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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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domenica 28 febbraio 2010

Giardini
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O piccoli giardini addormentati
in un sonno di pace e di dolcezze,
o piccoli custodi rassegnati
di sussurri, di baci e di carezze;
o ritrovi di sogni immacolati,
di desideri puri e di tristezze
infinite, o giardini ove gli alati
cantori sanno di notturne ebbrezze,
o quanto v'amo!
I sogni che rinserra
il mio core, fioriscono, o giardini,
lungo i viali, ne le vostre aiuole.
Io v'amo, io v'amo, o fecondati al sole
di primavera in languidi mattini,
o giardini, sorrisi de la terra!
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Sergio Corazzini

venerdì 26 febbraio 2010


LA BONTA'

Non permettere mai
che qualcuno
venga a te
e vada via senza essere
migliore e più contento.
Sii l'espressione
della bontà di Dio.
Bontà sul tuo volto
e nei tuoi occhi,
bontà nel tuo sorriso
e nel tuo saluto.
Ai bambini, ai poveri
e a tutti coloro che soffrono
nella carne e nello spirito,
offri sempre un sorriso gioioso
Dai a loro
non solo le tue cure
ma anche il tuo cuore.
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Madre Teresa di Calcutta

giovedì 25 febbraio 2010

CANZONA DE' PROFUMI
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Siam galanti di Valenza

qui per passo capitati,
d'amor già presi e legati
delle donne di Fiorenza.
Molto son gentili e belle
donne nella terra nostra:
voi vincete d'assai quelle,
come il viso di fuor mostra;
questa gran bellezza vostra
con amore accompagnate;
se non siete innamorate,
e' saria meglio esser senza.
Quanto è una buona spanna
vaselletti lunghi abbiamo;
se dicessi: - Altri v'inganna -
noi ve li porremo in mano:
ritti al luogo li mettiamo;
nella punta acceso è il foco,
onde sparge a poco a poco
dolce odor, che ha gran potenza.
Or dell'olio vogliam dire:
ha odore e virtù tanta,
che fa altri risentire
dal capo insino alla pianta.
L'olio è una cosa santa,
s'è stillato in buona boccia:
esce fuori a goccia a goccia;
se più pena, ha più potenza.
L'olio sana ogni dolore
e risolve ogni durezza;
tira a sé tutto l'umore,
trae del membro la caldezza,
penetrando la dolcezza
quanto più forte stropicci:
se hai triemiti o capricci,
usa l'olio e sarai senza.
Noi abbiamo un buon sapone,
che fa saponata assai:
frega un pezzo, ove si pone:
se più meni, più n'arai.
Èvv'egli accaduto mai,
donne, aver l'anella strette?
Col sapon, che cava e mette,
cuoce un poco: pazïenza!
Donne, ciò che abbiamo è vostro.
Se d'amor voi siate accese,
metterem l'olio di nostro,
ungeremo a nostre spese;
abbiam olio del paese,
gelsi, aranci e mongiuï:
se vi piace, proviam qui:
fate questa esperïenza.
---
Lorenzo il Magnifico
Canti Carnacialeschi
...

mercoledì 24 febbraio 2010




Fenice del nostro risveglio
devasta i vani orditi,
rinfranca il cuore con le tue alluvioni,
porta il limo sui vecchi triangoli
e le tempeste sulle carte siccitose!
...

Leonardo Sinisgalli

martedì 23 febbraio 2010


Alba
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prima dell'alba sarai qui
e Dante e il Logos e tutti gli strati e i misteri
e la luna segnata
oltre il piano bianco di musica
che stabilirai qui prima dell'alba
seta grave soffice cantante chìnati sul nero firmamento di areche
pioggia sui bambù fiore di fumo viale di
salici chi anche se ti chini con dita di pietà
a avallare la polvere non aggiungerà alla tua munificenza
la cui bellezza sarà un foglio davanti a me
una dichiarazione di se stessa stesa
attraverso la tempesta di emblemi
sicché non c'è sole e non c'è rivelazione
e non c'è ostia
soltanto io e poi il foglio
e massa morta
---
Samuel Beckett
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lunedì 22 febbraio 2010

Tutto ciò che il Potere del Mondo fa, lo fa in circolo.
Il cielo è rotondo, e ho sentito dire che la terra
è rotonda come una palla, e che così sono le stelle.
Il vento, quando è più potente, gira in turbini.
Gli uccelli fanno i loro nidi circolari,
perché la loro religione è la stessa nostra.
Il sole sorge e tramonta sempre in circolo.
La luna fa lo stesso, e tutt'e due sono rotondi.
Perfino le stagioni formano un grande circolo,
nel loro mutamento, e sempre ritornano al punto di prima.
La vita dell'uomo è un circolo, dall'infanzia all'infanzia,
e lo stesso accade con ogni cosa dove un potere si muove.
Le nostre tende erano rotonde, come i nidi degli uccelli,
e inoltre erano sempre disposte in circolo,
il cerchio della nazione, un nido di molti nidi,
dove il Grande Spirito voleva
che noi covassimo i nostri piccoli.
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Alce Nero
(Heaka Sapa) (1863 - 1950)
Sioux Oglala


domenica 21 febbraio 2010


Muse dell'Olimpo, colmate
l'animo mio di desiderio
del nuovo canto: io voglio ascoltare
la voce delle vergini
che innalzano al cielo il bell'inno;
così, più facilmente,
dalle palpebre dileguerà il sonno dolce.
Sùbito, la voglia mi prende di scendere in gara,
dove scuoterò la chioma bionda
---
Alcmane, poeta greco

sabato 20 febbraio 2010




Se dio vorrà, uno di questi giorni,
mio Fabullo, da me cenerai bene:
ma con te porta una cena abbondante
e squisita, una ragazza in fiore,
vino, sale e tutta la tua allegria.
Solo così, ripeto, amico mio,
cenerai bene, perché il tuo Catullo
ha la borsa piena di ragnatele.
In cambio avrai un affetto sincero
e tutto ciò che è bello e raffinato:
ti darò un profumo che la mia donna
ha avuto in dono da Venere e Amore.
Quando l'odorerai, prega gli dei,
Fabullo mio, di farti tutto naso.

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Gaio Valerio Catullo

venerdì 19 febbraio 2010

Belle Of The Boulevard
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Down in a local bar Out on the Boulevard The sound of an old guitar Is saving you from sinking It's a long way down, It's a long way Back like you never broke You tell a dirty joke He touches your leg And thinks He's getting close For now you let him Just this once Just for now And just like that It's over. Don't turn away Dry your eyes, dry your eyes Don't be afraid But keep it all inside, all inside When you fall apart Dry your eyes, dry your eyes Life is always hard For the Belle of the Boulevard In all your silver rings In all your silken things That song you softly sing Is keeping you from breaking It's a long way down, it's a long way Back here you never lost You shake the shivers off You take a drink To get your courage up Can you believe it? Just this onceJust for now And just like that It's over Don't turn away Dry your eyes, dry your eyes Don't be afraid But keep it all inside, all inside When you fall apart Dry your eyes, dry your eyes Life is always hard For the Belle of the Boulevard Please hold on, it's alright Please hold on, it's alright Please hold on Down in a local bar Out on the boulevard The sound of an old guitarIs saving you Don't turn away Dry your eyes, dry you eyes Don't be afraidKeep it all inside, all inside When you fall apart Dry your eyes, dry your eyes Life is always hard For the Belle of the Boulevard

Giù in un bar del posto Sul Viale Il suono di una vecchia chitarra Ti sta salvando dall’affogare E’ un lungo percorso, un lungo percorso Indietro, come se non ti fossi mai distrutta Racconti una barzelletta sporca Lui ti tocca la gamba E pensa che si sta avvicinando Per ora lo lasci fare Solo questa volta Solo per ora E proprio così E’ finita. Non voltarti Asciugati gli occhi, asciugati gli occhi Non aver paura Ma tieni tutto dentro, tutto dentro Quando cadi a pezzi Asciugati gli occhi, asciugati gli occhi La vita è sempre dura Per la Bella del Viale Con tutti i tuoi anelli d’argento Con tutte le tue cose di seta Quella canzone che canti sottovoce Ti sta evitando di finire in pezzi E’ un lungo percorso, un lungo percorso Indietro, quì, come se non ti fossi mai persa Ti scrolli i brividi di dosso Prendi un drink Per raccogliere coraggio Riesci a crederci? Solo questa volta Solo per ora E proprio così E’ finita. Non voltarti Asciugati gli occhi, asciugati gli occhi Non aver paura Ma tieni tutto dentro, tutto dentro Quando cadi a pezzi Asciugati gli occhi, asciugati gli occhi La vita è sempre dura Per la Bella del Viale Ti prego, tieni duro, va tutto bene Ti prego, tieni duro, va tutto bene Ti prego, tieni duro Giù in un bar del posto Sul Viale Il suono di una vecchia chitarra Ti sta salvando Non voltarti Asciugati gli occhi, asciugati gli occhi Non aver paura Ma tieni tutto dentro, tutto dentro Quando cadi a pezzi Asciugati gli occhi, asciugati gli occhi La vita è sempre dura Per la Bella del Viale

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giovedì 18 febbraio 2010

Riccidoro e i tre orsi
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C'erano una volta...tre Orsi, che vivevano in una casina nel bosco. C'era Babbo Orso grosso grosso, con una voce grossa grossa; c'era Mamma Orsa grossa la metà, con una voce grossa la metà; e c'era un Orsetto piccolo piccolo con una voce piccola piccola. Una mattina i tre Orsi facevano colazione e Mamma Orsa disse: - La pappa e troppo calda, ora. Andiamo a fare una passeggiata nel bosco, mentre la pappa diventa fredda. Cosi i tre Orsi andarono a fare una passeggiata nel bosco. Mentre erano via, arrivò una piccola bimba chiamata Riccidoro. Quando vide la casetta nel bosco, si domandò chi mai potesse vivere là dentro, e picchiò alla porta. Nessuno rispose, e la bimba picchiò ancora. Nessuno rispose: Riccidoro allora aprì la porta ed entrò. E là, nella piccola stanza, vide una tavola apparecchiata per tre. C'era una scodella grossa grossa, una scodella grossa la metà e una scodella piccola piccola. Riccidoro assaggiò la pappa della scodella grossa grossa: Oh! E' troppo calda! disse. Assaggiò la pappa della scodella grossa la metà: Oh! E' troppo fredda! Poi assaggiò la pappa della scodella piccola piccola: Oh ! Questa sì che va bene ! - E se la mangiò tutta. Poi entrò in un'altra stanza, e là vide tre seggiole. C'era una seggiola grossa grossa, c'era una seggiola grossa la metà e c'era una seggiola piccola piccola. Riccidoro si sedette sulla seggiola grossa grossa: - Oh! Questa è troppo dura! - disse. Si sedette sulla seggiola grossa la metà: - Oh! Questa è troppo molle! Poi si sedette sulla seggiola piccola piccola: Oh! Questa sì che va bene! E vi si sedette con tanta forza, che la ruppe. Entrò allora in un'altra stanza e là vide tre letti. C'era un letto grosso grosso, c'era un letto grosso la metà, e c'era un letto piccolo piccolo. Riccidoro si stese sul letto grosso grosso: Oh! Questo e troppo duro! disse. Provo il letto grosso la metà: - Oh! Questo e troppo molle! lnfine provò il letto piccolo piccolo: Oh! Questo si che va bene! sospirò, e subito prese sonno. Mentre Riccidoro dormiva i tre Orsi tornarono dalla passeggiata nel bosco. Guardarono la tavola, e Babbo Orso grosso grosso disse con la sua voce grossa grossa: - QUALCUNO HA ASSAGGIATO LA MIA PAPPA . Mamma Orsa grossa la metà disse con la sua voce grossa la metà: Qualcuno ha assaggiato la mia pappa ! L'Orsetto piccolo piccolo disse con la sua voce piccola piccola: - Qualcuno ha assaggiato la mia pappa e se l'e mangiata tutta!-I tre Orsi entrarono nella camera accanto. Babbo Orso grosso grosso guardò la sua seggiola e disse con la sua voce grossa grossa: - QUALCUNO Sl E' SEDUTO SULLA MIA SEGGIOLA ! Mamma Orsa grossa la metà disse con la sua voce grossa la metà: - Qualcuno si è seduto sulla mia seggiola ! E l'Orsetto piccolo piccolo gridò con la sua voce piccola piccola: - Qualcuno si è seduto sulla mia seggiola e l'ha rotta! I tre Orsi entrarono infine nella camera da letto. Babbo Orso grosso grosso disse con la sua voce grossa grossa: - QUALCUNO Sl E' STESO SUL MIO LETTO Mamma Orsa grossa la metà disse con la sua voce grossa la metà: - Qualcuno si è steso sul mio letto ! E l'Orsetto piccolo piccolo gridò con la sua voce piccola piccola: - Qualcuno si è steso sul mio letto, ed eccola qui! La voce acuta dell'Orsetto piccolo piccolo svegliò Riccidoro, e voi potete ben immaginare come si spaventò nel vedere i tre Orsi che la guardavano. Balzò giù dal letto, attraversò la stanza di corsa, saltò fuori dalla finestrella bassa, e fuggì via nel bosco tanto in fretta come mai le sue gambe l'avevano fatta correre. - Fratelli Grimm

mercoledì 17 febbraio 2010

LA MUSA MALATA
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Ahimè, povera musa mia, che cos'hai stamane?
I tuoi occhi vuoti sono popolati di visioni notturne,
e vedo sul colore del tuo volto riflettersi alterni,
freddi e taciturni, follia e orrore. Il succube verdastro ed il folletto rosa
hanno versato in te, dalle loro urne, la paura e l'amore?
E d'un pugno dispotico e ribelle l'incubo ti ha forse
annegata al fondo di un favoloso Minturno?
Vorrei che esalando odore di salute il tuo petto
fosse frequentato sempre da pensieri vigorosi
e il tuo sangue cristiano scorresse a ritmici fiotti,
come i suoni numerosi delle sillabe antiche
ove regnano volta a volta Febo,
padre di canzoni e il grande Pan, signore delle messi.
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Charles Baudelaire

martedì 16 febbraio 2010

Come tu vuoi
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La tramontana screpola le argille,
stringe, assoda le terre di lavoro,
irrita l'acqua nelle conche; lascia
zappe confitte, aratri inerti
nel campo. Se qualcuno esce per legna,
o si sposta a fatica o si sofferma
rattrappito in cappucci e pellegrine,
serra i denti. Che regna nella stanza
è il silenzio del testimone muto
della neve, della pioggia, del fumo,
dell'immobilità del mutamento.
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Son qui che metto pine
sul fuoco, porgo orecchio
al fremere dei vetri, non ho calma
né ansia. Tu che per lunga promessa
vieni ed occupi il posto
lasciato dalla sofferenza
non disperare o di me o di te,
fruga nelle adiacenze della casa,
cerca i battenti grigi della porta.
A poco a poco la misura è colma,
a poco a poco, a poco a poco, come
tu vuoi, la solitudine trabocca,
vieni ed entra, attingi a mani basse.
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È un giorno dell'inverno di quest'anno,
un giorno, un giorno della nostra vita.
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Mario Luzi
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lunedì 15 febbraio 2010

Segui l'Amore
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«Quando l’amore vi chiama,
seguitelo, anche se le sue vie
sono dure e scoscese.
E quando le sue ali vi abbracciano,
arrendetevi a lui.
Quando vi parla, credete in lui,
anche se la sua voce
puo’ cancellare i vostri sogni,
come il vento scompiglia il giardino.
Come covoni di grano, vi raccoglie in se’.
Vi batte fino a farvi spogli.
Vi setaccia per liberarvi dalla pula.
Vi macina per farvi farina bianca.
Vi impasta finche’ non siete docili alle mani;
e vi consegna al fuoco sacro
,perche’ siete pane consacrato
alla mensa del Signore.
L’amore non da’ altro che se stesso e
non prende niente se non da se’.
L’amore non possiede
ne’ vuol essere posseduto,
perche’ l’amore basta all’amore».
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Kahlil Gibran
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domenica 14 febbraio 2010

La Valle dell'Inquietudine
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Rideva un tempo una quieta vallata
Che nessuno più abitava;
Erano tutti partiti per la guerra,
Sperando che gli occhi soavi delle stelle
Avrebbero di notte sorvegliato
Dalle azzurre torri i fiori
Dove tutto il giorno pigro
S'allungava il bagliore del sole.
Ora s'awede ogni viandante
Che è inquieta la mesta vallata.
Non v'è nulla che immobile resti
Se non l'aria che resta sospesa
Sulla sua solitudine magica.
Ah, non vento che scuota quegli alberi
Palpitanti come i gelidi mari
Attorno alle Ebridi fosche! Ah,
Nessun vento trascina le nubi
Che incessanti percorrono i Cieli
Irrequieti, dall'alba al tramonto,
Su distese di violette,
Occhi umani là sparsi a miriadi,
Su gigli che là ondeggiano e gemono
Su una tomba senza nome!
Ondeggiano: e dalle cime fragranti
Stillano eterne rugiade.
Gemono: e lungo i fragili steli
Scendono gemme di lacrime perenni.

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Edgar Allan Poe

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sabato 13 febbraio 2010


Viva i Coriandoli di Carnevale
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Viva i coriandoli di Carnevale,
bombe di carta che non fan male!
Van per le strade in gaia compagnia
i guerrieri dell'allegria:
si sparano in faccia risate
scacciapensieri,
si fanno prigionieri
con le stelle filanti colorate.
Non servono infermieri
perchè i feriti guariscono
con una caramella.
Guida l'assalto, a passo di tarantella,
il generale in capo Pulcinella.
Cessata la battaglia, tutti a nanna.
Sul guanciale
spicca come una medaglia
un coriandolo di Carnevale.
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Gianni Rodari

venerdì 12 febbraio 2010


AVEVAMO STUDIATO
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Avevamo studiato per l'aldilà
un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che tutti siamo già morti senza saperlo.
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell'alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo zimbello:
di esser visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile,
dal tuo radar di pipistrello.
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Eugenio Montale
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giovedì 11 febbraio 2010

Senza paura,

con la bella, spensierata arroganza dei vent'anni in una ballata country rock davvero piacevole. Questa bella biondina ha sfondato giovanissima in un America che ha ancora bisogno di ragazze e di ragazzi sui sedili delle automobili ad accompagnare uomini e donne in furiosa crisi di identità. Ha bisogno di sentirsi dire dalle sue donne che il mito del bel "marine" e del "boy-scout" è ancora vivo e valido, ha bisogno di carezze nascoste d umidi baci, ha bisogno di essere capita senza dover comunicare, ha ancora bisogno di lei e di lui...e lei e lui sono presenti, sempre...senza paura.

meditiamoci




"



"Fearless"
There's somethin' 'bout the way The street looks when it's just rained There's a glow off the pavement Walk me to the car And you know I wanna ask you to dance right there In the middle of the parking lot Yeah Oh yeah We're drivin' down the road I wonder if you know I'm tryin' so hard not to get caught up now But you're just so cool Run your hands through your hair Absent mindedly makin' me want you And I don't know how it gets better than this You take my hand and drag me head first Fearless And I don't know why but with you I'd dance in a storm in my best dress Fearless So baby drive slow 'til we run out of road in this one horse town I wanna stay right here in this passenger's seat You put your eyes on me In this moment now capture it, remember it Cause I don't know how it gets better than this You take my hand and drag me head first Fearless And I don't know why but with you I'd dance in a storm in my best dress Fearless Well you stood there with me in the doorway My hands shakeI'm not usually this way but You pull me in and I'm a little more brave It's the first kiss, It's flawless, Really something, It's fearless. Oh yeah And I don't know how it gets better than this You take my hand and drag me head first Fearless And I don't know why but with you I'd dance in a storm in my best dress Fearless Yeah I don't know how Oh yeah yeah

C’è qualcosa nel modo in cui è la strada quando è appena piovuto C’è un bagliore sull’asfalto portami fino alla macchina e lo sai, vorrei chiederti di ballare, proprio qui nel mezzo del parcheggio Stiamo guidando lungo la strada mi chiedo se tu sai che mi sto sforzando di non farmi prendere troppo ma tu sei così attraente mentre passi le tue mani tra i miei capelli distrattamente, facendomi desiderare te E non so come potrebbe diventare meglio di così prendi la mia mano e, prima, la mia testa senza paura e non so perchè, ma con te danzerei in una tempesta, nel mio vestito migliore senza paura Perciò piccola guida piano finchè finirà la strada in questa città deserta voglio restare proprio qui, sul sedile del passeggero Tu metti i tuoi occhi su di me in questo momento, catturalo, ricordatelo E non so come potrebbe diventare meglio di così prendi la mia mano e, prima, la mia testa senza paura e non so perchè, ma con te danzerei in una tempesta, nel mio vestito migliore senza paura Be’, eri con me sulla porta le mie mani tremavano di solito non sono così ma tu mi tiri dentro e sono un po’ più coraggioso è il primo bacio, è perfetto, davvero è qualcosa senza paura E non so come potrebbe diventare meglio di così prendi la mia mano e, prima, la mia testa senza paura e non so perchè, ma con te danzerei in una tempesta, nel mio vestito migliore senza paura

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mercoledì 10 febbraio 2010

Vincenzo Cardarelli,
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il cui vero nome era Nazareno Caldarelli, nacque a Corneto Tarquinia, un piccolo paese di provincia, dove suo padre (Antonio Romagnoli), marchigiano d'origine, gestiva il buffet della stazione ferroviaria e qui trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza.Compì studi irregolari e formò la propria cultura da autodidatta. All'età di diciassette anni fuggì di casa e approdò a Roma dove, per vivere, fece i più svariati mestieri, fra i quali il correttore di bozze presso il quotidiano l'Avanti!. Su l'Avanti!, del quale divenne redattore, ebbe inizio, nel 1906, la sua carriera giornalistica.
Collaborò a Il Marzocco, La Voce, la rivista Lirica, Il Resto del Carlino e, dopo gli anni della Prima guerra mondiale che aveva trascorso tra la Toscana, il Veneto e la Lombardia, rientrò a Roma e insieme ad un gruppo di intellettuali fondò la rivista La Ronda attraverso la quale espresse il suo programma di restaurazione classica. Fu direttore della Fiera letteraria, insieme al drammaturgo forlivese Diego Fabbri.
La sua fama resta legata alle numerose poesie e prose autobiografiche di costume e di viaggio, raccolte in Prologhi (1916), Viaggi nel tempo (1920), Favole e memorie (1925), Il sole a picco (1929) romanzo con illustrazioni del pittore bolognese Giorgio Morandi, Il cielo sulle città (1939), Lettere non spedite (1946), Villa Tarantola (1948).
Fu un conversatore brillante ed un letterato polemico e severo, avendo vissuto una vita vagabonda, solitaria e di austera e scontrosa dignità. Suoi maestri sono stati Baudelaire, Nietzsche, Leopardi, Pascal, che lo hanno portato ad esprimere le proprie passioni con un senso razionale, senza troppe esaltazioni spirituali. La sua è una poesia descrittiva lineare, legata a ricordi passati di qualunque tipo,siano paesaggi animali persone e stati d'animo, che vengono espressi con un uso di un linguaggio discorsivo e nello stesso tempo impetuoso e profondo. (Wikipedia)
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Gabbiani
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Gabbiani
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
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Vincenzo Cardarelli
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E' veramente bella questa poesia di Vincenzo Cardarelli, direi che mi rappresenta come poche, mi è molto vicina.
Mi scuote e mi abbraccia con franca dolcezza donando al mio spirituale un pò di requie ed al mio fisico un senso di protezione, in questi periodi di continue turbolenze e negatività.
La poesia mi aiuta, quando struggersi è afinalistico ma dolce come un naufragio leopardiano, quando il nodo alla gola ha origini antiche e rappresenta quello "spleen" profondo che hanno solo in pochi, gli eletti...i tristissimi animi grandi.
La poesia mi consola e mi aiuta nel vivere e nel sopravvivere.
Chissà se Richard Bach aveva presente questa poesia quando ha scritto "Il gabbiano Jonathan Livingstione"...mi piace pensare di si.
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martedì 9 febbraio 2010


Nevica
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A larghi fiocchi
cade la neve
dal cielo in terra
candida e lieve.
Bianco tappeto
fa per le strade,
sui rossi tetti
morbida cade.
Tutto arrotonda,
tutto ammodella,
agguaglia tutto
la neve bella…
Silenzio e pace!
Cade la neve,
sui rossi tetti,
morbida e lieve.
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Olindo Grossi Mercanti
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lunedì 8 febbraio 2010

Tir na nog

Oggi è tempo di questa bella favola celtica.

Nelle leggende di questa parte del Nord (che comprende l'estremo lembo Nord-Ovest della Francia e il Sud-Ovest dell'Inghilterra e Irlanda pure) si respira un sacco di brezza marina e di impalpabile atmosfera piena di trucchi e magia. Un amico ogni tanto me ne racconta qualcuna in modo chiaro e comprensibile e qualcuna riesce anche meravigliosamente a musicarla con la sua arpa celtica.
Questa, tra le tante è piena di cose, di vita ed amore universale.
La bellezza in cambio della giovinezza e della prigionia...che fare?
Da leggere.
Grazie a tale "snowfair" per il testo che segue rintracciato in giro per la rete.
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TIR-NAN-OG
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Aodh figlio di Aodh, un pescatore dell’isola di Oronsay, si trovava un giorno nella sua piccola imbarcazione, sospinta pigramente dalla marea nelle acque della baia. Passava la maggior parte del tempo sdraiato in coperta senza far nulla; di tanto in tanto cercava di pescare uno di quei pesci che si nascondevano nei fondali sabbiosi. La bella stagione volgeva al termine e già si sentiva nell’aria l’incedere dell’autunno, che presto avrebbe imbiancato le alghe e dipinto d’oro e ruggine la brughiera e le dolci colline. La baia dalla sabbia dorata dove le anatre venivano a passare l’inverno: quello era il posto preferito di Aodh, insieme a quel grappolo di isole dalle strette insenature, rifugio di grandi banchi di pesci dal ventre argenteo.
L’imbarcazione scivolò lentamente verso le secche, poi le correnti la trascinarono verso il mare aperto, nelle acque azzurre dove giocavano le foche. Per evitare che la barca si scontrasse con venti troppo forti Aodh decise di virare, ma non appena ebbe messo mano ai remi si accorse di aver commesso un’imprudenza, perché una raffica di vento lo sospinse irrimediabilmente verso il largo, in balia delle correnti. Quando scese la notte, nuvole minacciose si abbassarono sul mare e un vento impetuoso sferzò la piccola imbarcazione, facendola sussultare paurosamente. Le colline dell’isola erano ormai sparite dall’orizzonte: nessuno aveva veduto la barca di Aodh allontanarsi dalla riva e svanire oltre l’estrema lingua di terra. Enormi ondate si abbattevano sul fragile scafo e, quando sembrava ormai che la barca dovesse soccombere alla tempesta, uno stormo di beccacce di mare si alzò in volo, circondando l’imbarcazione. E dove esse volavano, il mare si calmava e il vento non aveva alcun potere sulle onde. Gli uccelli accompagnarono la barca fino all’alba, quando un’isola verde apparve all’orizzonte. Le beccacce si precipitarono verso la terra ferma, mentre Aodh riuscì a governare l’imbarcazione fino alle acque calme delle sue insenature, dove non vi erano onde né correnti. Il giovane approdò su una spiaggia di sabbia finissima, tirò la barca in secca e si fermò a riposare. In quel luogo regnava una calma immobile, quasi spettrale. Aodh temette di aver superato i confini del mondo e allora, come aveva appreso dai vecchi pescatori della sua terra, affondò il suo coltello in una piccola collina che si trovava nei pressi. Così, gli avevano insegnato, si possono tenere a bada le forze del male. Si udì a un tratto una voce melodiosa che proveniva da una fanciulla seduta su una roccia. In vita sua, Aodh non aveva mai veduto un viso così bello e dolce, contornato da una selva di capelli d’oro che ricadevano sulle candide spalle. La fanciulla lo chiamò e Aodh se ne innamorò perdutamente. Passarono gli anni e il suo amore per la fanciulla cresceva di giorno in giorno. Aodh si sentiva felice come non lo era mai stato. Quel luogo emanava davvero una pace infinita, con il sole che splendeva sempre alto nel cielo e nessuna ombra che giungesse a oscurare la sua serenità. Un giorno però, Aodh cominciò a sognare la sua terra natale, l’isola di Oronsay. Invano cercò di scacciare quel pensiero. Ogni volta esso si riaffacciava alla sua mente con maggiore insistenza finché, un giorno, egli tornò alla spiaggia dove aveva affidato la sua piccola barca alla dolce carezza delle maree, deciso a ripartire per la terra che aveva quasi dimenticato. “Il tuo desiderio non si può avverare” gli disse la fanciulla, avendole Aodh rivelato i suoi propositi. “Sette anni hai vissuto a Tir-nan-og, la Terra dell’Eterna Giovinezza dalla quale non vi è ritorno” “La mia barca è ancora in ottimo stato e può riprendere il mare” le rispose il giovane. “Oh mio amore. Non potrà condurti lontano dalla riva. Dovrà ritornare, o sarà trascinata negli abissi.” Aodh comprese d’un tratto che quell’ isola di eterna giovinezza, immersa nella pace e nel silenzio, altro non era che una prigione, una prigione che li estraniava dal mondo.
Ma non rivelò alla fanciulla del pugnale conficcato nella collina, che gli avrebbe permesso di riacquistare la libertà e far ritorno alla sua amata isola. La mattina dopo si recò alla spiaggia, deciso a mettere in mare la barca. “Vieni con me fino a quella punta laggiù” disse alla bella fanciulla. “Giusto fin là, e non oltre, tu e io possiamo arrivare”, gli rispose quella entrando nella piccola imbarcazione. Quando però ebbero raggiunto il promontorio, Aodh virò verso il mare aperto, cavalcando saldamente le onde che spingevano la barca verso est. Intanto la fanciulla, seduta a poppa, si mise a singhiozzare. Aodh cercò di consolarla e, con sua grande sorpresa, notò che a ogni lacrima che sgorgava dai suoi occhi sembrava perdere un po’ della sua bellezza. La navigazione sul mare in tempesta durò tre giorni e tre notti. All’alba del quarto giorno apparve finalmente all’orizzonte il profilo dell’isola di Oronsay. Aodh guidò la barca nelle acque sicure della familiare baia e, impaziente, fece per scendere a terra. “Vieni, mia amata” gridò alla fanciulla. “Ti porterò alla mia casa sulla collina, dove nessun malvagio incantesimo potrà colpirci.” Ma la fanciulla non rispose. Si riparò fra le rocce, avvolgendosi nel suo scialle, e volse il viso verso il cielo, là dove i gabbiani volavano in cerchio e poi appena sopra di lei, dove le beccacce di mare frugavano con il becco fra gli scogli. Aodh la chiamò per l’ultima volta, quindi le si avvicinò per scostarle lo scialle, mentre la prendeva tra le sue braccia. Ma non appena il suo sguardo si posò sul volto della ragazza Aodh rabbrividì: la sua amata aveva perso le fattezze di una giovane e bella fanciulla per trasformarsi in una vecchia raggrinzita e deforme. “Oh Aodh, figlio di Aodh” pianse la donna. “Solo tornando alla verde isola dell’Eterna Giovinezza potrò ritrovare la mia gioventù e conservarla per sempre!” .Comprendendo la potenza delle antiche leggende, Aodh si sentì perduto. Coloro che facevano ritorno dall’isola incantata perdevano non solo la gioventù e la bellezza, ma anche la felicità. Così Aodh prese per mano la sua amata e risalì con lei sulla barca per ritrovare la Terra della Felicità Perduta. I pescatori di quelle isole raccontano che, di tanto in tanto, un piccolo battello solca ancora l’orizzonte alla ricerca di Tir-nan-og, la Terra dell’Eterna Giovinezza. Ma, come viene avvistata, sale un vento impetuoso e l’isola sparisce misteriosamente. I marinai allora si affrettano ad ammainare le vele, perché in quell’apparizione hanno imparato a riconoscere il segnale di una tempesta imminente.
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Vediamo ora un'altra fonte accreditata dal web e cosa dice Wikipedia a proposito di questo luogo mitico e leggendario:
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Tír na nÓg ("Terra del giovane eterno") è l'altromondo della mitologia irlandese, probabilmente il meglio conosciuto, grazie al mito di Oisín e Niamh (Ciclo di Fianna) Si trovava dove i Tuatha Dé Danann o Sídhe si stanziarono quando lasciarono la superficie dell'Irlanda e fu visitata da alcuni dei più grandi eroi irlandesi. Tír na nÓg è simile ad altre mitiche terre irlandesi come Mag Mell e Ablach. Era un luogo ai confini del mondo, collocato su un'isola lontana, a ovest. Lo si può raggiungere con un arduo viaggio o su invito di uno degli elfi che vi risiedono. Molti racconti popolari del Medio Evo narrano di numerose visite di eroi e monaci irlandesi a quest'isola.
Questo "aldilà" è un posto in cui la malattia e la morte non esistono. È un luogo di giovinezza e bellezza eterna, dove la musica, la resistenza, la vita e tutti i passatempi piacevoli stanno insieme in un singolo posto. Qui la felicità dura per sempre, nessuno desidera cibi o bevande. È l'equivalente celtico dei Campi elisi greci e romani o del Valhalla vichingo. Tir na nÓg svolge un ruolo importante nel racconto di Oisín e di Niamh, che fa da guida al primo. I due viaggiano insieme fino al regno benedetto, dove l'eroe trascorre un po' di tempo. Alla fine, però, la nostalgia di casa prende il sopravvento e Oisín vuole tornare in patria. È devastato dall'apprendere che in Irlanda sono trascorsi 100 anni dall'inizio del suo viaggio, sebbene per lui sia passato solo un solo anno. Può vedere l'Irlanda dalla parte posteriore del cavallo magico di Niamh, che lo avverte di non toccare la terra, poiché il peso di tutti quegli anni scenderebbe su lui in un momento. Oisín non fa attenzione al consiglio e immediatamente diventa vecchissimo. Si è ipotizzato che sarebbe caduto da cavallo nella zona di Elphin (contea di Roscommon) Poté raccontare la sua storia a San Patrizio e ricevere da lui la benedizione prima di morire. (da Wikipedia)
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domenica 7 febbraio 2010


C'era una volta.
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C’era una volta un re e una regina,
che al sol vederli passava la fame.
Vivean a starne, vestivan di trina per la felicità del lor reame,
quando la gente non avea farina, lo re diceva mangiate pollame.
Lo re può fare e disfar ciò che vuole,
noi siam nati per far ombra al sole.
Lo re può fare e la pace e la guerra,
e noi siam nati per andar sottoterra…
Passa la notte e l’alba s’avvicina…
C’era una volta un re e una regina.
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Dall'Ongaro (1808-1873)
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Questa filastrocca comincia come una fiaba ma sotto i toni fiabeschi sono nascosti i problemi dell'Italia del Risorgimento: la condizione miserabile del popolo e della povera gente che conbtrasta con la ricchezza e l'indifferenza rappresentata dal potere del Re e della Regina.

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sabato 6 febbraio 2010


E' Come un Ragazzo
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Febbraio è sbarazzino.
Non ha i riposi del grande inverno,
ha le punzecchiature,
i dispetti
di primavera che nasce.
Dalla bora di febbraio
requie non aspettare.
Questo mese è un ragazzo
fastidioso, irritante,
che mette a soqquadro la casa,
rimuove il sangue,
annuncia il folle marzo
periglioso e mutante.
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Vincenzo Cardarelli
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venerdì 5 febbraio 2010

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Allora, io ero la, sulla più alta delle montagne,
e tutto intorno a me
c'era l'intero cerchio del mondo.
E mentre ero la, vidi più di ciò che posso dire
e capii più di quanto vidi;
perché stavo guardando in maniera sacra
la forma spirituale di ogni cosa,
e la forma di tutte le cose che,
tutte insieme, sono un solo essere.
E io dico che il sacro cerchio del mio popolo
era uno dei tanti che formarono un unico grande cerchio,
largo come la luce del giorno e delle stelle,
e nel centro crebbe un albero fiorito a riparo
di tutti i figli di un'unica madre ed in un unico padre.
E io vidi che era sacro...
E il centro del mondo è dovunque.
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Il tramonto
Alce Nero (Heaka Sapa)
(1863 - 1950) Sioux Oglala
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giovedì 4 febbraio 2010


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UNA CASINA DI CRISTALLO
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lo sogno una casina di cristallo
proprio nel mezzo della città,
nel folto dell'abitato.
Una casina semplice, modesta,
piccolina, piccolina,
tre stanzette e la cucina.
Una casina
come un qualunque mortale
può possedere,
che di straordinario non abbia niente,
ma che sia tutta trasparente:
di cristallo.
Si veda bene dai quattro lati la via
e di sopra bene il cielo
e che sia tutta mia.
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Aldo Palazzeschi

mercoledì 3 febbraio 2010


BREZZA MARINA

La carne è triste, ahimè !
E ho letto tutti i libri.
Fuggire! laggiù fuggire!
Sento che gli uccelli sono ebbri
Di essere tra loscura schiuma ed i cieli!
Niente, né gli antichi giardini riflessi dagli occhi
Tratterà questo cuore che nel mare si immerge
O notti! né la luce deserta della mia lampada
Sul foglio vuoto che il candore difende,
E né la giovane donna che allatta il suo bambino.
Partirò! Vascello che fai dondolare l'alberatura
Leva lancora verso un luogo esotico!
Una Noia, delusa da speranze crudeli,
Crede ancora all'addio supremo dei fazzoletti!
E, forse, gli alberi, che attirano i temporali
Sono quelli che un vento inclina sui naufraghi
Persi, senza alberi, senza alberi, né piccole isole verdi
Ma ascolta, o cuore mio, il canto dei marinai!

Stephane Mallarmè
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martedì 2 febbraio 2010

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FORTUNALE

Alghe salmastre, sbattute
in astratti disegni,
sensuali ricami su antiche sabbie
mai più calpestate aride muoiono.

"Io... ho dentro il fragore
del mare in tempesta,
di quando lo scoglio bagnato
si staglia infreddolito eterno
e onde irritate frustano cielo
di nuvole basse ed implose.
Stallo di un albatro
in volo radente
di vento, accecato;
sorrido, forse sogghigno
incidentale ricorso, ripenso"
Conchiglie insabbiate, sbeccate
in deturpanti fregi,
pietose incisioni su inutili rabbie
collezioni sgradite insolenti insorgono.

"Io... ho dentro l'umore
del fumo che impesta,
di quando lo spazio arginato
si ritrae impalpabile inferno
e fili sottili si avvolgono a velo
di forme svariate e suontuose.
Frantumi di un vetro
in riflesso dolente
di specchio, spezzato;
sogghigno, forse sorrido
inaffidabile scorso, ripenso "

Anonimo del XX° Secolo
frammenti ritrovati
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lunedì 1 febbraio 2010

Un'Altro Giorno

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Un altro giorno senza te li ho contati tutti sai ce ne sono stati anche di felici ma... con un vuoto dentro me che non mi ho sentito mai quando mi chiedevi di portarti via con me e non basta non pensarti ubriacarsi di altri sguardi e ripetersi che in fondo non sei tu l'unica al mondo e non basta uscire spesso ingannarsi con il sesso fare finta che sia amore almeno per un paio d' ore e come un film che ho visto gia' mi vesto al buio e scappo via l'effetto e' tutto qua.... di una nuova compagnia e non basta non cercarti sotto il fuoco dei ricordi fare quello che sostiene che da soli si sta bene e non bastano gli amici le stronzate che gli dici per convincerti che ancora sei tu che hai l'ultima parola e' un altro giorno senza te li ho scontati tutti sai un altro giorno a dirsi che.... forse un giorno... e non basta non cercarti sotto il fuoco dei ricordi fare quello che sostiene che da soli si sta bene e non basta uscire spesso ingannarsi con il sesso fare finta che sia amore almeno per un paio d'ore e' un altro giorno senza te li ho scontati tutti sai e' un altro giorno a dirsi che.... forse un giorno...




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Beh! non è male questa canzone di Luca Barbarossa. Musicalmente richiama un filino "Cowgirl in the Sand" di N. Young (sopratutto all'inizio del brano) ma questo è un piccolo neo che possiamo perdonare. Il testo è attuale, sufficientemente contemporaneo e circondato da quel giusto grado di malinconia e rimpianto. L'ascolto è gradevole.


Certo che il vissuto influenza da sempre l'attenzione all'ascolto e chi è senza peccato è autorizzato a scagliare la prima pietra da subito; coordinare le idee in situazioni contingenti richede uno sforzo pesante che svuota e lascia senza fiato ed energie ma così è la vita...e va beh, viviamola.

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