per l’Arte.
Nemmeno io volevo questo che volevo ben altro.
Si fanno versi per scrollare un peso
e passare al seguente. Ma c’è sempre
qualche peso di troppo, non c’è mai
alcun verso che basti
se domani tu stesso te ne scordi.

Vittorio Sereni


le immagini del sonno vanno
per le loro strade fatate;
io rimango, nel primo mattino,
in un chiarore sfumato a seguire
il tichettio continuo dell'orologio,
il melodioso canto degli uccelli;
oramai non dormo quasi più...

mercoledì 2 maggio 2012

La farfalla e il cavolfiore

Era una bella mattina di primavera e il sole scaldava il prato verde, trapuntato di fiori.
Su uno di essi aveva dormito una bella farfalla che, stiracchiandosi, distese le ali variopinte per asciugarle ai tiepidi raggi del sole e poi si librò nell’aria, cominciando a curiosare qua e là.
Giunta sulla riva d’uno stagno, si rimirò nell’acqua ferma che le faceva da specchio.
"Quanto sono bella!", pensò la farfalla e, felice, si mise a volare in giro per farsi vedere ed ammirare da tutti.
Ad un certo punto, però, cominciò a sentire un po’ d’appetito.
Istintivamente volò verso un orto dove c’era una distesa di cavoli freschi e turgidi.
Si fermò sul più grosso e bello, provò ad assaggiarlo, succhiò un po', ma subito si ritrasse disgustata.
- Puah! Che cattivo odore e che saporaccio! Ho fatto male a venire qui nell’orto, dovevo andarmene in qualche bel giardino ricco di rose e garofani, di dalie e giunchiglie profumate. Il cibo dell’orto non fa per me, io ho bisogno di cose più delicate.-
- Hai cambiato gusto a quel che sembra! - Osservò ironicamente il cavolfiore offeso – Ti ho conosciuto in ben altre condizioni, bella mia, quando eri meno elegante e colorata. Ricordo bene quando eri un bruco nudo e crudo, per niente bello da vedere, e fui proprio io a darti cibo e alloggio.-
- Il cibo dell’orto non fa per me, io ho bisogno di cose più delicate! – Rispose risentito l’insetto.
- Allora il sapore delle mie foglie ti sembrava buono e appetitoso. Ora che sei cresciuta, cambiata, rivestita di seta e di splendidi colori, frequenti giardini profumati e disdegni i buoni amici d’un tempo… Hai poca memoria e troppa boria! Sei bella, sì…ma non sei buona se disprezzi chi ti ha cresciuta senza chiederti niente.-
La farfalla, tutta rossa per la vergogna, se ne volò via.

Lucio Apuleio

martedì 1 maggio 2012

Desiderio

Il termine desiderio deriva dalla composizione della particella privativa "de" con il termine latino sidus, sideris (plurale sidera), che significa stella.
Dunque "desidera", da cui "desiderio", significherebbe, letteralmente, "condizione in cui sono assenti le stelle".
Sembra infatti che il termine abbia avuto origine dal linguaggio degli antichi aruspici che, trovando il cielo coperto dalle nuvole, non erano in grado di compiere le loro funzioni divinatorie, non potendo vedere le stelle, dalla cui osservazione traevano le loro profezie.
In questi particolari momenti di assenza del cielo stellato, si accendeva dunque negli aruspici un desiderio profondo delle stelle, che proseguiva sino al loro nuovo apparire.
Questa ipotesi etimologica potrebbe essere ulteriormente rafforzata dalla riflessione sul termine "considerare", costruito in modo simile a desiderare.
Considerare deriva infatti da cum+sidera e, originariamente, significava "divinare", cioè profetizzare, interpretando le stelle.
Il termine "desiderantes" (da "de sideribus") è presente anche nel De Bello Gallico di Giulio Cesare, dove viene utilizzato per indicare i soldati che stanno sotto le stelle ad aspettare quelli che, dopo aver combattuto durante il giorno, non sono ancora tornati (Fabricio Turoldo, dalla rete).
 
DÉSIR

Elle est lasse, après tant d'épuisantes luxures.
Le parfum émané de ses membres meurtris
Est plein du souvenir des lentes meurtrissures.
La débauche a creuséses yeux bleus assombris.

Et la fiéve des nuits avidement rèvées
Rend plus pâles cheveux blonds.
Ses attitudes ont des langueurs énervées.
Mais voicique l'Amante aux cruels ongles longs

Soudain la ressaisit, et l'étreint, et l'embrasse
D'une ardeur si sauvage et si douce à la fois,
Que le beau corps brisé s'offre, en demandant grâce,
Dans un râle d'amour, de désirs et d'effrois.

Et le sanglot qui monte avec monotonie,
S'exaspèrant enfn de trop de volupté,
Hurle comme l'on hurle aux momentsd'agonie,
Sans espoir d'attendrir l'immense surdité.

Puis, l'atroce silence , et l'horreur qu'il apporte,
Le brusque étouffement de la plaintive voix,
Et sur le cou, pareil à quelche tige morte,
Blêmit la marque verte et sinistre des doigts.

Renée Vivien


DESIDERIO

Lei è stanca, dopo tante sfibranti lussurie.
L'odore che emanano le membra martoriate
È pieno del ricordo di lente contusioni.
La dissolutezza ha scavato nei suoi occhi cupi.

E la febbre di notti avidamente sognate
Ancor più rischiara i pallidi capelli biondi.
I suoi gesti conservano languori nervosi.
Ma ecco che l'Amante dalle crudeli unghie lunghe

Subito la riafferra, la stringe e l'abbraccia
Con una passione sì feroce e al tempo stesso dolce,
Che il bel corpo sfinito s'offre, chiedendo venia,
In un affanno d'amore, di desideri e paure.

E il singulto cresce con malinconia,
esasperandosi infine dalla troppa voluttà,
Urlo diviene come s'urla nei momenti d'agonia,
Disperando di attenuare l'immensa sordità.

Poi, l'atroce silenzio ,e l'orrore che ne deriva,
Il brusco soffocare della voce lamentosa,
e sul collo, simile a un gambo morto,
Il livido verde e sinistro delle dita.

Renée Vivien