Tuscia #03
Dentro il sogno cascata
l'anima sciolta, emozione.
Finanche stanco ritorno passi
antichi, ostello, pellegrino incostante...
Gujil
un posto per capire
un posto per pensare
un posto per sostare quell'attimo
Tuscia #03
Dentro il sogno cascata
l'anima sciolta, emozione.
Finanche stanco ritorno passi
antichi, ostello, pellegrino incostante...
Gujil
Tuscia #01
Nel cuore dell'Etruria vedo
immagini antiche e il cuore
ricorda anni addietro;
ora mi chiedo ragioni...
Gujil
Tuscia #00
Tu non sai le colline è un’intensa lirica dal valore civile. In occasione dell’anniversario della Liberazione, non possiamo fare a meno di riportare alla memoria quelle “colline dove si è sparso il sangue”.
Non le abbiamo viste, i nostri occhi non si sono soffermati sui
cadaveri insanguinati di quei morti dagli occhi spalancati come un punto
interrogativo, ma le parole di Cesare Pavese ce li restituiscono in
tutta la loro evidenza reale e simbolica. Il “soldato che morì tacendo” diventa la raffigurazione straziante e misericordiosa di tutti i caduti della Resistenza, di coloro che si sono battuti in nome della Libertà. Tramite l’immagine emblematica, truce e schiacciante del sangue che
imbratta il verde declivio delle dolci colline, Pavese riflette il dolore insensato della guerra e il terribile sacrificio umano che essa implica (dalla rete).
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.
Cesare Pavese
Nasce forse
C’è la nebbia che ci cancella
Nasce forse un fiume quassù
Ascolto il canto delle sirene
del lago dov’era la città.
Giuseppe Ungaretti
Terra, figlia del Sol, madre beata
Dell’industre Caino! ancor l’amica
Genitrice virtù con pia fatica
Il tenace tuo grembo apre e dilata.
E ancor la gleba di sudor bagnata,
E più di sangue, alla progenie antica
Del buon Caino crescerà la spica
E il tralcio lieto e la rosa odorata.
E ancor sopra le tombe e le rovine
E i campi sacri alle fraterne stragi
Pulluleranno erbe maligne e fiori.
E ancor, senza riposo e senza fine,
Pulluleran ne’ petti aspri e malvagi
Desiderii e speranza, odii ed amori.
Arturo Graf
Brume
La parola "bruma" non ha un significato univoco.
Principalmente indica nebbia o foschia, soprattutto sul mare, ma può anche riferirsi al periodo più freddo dell'inverno.
Legata al «solstizio d’inverno», è la contrazione di "brevŭma", cioè brevissĭma (dies). Il periodo più freddo dell’inverno, e in genere il periodo invernale: Foco che m’arde a la più algente bruma (Petrarca); non guari avanti la bruma si dipartirono (Bembo). Nebbia, foschìa: le b. del paesaggio invernale, le b. del fondovalle; Deh come grige pesano le brume Su Lutezia (Carducci); Sepolto nella b. il mare odora (Cardarelli). - TRECCANI-
Quando invece si parla di brume si identifica la massa di umidità che ricopre la visuale senza però nasconderla completamente ammantando così i paesaggi lombardi ricchi di acque in un contesto quasi incantato.
Il vento che stasera suona attento
– ricorda un forte scotere di lame –
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l’orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D’altri Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell’ora che lenta s’annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.
Eugenio Montale
Il corno inglese è uno strumento musicale a fiato ad ancia doppia, appartenente alla famiglia degli oboi. È un oboe più lungo e più basso, intonato una quinta sotto l'oboe, e ha un suono caratteristico, spesso descritto come pastorale e malinconico (dalla rete).