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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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giovedì 16 luglio 2009

A Cinque Lune da Nobegmor (XI)

CAPITOLO XI°

La rugiada del mattino imperlava ogni cosa ammantandola di irreali riflessi scintillanti cingendo a cornice la foresta in un'atmosfera che pareva fiabesca.
i due amici, mentre percorrevano a ritroso il cammino del giorno precedente, non scambiarono neppure una parola tra loro.
Ogni tanto lo schiocco di un merlo o il bramito di qualche cervo attiravano e deviavano l'attenzione di Gujil dalle proprie considerazioni.
In poco tempo raggiunsero l'ingresso dello stretto pertugio che li avrebbe di nuovo portati nel canalone dove avrebbero dovuto trovare ad attenderli i loro destrieri.
Una volta usciti dall'angusto cunicolo stirarono le loro membra godendo della calda carezza portata dai raggi solari.
Dei cavalli però nessuna traccia.
Erano scomparsi da quel luogo.
- Senti quale silenzio ...- mormorò Mizaurio rivolgendosi al Principe.
- tu resta qui ed aspetta. - disse Gujil - Io vado a vedere dove diavolo si sono cacciati quei maledetti animali.
Ciò detto avviò i suoi passi a costeggiare un lato del canalone dirigendosi verso uno slargo che ricordava, dal giorno precedente, essere ricco di vegetazione e di acqua. Sobbalzò perché il suo cuore stava ricominciando a sanguinare copiosamente il dolore.
Non appena ebbe oltrepassato una piccola roccia, la cui eminenza più elevata lo superava di poco più di un palmo, li vide e restò impietrito.
Di fronte a lui due grossi lupi gli sbarrarono il cammino.
Il primo, quello alla sua destra, aveva un nerissimo mantello chiazzato da leggere striature di un argento vivissimo.
L'altro, solo appena più piccolo del primo, era completamente grigio.
In ambedue gli animali gli occhi dardeggiavano come dei tizzoni ardenti rivolti verso di lui.
Le loro zanne, lunghissime e perfettamente bianche, digrignavano nel cupo brontolio del loro fiato.
Stupito Gujil arrestò i propri passi e, con gesti lentissimi, impugnò l'elsa della spada nel tentativo di sguainarla.
- uccidetelo! - sentì provenire poco lontano da lui e vide le belve scattare come molle in un plastico balzo fulmineo.
se li trovò addosso senza aver fatto in tempo ad estrarre la lama.
Il peso dei due animali lo scaraventò violentemente a terra; sentì le appuntite zanne affondare nella spalla e nel fianco e, istintivamente, portò la mano ad afferrare il pugnale che teneva allacciato alla vita.
Raggiuntolo lo estrasse dal fodero e con un enorme sforzo scagliò lontano il lupo che lo aveva aggredito al fianco con un violento colpo impresso con le gambe che era riuscito a raccogliere sotto l'addome dell'animale.
Poi, con un altro poderoso colpo di reni, rotolò su se stesso costringendo il lupo più grosso sotto di lui.
Cingendolo alla gola con la mano sinistra lo immobilizzò e gli trafisse il cuore con una pugnalata.
La belva strabuzzò lo sguardo e le si spense negli occhi la fiamma della vita.
Per qualche momento si agitò ancora spasmodicamente sotto il peso di Gujil e poi giacque immobile.
Il tutto avvenne nell'arco di pochi secondi.
Allora Gujil si rannicchiò su se stesso e si voltò con uno scatto, pronto a rispondere all'attacco della seconda belva.
Il sangue colava copioso dalle sue ferite ma il dolore fisico lo teneva desto ed attento.
L'odore del suo stesso sangue lo andava eccitando a dismisura e la rabbia cresceva in lui quasi fosse un fiume in piena.
Quando si rese conto che il secondo lupo giaceva al suolo e si stava trascinando a fatica sugli arti anteriori, comprese che, probabilmente, l'impatto col terreno gli aveva spezzato le zampe posteriori.
Con le nari dilatate come un animale, si scagliò con un urlo selvaggio sulla bestia e la colpì ripetutamente con il pugnale in preda ad una furia omicida incontrollabile.
Quando Mizaurio sopraggiunse, richiamato dal frastuono della lotta, lo trovò ancora con il coltello tra le mani in un mare di sangue.
Con pazienza cercò di calmarlo e quando ci fu riuscito lo trascinò, tenendolo per mano, verso la polla di fresca acqua da cui nasceva un piccolo ruscello.
Spogliatolo gli lavò delicatamente le ferite maledicendo ad alta voce il giorno in cui si erano messi in quel pasticcio.
Notò, nel tascapane di Gujil, l'ampolla contenente il filtro preparato da Noretex.
Era miracolosamente rimasta intatta.
Non un lamento fuoriuscì dalle labbra di Gujil intanto che il fedele compagno gli ricucì le profonde ferite.
Lo sguardo assente; il Principe era lontano col viso tirato ed i capelli impastati di sangue raggrumato e polvere.
Strappando quello che era rimasto della camicia dell'amico, Mizaurio approntò delle improvvisate bende con le quali fasciò il corpo di Gujil.
Le ore passavano lente e l'espressione di Gujil appariva sempre lontana a Mizaurio.
Lo scudiero era perplesso e lo guardava con gli occhi pieni di interrogativi inespressi ma quelli dell'amico erano assenti.
Il suo Principe era lì, accanto a lui, ma era come se la sua essenza fosse stata rapita da chissà quali strane visioni.
Scuotendo il capo Mizaurio si alzò imprecando la sorte e perlustrò accuratamente i dintorni della radura alla ricerca delle loro cavalcature.
Le trovò tranquille, in un angolo appartato intente a pascolare la tenera erba intrisa di stille perlacee.
Recuperati i cavalli fece ritorno al posto nel quale sostava il Principe che trovò esattamente come lo aveva lasciato.
Dopo che fu passato ancora un po' di tempo Mizaurio, spazientito ed indeciso sul da farsi, raccolte alcune piccole pietre sul greto del ruscello, si mise a lanciarle nella polla per ingannare il senso del tempo che andava percorrendo le sue misure con estrema lentezza.
Al terzo sasso l'attenzione dello scudiero venne attirata dal ribollio che, iniziato con un leggero incresparsi, andava via via aumentando di intensità nel centro della pozza.
All'unisono le oche selvatiche levarono il volo dai canneti circostanti e, in formazione compatta, si diressero all'ovest cristallino di quella chiara mattina.
La cosa lo mise in agitazione.
Dopo una brevissima attesa lo spazio circostante zittì i suoi rumori.
La bocca e gli occhi spalancati di Mizaurio videro squarciarsi in un varco il centro della polla e, da esso, apparire una visione di sogno.
Una figura di donna bellissima, diafana, cinta di un evanescente vestito, si era materializzata davanti al suo stupore.

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