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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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domenica 31 gennaio 2010



Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita
nella prossima cercherei di fare più errori
non cercherei di essere tanto perfetto,
mi negherei di più,
sarei meno serio di quanto sono stato,
difatti prenderei pochissime cose sul serio.
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e precisamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia
ma se potessi tornare indietro cercherei di avere soltanto buoni momenti.
Nel caso non lo sappiate, di quello è fatta la vita,
solo di momenti, non ti perdere l'oggi.
Io ero uno di quelli che mai andava in nessun posto senza un termometro,
una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute;
se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri nella carrozzella,
guarderei più albe e giocherei di più con i bambini,
se avessi un'altra volta la vita davanti.
Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo.
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Jorge Luis Borges
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sabato 30 gennaio 2010



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Io ti chiesi

Io ti chiesi perché i tuoi occhi
si soffermano nei miei
come una casta stella del cielo
in un oscuro flutto.
Mi hai guardato a lungo
come si saggia un bimbo con lo sguardo,
mi hai detto poi, con gentilezza:
ti voglio bene, perché sei tanto triste

Hermann Hesse

venerdì 29 gennaio 2010

Il Profeta


SUL PIACERE
...
Allora un eremita, che visitava la città una volta l'anno, si fece avanti e disse:
Parlaci del Piacere.
E lui rispose dicendo: Il piacere è un canto di libertà, Ma non è libertà.
E' la fioritura dei vostri desideri, Ma non il loro frutto.
E' un abisso che esorta alla scesa, Ma non è profondo né alto.
E' un uccello in gabbia che si alza in volo, Ma non è lo spazio conquistato.
Sì, francamente, il piacere è un canto di libertà.
E io vorrei che lo intonaste in tutta pienezza, ma temo che a cantarlo perdereste il cuore. Alcuni giovani tra voi ricercano il piacere come se fosse tutto, e vengono giudicati e biasimati.
Non vorrei né giudicarli
né biasimarli.
Vorrei che cercassero.
E troveranno non solo il piacere, Poiché il piacere ha sette fratelli, e il minore è più bello dello stesso piacere.
Non avete udito di quell'uomo che, scavando la terra in cerca di radici, scoprì un tesoro?
E alcuni anziani tra voi ricordano con rimpianto i piaceri, come errori compiuti nell'ebbrezza.
Ma il rimpianto è l'oscurità della mente, e non il suo castigo.
Essi dovrebbero ricordare i loro piaceri riconoscenti come per il raccolto di un'estate.
Ma se il rimpianto li conforta, si confortino pure.
E tra voi vi sono quelli non così giovani per cercare, né così vecchi per ricordare.
E nella paura di cercare e ricordare, essi fuggono ogni piacer temendo di umiliare e offendere l'anima.
Ma proprio in questo è il loro piacere.
E in tal modo scoprono tesori, sebbene scavino radici con mano tremante.
Ma ditemi, chi può offendere lo spirito?
L'usignolo offende il silenzio della notte, o la lucciola le stelle? E la vostra fiamma o il vostro fumo mortificano il vento? Pensate forse di poter turbare lo spirito come con un bastone uno stagno tranquillo?
Spesso, negandovi al piacere, non fate altro che respingere il desiderio nei recessi del vostro essere.
Chissà che non vi attenda domani ciò che oggi avete negato.
Anche il vostro corpo conosce la sua ricchezza e il suo legittimo bisogno, e non permette inganno.
Il corpo è l'arpa della vostra anima,
E sta a voi trarne musica armoniosa o confusi suoni.
E ora domandatevi in cuore: "Come potremo distinguere il buono dal cattivo nel piacere?".
Andate nei vostri campi e giardini, e imparerete che il piacere dell'ape è raccogliere il nettare del fiore, E che il piacere del fiore è conceder all'ape il suo nettare. Poiché il fiore per l'ape è una fonte di vita, E l'ape per il fiore è una messaggera d'amore. E per l'ape e per il fiore donarsi e ricevere piacere è a un tempo necessita ed estasi.
Popolo di Orfalese, nel piacere siate come le api e come i fiori.

giovedì 28 gennaio 2010


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Dei tuoi occhi nel lago profondo
Il mio povero cuore s'annega,
E lo sciolgono
In quell'acqua d'amore e di follia
Il tuo ricordo e la malinconia.


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Guillaume Apollinaire,

(pseudonimo di Wilhelm Apollinaris de Kostrowitzky)
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mercoledì 27 gennaio 2010





Ho inaspettatamente saputo di questa bellissima "spigolatura" da un caro amico, ho saputo ancora che questo meraviglioso pezzettino di carta stava gelosamente custodito nel portafoglio di una persona speciale che ora non è più qui, partita per un viaggio senza ritorno con serenità e la semplicità nella quale era abituata a vivere e ho avuto la fortuna di respirare con lui anch'io qualche volta.
Posso solo dire che per quel poco che ho conosciuto e frequentato quella persona sembra che lei abbia seguto alla lettera quanto riportato nel testo che segue...e non deve essere affatto semplice.
E' un testo di una poesia notevole che colpisce profondamente anche lo sprezzo giovanile così tipico e diffuso.
Seguire dei dettami a volte è stupido, altre invece è una condivisione assoluta e totalmente consapevole.
L'ho letto e riletto questo pezzo di carta ed ora l'ho fatto mio per quella parte della vita che ora è in discesa e si può frenare ben poco.
Lo ripropongo "tout court", senza commentare nulla.

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La Preghiera di un Anziano
(vissuto nel XVII secolo)
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"Signore, sai meglio di me che io sto invecchiando e un giorno sarò vecchio.
Aiutami, in qualche modo, a non sentirmi in dovere di dire sempre qualcosa, su ogni argomento, e in qualsiasi occasione.
Evitami il desiderio ardente di intromettermi negli affari altrui.
Fa che il mio conversare non diventi penoso. e cher l'aiuto che dò agli altri non diventi imposizione.
So bene che è un peccato non utilizzare tutto il mio bagaglio culturale; ma tu sai, Signore, quanto io desidero conservare alcuni amici.
Concedimi di saper evitare, nei miei discorsi, dettagli senza fine; dammi il dono di avere capacità di arrivare subito all'essenziale.
Sigilla le mie labbra sulle mie sofferenze e sui miei dolori; queste realtà stanno aumentando, e il desiderio di esternarle diventa sempre più forte, con il trascorrere degli anni.
Non sono capace di chiederti la grazia per gioire del racconto delle altrui pene; aiutami però a sopportare le mie con vera pazienza cristiana.
Vorrei chiederti una memoria migliore dammi almeno una crescente umiltà e una minore presunzione quando i miei ricordi sembra si scontrino con quelli degli altri.
Insegnami a comprendere la lezione, fondamentale nella vita, che anch'io posso trovarmi in errore.
Conserva ragionevolmente dolci le mie maniere; un vecchio arcigno e acido è il più bel capolavoro del demonio.
D'altra parte, alle volte, Signore, quasi non desidero di essere un santo, perchè è molto arduo vivere con alcuni di essi!
Fammi vedere cose belle in luoghi impensati, e talenti preziosi in persone inattese.
Fa che la mia vecchiaia sia esemplare per tutti".
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(Trovata in un convento di Cloucester)

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martedì 26 gennaio 2010

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Una Sera
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Un'aquila discese da quel cielo bianco d'arcangeli
E voi sostenetemi
Lascerete tremare a lungo tutte quelle lampade
Pregate pregate per me
La città è metallica ed è la sola stella
Annegata nei tuoi occhi blu
Quando i tranvai rotolavano scaturivano pallidi fuochi
Sopra uccelli rognosi
E tutto ciò che tremava nei tuoi occhi dei miei sogni
Che un sol uomo beveva
Sotto le luci a gas rosso come l'ovulo malefico
O vestita il tuo braccio si coglieva
Guarda l'istrione fa la linguaccia alle attente
Un fantasma s'è suicidato
L'apostolo pende dal fico e lentamente saliva
Giochiamo dunque quest'amore ai dadi
Campane dal suono chiaro annunciano la tua nascita
Guarda
I sentieri sono fioriti e le palme avanzano
Verso di te.
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Guillame Apollinaire

lunedì 25 gennaio 2010

Ancora Macchie di Vita

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Telemaco Signorini
(Firenze, 18 agosto 1835 – 10 febbraio 1901) pittore italiano.

Nacque a Firenze il 18 agosto 1835, figlio di Giovanni, un pittore della corte del Granduca. Dopo aver frequentato i corsi di disegno dal nudo all'Accademia di Belle Arti fiorentina, e dopo aver dipinto dal vero con Odoardo Borrani e Vincenzo Cabianca, inizia a frequentare il caffè Michelangelo.


Nel 1858 si recò a La Spezia alla ricerca di un ambiente visivo che gli rendesse più facile, nel diretto rapporto con il "vero", la definizione di quel netto contrasto tra luce ed ombre capace di individuare la macchia come elemento grammaticale dell'opera.


Nel 1859 partecipa agli eventi militari e parte per il fronte, al ritorno dalla guerra, nel 1860, sperimenta con Cabianca un metodo scientificamente analitico per la resa pittorica dei valori cromatici e luminosi, dipingendo dal vero nella campagna di Montelupo e a La Spezia e ritornando sui luoghi delle battaglie dell'anno precedente.
Nel 1861 a Parigi, conosce personalmente l'anziano Corot e si interessa alla pittura di paesaggio.
Nello stesso anno ed è l'unica volta è a Castiglioncello con Martelli Abbati e Tedesco, in occasione della prima visita alla tenuta.
Nel 1862 si consolidò l’amicizia con Silvestro Lega, insieme al quale dipinse a Piagentina.
Nel 1865 si impegna con energia anche nel tema sociale, col dipinto famoso del "Salone delle agitate in S. Bonifazio", ambientato in un manicomio di Firenze.
Nel 1867 fonda con il critico Diego Martelli "Il Gazzettino delle Arti e del Disegno" e vi collabora attivamente.
Nel 1871 si reca a Roma e a Napoli con Adriano Cecioni e Giuseppe De Nittis.
Signorini soggiorna più volte a Parigi e a Londra a partire dal 1873.
Muore a Firenze il 10 febbraio 1901.
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Ad integrare la parte precedente vediamo un'altra breve, ma sufficientemente esaustiva, biografia del nostro pittore della macchia.
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Telemaco Signorini appartiene alla corrente dei Macchiaioli, interessandosi, però, anche di tematiche sociali, come testimoniato dal dipinto "La sala delle agitate", ambientato in un manicomio.
Dopo aver studiato all'Accademia di Belle Arti di Firenze, viaggiò in diverse località italiane (Venezia, La Spezia, le Cinque Terre), alla ricerca di soggetti da rappresentare.
Nel 1859 partecipò tra le file dei garibaldini alla guerra; due anni dopo si recò a Parigi e Castiglioncello.
Al 1867 risale la fondazione del "Il Gazzettino delle Arti e del Disegno" col quale collaborò a lungo.
A partire dal 1871 Signorini viaggiò molto: dapprima Roma e Napoli, assieme agli amici Adriano Cecioni e Giuseppe De Nittis, poi Parigi e Londra, nelle quali ritornerà frequentemente.
Morì a Firenze il 10 febbraio 1901.
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T. Panconi, Il Nuovo dopo la Macchia, origini e affermazione del Naturalismo toscano, Pisa, 2008
F. Dini, I Macchiaioli. Opere e protagonisti di una rivoluzione artistica 1861-1869, Firenze, 2002
T. Panconi, Telemaco Signorini, il caso del pittore letterato, in: Antologia dei Macchiaioli, la trasformazione sociale e artistica nella Toscana di metà 800, Pisa, 1999
AA.VV., Telemaco Signorini, una retrospettiva, Catalogo della mostra, Firenze, 1997
E. Spalletti, Telemaco Signorini, Soncino, 1994
I Macchiaioli e la scuola di Castiglioncello, Catalogo della mostra a cura di P. Dini, F. Dini, Castiglioncello, 1990
E. Spalletti, Gli amici del Caffè Michelangelo, Roma, 1985
R. Monti, Signorini e il Naturalismo Europeo, Roma, 1984
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Cosa dire di lui che non sia già stato detto?
Che non sia stato scritto?
Descrivere e dettagliare la sua profonda umanità?
La gioia del colore?
I muri delle case?
Gli animali?
Le cose?

Ha saputo dare vita a tutto ciò che ha dipinto riuscendo a fermare il tempo come in uno spazio preciso e ricco di particolare tuttaltro che insignificanti; le sue persone fremono nei quasri con attimi di vita di un realismo impressionante e tanto umano da trasfigurare volti ed espressioni.
I suoi paesi parlano per lui di piccoli particolari che la quotidianità ripropone e glorifica, i muri delle case trasudano ed intuiscono la vita umana dietro le persiane di case e locande.
Gli animali come gli uomini arrancano la fatica del giorno tra lavoro e meritato riposo.
E' una vita macchiata (il gioco di parole ci sta, anzi chiarisce) di attimi colorati che si posano e raccontano le storie impresse in pennellate sicure e tranquille, in calme distese di omogeneità che trasla il realismo sociale e lo pone come origine e fine di quel vivere giorno dopo giorno le prove di un'esistenza dura di cui non si riesce quasi mai ad assaporare il significato, figurarsi se si riesce a capirlo!
L'uomo è solo, sembra quasi voler dire ogni suo dipinto, circondato dalla natura che lo integra e lo considera parte integrante di sè stessa e non sopra di essa come vorrebbero i tempi in cui Telemaco opera.
C'è sempre la Francia vicino ed i meravigliosi paesaggi di Corot che lui conosce personalmente ed ammira con fanciullesca intenzione ed immensa stima.
Rimane alla finestra Signorini cercando di raccontare il mondo che vive così come può, con i pennelli e i colori.
Ecco allora che le sue montagne profumano erba d'alpeggio, i suoi paesi pullulano di chiacchiere e osterie, le sue marine solitarie proiettano protagonisti improbabili al di fuori del tempo e dello spazio.
La sua vita?
Un attimo di volo socialista?

E così, una volta di più, l'uomo vive e la morte sembra lontana.
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domenica 24 gennaio 2010

Letargico



Niente!

La fresca considerazione mattutina sta incastrata nell'intercapedine di un pensiero ricorrente che mi assilla sa tempo ed è stata oggetto di discussione con un'amica alcuni giorni fa.
Perchè non e possibile decidere autonomammente sulla possibilità di andare in letargo durante i mesi più freddi e bui dell'anno?
Il tutto anche se animato da logiche a volte incomprensibili deve comunque ricondursi alla necessità che ognuno di noi ha nei confronti del periodo invernale e deve anche, ovviamente tenre in sonsiderazione il fatto che, se letargo deve essere, questo non deve andare a discapito della lunghezza della vita (dormire si ma con la possibilità di recuperare i giorni dormiti in un allungamento proporzionale della propria vita. Non dico 1 a 1 ma almeno 1 a due, mi spiego meglio, ad ogni due giorni di letargo invernale deve corrispondere un giorno di veglia estiva in più).
La logica e la proposta potrebbero reggere, il vero problema e che non si sa a che rivolgersi per questo "do ut des" concettuale.
Potrebbe comunque essere moilto interessante.

La parola letargo deriva dal greco e significa: "stato di torpore simile a sonno profondo".
Ci sono degli animali che per sopravvivere alle rigide temperature dell'Inverno cadono in uno stato di "ibernazione" in cui spendono pochissima energia utilizzando il grasso corporeo che hanno accumulato d'Estate.
Questo torpore è tipico di alcuni mammiferi come ad esempio il ghiro e l'orso.
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venerdì 22 gennaio 2010

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Toni Neutri
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Sostammo presso un laghetto quel giorno d'inverno,
E il sole era bianco, come biasimato da Dio,
E sparse foglie giacevano sulla zolla affamata,
Cadute da un frassino, ed erano grige.
I tuoi occhi fissi sopra di me erano quali gli occhi che vagano
Su tediosi enigmi risolti anni addietro;
parole correvano tra noi su e giù,
Chiedevano chi, con il nostro amore, avesse perduto di più.
Il sorriso della tua bocca era la cosa più morta,
Vivo quel tanto che gli desse la forza di morire;
E una piega d'amarezza aleggiava su di esso
Quasi un uccello di sventura in volo...
Da allora, crude lezioni che amore inganna,
E strazia d'offese immeritate, hanno foggiato per me
La tua faccia, e il sole maledetto da Dio, e un albero,
E un laghetto orlato di foglie grigiastre.
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Thomas Hardy
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giovedì 21 gennaio 2010

Quelle come noi


Quelle come noi
sono semi nel vento.
Fiocchi di tarassaco
samare di tiglio
lanugine candida di pioppo.
E niente terra
per posarsi e stare.
Niente calore
per germinare.
Solo un’impercettibile
incessante corruzione
di primavere deluse
e abbracci incompiuti.

Quelle come noi
s’impigliano ad alti steccati
si sfrangiano nel rovo
indugiano tra rami secchi
e carrube, improbabili festoni
patetici come profumi
costosi e appassiti
che sanno di nebbia.

Quelle come noi
hanno convinzioni strane
mitologie smarrite
perdute fantasie bambine.
Cercano principi e maestri
mentre il sesso le scalda
di pelle e odori e pensieri.

Non dormono mai
quelle come noi.
Parlano coi gatti
e le piante, cantano
stonando in tangenziale.
E scrivono di notte
ombre lunghe e tarocchi
e poemi informi di domani.
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...
Via,
verso l'orizzonte,
malgrado tutto,
al di là degli anni.
...
Via,
su un treno qualunque,
ben saldi nella nebbia
e nell'inquietudine,
...
Via,
certi del nulla,
carichi di pesi
e di ossa stanche,
...
Via,
comunque.
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...
Anonimo del XX° Secolo (frammenti ritrovati)
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mercoledì 20 gennaio 2010



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Il bove
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T'amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m'infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
0 che al giogo inchinandoti contento
L'agil opra de l'uom grave secondi:
Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento
Giro de' pazienti occhi rispondi.
Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;
E del grave occhio glauco entro l'austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.

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Giosuè Carducci

martedì 19 gennaio 2010

Long Gone

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Chris Cornell: cantautore "grunge" di Seattle in una versione rock di una sua canzone... decisamente meglio della versione originale pubblicata sull'Album "Scream" del 2009. Secondo me lui richiama il Cat Stevens dei tempi migliori (almeno così mi pare) sia nel modo di porsi che nei testi impegnati anche se è decisamente dotato di una voce fantasticamente migliore e più metropolitana. Un ottimo testo. una gran bella voce (l'estensione è notevole) ma, soprattutto, un videoclip gradevolissimo (la skyline della città ci riporta nei problemi immensi delle metropoli USA) da gustarsi fino in fondo e riascoltare più volte a volumi altissimi per far penetrare la musica in ogni nostro anfratto.


Long Gone: Baby I used to watch your flowers grow Now it’s raining and all your petals turns to stone I’ve been prayingI turn around and see my rose But you faded You left me now it’s time to go You’re like a diamond and I’m like glass Like oil and water we always clash Sometimes my confessions are hard for me I’ll tell you now I’m setting you free That’s why I’m long gone, long goneYou need to let me fly alone That’s why I’m long gone, long gone It may be to late our time is done Baby I think you’ve got your timing wrong Hating Exploring this while we’re riding on And it’s crazy to think that I could be reborn If you saved me Now it’s to late and you’ll never know You’re like a diamond and I’m like glass Like oil and water we always clash Sometimes my confessions are hard for me I’ll tell you now I’m setting you free That’s why I’m long gone, long gone You need to let me fly alone That’s why I’m long gone, long gone It may be to late our time is done With broken wings (with broken wings) I can’t fly (I can’t fly) I’m gonna need you to save me, angel of mine With broken wings (with broken wings) I can’t fly (I can’t fly) I’m gonna need you to save me, angel of mine That’s why I’m long gone, long gone You need to let me fly alone That’s why I’m long gone, long gone It may be to late our time is done You’re like a diamond and I’m like glass Like oil and water we always clash Sometimes my confessions are hard for me I’ll tell you now I’m setting you free




Andato (da parecchio): Piccola Ero solito guardare i tuoi fiori sbocciare ora piove e tutti i tuoi petali diventano duri come pietra ho pregato di girarmi e vedere la mia rosa mi hai lasciato ed è tempo di andare… Sei come un diamante e io come vetro come olio e acqua, ci scontriamo sempre a volte le mie confessioni sono difficili da fare ora te lo dico e ti lascerò libera Ecco perché me ne sono andato da parecchio, da molto devi lasciarmi volare da solo Ecco perché me ne sono andato da parecchio, da molto credo sia troppo tardi ormai, il nostro tempo è andato Piccola penso che tu abbia avuto un tempismo errato odiando e indagando mentre noi proseguivamoe ora è da pazzi pensare che io possa essere rinato se tu mi hai salvato ora è troppo tardi e tu non lo saprai mai Con le ali spezzate non posso volare avrò bisogno che tu mi salvi di nuovo, angelo mio

lunedì 18 gennaio 2010



A voce bassa
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Filastrocca a voce bassa,
chi è di notte che passa e ripassa?

E' il principe Fine e non può dormire
perché ha sentito una foglia stormire?

O forse é l'omino dei sogni che porta
i numeri del lotto di porta in porta?
...
E' un signore col mal di denti
in compagnia di mille tormenti?

L'ho visto: é il vigile notturno
che fa la ronda taciturno:

i ladri scantonano per la paura,
la città dorme sicura.

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Gianni Rodari


domenica 17 gennaio 2010

Fuochi d'Inverno


Qualche fuoco notturno ancora viene acceso.

I pastori, i contadini, i fattori bruciano l'ultima parte di Inverno e pregano la terra mescolando tradizioni profane a sacri impegni e preghiere. Sant' Antonio abate procede nelle nevicate con il suo bastone e protegge i suoi animali, gli animali del mondo, dai più umili sembra salga un senso di gratitudine mescolato al fremere per il gelo che ancora attanaglia i campi già arati e pronti alla semina ed ai frutti del sole.

E' una festa di quelle povere, del popolo.

E' la festa che ci promette di uscire presto dai rigori dell'Inverno, ci dice che le giornate si allungano e che le ore di luce si fanno più accese, malgrado i rigori della galaverna ed i ricami del gelo sull'acqua dei fiumi e delle pozzanghere cristallizzate di fango.
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sabato 16 gennaio 2010

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Inverno
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Fior di collina,
son cadute le foglie ad una ad una
e l’erba è inargentata dalla brina.
Fior di tristezza,
i rami son stecchiti e l’erba vizza,
par fuggita dal mondo ogni bellezza.
Fior freddolino,
potessimo vedere un ciel sereno
e un raggio d’oro splender nel turchino.
Fior di speranza,
sotto la neve c’è la Provvidenza
che lavora per noi, c’è l’abbondanza.
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Diego Valeri

venerdì 15 gennaio 2010

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Verrò Quando Sarai più Triste
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Verrò quando sarai più triste,
steso nell'ombra che sale alla tua stanza;
quando il giorno demente ha perso il suo tripudio,
e il sorriso di gioia è ormai bandito
dalla malinconia pungente della notte.
Verrò quando la verità del cuore
Dominerà intera, non obliqua,
ed il mio influsso si di te stendendosi,
farà acuta la pena, freddo il piacere,
e la tua anima porterà lontano.
Ascolta, è proprio l'ora,
l'ora tremenda per te:
non senti rullarti nell'anima
uno scroscio di strane emozioni,
messaggere di un comando più austero,
araldi di me?
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Emily Bronte

giovedì 14 gennaio 2010

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I Fiumi
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Mi tengo a quest'albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
in un'urna d'acqua
e come una reliquia
ho riposato
L'Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr'ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull'acqua
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere il sole
Questo è l'Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell'universoIl mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara
felicità
Ho ripassato
le epoche
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
Questo è il Serchio al quale hanno attinto
duemil'anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d'inconsapevolezza
nelle estese pianure
Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
contati nell'Isonzo
Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch'è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre
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Giuseppe Ungaretti
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Nacque nel 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori lucchesi che vi si trasferirono in cerca di lavoro negli anni in cui cominciò lo scavo del canale di Suez. In seguito nel 1912 si trasferì a Parigi per studiare alla Sorbona. Visse nella capitale francese molti anni dove maturò le sue prime esperienze letterarie entrando in contatto con l'ambiente simbolista, che tanto influenzò la sua poesia. Frequentò esponenti di spicco della classe intellettuale europea, tra i quali Apollinarre, De Chirico, Modigliani, Picasso, Braque. Nel 1914 partecipa come volontario alla Prima Guerra Mondiale, combattendo da soldato semplice in Francia e sul Carso.
Nel 1915 pubblica le prime poesie sul giornale "Lacerba" e nel 1916 vide le stampe la sua prima raccolta di liriche, Il porto sepolto alla quale seguirà Allegria di naufragi nel 1919. Le due raccolte con l'aggiunta di alcune poesie verranno riproposte in un unico volume dal titolo L'Allegria (1931). Fu attivo collaboratore di alcune riviste letterarie e inviato speciale di quotidiani tra cui "Il Popolo d'Italia", "La Gazzetta del Popolo" di Torino. Al termine della guerra ritornò alcuni anni a Pargi lavorando per l'ambasciata italiana.
Nel 1936 fu nominato docente di Letteratura italiana all'Università di San Paolo in Brasile dove rimase fino 1942. Tornato in Italia fu docente di Letteratura italiana contemporanea all'Università di Roma. Sempre nel '42 Ricevette la nomina di Accademico d'Italia. Le raccolte poetiche del secondo dopoguerra (Il dolore, 1947; La terra promessa, 1950) risentono dei lutti vissuti dal poeta: prima morì il fratello nel '37 e dopo due anni il figlio Antonietto di nove anni.
Nella produzione ungarettiana annoveriamo anche prose e saggi.
Prima di morire nel giugno 1970, Ungaretti riuscì a vedere pubblicata da Mondadori la raccolta definitiva dei suoi versi: Vita d'un uomo. Tutte le poesie.
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La Poetica di Ungaretti
L'Allegria segna un momento chiave della storia della letteratura italiana: Ungaretti rielabora in modo molto originale il messaggio formale dei simbolisti (in particolare dei versi spezzati e senza punteggiatura dei Calligrammes di Guillaume Apollinaire), coniugandolo con l'esperienza atroce del male e della morte nella guerra. Al desiderio di fraternità nel dolore si associa la volontà di ricercare una nuova "armonia" con il cosmo che culmina nella citata poesia Mattina (1917).
Questo spirito mistico-religioso si evolverà nella conversione in Sentimento del Tempo e nelle opere successive, dove l'attenzione stilistica al valore della parola (e al recupero delle radici della nostra tradizione letteraria), indica nei versi poetici l'unica possibilità dell'uomo, o una delle poche possibili, per salvarsi dall' "universale naufragio".
Il momento più drammatico del cammino di questa vita d'un uomo (così, come un "diario", definisce l'autore la sua opera complessiva) è sicuramente raccontato ne Il Dolore: la morte in Brasile del figlioletto Antonio, che segna definitivamente il pianto dentro del poeta anche nelle raccolte successive, e che non cesserà più d'accompagnarlo.
Solo delle brevi parentesi di luce gli sono consentite, come la passione per la giovanissima poetessa brasiliana Bruma Bianco, o i ricordi d'infanzia ne I Taccuini del Vecchio, o quando rievoca gli sguardi d'universo di Dunja, anziana tata che la madre aveva accolto nella loro casa d'Alessandria (Wikipedia).
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mercoledì 13 gennaio 2010

Bellezza
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Ti do me stessa,
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi
di cielo e stelle - bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.
Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.
Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi -
E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido - della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo -
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette -
...
Antonia Pozzi, 4 dicembre 1934
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martedì 12 gennaio 2010

Attesa

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E' dura!

Aspettare sapendo è ancora più difficile.

I Preparativi, i minuti che scorrono lentissimi, il viavai di gente intorno e la voglia di quel sonno artificiale che ti cancella la mente, ti mette in un forzato riposo che il tuo corpo subisce.

La speranza uscita dal vaso di Pandora si mescola alla fiducia di chi, per poche ore, ha in mano la tua vita, la tua esistenza terrena, di chi cerca di aggiustare le cose in modo che tutto possa riprendere a scorrere nella banale normalità.

Chi aspetta non sa, a meno che non abbia provato.

Chi aspetta macina i secondi di orologi da polso o da parete con finta noncuranza ma non vede i minuti e le ore, probabilmente scorre i ricordi di una vita e lotta per non esserne sopraffatto.
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L'attesa obbligata ci forza, ci angoscia e lascia aride le labbra seccate dall'arsura ed il fiato pare mancare.

Aspettare è difficile, molto difficile.

lunedì 11 gennaio 2010

Il Narciso che è in Noi

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Cantami O Diva!
Dimmi tu chi di noi mai fu preda di un attimo di narcisismo?
La vera storia di questo mitico personaggio è in realtà carica di mestizia.
La tristezza ed il senso dell'impotenza aleggiano in ogni riga ed in ogni attimo della storia e si capisce fin da subito che non esistono alternative se non quella finale della morte di tutti i protagonisti di questo affascinante e bistrattato mito.
Un giovane solo che fugge la solitudine...un'immagine che ben si adatta ai nostri tempi e rispecchia più vite che si consumano solitarie.
L'invito alla scoperta deve essere legato alla ricerca del significato che accompagna le nostre esigenze di narcisistica beatificazione, quasi fosse qualcosa di misticamente percepibile ma allo stesso tempo inattacabile attimo di vita intenso.
Narciso non è un personaggio negativo, è, come sempre un capriccio di quegli dei che dispongono degli esseri umani come strumento di divertimento ed affermazione olimpica.
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Burattini indifesi nelle mani degli dei.
Questo noi siamo.
L'Arte e la Letteratura hanno descritto da sempre lo stato dell'uomo e la sua ossessiva ricerca dei tratti somatici di Dio.
Una necessità recondita che ci accompagna da sempre.
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Non c'è redenzione, da sempre, praticamente mai.
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Narciso è una figura mitologica greca, figlio di Cefiso, divinità fluviale, e della ninfa Lipsone.
Secondo il mito narrato da Ovidio nelle Metamorfosi Narciso era un bellissimo giovane, di cui tutti, sia donne che uomini, si innamoravano alla follia.
Tuttavia Narciso preferiva passare le sue giornate cacciando, non curandosi delle sue spasimanti; tra queste era la ninfa Eco, condannata da Era a ripetere le ultime sillabe delle parole che le venivano rivolte, poiché le sue chiacchiere distraevano la dea, impedendole di scoprire gli amori furtivi di Zeus.
Rifiutata da Narciso la ninfa, consumata dall'amore, si nascose nei boschi fino a scomparire e a restare solo un'eco lontana.
Non solo Eco, ma tutte le giovani ed i giovani disprezzati da Narciso, invocarono la vendetta degli dei. Narciso venne condannato, da Nemesi, ad innamorarsi della sua immagine riflessa nell’acqua.
Disperato perché non avrebbe potuto soddisfare la passione che nutriva, si struggeva in inutili lamenti, ripetuti da Eco.
Resosi conto dell'impossibilità del suo amore Narciso si lasciò morire.
Quando le Naiadi e le Driadi cercarono il suo corpo per poterlo collocare sul rogo funebre, trovarono vicino allo specchio d'acqua il fiore omonimo, nato dal sangue, cioè per via asessuata.
Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per entrare nell'Oltretomba, si affacciò sulle acque del fiume, sempre sperando di vedersi riflesso.
Ma non riuscì a scorgere nulla a causa della natura torbida, limacciosa di quelle acque.
In fin dei conti però, Narciso fu contento di non vedere la sua immagine riflessa perché questo veniva a significare che il fanciullo-sè stesso che amava, non era morto ancora.
Nella versione beotica il giovane Narciso, cittadino di Tepsi, venne condannato ad amare la sua immagine, quando Aminia (sola figura di amante di Narciso che compare in questa versione), un giovane del luogo da lui rifiutato sprezzantemente, si tolse la vita, con una supplica di vendetta raccolta da Eros, davanti alla sua casa, con la stessa spada che Narciso gli aveva inviato come macabro invito a non dargli più noia.
Nella versione di Pausania Narciso aveva una sorella gemella ed erano simili in tutto.
Narciso era innamorato, ma lei morì.
Narciso allora si recava alla fonte sapendo che il riflesso non era sua sorella, ma si consolava pensando a lei fino a consumarsi.

domenica 10 gennaio 2010


Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla mia bocca arriverà fino al cielo
ciò che stava sopito sulla tua anima.
E' in te l'illusione di ogni giorno.
Giungi come la rugiada sulle corolle.
Scavi l'orizzonte con la tua assenza.
Eternamente in fuga come l'onda.
Ho detto che cantavi nel vento
come i pini e come gli alberi maestri delle navi.
Come quelli sei alta e taciturna.
E di colpo ti rattristi, come un viaggio.
Accogliente come una vecchia strada.
Ti popolano echi e voci nostalgiche.
Io mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono
gli uccelli che dormivano nella tua anima.
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Pablo Neruda

sabato 9 gennaio 2010


Desiderio di Cose Leggere
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Giuncheto lieve biondo
come un campo di spighe
presso il lago celeste
e le case di un'isola lontana
color di vela
pronte a salpare -
Desiderio di cose leggere
nel cuore che pesa
come pietra
dentro una barca -
Ma giungerà una sera
a queste rive
l'anima liberata:
senza piegare i giunchi
senza muovere l'acqua o l'aria
salperà - con le case
dell'isola lontana,
per un'alta scogliera
di stelle -
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Antonia Pozzi
1° febbraio 1934
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venerdì 8 gennaio 2010

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Lettera a May Ziadeh

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Un amico lontano
è a volte più vicino
di qualcuno a portata di mano.
E' vero o no
che la montagna ispira più reverenza
e appare più chiara al viandante della valle
che non all'abitante delle sue pendici ?
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Gibran K. Gibran
New York, 11 giugno 1919
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giovedì 7 gennaio 2010

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Dopo la festa
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L'abete si rannuvola. Fa buio.
Le fiammelle scoppiettano spegnendosi,
e un altro abete attraverso la brina
guarda nella finestra il giardino nevoso.
Io vedo che la luna accende
i suoi aghi vestiti di neve
e, tutto infiammandosi, annuisce
al mio abete che si sta spegnendo.
Mi spiace che sugli aghi del mio abete,
La bufera non abbia sparso polvere,
che il vento non culli i suoi rami
distese come ali nere.
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S. Marsak

mercoledì 6 gennaio 2010

La Befana dei Motociclisti


Anche quest'anno è arrivata, la Befana dei motociclisti.
Anche quest'anno sono riuscito a vederla.
E' un appuntamento strano, con un sapore particolare che riesce sempre ed ancora, malgrado tutto, a commuovermi e a farmi sentire meglio, diverso.
Quando passa rombando sulla potente motocicletta ripenso ai miei anni da ragazzo e Lei già c'era e rombava sulla strada per portare doni ai bimbi orfani e anche allora, almeno per un momento, pensavo a quant'ero fortunato nel calore della mia casa e della mia famiglia.
per qualcuno non sarebbe stato così e la gioia della calza (sempre presente per me e mia sorellina) si stemperava un attimo, solo un attimo, in un velo di tristezza.
E' così anche oggi che le calze le apre mia figlia.
E' così anche oggi.
Auguri Befana, continua a tornare anche per me!

martedì 5 gennaio 2010

Il Profeta

SUL DARE
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Allora un uomo ricco disse: Parlaci del Dare.
E lui rispose: Date poca cosa se date le vostre ricchezze.
E' quando date voi stessi che date veramente.
Che cosa sono le vostre ricchezze se non ciò che custodite e nascondete nel timore del domani?
E domani, che cosa porterà il domani al cane troppo previdente che sotterra l'osso nella sabbia senza traccia, mentre segue i pellegrini alla città santa?
E che cos'è la paura del bisogno se non bisogno esso stesso?
Non è forse sete insaziabile il terrore della sete quando il pozzo è colmo?
Vi sono quelli che danno poco del molto che possiedono, e per avere riconoscimento, e questo segreto desiderio contamina il loro dono.
E vi sono quelli che danno tutto il poco che hanno.
Essi hanno fede nella vita e nella sua munificenza, e la loro borsa non è mai vuota.
Vi sono quelli che danno con gioia e questa è la loro ricompensa.
Vi sono quelli che danno con rimpianto e questo rimpianto è il loro sacramento.
E vi sono quelli che danno senza rimpianto né gioia e senza curarsi del merito.
Essi sono come il mirto che laggiù nella valle effonde nell'aria la sua fragranza.
Attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra.
E' bene dare quando ci chiedono, ma meglio è comprendere e dare quando niente ci viene chiesto.
Per chi è generoso, cercare il povero è gioia più grande che dare.
E quale ricchezza vorreste serbare?
Tutto quanto possedete un giorno sarà dato.
Perciò date adesso, affinché la stagione dei doni possa essere vostra e non dei vostri eredi. Spesso dite: "Vorrei dare ma solo ai meritevoli".
Le piante del vostro frutteto non si esprimono così né le greggi del vostro pascolo.
Esse danno per vivere, perché serbare è perire.
Chi è degno di ricevere i giorni e le notti, è certo degno di ricevere ogni cosa da voi.
Chi merita di bere all'oceano della vita, può riempire la sua coppa al vostro piccolo ruscello.
E quale merito sarà grande quanto la fiducia, il coraggio, anzi la carità che sta nel ricevere?
E chi siete voi perché gli uomini vi mostrino il cuore, e tolgano il velo al proprio orgoglio così che possiate vedere il loro nudo valore e la loro imperturbata fierezza?
Siate prima voi stessi degni di essere colui che da e allo stesso tempo uno strumento del dare. Poiché in verità è la vita che da alla vita, mentre voi, che vi stimate donatori, non siete che testimoni.
E voi che ricevete - e tutti ricevete - non permettete che il peso della gratitudine imponga un giogo a voi e a chi vi ha dato.
Piuttosto i suoi doni siano le ali su cui volerete insieme.
Poiché preoccuparsi troppo del debito è dubitare della sua generosità che ha come madre la terra feconda, e Dio come padre.
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