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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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sabato 22 ottobre 2016

Adam Zagajewski e il mondo mutilato

 
Adam Zagajewski (Leopoli, 21 giugno 1945) è un poeta, scrittore e saggista polacco. Residente a Parigi dal 1981 al 2002, poi trasferitosi a Cracovia, è insegnante di letteratura presso la University of Chicago. È noto soprattutto per il poema Try To Praise The Mutilated World, uscito a puntate sul periodico statunitense The New Yorker e divenuto celebre dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, e per le sue pubblicazioni sul poeta connazionale Czesław Miłosz, Premio Nobel per la Letteratura nel 1980.
Ha vinto il Neustadt International Prize for Literature nel 2004: è il secondo polacco, dopo proprio l'amato Miłosz, a vincere il premio conferito dall'università statunitense.
Poeta del modernismo polacco, Adam Zagajevski ama fare una poesia della prassi senza disdegnare l'impiego iterativo e percussivo della metafora e del simbolo; ovviamente, di un simbolo vuoto e privo di sfondo. Le sue poesie nascono sempre da un atto di riflessione narrante sul mondo, vogliono descrivere con chiarezza ciò che accade nel mondo, e anche ciò che non accade o ciò che potrebbe accadere e non è accaduto: impiega così un metodo pienamente tridimensionale, indica le vie di accesso al reale e accerchia il reale: la pluralità delle vie di accesso e la pluralità delle possibilità che entrano in gioco quando noi facciamo un atto di esperire il reale. Descrive e indica con chiarezza l'essere e il non essere, indica, con l'ausilio della metafora e della ripetizione/variazione, il sempre eguale e il sempre diverso, la stasi e il moto, la dialettica e l'opposizione inconciliabile.
La lingua poetica si trova lì, al centro delle contraddizioni, è uno strumento che bisogna far suonare con il plettro di una lunga e faticosa assimilazione di «cose»; la lingua di Zagajevski è piena di «cose», trasborda di «cose»; il fiume delle «cose» trascina la lingua che parla attraverso gli attriti e gli scossoni che la corrente imprime alle «cose». E gli uomini, al pari delle «cose», vengono esposti alle dialettiche del reale, alla irrazionalità di ciò che è irrazionale e di ciò che è razionale. La poesia di Zagajevski è «piena» di reale, scoppia di reale. La storia è cronaca che diventa eternità, la poesia è cronaca che diventa eternità, ha la durezza dell'essere, la rugosità e l'asprezza dell'essere. Tutto è pieno, tutto è materia, anche la Lingua è materia che bisogna saper modellare e colpire con il martello: la poesia è scultura della materia e il poeta è lo storico di queste sculture.
Le «cose», gli «oggetti» hanno una loro vita e la poesia non è altro che il nastro registratore che registra la vita degli «oggetti»: massima oggettività nella massima soggettività. Il poeta è colui che tiene un diario nel quale registra «la vita degli oggetti».
«Non sono uno storico, ma mi piacerebbe che la letteratura assumesse, consapevolmente e in tutta serietà, il ruolo di una cronaca storica. Non voglio che segua l'esempio degli storici contemporanei, per lo più pesci freddi che hanno passato la loro vita in archivi polverosi e scrivono una lingua burocratica brutta e inumana, una lingua di legno prosciugata di tutta la poesia, piatta come un pidocchio e grigia come il giornale quotidiano. Vorrei che tornasse a esempi più antichi, chissà, addirittura greci, all'ideale del poeta storico, una persona che ha visto e sperimentato direttamente quel che descrive, oppure ha attinto alla vivente tradizione orale della sua famiglia o della sua tribù, che non teme né il conflitto né i sentimenti, ma ha tuttavia a cuore la ricostruzione scrupolosa della vicenda che narra». (citato in John Lukacs, Democrazia e populismo, traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, Longanesi, 2006, p. 179)
«Uno scrittore che tiene un diario lo usa per registrare ciò che sa; nelle poesia e nei racconti mette quello che non sa». (citato in Tommaso Giartosio, Perché non possiamo non dirci, Feltrinelli, 2004, p. 138) * Nota di Giorgio Linguaglossa
 
Try to Praise the Mutilated World
 
Try to praise the mutilated world.
Remember June’s long days,
and wild strawberries, drops of wine, the dew.
The nettles that methodically overgrow
the abandoned homesteads of exiles.
You must praise the mutilated world.
You watched the stylish yachts and ships;
one of them had a long trip ahead of it,
while salty oblivion awaited others.
You’ve seen the refugees heading nowhere,
you’ve heard the executioners sing joyfully.
You should praise the mutilated world.
Remember the moments when we were together
in a white room and the curtain fluttered.
Return in thought to the concert where music flared.
You gathered acorns in the park in autumn
and leaves eddied over the earth’s scars.
Praise the mutilated world
and the gray feather a thrush lost,
and the gentle light that strays and vanishes and returns.
 
  
Tenta di lodare il mondo mutilato
 
 Tenta di lodare il mondo mutilato.
 Ricorda i lunghi giorni di giugno
 e le fragole selvatiche, le gocce del vino, la rugiada.
 Le ortiche che ricoprono metodicamente
 le case abbandonate dagli esuli.
 Non puoi non lodare il mondo mutilato.
 Hai guardato le barche alla moda e le navi;
 una si preparava per un lungo viaggio,
 un salso oblio attendeva altre.
 Hai visto i profughi partire senza meta,
 hai sentito i carnefici cantare per la gioia.
 Devi lodare il mondo mutilato.
 Ricorda i momenti in cui eravamo insieme
 in una stanza bianca e la tenda tremolava.
 Ripensa al concerto in cui la musica esplose.
 Hai raccolto ghiande nel parco d'autunno
 e le foglie mulinavano sulle cicatrici del terreno.
 Loda il mondo mutilato
 e la piuma grigia che il tordo ha perduto,
 e la luce tenue che vaga e svanisce
 e ritorna.
 
Adam Zagajewski
Traduzione di Clare Cavanagh e Nicola Gardini
 
 
questa allucinante stasi,
questa indecenza dentro,
non posso pensare alla gioia
posso solo vedere i mali del mondo...

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