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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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sabato 4 maggio 2024

Teodorico tra storia e leggenda

Flavio Teodorico, detto il Grande, più correttamente Flavio Teoderico (in goto Þiudareiks; in greco: Θευδέριχος; in latino Flavius Theoderīcus; Pannonia, 454 – Ravenna, 30 agosto 526), è stato un sovrano ostrogoto. Fu re degli Ostrogoti dal 474 e sovrano del Regno ostrogoto in Italia dal 493 (da wikipedia).

 
La leggenda di Teodorico
 Su 'l castello di Verona
Batte il sole a mezzogiorno,
Da la Chiusa al pian rintrona
Solitario un suon di corno,
Mormorando per l'aprico
Verde il grande Adige va;
Ed il re Teodorico
Vecchio e triste al bagno sta.
Pensa il dí che a Tulna ei venne
Di Crimilde nel conspetto
E il cozzar di mille antenne
Ne la sala del banchetto,
Quando il ferro d'Ildebrando
Su la donna si calò 
E dal funere nefando
Egli solo ritornò.
Guarda il sole sfolgorante
E il chiaro Adige che corre,
Guarda un falco roteante
Sovra i merli de la torre; 
Guarda i monti da cui scese
La sua forte gioventú, 
Ed il bel verde paese 
Che da lui conquiso fu.
Il gridar d'un damigello
Risonò fuor de la chiostra:
— Sire, un cervo mai sí bello
Non si vide a l'età nostra. 
Egli ha i pié d'acciaro a smalto, 
Ha le corna tutte d'òr.
— Fuor de l'acque diede un salto
Il vegliardo cacciator. 
— I miei cani, il mio morello,
Il mio spiedo — egli chiedea;
E il lenzuol quasi un mantello
A le membra si avvolgea.
I donzelli ivano. In tanto
Il bel cervo disparí,
E d'un tratto al re da canto 
Un corsier nero nitrí. 
Nero come un corbo vecchio,
E ne gli occhi avea carboni.
Era pronto l'apparecchio,
Ed il re balzò in arcioni.
Ma i suoi veltri ebber timore E si misero a guair, E guardarono il signore E no 'l vollero seguir. In quel mezzo il caval nero Spiccò via come uno strale E lontan d'ogni sentiero Ora scende e ora sale: Via e via e via e via, Valli e monti esso varcò. Il re scendere vorría, Ma staccar non se ne può. Il più vecchio ed il più fido Lo seguía de' suoi scudieri, E mettea d'angoscia un grido Per gl'incogniti sentieri: — O gentil re de gli Amali, Ti seguii ne' tuoi be' dí, Ti seguii tra lance e strali, Ma non corsi mai cosí. Teodorico di Verona, Dove vai tanto di fretta? Tornerem, sacra corona, A la casa che ci aspetta? — — Mala bestia è questa mia, Mal cavallo mi toccò: Sol la Vergine Maria Sa quand'io ritornerò. —
Altre cure su nel cielo Ha la Vergine Maria: Sotto il grande azzurro velo Ella i martiri covría, Ella i martiri accoglieva De la patria e de la fé; E terribile scendeva Dio su 'l capo al goto re. Via e via su balzi e grotte Va il cavallo al fren ribelle: Ei s'immerge ne la notte, Ei s'aderge in vèr' le stelle. Ecco, il dorso d'Appennino Fra le tenebre scompar, E nel pallido mattino Mugghia a basso il tosco mar. Ecco Lipari, la reggia Di Vulcano ardua che fuma E tra i bòmbiti lampeggia De l'ardor che la consuma: Quivi giunto il caval nero Contro il ciel forte springò Annitrendo; e il cavaliero Nel cratere inabissò. Ma dal calabro confine Che mai sorge in vetta al monte? Non è il sole, è un bianco crine; Non è il sole, è un'ampia fronte Sanguinosa, in un sorriso Di martirio e di splendor: Di Boezio è il santo viso, Del romano senator.
Giosuè Carducci

Leggende, eroici uomini vanno
a condurre genti verso l'ignoto;
fui affascinato e seguace, allora in
un contesto di privazioni anguste...

Una leggenda romantica sulla morte vuole che a Teodorico sia giunta un giorno la notizia che era stata avvistata nei boschi una cerva dalle corna d'oro. Armatosi di arco e frecce, il sovrano s'incamminò alla sua ricerca, ma improvvisamente il cavallo che lo trasportava, imbizzarritosi, cominciò a correre senza fermarsi per l'intera penisola italiana, fino ad arrivare (dopo aver attraversato lo stretto di Messina con un salto spettacolare) al cratere dell'Etna, dentro al quale si gettò con il re in groppa. La leggenda è stata ripresa con qualche variante dal Carducci, che ne scrisse un poemetto in versi a quartina doppia: La leggenda di Teodorico, nella raccolta pubblicata con il titolo Rime nuove. Nella poesia di Carducci, il cavallo si getta in Vulcano e non nell'Etna. Una variante di questa leggenda è quella che narra che Teodorico avesse paura dei fulmini e un giorno, durante un temporale, avesse deciso di fare un bagno nella vasca del suo mausoleo per essere al sicuro. Cadde tuttavia un grosso fulmine sul mausoleo, che ne spaccò la volta creando una crepa a forma di croce e uccidendo Teodorico. Poi dal cielo scese un cavallo nero che lo caricò in groppa e andò a gettarlo nel cratere dell'Etna.

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