(in greco antico: ἐπιτάφιον, epitáphion, ossia "ciò che sta sopra al sepolcro")
è un'iscrizione funebre avente come scopo onorare e ricordare un defunto. Generalmente, ma non sempre, si tratta di uno o più versi di una poesia: molti poeti hanno infatti composto il proprio epitaffio.
Un buon epitaffio deve avere sempre qualcosa che resti impresso, o faccia pensare: un espediente abbastanza diffuso è "parlare" direttamente a chi legge, dando un avviso sul significato della mortalità.
Alcuni epitaffi enumerano i grandi risultati ottenuti (un politico o un militare di carriera nominerà, per esempio, il numero degli anni di servizio al Paese).
Nell'antica Grecia, specialmente ad Atene, l'epitaffio era un'orazione funebre pubblica in onore dei soldati caduti durante l'anno trascorso.
Nell'antica Roma l'epitaffio si confuse con la laudatio funebris, pronunciata da un figlio o da un parente del morto.
In seguito, per estensione, il nome epitaffio indicò anche la semplice iscrizione tombale (da Wikipedia).
Un uccello viveva in me.
Un fiore viaggiava nel mio sangue.
Il mio cuore era un violino.
Amai a volte, altre no. Qualche volta
fui amato. Anche a me
rallegravano: la primavera,
la mano nella mano, ciò che è felice.
Dico che l’uomo deve esserlo!
(Qui giace un uccello.
Un fiore.
Un violino).
Un fiore viaggiava nel mio sangue.
Il mio cuore era un violino.
Amai a volte, altre no. Qualche volta
fui amato. Anche a me
rallegravano: la primavera,
la mano nella mano, ciò che è felice.
Dico che l’uomo deve esserlo!
(Qui giace un uccello.
Un fiore.
Un violino).
Juan Gelman
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