L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.
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lunedì 31 dicembre 2007
Alla stazione in una mattina d'autunno
Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
come un grande fantasma n'è intorno.
Dove e a che move questa, che affrettasi
a' carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl'istanti gioiti e i ricordi.
Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili
com'ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
freni tentati rendono un lugubre
rintocco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.
E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l'ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su' vetri la pioggia.
Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe 'l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.
Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
salutando scompar ne la tenebra.
O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra' floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!
Fremea la vita nel tepid'aere,
fremea l'estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso
in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un'aureola
piú belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.
Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com'ebro, e mi tocco,
non anch'io fossi dunque un fantasma.
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l'anima!
Io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.
Meglio a chi 'l senso smarrì de l'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.
Giosuè CARDUCCI - "Odi Barbare"
sabato 29 dicembre 2007
LAND'S END IV°
giovedì 27 dicembre 2007
Le Belle Donne 9
la dea atzeca che rappresenta l’amore carnale.
Le antiche scritture riportano che ella non si dispiaceva ad accoppiarsi democraticamente nonché ripetutamente con i diversi dei atzechi procurando loro piacevoli momenti di relax.
Dea della lussuria più sfrenata ella è pure Tlaelquarni, ovvero “la purificatrice”.
E’ una giovinetta che porta una maschera di cacucciù e, al naso, un ornamento in forma di mezzaluna. Responsabile delle infedeltà coniugali essa concede, nel contempo, il perdono agli amanti.
Gli amori extraconiugali si riteneva che diffondessero attorno a coloro che vi si abbandonavano una puzza inconfondibile, una sorta di sortilegio assai peculiare detto in modo impronunciabile ma di indubbia e tramandata efficacia “tlazolmiquitzli” (significato letterale: la morte prodotta dall’amore) ed è per questo che la dea era anche la patrona dei bagni a vapore (si sà una lavata e la seguente asciugatura hanno ancora un’elevata efficacia ormai storicamente provata che resiste e si tramanda di generazioni in generazioni col passare inesorabile degli anni).
A questo titolo le veniva offerto ogni anno un giovane in sacrificio; veniva ucciso e scorticato e la sua pelle ancora calda veniva usata per ricoprire la statua della dea.
Chissà quante dimenticanze in questo piccolo Pantheon delle belle dee.
Ho chiesto alla mia memoria ma non ho trovato altro.
Spero di avere divertito; delle belle donne…quelle vere. Parleremo poi, un’altra volta.
sabato 15 dicembre 2007
Quadri nella mia Vita
Dopo aver scontato i sei mesi di prigione ai quali era stato condannato per la sua partecipazione alla Comune del 1871, Courbet soggiorna per un breve periodo di tempo nella sua regione natale, la Franca Contea, prima di recarsi definitivamente in esilio in Svizzera. Proprio in questo periodo l'artista esegue molte nature morte aventi come soggetto i pesci e ispirate alle gigantesche trote catturate dai pescatori lungo la Loue, il fiume che bagna Ornans. Il quadro del museo d'Orsay è del resto una variante, di identiche dimensioni, di un'altra natura morta dedicata a questo tema conservata presso la Kunsthaus di Zurigo.
Courbet si colloca nella tradizione delle nature morte di pesca dipinte dai maestri olandesi del XVII secolo. La sua Trota, tuttavia, supera le intenzioni dei suoi predecessori per il suo carattere drammatico. Indubbiamente, in quest'immagine di un pesce in trappola, catturato ma ancora vivo, possiamo vedere una rappresentazione del pittore stesso, sempre in balia dei suoi giustizieri. Sopraffatto dalle prove che ha attraversato, Courbet ritorna nelle sue ultime opere alle espressioni romantiche della sua gioventù.
La potente individualità di Courbet esplode nella pennellata impetuosa, nell'impasto ruvido, nella violenza dei contrasti di questo quadro chiaramente ispirato alla pittura olandese. Nel lirismo di quest'opera, si legge tutta la disperazione dell'uomo.
Che dire Gustave Courbet si avvicina molto al mio ideale bohemiene dell'essere uomo contro ma soprattutto vivo. La didascalica rappresentazione della morte in fondo non è altro che esorcizzare la stessa a favore di un fermo immagine, di un tono spento ma vitale.
Chissà se il mio essere vivo si avvicina a ciò che sento.
domenica 9 dicembre 2007
Le Belle Donne 8
dea indiana figlia e sposa di Brama che personifica ed identifica la parola efficace e divina del sacro Veda e l’energia femminile del dio.
E’ una bella e giovane donna bianca che non appena vista da Brama egli se ne invaghisce a tal punto da volerne fare la sua sposa.
Sarasvati felicissima di essere con colui che le ha donato la vita e volendo onorarlo, gli gira intorno danzando e Brama (dio si ma pur sempre vicino a noi poveri umani) pazzo di desiderio, la segue con lo sguardo in tal modo che una delle teste gli cresce a destra, un’altra a sinistra, una davanti e una di dietro ed infine una quinta sopra (Matsyapurana, III, 30-41).
Sarasvati è collegata con l’acqua ed è padrona dei fiumi ed è essa stessa fiume benefico ad irrorare le terre degli indù.
E’ la dea dell’amore coniugale ed assoluto che trascende ma completa la sensualità ed anche la sessualità dell’individuo.
Ma è Rati
il cui significato letteralmente tradotto è “tenerezza” (sposa del dio Kama o Kamadewa) la vera dea della voluttà e della sfrenata sessualità tantrica. Ella fa parte di quell’emisfero femminile che completa l’uomo e lo trascende nella cultura indiana. Suo compito è guidare ed ispirare gli amanti e rendere l’amplesso orgasmico e soddisfacente. Non mi stupirei che sia stata la sua abilità ginnico-sensuale ad ispirare alcune delle peculiarità contorsionistiche così accuratamente descritte ed illustrate nel KAMASUTRA
domenica 2 dicembre 2007
Quadri nella mia Vita
sabato 17 novembre 2007
Quadri nella mia Vita
Le Belle Donne 7
dea fenicia della seduzione e del disordine erotico. Dea dell’amore, la Bibbia la definisce “dea sidonia” perché i re di Sidone sono suoi sacerdoti. E’ una dea lasciva e capita che il suo culto comporti riti orgiastici che durano finchè si ha la forza di resistere.
Si tramanda che abbia sposato Adone (mah?).
Ebbe in Byblos un tempio grandioso nel quale fu devotamente adorata; alcuni giovani venivano consacrati a lei ed al suo culto e, crediamoci sulla parola, si divertivano un sacco.
E’ una divinità così diffusamente adorata nell’antichità che, con vari nomi, si diffuse dappertutto, fino alle lontane città morte della Siria.
A Cartagine fu chiamata Tanit, “grande madre” “signora del tempio”.
Dovunque fu considerata dea dell’amore, della voluttà, della generazione, della primavera.
Fu per solito raffigurata nuda, con una colomba su di una mano portata all’altezza del seno perfetto e con una mezza luna sul capo.
domenica 11 novembre 2007
ALBUQUERQUE
Well, they say tha Santa fe
Is less then ninety miles away,
And I got time
To roll a number and rent a car.
Oh, Albuquerque.
I've been flyin' down the road,
And I've been starvin' to be alone,
And indipendent,
From the scene that I've known.
Oh, Albuquerque.
So I'll stop when I can,
Find some fried eggs and country ham,
I'll find somewhere
Where they don't care who I am.
Oh, Albuquerque.
Neil Young, "Tonight's the night", 1975
Ad un'ignota
Fuori del sogno fatto di rimpianto
Ma più di quella che ci siede accanto
Le Belle Donne 6
E’ la sposa di Odhr un dio che, periodicamente sparisce tanto a lungo che lo si crede morto e Freyia versa per lui lacrime fatte di oro rosso a simboleggiare il sangue e la sofferenza causata dal forzato ed incolmabile distacco.
E’ lei la maestra del “sejdhir”, scienza magica che ha come scopo essenziale quello di conoscere il futuro ed il destino degli uomini, di provocare la fertilità delle stagioni e la fecondità degli esseri tutti, animati e non.
Freyia è la dolce dea dell’amore carnale e della voluttà e la sua personalità possiede un carattere licenzioso e lascivo dove tutto è permesso, ciò si ritrova totalmente espresso nel culto che le è stato rivolto dai suoi fedeli ed goderecci seguaci.
sabato 10 novembre 2007
500 visite
Grazie a tutti i visitatori e a chi ha contribuito, in particolare Gujil.
Il blogmaster
domenica 4 novembre 2007
Think different (2)
Intervista di Steve Jobs
Voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.
La prima storia è su una cosa che io chiamo ‘unire i puntini’ di una vita.
Quand’ero ragazzo, ho abbandonato l’università, il Reed College, dopo il primo semestre. Ho continuato a seguire alcuni corsi informalmente per un altro anno e mezzo, poi me ne sono andato del tutto. Perché l’ho fatto?
E’ iniziato tutto prima che nascessi. La mia mamma biologica era una giovane studentessa universitaria non sposata e quando rimase incinta decise di darmi in adozione. Voleva assolutamente che io fossi adottato da una coppia di laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare sin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però, quando arrivai io, questa coppia - all’ultimo minuto - disse che voleva adottare una femmina. Così, quelli che poi sarebbero diventati i miei genitori adottivi, e che erano al secondo posto nella lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?”. Loro risposero: “Certamente!”. Più tardi la mia mamma biologica scoprì che questa coppia non era laureata: la donna non aveva mai finito il college e l’uomo non si era nemmeno diplomato al liceo. Allora la mia mamma biologica si rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Poi accettò di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college. Questo è stato l’inizio della mia vita.
Così, come stabilito, parecchi anni dopo, nel 1972, andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno troppo costoso, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l’ammissione e i corsi. Dopo sei mesi non riuscivo a trovarci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta una vita.
Così decisi di mollare e di avere fiducia, che tutto sarebbe andato bene lo stesso.
Era molto difficile all’epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso in vita mia.
Nel momento in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a entrare nelle classi che trovavo più interessanti.
Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca-Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e potermi comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio degli Hare Krishna: l’unico della settimana.
Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo.
Vi faccio subito un esempio.
Il Reed College all’epoca offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del Paese. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri con e senza le ‘grazie’, capii la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, compresi che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era bello, ma anche artistico, storico, e io ne fui assolutamente affascinato.
Nessuna di queste cose, però, aveva alcuna speranza di trovare un’applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo per il Mac. è stato il primo computer dotato di capacità tipografiche evolute. Se non avessi lasciato i corsi ufficiali e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente, all’epoca in cui ero al college era impossibile per me ‘unire i puntini’ guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro.
La mia seconda storia è a proposito dell’amore e della perdita.
Io sono stato fortunato: ho scoperto molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Steve Wozniak e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in dieci anni Apple è diventata - da quell’aziendina con due ragazzi in un garage che era all’inizio - una compagnia da 2 miliardi di dollari con oltre 4 mila dipendenti.
Nel 1985 - io avevo appena compiuto 30 anni e da pochi mesi avevamo realizzato la nostra migliore creazione, il Macintosh - sono stato licenziato.
Come si fa a venir licenziati dall’azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta, avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me, e per il primo anno le cose erano andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il consiglio di amministrazione si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era saltato e io ero completamente devastato.
Per alcuni mesi non ho saputo davvero cosa fare. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me; come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley.
Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L’evolvere degli eventi con Apple non aveva cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.
Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti, consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.
Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT e poi un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, ‘Toy Story’, e adesso è lo studio di animazione di maggior successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono tornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. Mia moglie Laurene e io abbiamo una splendida famiglia. Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. è stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente.
Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non bisogna perdere la fede, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Bisogna trovare quel che amiamo. E questo vale sia per il nostro lavoro che per i nostri affetti. Il nostro lavoro riempirà una buona parte della nostra vita, e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è di fare quello che riteniamo essere un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che facciamo. Chi ancora non l’ha trovato, deve continuare a cercare. Non accontentarsi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie d’amore, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, bisogna continuare a cercare sino a che non lo si è trovato. Senza accontentarsi.
La terza storia è a proposito della morte.
Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, un giorno avrai sicuramente ragione”. Mi colpì molto e da allora, negli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato.
Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose - tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire - semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che abbiamo sempre qualcosa da perdere. Siamo già nudi. Non c’è ragione, quindi, per non seguire il nostro cuore.
Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la Tac alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Prima non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile, che sarei morto entro i prossimi tre, al massimo sei mesi. Quindi sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi di poter dire loro in dieci anni. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi addio.
Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell’analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini, per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie - che era là - mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l’intervento chirurgico e adesso, per fortuna, sto bene.
Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche l’unica per qualche decennio. Essendoci passato attraverso, adesso posso parlarvi con un po’ più di cognizione di causa di quando la morte per me era solo un concetto astratto
Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso, in realtà non vogliono morire per andarci. Ma la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. è l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo.
Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario.
Quando ero un ragazzo, c’era un giornale incredibile che si chiamava ‘The Whole Earth Catalog’, praticamente una delle bibbie della mia generazione. è stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci aveva messo dentro tutto il suo tocco poetico. è stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fatto con macchine per scrivere, forbici e foto Polaroid. è stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.
Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di ‘The Whole Earth Catalog’ e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono l’ultimo numero. Era più o meno la metà degli anni Settanta. Nell’ultima pagina di quel numero finale c’era la fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c’erano le parole: ‘Stay Hungry. Stay Foolish’, siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish: io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish.
Think different
20 chili di riso
giovedì 1 novembre 2007
lunedì 22 ottobre 2007
CINESERIE
L'amicizia e l'amore non si chiedono come l'acqua, ma si offrono come il te.
Tutti gli uomini sono simili. Le abitudini li fanno diversi
Colui che nel cuore coltiva troppi desideri, non può compiere azioni generose
E' stolto colui che si ostina ad occupare un posto che sa di non meritare
La luce della saggezza illumina gli uomini, lo sguardo di una donna illumina il mondo
Per guardare lontano non c'è bisogno di scalare la montagna, per trovare l'amore non c'è bisogno di cercare
Non basta un giorno freddo per gelare un fiume profondo
Nulla è più leggero e debole dell'acqua, eppure nulla la eguaglia nel bucare la pietra
Il vaso vale per ciò che può contenere
Chi non fa nulla per vivere è più saggio di chi per vivere si affanna
Quando un popolo non ha paura della morte vuol dire che chi lo governa considera troppo la vita
Prima di costruire una casa, informati sul vicinato
La giustizia degli uomini è simile alla tela del ragno, il calabrone può passare ma il moscerino si impiglia
Non è cosa da poco il dormire, poiché bisogna star svegli un giorno intero per arrivarci
domenica 21 ottobre 2007
Voici la danse des feuilles...
venerdì 19 ottobre 2007
mercoledì 17 ottobre 2007
Il silenzio dei reprobi
La domanda è: "Chi ascolta veramente?".
Raramente chi parla viene ascoltato; sovente l'uditore percepisce nient'altro che l'eco dei propri pensieri.
"Spesso mi sono pentito di avere parlato, mai di avere taciuto" disse un saggio.
Il male di vivere sta nell'accidentalità del viaggio compiuto dalla Parola e dall'estrema incertezza del suo destino?
Ci sono ambienti (segnatamente quelli che dovrebbero educare alla comunicazione) nei quali sopravvivo solo se taccio e, ogni volta che articolo una frase, le mie parole mi ritornano sotto forma di menzogna.
Eugenio Montale scrisse:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Ci dissolviamo: la nostra apparenza si sbiadisce nell'indeterminatezza e nell'intercambiabilità del significato.
L'Essere non appartiene al mondo dei fenomeni, vive in sé.
Ma noi siamo sbarcati in questa dimensione distorta, nella quale il tempo e lo spazio non hanno nulla a che vedere con lo scorerre dei nostri pensieri.
Ogni giorno reinventiamo il limite, vinti dalla vertigine di ciò che non siamo e che non vogliamo.
L'inautenticità ti passa sopra come una nube tossica. Ti piega e ti confonde, finché ci sei dentro.
Passerà poi una folata di vento: un riff di una chitarra elettrica, un assolo di Dexter Gordon, un pensiero felice, il post di un amico.
Respingi il nodo alla gola, le esalazioni che ti hanno intorpidito la mente. Procedi, un po' appesantito, cerchi di recuperare la consapevolezza, lo scetticismo che ti ha sempre salvato.
Desideri andartene a fare la Guardia Forestale in Norvegia ma sai che resterai. Hai scelto tu i legami, non perdere te stesso. Scendi in fondo al tuo Essere, là dove nemmeno la tua mente annebbiata può confondere ciò che SEI.
Infine riemergi nel mondo, provi compassione per queste anime fragili. Sai che non puoi, non devi e non vuoi dipendere da loro. Ma sei sul treno con loro. Come dice Psychoharp, cerchiamo almeno di allietare la permanenza degli altri passeggeri suonando o scrivendo per loro.
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(Warren Zevon)
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lunedì 15 ottobre 2007
Le Belle Donne 5
dea mesopotamica è l’amante appassionata.
Stella del mattino, Ishtar è la guerra.
Stella della sera, Ishtar è amore e voluttà.
Ishtar è eternamente immacolata e pura perché ritrova periodicamente la propria verginità bagnandosi in un lago; è sempre seguita dalle sue due serve musiciste, Ninatta e Kulitta (si garantiva così l’ambiente ideale per gli incontri amorosi con i suoi innumerevoli spasimanti).
Grande amante, Ishtar canta con ardore il suo affetto per Dumuzi ma ama pure Gilgamesh che, ben conoscendo la sua vita sregolata, la respinge con insolenza.
sabato 13 ottobre 2007
A Sud del grande mare
A Sud del grande mare.
Che gli posso mandare
In guisa di saluto?
Due perle e un pettine di tartaruga,
Glieli voglio mandare dentro un astuccio di giada.
Ma mi hanno detto che non è fedele;
Mi han detto che ha scagliato
In terra il mio regalo.
Che l'ha scagliato in terra e l'ha bruciato
E ha disperso la cenere nel vento.
Da oggi in poi fino alla fine dei tempi
Non dovrò più pensare a lui,
Mai più mai più pensare a lui.
I galli cantano,
I cani abbaiano;
Mio fratello e mia moglie tra poco lo sapranno.
Soffia il vento d'autunno,
Sospira il vento dell'alba.
Tra un momento a Levante
Uscirà fuori il sole
E quello pure, allora, lo saprà.
Dinastia dei HAN (206 A. C. - 220 D. C.)
mercoledì 10 ottobre 2007
Le Donne Belle 4
l’immacolata, dea persiana dell’Aurora e della Fecondità assimilata all’indiana Sarasvati (vedi oltre) e alla babilonese Ishtar.
E’ la sola vera dea che ci tramanda la cultura iraniana; il ritratto che ne fa l’Avesta è quello di una giovinetta bellissima con i seni turgidi.
Il suo culto si diffuse anche fuori dall'Iran, difatti la dea aveva molti templi in Armenia, famoso quello di Erez per la statua d'oro.
I greci la identificavano a seconda che consideravano le qualità fecondatrici o quelle guerriere con Afrodite o con Artemide.
E’ la dea che protegge l’amplesso, signora indiscussa dei liquidi purificatori e fecondanti; i fiumi, i laghi, il mare, ma pure lo sperma, le secrezioni vaginali, il latte.
“Anahita è la santa che accresce le energie, che incrementa le greggi, la ricchezza, la salute, che aumenta la terra” (Yasna, V).
lunedì 8 ottobre 2007
LAND'S END III°
domenica 7 ottobre 2007
Inviti superflui
Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telefono quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello!" Niente altro diresti perchè noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come fossero nate allora.
sabato 6 ottobre 2007
La casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
Eugenio Montale
L'infinito
E questa siepe, che da tanta parte
De l'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
Spazio di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e 'l suon di lei. Così tra questa
Infinità s'annega il pensier mio:
E 'l naufragar m'è dolce in questo mare.
Giacomo Leopardi
Testo tratto dal secondo manoscritto autografo
(Visso, Archivio Comunale)
Words between the lines of edge
- Chi ha mai detto che le parole abbiano a che fare con la verità? Che possano ritrarre la realtà e renderne condivisibile un'idea coerente e compiuta? Affermarlo mi pare la più ardita follia.
- Non capisco. In quale altro modo potremmo comunicare? Tu stesso stai parlando con me, e io ti comprendo.
- Chi mai può affermare senza leggerezza di parlare lo stesso linguaggio con qualcuno, addirittura di avere la certezza di percepire lo stesso mondo?
- Ciascuno vive nel proprio universo fatto di sensazioni inconoscibili e incomunicabili. Si dicono cose senza capirne né poterne esprimere il significato. Solo uno stolto può pensare di affermare la verità parlandone o, peggio ancora, affermandola a gran voce.
- Continuo a non capirti. Che cos'ha a che vedere tutto questo con il fatto che ultimamente non trovo le parole, e spesso scelgo il silenzio?
- Chi comincia a rendersi conto di ciò a volte comincia a rifiutare la parola. Sbaglia.
- La schiavitù risiede nella pretesa di fondare sul verbo una vera conoscenza. Nessuna saggezza lo insegna, nessuno veramente partecipe dell'Uno affermerebbe mai di potersi avvicinare all'Essere tramite questa via.
- E allora, non ha senso parlare?
- La parola veicola sogni e apparenze; la vera libertà è nella la perdita delle illusioni, nell'abbandonare la pretesa di custodire e affermare il senso.
- Ma allora, come posso avvicinarmi alla verità?
- Seguendo la saggezza. Scegliendo di non scegliere, astenendosi dal giudizio. Entrando in comunicazione con il frammento dell'Essere che si trova dentro ciascuno di noi.
- E la moltitudine di parole che profferiamo ogni giorno? Dovemmo tacere, forse?
- No, basterebbe restituire alla parola la sua funzione di sempre, che non ha niente a che vedere con la descrizione dei fenomeni, né, tantomeno, con la verità.
- E allora la parola non serve?
- Al contrario, è uno strumento potente. La parola è capace di creare le illusioni nelle quali viviamo, di mutare l'apparenza che ci fa da dimora terrena. Con la parola possiamo persino fuggire verso altre dimensioni pur restando visibili ai nostri simili.
- Ne parli come se esistesse davvero una magia, con formule da pronunciare per suscitare prodigi.
- Esattamente di questo si tratta. L'antica saggezza possedeva la magia del fare, proprio perché il saggio mantiene la consapevolezza di vivere in un mondo d'ombre.
- Ma allora il vero mondo appartiene agli dei?
- No, no, gli dei sarebbero vittime dello stesso inganno. Non c'è alcun cielo iperuranio. L'Essere è dappertutto. Solo, non si lascia imbrigliare in parole comuni. Il vero Verbo esiste, ma si trova oltre il confine della Saggezza.
- Ci potrò mai arrivare?
- Prima dovrai accettare di non scegliere, come ti ho già detto. Abbandonare le idee, scioglierti da ogni convinzione. Continuare la vita di ogni giorno rinunciando a ogni certezza. Solo dopo, forse, potrai cominciare a percepire l'illuminazione.
- Vecchio, tu stai tratteggiando il ritratto di uno stolto. Come potrei rinunciare ai miei studi e alle convinzioni che ne ho tratto, per mutarmi in un perfetto idiota?
- Credi davvero? Sei davvero convinto che lo stolto sappia rinunciare alle proprie misere convinzioni, da ripetere ossessivamente ogni qual volta ne avrà l'occasione? Più le sue convinzioni sono esigue e scontate, maggiore sarà la frequenza e la protervia nel proclamarle.
- Chi abbandona le idee non rinuncia a nient'altro che le proprie catene.
- Vivi gioioso nell'apparenza, allieta i tuoi simili con le avventure degli eroi, con l'orrore dei loro fantasmi, con l'incanto dei sogni più mirabili. Ma non cercare di dispensare loro l'inganno della tua impossibile verità, ne pagheresti la colpa.
- La parola può uccidere come può guarire i mali, devi solo saperla usare, ma devi anche saperla riconoscere per ciò che è veramente. Il Vero ti giungerà per altre vie, quando avrai accettato di non poterne parlare, quando avrai svincolato il tuo dire dalle anguste catene del senso.
- Ora capisco, e provo pena per gli altri. Come possono vivere?
- Procedono nell'inconsapevolezza. Gareggiano come topolini ciechi in diverse e casuali direzioni. Sono schiavi gli uni degli altri, rincorrono la reciproca approvazione senza mai ottenerla, poiché nessuno ha la minima idea di che cosa desidera veramente. E se mai lo ottenesse da un altro, lo rigetterebbe disgustato.
- Dovrei forse spiegare tutto ciò, aiutarli a capire, a liberarsi?
- No, per diversi motivi.
- Primo: ti chiamerebbero pazzo e ti perseguiterebbero, come hanno fatto a me.
- Secondo: ricadresti nell'errore iniziale: come potresti esprimere la verità a parole? Questo stesso nostro discorso sarebbe incomprensibile ai più. Lo considererebbero un'astrattezza filosofica, nel migliore dei casi; una pericolosa eresia, nel peggiore.
- Dammi retta: inventa canzoni e storie, allieterai i tuoi simili e in tal modo - anche se ti potrà sembrare strano - ti avvicinerai maggiormente alla verità che tanto insegui. Deliziali con sogni cangianti, turbali con i loro stessi incubi. Lo crederanno un gioco e te ne saranno grati. Mentre tu acquisirai il potere della parola: accorreranno a te come da un profeta, e tu avrai le loro menti.
- Starà poi a te decidere che cosa farne. Potrai approfittarne per avere potere e successo nella materia, e allora tornerai schiavo. Oppure potrai decidere di rimanere semplicemente il loro menestrello, il loro narratore. A te la scelta.
- Solo se non dimenticherai mai di essere un dispensatore d'illusioni saprai dire e scrivere parole vere, fatte d'aria impalpabile e d'acqua gorgogliante. Gli stolti le ritengono nulla, senza considerare che entrambe sono il fondamento della loro stessa esistenza.
- Vedi com'è banale la verità?
- Aria e acqua, nient'altro.
- Potresti mai affermarla ed essere creduto?
- Aria e acqua, che importa?
mercoledì 3 ottobre 2007
LAND'S END
martedì 2 ottobre 2007
Elenco parziale delle 927 (o 928?) verità eterne
- E’ tutto qui
- Non ci sono significati reconditi
- Non puoi arrivarci da qui e non c’è nessun altro posto dove andare
- Siamo tutti moribondi
- Nulla dura per sempre
- Non c’è alcun modo per ottenere tutto ciò che si vuole.
- Non puoi aver nulla a meno che non lasci la presa
- Puoi conservare solo ciò che dai via
- Non c’è alcuna ragione particolare per cui non hai ricevuto alcune cose
- Il mondo non è necessariamente giusto. L’essere buoni spesso non viene ricompensato e non c’è alcun risarcimento per la sventura
- Nondimeno hai la responsabilità di dare il tuo meglio
- E’ un universo casuale al quale noi apportiamo significato
- In realtà non controlli nulla
- Non puoi costringere nessuno ad amarti
- Nessuno è più forte o più debole di te
- Tutti sono, a modo proprio, vulnerabili
- Non ci sono grandi uomini
- Se hai un eroe, dagli un altro sguardo: in qualche modo hai diminuito te stesso
- Tutti mentono, ingannano, fingono (sì, anche tu, e certamente io)
- Tutto il male costituisce una vitalità potenziale bisognosa di trasformazione
- Ogni tua sfumatura ha un valore, se solo la accetti
- Il progresso è un’illusione
- Il male può essere spostato, mai cancellato
- Tutte le soluzioni generano nuovi problemi
- Tuttavia è necessario continuare a lottare verso una nuova soluzione
- L’infanzia è un incubo
- Ma è così difficile essere un adulto indipendente, autosufficiente, consapevole di dover badare a se stesso poiché non c’è nessun altro a farlo
- Ciascuno di noi è, in definitiva, solo
- L’amore non basta, ma certamente aiuta
- Le cose più importanti, ciascun uomo deve farle da sé
- Abbiamo soltanto noi stessi e la fratellanza che ci unisce gli uni agli altri. Forse non è molto, ma non c’è altro
- Che strano che tanto spesso, tutto sembri valere la pena
- Dobbiamo vivere nell’ambiguità di una libertà parziale, di un potere parziale e di una conoscenza parziale
- Tuttavia siamo gli unici responsabili di tutti i nostri atti
- Nessuna scusa sarà accettata
- Puoi fuggire, ma non puoi nasconderti
- E’ importantissimo trovarsi senza capri espiatori
- Dobbiamo imparare la forza di vivere con la nostra impotenza
- L’unica vittoria importante sta nell’arrendersi a se stessi
- Tutte le battaglie significative vengono combattute all’interno del Sé
- Sei libero di fare qualsiasi cosa, devi solo affrontarne le conseguenze
- Cosa sai…con sicurezza…ad ogni modo?
- Impara a perdonarti più e più volteTratto da: SHELDON B. KOPP, Se incontri il Buddha per la strada uccidilo!
lunedì 1 ottobre 2007
Le Belle Donne 3
E’ rappresentata come una giovane a bellissima donna che porta sulla testa il sole tra due corni di vacca, Hathor è la donna con la D maiuscola e la madre per eccellenza. Ella rappresenta l’ebbrezza ed il brivido che danno il piacere assoluto (specialmente quello erotico e carnale), l’amore coniugale, la fertilità. Sotto il regno di Ra, Hathor abitava la Nubia (guarda caso una delle più belle donne egiziane, Nefertari, proveniva da quella regione del sud). Era una leonessa sanguinaria. Ra sentì il bisogno di avere Hathor presso di sé. Inviò Shu e Thot a cercarla. Questi riuscirono a persuaderla a venire in Egitto, paese della gioia e del vino. Una volta giunta, ella abbandonò la sua ferocia e divenne la grazia e il sorriso.
Hathor è la personificazione delle donne, nume tutelare della bellezza, dell’amore e del matrimonio e dei fronzoli che ci avvengono dentro e fuori.
Hathor?, Nefertari? La sovrapponibilità delle due figure è la dimostrazione di quanto gli Egiziani avevano idealizzato la bellezza femminile. Comparare la regina alla dea poneva la donna sullo stesso piano del potente faraone. Quindi per gli egiziani Nefertari e Nefertiti divennero due dee da adorare ed anche da prendere ad esempio ed imitare.