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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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giovedì 31 ottobre 2013

Frammento




attimi distratti,
farfalle infreddolite,
conficcano stuoli di idee;
un contesto,
uno solo ed ecco
che risorge il mattino
e riscalda le ali;
in volo di nuovo.

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati

martedì 29 ottobre 2013

Poesia e riflesso

Si è squarciata la nube; ecco nel cielo
l'arcobaleno brilla,
s'avviluppa la terra
in un fanale di pioggia e di luce.
Fui desto. Ma chi offusca
i magici cristalli del mio sogno?
Mi palpitava il cuore
attonito e smarrito.
Il limoneto in fiore
del giardino, i cipressi
il verde prato, il sole, l'acqua, l'iride...
l'acqua nei tuoi capelli!
E tutto si perdeva nel ricordo
come una bolla di sapone al vento.

Antonio Machado

 

un cuore perso si staglia
tra il cobalto ed il blù,
nel verde intenso di ieri
qualche giallo sfumato...

lunedì 28 ottobre 2013

Aforisma con riflesso

Francisco Goya, Saturno divora i propri figli
L' egoismo non consiste nel vivere secondo
i propri desideri, ma nel pretendere che gli altri vivano

a quel modo che noi vogliamo. 
L' altruismo consiste nel vivere e lasciar vivere.
Vi sono delle terribili tentazioni per soccombere alle quali ci vuole forza,

forza e coraggio. 
Rischiare tutta la vita su una posta
poco importa se
quella posta sia il potere o il piacere- non è di animo debole.
i è là un orribile, terribile coraggio.

 
Oscar Wilde

      
egoismo è amare
al punto di non voler perdere,
di non lasciare andare... 

egoismo s. m. [der. del lat. ĕgo «io»]. 

– Atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di sé stesso, del proprio benessere e della propria utilità, tendendo a escludere chiunque altro dalla partecipazione ai beni materiali o spirituali ch’egli possiede e a cui è gelosamente attaccato: persona chiusa nel proprio e.; l’e. dei ricchi; l’e. di certi letterati; e. materno; restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto e. (Leopardi). Nel linguaggio filos., e. teoretico (detto più propriamente solipsismo), dottrina secondo la quale l’esistenza di ogni altro soggetto non è che fenomeno della coscienza del soggetto che se lo rappresenta; e. pratico, dottrina secondo la quale il fine di ogni azione umana è sempre e soltanto l’interesse individuale dell’agente (dizionario Treccani).

domenica 27 ottobre 2013

Poesia





Percezione dell'alba

 
Percezione dell'alba
tra sbuffi di grigio
er plumbee nuvole.
Le giostre del cuore,
le animate versioni
di quello che sono;
come un ramo spezzato
rumore sinistro e cupo;
così ritrovo il sentiero.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

venerdì 25 ottobre 2013

Poesia e riflesso

Annunci d'Autunno

E' strano come il mondo si trasforma
senza parere, con l'autunno lento.
Il vento è pigro e porta solo suoni
da due passi, isolati: di una donna
che maltratta la secchia andando al pozzo,
di brevi giuochi urlati di bambini,
di raffiche di passere e di foglie
che battono le case dei sobborghi
e del cane da punta che la nebbia
fiuta come uno stormo sconosciuto.
Anche il sole è slenato, e, col sereno
la luna è piena d'ombre anche più forti.
Le mele non son più quei dolci frutti
cercati come uccelli tra le fronde:
come incantate guardano negli orti
con gote di bambole bionde.
E benché vaghi il triste odor di morti
che hanno i fiori...e là fuori l'ombra umana
in pena intorno al piede del fanale,
giunge il tempo ch'è caro
a cena il lume come un commensale.
 
Corrado Govoni
 
 
sbiadisce colore la foglia
il verde muta, ingiallisce,
l'anima ormai piena
si accascia al riposo...

giovedì 24 ottobre 2013

Preghiera



Il pregare è nella religione
ciò che il pensiero è nella filosofia.
Il senso religioso prega
come l'organo del pensiero pensa.

Novalis


La preghiera è una delle pratiche comuni a tutte le religioni. Essa consiste nel rivolgersi alla dimensione del sacro con la parola o con il pensiero; gli scopi della preghiera possono essere molteplici: invocare, chiedere un aiuto, lodare, ringraziare, santificare, o esprimere devozione o abbandono. La preghiera è solitamente considerata come il momento in cui una persona 'parla' al sacro, mentre la fase inversa è la meditazione, durante la quale è il sacro che 'parla' alla persona. La preghiera può essere personale, oppure liturgica; solitamente questa seconda forma si ritrova come preghiera scritta (o comunque tramandata in qualche modo). Una delle forme di preghiera più diffuse è il canto devozionale. Secondo la dottrina cattolica, quando una persona prega si eleva a Dio in modo cosciente. Il "tappeto di preghiera" è un piccolo tappeto che i musulmani usano per inginocchiarsi durante le preghiere giornaliere. Nell'ebraismo sono previste tre preghiere nei giorni feriali, in ricordo dei sacrifici di animali e vegetali che venivano praticati nel Santuario: l'Arvith, Shachrith e Minchah. Le preghiere sono quattro il sabato e altri giorni particolari (5 volte per Yom Kippur). L'ordine delle preghiere si trova nel Siddur, il tradizionale libro delle preghiere ebraico. Sebbene la preghiera individuale sia valida, pregare con un minyan (numero minimo di dieci maschi adulti) è considerato ideale. Molte sinagoghe hanno un hazzan, cioè un cantore che guida la preghiera della comunità. Nel Cristianesimo la forma classica e più antica di preghiera pubblica sono le ore canoniche, cioè momenti fissi durante la giornata in cui vengono recitati (o cantati) dei salmi più altre preghiere, dalla Bibbia o composte dalle Chiese, oltre a inni e intercessioni. Di origine antichissima (la struttura è stata ereditata dalla preghiera ebraica sinagogale e del Tempio di Gerusalemme), le ore canoniche ebbero particolare rilievo nelle comunità monastiche come ufficio corale. Nell'Islam la preghiera canonica è chiamata ṣalāt, prescritta 5 volte al giorno, in forma singola o collettiva, anche se sono previste e consigliate altre preghiere volontarie Nelle devozioni private esistono vari tipi di preghiere, che hanno un unico fine: elevare l'anima a Dio. Elevare l'anima a Dio è infatti la definizione ufficiale della preghiera così come riportato dal Catechismo della Chiesa Cattolica. In realtà, come dice la Bibbia (Sap 1,7 e At 17,28), noi già viviamo ed esistiamo dentro Dio; come pure affermano alcune tradizioni religiose antiche dei popoli asiatici e americani. Essendo però Dio di natura trascendente e spirituale, la sua presenza non appare sempre immediatamente percepibile ed evidente. Ecco perché è necessario elevare l'anima a Dio, cioè compiere un atto di volontà (la volontà è una delle tre potenze dell'anima insieme alla memoria e all'intelletto) che ci rende più attenti, più sensibili, più partecipi di questa presenza che è sempre e ovunque. I modi di muovere la volontà e dunque l'anima a questa consapevolezza e a questa comunione sono molti e diversi. La tradizione cattolica ne enumera svariate decine che sono state ispirate dai santi nel corso dei secoli passati e che hanno trovato una eco più o meno duratura e diffusa, in funzione della semplicità, della praticità e della bellezza delle stesse modalità di preghiera. Tra le forme private di preghiera più diffuse dalla tradizione cristiana troviamo: la preghiera biblica (che utilizza direttamente le parole della Sacra Scrittura oppure che parte dalla lettura della Bibbia per poi aprirsi al colloquio personale con Dio, come fa la lectio divina); il colloquio personale con Dio (che l'uomo può vivere in qualunque tempo e luogo); il Santo Rosario (una forma devozionale nata nel Medioevo e diffusa oggi in tutti i popoli cattolici); il culto delle immagini (fondato sul fatto che l'immagine sacra subito richiama alla mente la persona divina rappresentata e diffuso, oltre che nelle chiese, specialmente nei luoghi dove le chiese e i luoghi di culto pubblico sono lontani); tale culto non è accettato dal Protestantesimo; la via crucis (devozione nata nel Medioevo e diffusa nel XVII secolo da san Leonardo da Porto Maurizio); la vigilanza (cioè l'atteggiamento interiore dell'uomo che vigila sui suoi pensieri, discernendo quelli buoni da quelli malvagi per coltivare quelli buoni e rinnegare, dissolvere, dimenticare quelli malvagi); la ripetizione (cioè l'atto della volontà che dà inizio ad un ciclo ripetitivo di brevi invocazioni o preghiere ben conosciute, che l'uomo ripete dentro di sé fino a formare un tappeto morbido e robusto sul quale l'anima si stende e si rilassa per poi entrare nella contemplazione); la contemplazione (è la forma di preghiera considerata più santa, in quanto comunione stessa con il Santo, essendo stata definita dall'uomo la santità come la natura stessa di Dio; la contemplazione è la presenza viva di Dio nell'uomo che ispira direttamente pensieri, parole, immagini, azioni, per cui nella contemplazione l'uomo vede ciò che Dio vede, sente ciò che Dio sente, fa ciò che Dio fa); la meditazione (è il fluire o il sorgere di pensieri che vengono suggeriti, stimolati, ispirati dalle fonti più diverse, come ricordi, incontri, discorsi, letture, fatti, immagini, simboli. Essendo immenso il bacino di spunti per la meditazione, essa è probabilmente la forma di orazione più praticata di ogni tempo); l'usanza cristiana di pregare con le mani giunte risale al Medioevo e deriva dalla cerimonia dell'omaggio feudale. L'uomo che si disponeva all'omaggio congiungeva le mani e le poneva unite fra quelle del suo signore per diventare suo vassallo. La forma dell'omaggio vassallatico influenzò anche il culto cristiano e il modo di pregare Dio che divenne il signore di cui invocare la protezione. Chi pregava cominciò a farlo a mani giunte non più con le braccia aperte rivolte verso il cielo. Diventò così un gesto di sottomissione assoluta al proprio superiore.

mercoledì 23 ottobre 2013

Poesia e riflesso


Sonno, tacuinum sanitatis casanatensis
(XIV secolo)



L'amore non bisogna implorarlo
e nemmeno esigerlo.
L'amore deve avere la forza

di attingere la certezza in se stesso.

Allora non sarà trascinato,

ma trascinerà.



Hermann Hesse



come usuali segni
l'impeto si placa
è ora di riposo
di requie

martedì 22 ottobre 2013

Selciato

Con il termine selciato si indica comunemente una superficie esterna pavimentata in pietra a lastre o blocchi.
Il nome, che deriva dal primitivo utilizzo della selce come pietra da pavimentazione, si è poi esteso anche per le opere realizzate con altri materiali tra i quali, ad esempio, il macigno, il porfido, il granito.
Non di rado, tuttavia, sono chiamate selciati anche quelle pavimentazioni ottenute attraverso l'uso di più elementi e materiali in configurazioni, disegni e posa in opera diversi, tendenti a formare un tutt'uno armonico e di effetto scenico/ornamentale.
Gli elementi con i quali sono realizzate le pavimentazioni in pietra, un tempo lavorati sul cantiere dagli scalpellini, sono oggi pre-abbozzati direttamente negli stabilimenti di produzione e nella fase della posa in opera sono realizzati - frequentemente - con piccoli assestamenti.
Gli elementi in pietra che costituiscono le pavimentazioni, possono essere posati a secco, su un letto di magrone, sabbia o colla e possono avere i giunti (fughe) stuccati o aperti (da Wikipedia).



selciati bagnati
accompagnano passi
sui sassi
si spengomo suoni
e vuoti
e soli...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati

lunedì 21 ottobre 2013

Pregare

Voi pregate
nella necessità
e nel bisogno,
dovreste pregare
anche nella pienezza della gioia
e nei giorni di abbondanza.

Kahlil Gibran


vero che poi,
sempre nei se,
fuori dai dove,
dentro i perchè...


pregare
v. tr. [lat. prĕcari, der. di prex precis «preghiera»] (io prègo, tu prèghi, ecc.; ant. anche priègo, prièghi, e così nelle altre forme con accento sul tema).
– 1. Rivolgersi a qualcuno chiedendo qualche cosa umilmente, con atteggiamento di supplica, di sottomissione; si costruisce col compl. oggetto della persona a cui ci si rivolge, mentre la cosa che si chiede può essere espressa da una proposizione di valore finale introdotta dalla cong. che (meno com. perché) e il cong.: pregalo che ti aiuti (perché ti aiuti); mi pregano che (perché) rimanga con loro; nell’uso letter. il che può essere sottinteso: Occhi miei lassi,... Pregovi siate accorti, Ché già vi sfida Amore (Petrarca); oppure può costruirsi con un infinito o un sostantivo preceduto dalla prep. di: lo pregò di ascoltarlo, di essere paziente; p. qualcuno di un favore, di una cortesia (e analogam. con un pronome: la cosa, il favore di cui ti ho pregato). Un complemento introdotto da per può avere varia funzione: p. per il perdono, per la grazia, per ottenere il perdono, la grazia; p. per una persona, intercedere presso altri in suo favore; p. qualcuno per l’antica amicizia, in nome dell’antica amicizia; ti prego per carità, per amor mio, per quello che hai di più caro al mondo, e sim. Spesso assol.: è inutile che preghi, non otterrai nulla; sono stanco di pregare! Frequente la locuz. farsi pregare, di chi è restio a fare, a concedere qualche cosa: via, non farti pregare!; vuole farsi pregare, ma poi dirà di sì; e al contrario: non farsi pregare, acconsentire facilmente, con prontezza: non si è fatto certo pregare per accettare la mancia.
- 2. Chiedere per cortesia, invitare cortesemente a fare qualcosa: vi prego di rispondermi al più presto; la prego, si accomodi; l’ho pregato di aspettarmi in anticamera; si prega di non fumare. Per l’uso assol. del presente prego in tono interiettivo o di domanda, v. prego.
- 3. Rivolgersi a Dio, alla divinità, con la parola o col pensiero, devotamente, per chiedere aiuto, protezione, salute, favori: p. Dio, p. la Madonna, p. i Santi; p. Dio che ci liberi dai mali (nell’uso fam.: prega Dio che te la mandi buona; prega Dio che nessuno si accorga di quello che hai combinato); p. per le anime sante del Purgatorio; prega per noi peccatori, parole dell’Ave Maria rivolte alla Madonna; Se fosse amico il re de l’universo, Noi pregheremmo lui de la tua pace (Dante). Frequente l’uso assol., nel sign. di dire le preghiere: sono stata in chiesa a pregare; s’inginocchiò per pregare; pregava in ginocchio; p. a voce alta; p. per i proprî cari, per i defunti.
- 4. Chiedere pregando, invocare, con il compl. oggetto della cosa che si chiede, solo in alcune espressioni oggi disusate, come pregare venia, pregare pace da Dio, o in espressioni sentite come ellittiche: E prego anch’io nel tuo porto quïete, chiedo di trovare quiete (Foscolo). ◆ Part. pres. pregante, anche come agg. e s. m. e f. (ma letter. e poco com.): i fedeli preganti; dalle canne dell’organo un tuono d’argento si spande sull’infinito murmure dei preganti (E. Cecchi). Per un’accezione e un uso partic., cfr. il sinon. orante.
(Vocabolario TRECCANI) 

domenica 20 ottobre 2013

Poesia e riflesso

Il più bello dei mari

Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.

Nazim Hikmet





scie e spuma
come tracce labili
in spiaggia
conchiglie e sassi

venerdì 18 ottobre 2013

Attese

 
 
Attese

Nel cuore del mondo,
in angusti spazi
si covano le attese,
le ansiose pretese di gioie,
anche piccole,
pure minime.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate 

giovedì 17 ottobre 2013

Eterno

etèrno (ant. ettèrno) agg. e s. m.
[dal lat. aeternus, da aeviternus, der. di aevum «evo»; cfr. età].
– 1. agg.
Che si estende infinitamente nel tempo, che non ha principio né fine, detto spec. di Dio e dei suoi attributi o di quanto da Lui procede: Dio è e.; il Padre e., l’e. amore, la giustizia e., l’e. consiglio; O luce etterna che sola in te sidi, Sola t’intendi (Dante).
- 2. agg.
a. Che ha o ha avuto principio ma non avrà fine: la gloria e. del paradiso; le pene e. dell’inferno; il sonno e., la morte; Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme Che vanno al nulla eterno (Foscolo); e con riferimento diretto all’esistenza ultraterrena: la vita e., la ricompensa e., l’e. gaudio, il fuoco e.; la morte e., la dannazione dell’anima; l’e. riposo, dei giusti in paradiso (v. anche requiem).
b. estens. Destinato a durare quanto il mondo: fama, gloria e.; il suo nome durerà e.; l’e. femminino (v. femminino); odio e.; amicizia e. fra due popoli; la Città e., Roma; E sull’eterne pagine Cadde la stanca man (Manzoni). Che durerà quanto la vita dell’uomo: promettere gratitudine e.; giurare e. amore.
c. Iperb., che dura (o è durato o durerà) molto tempo: ha fatto un discorso e.; mi ha assicurato che questi mobili sono eterni; sono stufo di ascoltare i suoi e. lamenti; eccolo, quell’e. seccatore!
d. Continuo, ininterrotto: in quelle regioni è eterna primavera; lampada e., la luce che arde ininterrottamente davanti al Ss. Sacramento.
- 3. s. m.
L’Eterno, Dio; gli e., gli dei (secondo una concezione pagana): il maggior dono che gli eterni avessero fatto e potuto fare ai mortali (Leopardi). Con valore neutro, l’eternità, la vita ultraterrena: il temporale e l’e.; Io, che al divino da l’umano, A l’etterno dal tempo era venuto (Dante); e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei (Leopardi). Locuz. avv., in eterno, eternamente, per l’eternità, senza limite di tempo: la gloria del suo nome vivrà in e.; Udirà quel ch’in etterno rimbomba (Dante); ab eterno, v. ab aeterno. ◆ Avv. eternaménte, per l’eternità, per sempre: non si vive eternamente; per tutta la vita: le promise di amarla eternamente; per iperbole, sempre, costantemente: mi è eternamente alle costole.
(dizionario Treccani)


Eterno

Tra un fiore colto e l'altro donato
l'inesprimibile nulla

Giuseppe Ungaretti


fiori recisi
invecchiano
in cristalli opachi
come occhi
che piangono...

mercoledì 16 ottobre 2013

Momento, quadro e riflesso

Il Momento

Se ne va, se ne va, se ne va!
...Se n' è andato!
E col momento,
se n' è andata l' eternità!

Juan Ramon Jimenez


Angelo Pini, 1972
Momento magico al piano di Beverino



comincia la strada
dove finisce il cammino?
sentieri?
vie?

martedì 15 ottobre 2013

Aforisma e riflesso

Nessuno puo' rivelarvi nulla
se non cio' che già si trova
in stato di dormiveglia
nell'albeggiare della nostra conoscenza.
L'insegnante che avanza
nell'ombra del tempio,
fra i suoi discepoli,
non trasmette la sua sapienza,
ma piuttosto la sua fede
e la sua amorevolezza.
Se è veramente saggio,
non vi introdurrà
nella casa della sua sapienza,
ma vi accompagnerà
alla soglia
della vostra mente.

Kahlil Gibran


età come rose
belle,
sfiorite nel gioco
del tempo passato...

lunedì 14 ottobre 2013

Il Castello

Il Castello

E se passate fate piano
che Fata dorme dal mattino
che l'uomo per la guerra le partì
e dietro la collina si sbiadì
e nel castello sopra il fiordo,
la luce sfiora per ricordo
le coppe che restarono così;
e il vento smuove le vetrate
e a volte un'eco di risate
un tempo risuonavano da lì
ma non passateci d'aprile
che non potreste più vedere
le rose come quando lui era qui;.
E quando c'era lui le sale
erano piene mille sere
di gente e luci e scherzi di buffoni,
e feste fino all'alba e poi canzoni;
e lui stringeva fra le dita
la pietra verde della vita
e chi partiva sempre ritornò
tornò anche un figlio trovatore
scappato senza far rumore
per altre luci che poi non capì
e un drago fatto con la paglia
bruciava all'alba sulla soglia
perche il dolore non entrasse lì.
Tu che ne sai che passi e guardi
di Fata e tutti i suoi ricordi
del sogno che ha battuto la realtà?
La polvere si è fatta antica
e sul sentiero c'è l'ortica
ma Fata non ci crede e non lo sa.
Ha fretta e l'abito è sgualcito
ma è la gran sera che ha aspettato
e il conto della sabbia è fermo già
e lui che bussa e lui che torna qua,
e si riaccendono le luci
ad una ad una stanze e voci
e servi e cani ancora tutti là:
è lui, sorride sulla porta
è lui, lo stesso di una volta
ma chiede scusa e non l'abbraccerà;
ha gli occhi stanchi, è sempre bello
ma tiene addosso quel mantello
che non si toglie e non si toglierà.

Roberto Vecchioni
 
 
quando si ferma,
quando arranca,
il tempo, quello che passa,
quello che manca...


 

domenica 13 ottobre 2013

Oblio

L'oblio rappresenta la dimenticanza intesa come fenomeno non temporaneo, non dovuto a distrazione o perdita temporanea di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione del ricordo con un particolare accento sullo stato di abbandono del pensiero e del sentimento. Da non confondersi con il concetto di amnesia, in quanto non condivide con questo la durata del fenomeno, tipicamente temporanea nell'amnesia, né il carattere di abbandono della volontà e del sentimento tipico dell'oblio. Nella mitologia classica l'oblio è associato al Lete, ossia il fiume che conduce all'oltretomba tanto nella tradizione greca che in quella romana. A questo fiume dovevano bere le anime dei defunti per cancellare i ricordi della loro vita terrena, oppure coloro che erano chiamati a rinascere per obliare quel che avevano visto nel mondo sotterraneo. Il tema dell'oblio è rintracciabile nella storia della filosofia a partire da Platone, il quale fonda interamente la sua dottrina sul concetto di anamnesi o reminiscenza delle idee. Le nostre conoscenze, secondo Platone, non derivano dall'esperienza, ma sembrano basarsi su forme e modelli geometrici che non trovano riscontro nella realtà fenomenica quotidiana; non esistono infatti i numeri in natura. Quei modelli matematici, che egli chiama appunto Idee, devono risultare pertanto da un processo di reminiscenza con cui giungono a risvegliarsi gradualmente nel nostro intelletto. Come si può notare, questa concezione presuppone l'innatismo della conoscenza, la quale presuppone a sua volta l'immortalità dell'anima, o meglio la sua reincarnazione (o metempsicosi), dottrina che Platone riprende probabilmente dalla tradizione orfica e pitagorica. Secondo questa dottrina, una volta che l'anima umana si separi dal corpo in seguito alla morte ha la possibilità di tornare a contemplare l'Iperuranio, sede delle idee, per assorbirne la sapienza, prima di rinascere in un altro corpo. Chi è ritornato subito sulla terra si reincarnerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l'Iperuranio per un tempo più lungo rinasceranno come saggi e come filosofi. I primi saranno più facilmente soggetti all'oblio, ovvero alla dimenticanza e all'ignoranza, che li porterà a scambiare le apparenze sensibili per la vera realtà. I potenziali filosofi invece conserveranno dentro di sé qualche bagliore che, se opportunamente stimolato, potrà provocare in loro la scintilla del ricordo, attraverso intuizioni e lampi improvvisi, invitandoli alla ricerca della vera sapienza. Come Platone stesso suggerisce in numerosi passi, anche per i filosofi è impossibile recuperare completamente la reminiscenza del mondo delle Idee. La conoscenza della verità è propria solo degli dèi, che l'osservano sempre. I filosofi tuttavia non la desidererebbero con tanta forza se non l'avessero già vista prima di incarnarsi, e non fossero certi in qualche modo della sua esistenza. Il tema platonico dell'oblio si connette in proposito con quello di inconscio, nozione introdotta per la prima volta da Platone, che parla di saggezza offuscata, ma non cancellata del tutto. Si tratta di un oblio delle idee, rimaste sepolte e dimenticate nell'inconscio dell'anima, che è vissuto drammaticamente dal filosofo come una grave perdita. Egli descrive la triste condizione dell'oblio soprattutto nel mito della caverna, dove gli uomini sono condannati a vedere soltanto le ombre del vero, e condannano i pochi illuminati che, usciti fuori dalla caverna, intendono svelare loro la luce del sole Per il suo intrinseco valore romantico il concetto di oblio è stato sovente utilizzato in poesia, vi si trovano riferimenti in Petrarca («Passa la nave mia colma d'oblio»[3]) o in Foscolo («Involve tutte cose l'obblio nella sua notte»[4]), per il quale l'oblio è visto come un antagonista alla vita eterna che la poesia può garantire attraverso il ricordo delle persone e delle generazioni future. In tale contesto l'oblio assume un'accezione fondamentalmente negativa e diventa un nemico dell'uomo che aspira all'immortalità. Dante nel canto ventottesimo del Purgatorio fa riferimento all'oblio come passo necessario per passare dal luogo di purificazione delle anime, il Purgatorio appunto, al Paradiso. Bere l'acqua del fiume Lete, infatti, implica il dimenticarsi di tutti i propri peccati e diventa in questo contesto un passo necessario accedere ad una vita di superiore virtù. Friedrich Nietzsche considera l'oblio una necessità per ciascun uomo per conseguire la felicità. Le superiori capacità mnemoniche degli uomini sugli animali sono, per il filosofo, una delle cause di sofferenza, infatti: « La serenità, la buona coscienza, la lieta azione la fiducia nel futuro dipendono [...] dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto'. » (Citato da Sull'utilità e il danno della storia per la vita, seconda delle Considerazioni inattuali) Il concetto di oblio è collegato ad alcune funzioni specifiche della memoria. Sigmund Freud identifica l'oblio come una delle facoltà difensive della mente umana che tende a rimuovere contenuti mnemonici e pensieri ritenuti minacciosi, i quali rimangono inconsci e repressi. Hermann Ebbinghaus inoltre identifica la curva dell'oblio quale rappresentazione delle dinamiche di memorizzazione relazionate al tempo di ritenzione delle informazioni. I suoi studi sono alla base di alcune moderne tecniche di memorizzazione come la ripetizione dilazionata (da wikipedia).


Mi Buenos Aires Querido  
a Julio Gerchunoff
 
Seduto al bordo di una sedia sfondata,
Ubriaco, malato, quasi vivo,
Scrivo versi previamente pianti
Per la città dove sono nato.
Bisogna catturarli.
Anche qui
Sono nati dolci figli miei
Che in tutto questo dolore ti addolciscono con bellezza.
Bisogna imparare a resistere.
Nè ad andarsene
Nè a rimanere.
A resistere.
Anche se di sicuro
Ci sarà ancor più dolore e oblio.
  
La rosa blindada, Buenos Aires 1962
traduzione di Marco Castellani



 

oblio,
quella cosa che si cerca,
quanto
si vuole,
come si può

sabato 12 ottobre 2013

Riflesso in un frammento



Il mare d'autunno
prende anime,
flutti inghiottono.
onde soffocano;
noi si guarda,
si scoute il capo
tra un boccone e l'altro...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati

venerdì 11 ottobre 2013

Poesia e riflesso


 

Catene

Nella vita ognuno
ha le sue catene,
nulla vale un giudizio sereno.
Ci tormenta con diligenza il passato,
come avvoltoio in cerca di preda.
La vita è incatenata
prima di essere iniziata.
 
Nilvano Sbrana
da Recriminazioni,1976


i vincoli interiori,
quelli pesanti,
le catene dell'anima...

giovedì 10 ottobre 2013

Preghiera

Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto.Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.
Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!

Sant'Agostino


fuori piove,
sta piovendo autunno,
cerco nel sempre
un'ipotesi di mai...

mercoledì 9 ottobre 2013

Saffo

Saffo (gr. Σαπϕώ)

Poetessa greca di Lesbo (fine sec. 7° - prima metà sec. 6° a. C.).
Nacque ad Ereso, ma visse nella principale città di Lesbo, Mitilene.
Era di famiglia nobile e secondo una notizia antica fu, tra il 607 e il 590, in esilio in Sicilia, forse perché in contrasto con la stirpe dei Cleanattidi, dominante in Mitilene. Fu amica di Alceo, che l'ammirò molto; ebbe una figlia, Cleide, e tre fratelli, Larico, Carasso ed Eurigio, dei quali parla nelle sue poesie.
La sua vita trascorse, dedicata esclusivamente alla poesia, in un tiaso dove, attorno a S., si raccoglievano le fanciulle di Lesbo e straniere che esercitavano la poesia, la musica e la danza. Per queste fanciulle S. esprime nelle sue poesie sentimenti d'amore, sui quali fin dai tempi antichi si è discusso, cercando un'interpretazione che non urtasse la sensibilità morale dei tempi classici e poi dei nostri tempi; ma non è possibile in realtà interpretare le espressioni saffiche altrimenti da quel che impone la loro evidente chiarezza. Una sorte singolare ebbe S., per aver celebrato gli amori di Afrodite e del demone Faone: si creò la leggenda di un amore disperato di S. per un giovinetto Faone, che avrebbe condotto la poetessa a suicidarsi gettandosi dalla rupe di Leucade. Il motivo, divenuto famoso, fu ripreso da Ovidio e passò anche nel neopitagorismo, in cui il suicidio di S. simboleggia l'anima dell'uomo che si annega nell'armonia del creato. La stessa antichità era però consapevole della natura leggendaria di questa vicenda; da alcuni versi di S. risulta che ella giunse a tarda età. ▭ I carmi lirici di S. furono raccolti e ordinati dai grammatici alessandrini in nove libri, tenendo conto in parte del metro, in parte del contenuto: il primo libro, per es., raccoglieva tutte le liriche in strofe saffiche, l'ultimo tutti gli epitalamî (in metri diversi). Di molte migliaia di versi rimane pochissimo: soltanto un'ode intera, un'altra mutila alla fine, ampî frammenti spesso di lettura difficilissima e disperata, ritrovati in gran parte nelle scoperte papirologiche recenti; molti altri frammenti, di uno o due o pochissimi versi, sono conservati da citazioni di grammatici e metricologi antichi. Il dialetto usato è l'eolico, come in Alceo; forse si insinuano in esso degli epicismi, e non è del tutto accettabile parlare, come si è fatto, di un'assoluta purezza dialettale. Il tipo di composizione è la lirica monodica, ma S. compose anche poesie corali, i cui caratteri metrici non hanno affinità con la struttura del coro di Alcmane, Stesicoro, Pindaro, ecc. Singolare nelle forme, raffinatissima nella lingua, la poesia eolica di S. e di Alceo fu ripresa come modello dai poeti ellenistici e, attraverso questi, dai neoteroi latini e da Orazio; un suo influsso si può però anche riscontrare nei tragici e in Aristofane. ▭ La poesia di S. rappresenta una delle maggiori vette raggiunte dalla lirica di tutti i tempi. La lingua, la musicalità perfetta ed essenziale, l'immagine purissima e pregnante, l'assoluta assenza d'ogni ornamento che non sia perfettamente fuso nel disegno, nel colore e nella musicalità dell'immagine, ne fanno un esempio unico di liricità pienamente realizzata. D'altra parte, la poesia di S., la cui ispirazione nasce da una ristretta gamma di sentimenti (l'amore, innanzi tutto, vissuto in tutte le sue forme, dalla passione travolgente e dalla gelosia alla contemplazione estatica che risolve in una sola immagine l'oggetto amato e la bellezza dell'universo con cui si paragona e in cui vive), è quanto di più lontano possa essere dall'estetismo e dall'alessandrinismo. Non v'è alcun elemento di compiacenza esteriore; l'amore per il bello e le cose che ridestano la sensibilità sottile e raffinata dell'artista e della donna serba sempre una immediata schiettezza, che lo salva da ogni sensualismo programmatico. S. è semplicemente una donna che ama, gode e soffre le bellezze della natura, degli animali, delle cose che la circondano, non già istintivamente - ché anzi ha coscienza di questo suo singolare essere fatta per una esclusiva passione, fuori d'ogni conformismo di valori comunemente accettati -, né con semplicità d'animo, ma tuttavia spontaneamente e senz'altra mediazione che l'infinita capacità di canto. Nei frammenti di S. è certamente riposto uno dei più straordinarî e singolari tesori d'arte e d'umanità che la Grecia arcaica abbia lasciato. ▭ S. è divenuta nella letteratura moderna protagonista di varie leggende, drammi e romanzi, dalla commedia elisabettiana Sapho and Phao di J. Lyly (1584) al romanzo Avventure di S. poetessa di Mitilene di A. Verri (1780); dal dramma Sappho di F. Grillparzer (1818) alla celebre lirica di G. Leopardi, L'ultimo canto di S. (1822), alle varie opere musicali di G. Pacini (1840), Ch. Gounod (1851), ecc. (enciclopedia TRECCANI)

 

A me pare uguale agli Dei
chi siede a te davanti
e vicino, il dolce suono
ascolta mentre tu parli

e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce

non esce e la lingua si spezza.
Un fuoco sottile sale rapido alla pelle,
e gli occhi più non vedono,
e rombano le orecchie.

E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.

Saffo
traduzione di S. Quasimodo



gli occhi,
quelli che ridono,
quelli che piangono,
gli occhi,
quelli che guardano
e a volte,
non vedono...

lunedì 7 ottobre 2013

Frammento




incede Ottobre
un ombra decade
nel flusso, nel fosso;
cospargo di anime
un mio desiderio... poi
torno su passi risaputi,
su quelli già noti...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati





sabato 5 ottobre 2013

Salvezza in un riflesso

Salvezza in generale, significa la liberazione da condizioni indesiderabili.
Più significativamente, nel Cristianesimo si riferisce alla grazia di Dio che libera il suo popolo dal peccato e dalle sue conseguenze temporali ed eterne. « Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio » (Colossesi 1,13) La Bibbia afferma, e la Chiesa annuncia oggi, che è la sola grazia di Dio (Efesini 2,8), accolta nella libertà dall'uomo (Giacomo 2,18), a procurargli la salvezza.
Nell'Antico Testamento "salvezza" traduce diversi termini che indicano liberazione dai mali più diversi, materiali e spirituali. Il termine ebraico ישׁוּעה (yeshû‛âh) suggerisce l'idea di una liberazione. La radice significa "essere largo" o "spazioso". Liberare, quindi, significa: mettere al largo, spezzare una catena, far uscire dal confino, salvare dall'oppressione tanto che il liberato ora può svilupparsi senza ostacoli. Dio ne è sempre protagonista. È Lui, infatti, che libera, per esempio, dalla sconfitta in battaglia (Esodo 15,2), da disgrazie (Salmi 34,6), dai nemici (2 Samuele 3,10), dall'esilio (Salmi 106,47), dalla morte (Salmi 6,4), dal peccato (Ezechiele 36,29).
Il termine "salvezza" non ha necessariamente una connotazione teologica. Dapprima gli Israeliti pensano ad una salvezza soprattutto come liberazione in senso materiale e come qualcosa di nazionale. Quando, però, si approfondisce il senso del male morale, la salvezza acquista un profondo significato etico e gradualmente giunge ad includere pure gente di altre nazioni (Isaia 49,5-6;55,1-5). Con lo sviluppo dell'idea messianica, il termine giunge a significare la liberazione dal peccato nel sorgere di una nuova epoca. Fra gli israeliti, la salvezza si acquisisce attraverso un'osservanza sincera della Legge di Dio, sia morale che cerimoniale.
I termini che il Nuovo Testamento greco utilizza per "salvare" e "salvezza" sono: σώζω (sōzō) e σωτηρία (sōtēria, da cui soteriologia). Etimologicamente suggeriscono l'idea di strappare qualcuno a forza da un grave pericolo. Possono pure significare salvare da una sentenza di tribunale o da una malattia (guarire). In latino la parola "salvezza" è salus, da cui proviene anche "salute". Nell'insegnamento di Gesù "salvezza" di solito denota liberazione dal peccato e dalle sue conseguenze, qualcosa di cui fare esperienza nel presente, anche se il suo compimento è escatologico. Egli insegna come la salvezza si ottenga da Lui solo, perché è il Figlio di Dio incarnato (Giovanni 3,16). I credenti ottengono la salvezza attraverso la morte di Cristo (Efesini 2,13-18) ed essa include tutte le benedizioni redentrici che essi hanno in Cristo, fra le quali le principali sono: la conversione, la rigenerazione, la giustificazione, l'adozione, la santificazione e la glorificazione. È la soluzione che Dio prospetta all'intero problema del peccato, in tutti i suoi aspetti, ma anche dal suo potere, e finalmente dalla sua presenza. Sebbene essa sia provveduta solo attraverso le sofferenze, morte e risurrezione del Cristo, la salvezza diventa realizzabile nell'esperienza del credente attraverso l'opera dello Spirito Santo, normalmente sulla condizione della fede. I suoi effetti un giorno abbracceranno l'intero universo. La maledizione di cui è afflitta la natura sarà rimossa e tutta la storia troverà il suo compimento in Cristo (Rom 8,21-22; Efesini 1,10) (da wikipedia).

Salvezza

Vivere cinque ore?
Vivere cinque età?...
Benedetto il sopore
che m'addormenterà...
Ho goduto il risveglio
dell'anima leggiera:
meglio dormire, meglio
prima della mia sera.
Poi che non ha ritorno
il riso mattutino.
La bellezza del giorno
è tutta nel mattino.

Guido Gozzano
da "Alle soglie"


immaginifici angeli
scrutano i miei peccati,
lasciano impronte;
infine l'attimo fugge,
si schianta nel sempre...