...........................................................................................................................................

L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


...........................................................................................................................................

domenica 9 aprile 2017

Tragedia umana

Questa vita è MISERIA, DOLORE e SOFFERENZA; questo aspetto profondamente pessimistico ha fatto la vera fortuna di Schopenhauer. Il dolore infinito che attanaglia il mondo e che scaturisce dalla miseria essenziale della vita non può essere un accidente senza scopo: ciò non avrebbe alcun senso. Quando si è giovani, si è nei confronti della vita come uno spettatore di fronte a un sipario abbassato che aspetta con impazienza e speranza lo spettacolo: ma lo spettacolo della vita tradisce sempre tutte le attese. La sua è come una violenza operata sui bambini. La cosa migliore da fare è considerare questo mondo come una penitenza, come una prigione, un carcere. Si dice spesso “La mia vita è una galera”, ma questo tipo di affermazione riguarda sempre una situazione circoscritta, accidentale, con la sua durata definita e le sue cause. Appena questa situazione finisce, ecco che la vita ci sembra di nuovo degna d’esser vissuta. Invece, la concezione di Schopenhauer è molto più radicale, perché considera la vita una prigione permanente, in cui «il fatto immediato è sempre, per noi, il bisogno» e «volere, sforzarsi, è come una sete inestinguibile». Ogni volere, infatti, ha alla sua base un bisogno, un desiderio o una mancanza. Il dolore è CONGENITO alla volontà: volere qualcosa significa volerlo perché ci manca. Soffrire e soffrire per la mancanza di qualcosa sono la stessa cosa. La vera beatitudine, in fondo, non è altro se non l’assenza di ogni bisogno.
Finchè siamo volontà, soffriamo.
La volontà, in tutto ciò che vuole, vuole se stessa, la sua conservazione, il suo benessere; è un “volere il volere”, un volere senza scopo e senza fine. Lo scopo, in realtà, c’è, è il perpetuarsi della volontà stessa. I vari scopi che la volontà si pone sono apparenti: sono volti non a soddisfarla, a farla cessare, bensì a mantenerla in vita.
I bisogni rimandano a sempre nuovi bisogni in una catena infinita la cui chiave è la perenne insoddisfazione. «Nel nostro volere in generale sta la nostra disgrazia». Cosa vogliamo, poco importa: il nostro volere non ha mai soddisfazione, altrimenti porrebbe fine a se stesso. Non cessiamo mai di volere, e la vita è eterno soffrire. «Noi ci illudiamo continuamente che l’oggetto voluto possa porre fine alla nostra volontà. Invece, l’oggetto voluto assume, appena conseguito, un’altra forma e sotto di essa si ripresenta. Esso è il vero demonio che sempre sotto nuove forme ci stuzzica». La volontà anela incessantemente a essere appagata, ma nulla la appaga: prima ancora di volere questo o quello, essa vuole il suo stesso anelito a essere appagata. Essa si riproduce all’infinito come “volontà di”. Ciò segnala il carattere illusorio e predatorio dell’aspettativa. Il raggiungere qualcosa di desiderato coincide con l’accorgersi che esso non valeva la pena di tanto sforzo: il valore prospettato è sempre infinitamente maggiore di quello effettivo. Noi viviamo sempre aspettando qualcosa di più, di meglio, e il presente è sempre accolto come un qualcosa di provvisorio, un nulla, un mezzo per un futuro migliore. Il presente è o l’insoddisfazione del bisogno ancora da soddisfare o quella del bisogno appena soddisfatto. Onde i più, quando si guardano indietro, si accorgono di aver sempre vissuto provvisoriamente, e quella somma di tanti presenti insoddisfatti è la loro vita. Accecati dalla speranza, corrono senza avvedersene nelle braccia della morte... (dalla rete)


Umana tragedia
 
Quand’io contemplo la funesta arena
In cui men perde chi piu presto muore,
Asil di colpe e stanza di dolore,
Sparsa di sangue e di spavento piena; 

Quando de’ casi in me, quando dell’ore
Volgo e degli anni la fatal catena,
E veggo immani sull’orribil scena
Passeggiar, biechi numi, Onta ed Errore;

D’odio, d’angoscia, di pieta, di sdegno
Sento stringermi il cor, sento piu scura
Farsi la notte dello stanco ingegno;

Ed un pensiero immobile m’assedia,
E prorompo in un grido: Empia Natura,
Quanto ha mai da durar questa tragedia?
 
Arturo Graf
 



mai,
non impareremo mai,
distruzione, dolore, morte;
la vita dell'uomo è fatta di odio,
l'amore sembra solo
istinto animale...

Nessun commento:

Posta un commento