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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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mercoledì 11 marzo 2009

A Cinque Lune da Nobegmor (III)

CAPITOLO III°

Contrariamente alle previsioni di Gujil l'interno della grotta si rivelò perfettamente asciutto e privo di pericoli.
Si addentrarono nello stretto cunicolo frenando la loro impazienza, ora i gemiti si erano fatti perfettamente distinguibili.
La luminosità, diffusa, si andava facendo sempre più intensa.
Improvvisamente l'angusto corridoio terminò il suo tortuoso percorso ed essi si trovarono in un'ampia apertura colma di luce.
Dopo il primo attimo di sorpresa videro, nel fondo dell'antro, uno strano animale che, incatenato con le zampe al terreno, gemeva sommessamente.
Abbassarono le spade e si diressero subito verso di esso.
Giuntigli vicino lo riconobbero; era un unicorno dal mantello colore del vento.
Aveva tutti e quattro gli arti imprigionati da pesantissime catene che ne impedivano i movimenti e, si accorsero, stava piangendo copiose lacrime.
Queste, scivolavano lungo il morbido pelame dell'animale, si riversavano a terra tutte in uno stesso punto nel quale cresceva una strana erba dal colore rossastro.
- Ho sempre creduto che questo genere di animali esistesse solo nei racconti della fantasia. - disse Gujil a se stesso riponendo nel fodero la sua spada.
- Anch'io mio Gujil. - gli fece eco Mizaurio.
Lo sguardo dell'animale stazionava fisso su di loro.
Intuendo la loro voglia di domande l'unicorno parlò con queste parole:
- Il mio nome è Phuxarius nobili Signori.
Vi stavo da tempo aspettando.
Se volete posso a voi raccontare la mia triste storia.
Così disse loro l'unicorno e poi sospese la voce in attesa di una risposta.
L'unico suono che animava il silenzio pesante della caverna era il rumore metallico delle catene i cui anelli cozzavano tra loro ogni volta che l'animale compiva un movimento.
L'enorme volta dell'antro, amplificando a dismisura i rumori, diede a Gujil l'impressione di sentire il soffio del respiro che animava tutto il suo essere.
- Ti ascoltiamo. - disse il giovane Principe rivolgendosi a Phuxarius.
- In me vive il sorriso di Arhiac, - riprese l'unicorno - imprigionato dal sacrilego sortilegio di uno stregone chiamato Drosan.
E' il mio destino di Opoflop.
Io sono il sacrificio ricorrente che permette la vita di questo reame
Ho, nel mio pianto, la salvezza ed insieme la dannazione di tutto il paese perché, piangendo, le mie lacrime donano alla terra quell'acqua che serve affinché possano germinare i suoi frutti; ma, poiché è acqua di dolore, i frutti che ne nascono sono cattivi frutti.
Nutrendo me stesso ed il popolo di Opoflop, con questi aspri frutti, continuamente rinnovo il dolore ma, se non me ne pascessi, morrei e la terra inaridirebbe completamente segnando così un ben più tragico destino per la Principessa e la sua gente.
Dovete sapere che un tempo vagavo invisibile e libero per queste contrade e foreste stupende; allora la mia gioia irrorava le messe ed i volti degli uomini.
Quando Drosan di me venne a sapere mi volle e, con un incantesimo, mi rese visibile ai suoi occhi per potermi cacciare.
Mi trovò dopo lungo vagare, mi incatenò a questa roccia con catene di pulviscolo rosa più dure del ferro ed in me sgorgò il dolore che provo e che spargo con lacrime calde sopra tutto il paese.
stava già per uccidermi quando l'anima della dolce Arhiac, vagando in un sogno agitato, mi vide e provando pietà per la mia triste sorte, mi donò il suo sorriso a proteggere la mia agile forma dall'affilato pugnale di Drosan.
Infatti, non appena egli cercò di colpirmi, mi crebbe intorno la roccia che vedi ed io venni isolato dal resto del mondo.
Per lunghi giorni Drosan cercò di raggiungermi con le sue arti ma mai vi riuscì ed allora fuggì dopo aver depredato le ricchezze di Opoflop.
Il resto è racconto che voi già ben conoscete.
La mia libertà ora è il prezzo per Opoflop perché finché imprigionato io resto così resta Opoflop e con la mia prigionia io la salvo e la danno.
Così disse Phuxarius mentre dai suoi occhi copiose le lacrime cadevano a terra imbevendo di malefica linfa vitale le tenere radici di quell'erba che tutto intorno a lui cresceva.
A quel racconto non resse l'anima di Gujil che armò la mano di quella lama tagliente che portava al suo fianco.
Furibondo, il Principe di Ozman alzò la sua spada e l'abbattè con un grido rabbioso sui rosati anelli di una delle catene che imprigionavano l'unicorno.
- No!
Non lo fare! - urlò Phuxarius un attimo prima che la lama affilata cozzasse contro la maglia della catena.
Fu troppo tardi.
La spada urtò violentemente con un rumore di tuono e dall'impatto si levarono multicolori scintille che avvolsero completamente il giovane.
Nel balenare di un attimo la figura di Gujil si dissolse nell'aria e di lui non rimase nessuna traccia.

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