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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.
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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.
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mercoledì 31 ottobre 2007
lunedì 22 ottobre 2007
CINESERIE
L'amore è la chiave che apre tutte le porte dell'impossibile.
L'amicizia e l'amore non si chiedono come l'acqua, ma si offrono come il te.
Tutti gli uomini sono simili. Le abitudini li fanno diversi
Colui che nel cuore coltiva troppi desideri, non può compiere azioni generose
E' stolto colui che si ostina ad occupare un posto che sa di non meritare
La luce della saggezza illumina gli uomini, lo sguardo di una donna illumina il mondo
Per guardare lontano non c'è bisogno di scalare la montagna, per trovare l'amore non c'è bisogno di cercare
Non basta un giorno freddo per gelare un fiume profondo
Nulla è più leggero e debole dell'acqua, eppure nulla la eguaglia nel bucare la pietra
Il vaso vale per ciò che può contenere
Chi non fa nulla per vivere è più saggio di chi per vivere si affanna
Quando un popolo non ha paura della morte vuol dire che chi lo governa considera troppo la vita
Prima di costruire una casa, informati sul vicinato
La giustizia degli uomini è simile alla tela del ragno, il calabrone può passare ma il moscerino si impiglia
Non è cosa da poco il dormire, poiché bisogna star svegli un giorno intero per arrivarci
L'amicizia e l'amore non si chiedono come l'acqua, ma si offrono come il te.
Tutti gli uomini sono simili. Le abitudini li fanno diversi
Colui che nel cuore coltiva troppi desideri, non può compiere azioni generose
E' stolto colui che si ostina ad occupare un posto che sa di non meritare
La luce della saggezza illumina gli uomini, lo sguardo di una donna illumina il mondo
Per guardare lontano non c'è bisogno di scalare la montagna, per trovare l'amore non c'è bisogno di cercare
Non basta un giorno freddo per gelare un fiume profondo
Nulla è più leggero e debole dell'acqua, eppure nulla la eguaglia nel bucare la pietra
Il vaso vale per ciò che può contenere
Chi non fa nulla per vivere è più saggio di chi per vivere si affanna
Quando un popolo non ha paura della morte vuol dire che chi lo governa considera troppo la vita
Prima di costruire una casa, informati sul vicinato
La giustizia degli uomini è simile alla tela del ragno, il calabrone può passare ma il moscerino si impiglia
Non è cosa da poco il dormire, poiché bisogna star svegli un giorno intero per arrivarci
domenica 21 ottobre 2007
Voici la danse des feuilles...
Voici la danse des feuilles dans les allées,
Elle emporte l'espoir fleuri des nouveax
Et des ruthmes de mort descendent les vallées.
Qui penchent tristement l'orgueil de leurs corolles;
L'hiver attelle ses mystérieux chevaux.
Impassibles et froids ainsi que des idoles,
Le poirtrail hérissé de neige et de glaçons,
Ils passeront avec de blanches auréoles.
Ils entrainent, loin de la joie et des chansons,
Vers le palais oùpleurent les anciennes gloires
Parmi le souvenir des défuntes moissons.
Ils entrainent, vers les grottes mornes et noires,
Où s'alanguissent les roses et les lilas,
Fleurs maigres dont l'ennui décolore les moires.
Monotone, le vent sonne toujours le glas
Des matins lumineux et des nuits ètoilèes,
Et fai tournoyer, sans jamains en etre las,
La danse des feullers mortes dans les allées.
André-Ferdinand Herold, Chevaleries sentimentales, 1893
venerdì 19 ottobre 2007
mercoledì 17 ottobre 2007
Il silenzio dei reprobi
Il silenzio come unica verità possibile?
La domanda è: "Chi ascolta veramente?".
Raramente chi parla viene ascoltato; sovente l'uditore percepisce nient'altro che l'eco dei propri pensieri.
"Spesso mi sono pentito di avere parlato, mai di avere taciuto" disse un saggio.
Il male di vivere sta nell'accidentalità del viaggio compiuto dalla Parola e dall'estrema incertezza del suo destino?
Ci sono ambienti (segnatamente quelli che dovrebbero educare alla comunicazione) nei quali sopravvivo solo se taccio e, ogni volta che articolo una frase, le mie parole mi ritornano sotto forma di menzogna.
Eugenio Montale scrisse:
La domanda è: "Chi ascolta veramente?".
Raramente chi parla viene ascoltato; sovente l'uditore percepisce nient'altro che l'eco dei propri pensieri.
"Spesso mi sono pentito di avere parlato, mai di avere taciuto" disse un saggio.
Il male di vivere sta nell'accidentalità del viaggio compiuto dalla Parola e dall'estrema incertezza del suo destino?
Ci sono ambienti (segnatamente quelli che dovrebbero educare alla comunicazione) nei quali sopravvivo solo se taccio e, ogni volta che articolo una frase, le mie parole mi ritornano sotto forma di menzogna.
Eugenio Montale scrisse:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Significa che abbiamo un maggiore controllo dell'inautenticità e che ad essa siamo destinati?
Ci dissolviamo: la nostra apparenza si sbiadisce nell'indeterminatezza e nell'intercambiabilità del significato.
L'Essere non appartiene al mondo dei fenomeni, vive in sé.
Ma noi siamo sbarcati in questa dimensione distorta, nella quale il tempo e lo spazio non hanno nulla a che vedere con lo scorerre dei nostri pensieri.
Ci dissolviamo: la nostra apparenza si sbiadisce nell'indeterminatezza e nell'intercambiabilità del significato.
L'Essere non appartiene al mondo dei fenomeni, vive in sé.
Ma noi siamo sbarcati in questa dimensione distorta, nella quale il tempo e lo spazio non hanno nulla a che vedere con lo scorerre dei nostri pensieri.
Il treno corre verso il precipizio, ma il dolore vero non è l'inevitabile fine, bensì la tristezza che aleggia sui viaggiatori, ignari di sé, tesi verso un infinito che si alimenta di torpide particelle di finitezza.
Ogni giorno reinventiamo il limite, vinti dalla vertigine di ciò che non siamo e che non vogliamo.
L'inautenticità ti passa sopra come una nube tossica. Ti piega e ti confonde, finché ci sei dentro.
Passerà poi una folata di vento: un riff di una chitarra elettrica, un assolo di Dexter Gordon, un pensiero felice, il post di un amico.
Respingi il nodo alla gola, le esalazioni che ti hanno intorpidito la mente. Procedi, un po' appesantito, cerchi di recuperare la consapevolezza, lo scetticismo che ti ha sempre salvato.
Desideri andartene a fare la Guardia Forestale in Norvegia ma sai che resterai. Hai scelto tu i legami, non perdere te stesso. Scendi in fondo al tuo Essere, là dove nemmeno la tua mente annebbiata può confondere ciò che SEI.
Infine riemergi nel mondo, provi compassione per queste anime fragili. Sai che non puoi, non devi e non vuoi dipendere da loro. Ma sei sul treno con loro. Come dice Psychoharp, cerchiamo almeno di allietare la permanenza degli altri passeggeri suonando o scrivendo per loro.
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Ogni giorno reinventiamo il limite, vinti dalla vertigine di ciò che non siamo e che non vogliamo.
L'inautenticità ti passa sopra come una nube tossica. Ti piega e ti confonde, finché ci sei dentro.
Passerà poi una folata di vento: un riff di una chitarra elettrica, un assolo di Dexter Gordon, un pensiero felice, il post di un amico.
Respingi il nodo alla gola, le esalazioni che ti hanno intorpidito la mente. Procedi, un po' appesantito, cerchi di recuperare la consapevolezza, lo scetticismo che ti ha sempre salvato.
Desideri andartene a fare la Guardia Forestale in Norvegia ma sai che resterai. Hai scelto tu i legami, non perdere te stesso. Scendi in fondo al tuo Essere, là dove nemmeno la tua mente annebbiata può confondere ciò che SEI.
Infine riemergi nel mondo, provi compassione per queste anime fragili. Sai che non puoi, non devi e non vuoi dipendere da loro. Ma sei sul treno con loro. Come dice Psychoharp, cerchiamo almeno di allietare la permanenza degli altri passeggeri suonando o scrivendo per loro.
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Keep me in your heart for a while
(Warren Zevon)
(Warren Zevon)
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lunedì 15 ottobre 2007
Le Belle Donne 5
Ishtar, (Inhanna)
dea mesopotamica è l’amante appassionata.
Stella del mattino, Ishtar è la guerra.
Stella della sera, Ishtar è amore e voluttà.
Ishtar è eternamente immacolata e pura perché ritrova periodicamente la propria verginità bagnandosi in un lago; è sempre seguita dalle sue due serve musiciste, Ninatta e Kulitta (si garantiva così l’ambiente ideale per gli incontri amorosi con i suoi innumerevoli spasimanti).
Grande amante, Ishtar canta con ardore il suo affetto per Dumuzi ma ama pure Gilgamesh che, ben conoscendo la sua vita sregolata, la respinge con insolenza.
dea mesopotamica è l’amante appassionata.
Stella del mattino, Ishtar è la guerra.
Stella della sera, Ishtar è amore e voluttà.
Ishtar è eternamente immacolata e pura perché ritrova periodicamente la propria verginità bagnandosi in un lago; è sempre seguita dalle sue due serve musiciste, Ninatta e Kulitta (si garantiva così l’ambiente ideale per gli incontri amorosi con i suoi innumerevoli spasimanti).
Grande amante, Ishtar canta con ardore il suo affetto per Dumuzi ma ama pure Gilgamesh che, ben conoscendo la sua vita sregolata, la respinge con insolenza.
sabato 13 ottobre 2007
A Sud del grande mare
L'amore mio dimora
A Sud del grande mare.
Che gli posso mandare
In guisa di saluto?
Due perle e un pettine di tartaruga,
Glieli voglio mandare dentro un astuccio di giada.
Ma mi hanno detto che non è fedele;
Mi han detto che ha scagliato
In terra il mio regalo.
Che l'ha scagliato in terra e l'ha bruciato
E ha disperso la cenere nel vento.
Da oggi in poi fino alla fine dei tempi
Non dovrò più pensare a lui,
Mai più mai più pensare a lui.
I galli cantano,
I cani abbaiano;
Mio fratello e mia moglie tra poco lo sapranno.
Soffia il vento d'autunno,
Sospira il vento dell'alba.
Tra un momento a Levante
Uscirà fuori il sole
E quello pure, allora, lo saprà.
A Sud del grande mare.
Che gli posso mandare
In guisa di saluto?
Due perle e un pettine di tartaruga,
Glieli voglio mandare dentro un astuccio di giada.
Ma mi hanno detto che non è fedele;
Mi han detto che ha scagliato
In terra il mio regalo.
Che l'ha scagliato in terra e l'ha bruciato
E ha disperso la cenere nel vento.
Da oggi in poi fino alla fine dei tempi
Non dovrò più pensare a lui,
Mai più mai più pensare a lui.
I galli cantano,
I cani abbaiano;
Mio fratello e mia moglie tra poco lo sapranno.
Soffia il vento d'autunno,
Sospira il vento dell'alba.
Tra un momento a Levante
Uscirà fuori il sole
E quello pure, allora, lo saprà.
Anonimo (I secolo d. C.)
Dinastia dei HAN (206 A. C. - 220 D. C.)
Dinastia dei HAN (206 A. C. - 220 D. C.)
mercoledì 10 ottobre 2007
Le Donne Belle 4
Anahita,
l’immacolata, dea persiana dell’Aurora e della Fecondità assimilata all’indiana Sarasvati (vedi oltre) e alla babilonese Ishtar.
E’ la sola vera dea che ci tramanda la cultura iraniana; il ritratto che ne fa l’Avesta è quello di una giovinetta bellissima con i seni turgidi.
l’immacolata, dea persiana dell’Aurora e della Fecondità assimilata all’indiana Sarasvati (vedi oltre) e alla babilonese Ishtar.
E’ la sola vera dea che ci tramanda la cultura iraniana; il ritratto che ne fa l’Avesta è quello di una giovinetta bellissima con i seni turgidi.
“Ella porta la cintura alta per dare al suo petto una maggiore pienezza e più fascino”.
E’ tutta adorna, coronata di stelle, porta pellicce di ermellino/lontra, broccati e gioielli calzando sandali d’oro.
Il suo culto si diffuse anche fuori dall'Iran, difatti la dea aveva molti templi in Armenia, famoso quello di Erez per la statua d'oro.
I greci la identificavano a seconda che consideravano le qualità fecondatrici o quelle guerriere con Afrodite o con Artemide.
E’ la dea che protegge l’amplesso, signora indiscussa dei liquidi purificatori e fecondanti; i fiumi, i laghi, il mare, ma pure lo sperma, le secrezioni vaginali, il latte.
“Anahita è la santa che accresce le energie, che incrementa le greggi, la ricchezza, la salute, che aumenta la terra” (Yasna, V).
Il suo culto si diffuse anche fuori dall'Iran, difatti la dea aveva molti templi in Armenia, famoso quello di Erez per la statua d'oro.
I greci la identificavano a seconda che consideravano le qualità fecondatrici o quelle guerriere con Afrodite o con Artemide.
E’ la dea che protegge l’amplesso, signora indiscussa dei liquidi purificatori e fecondanti; i fiumi, i laghi, il mare, ma pure lo sperma, le secrezioni vaginali, il latte.
“Anahita è la santa che accresce le energie, che incrementa le greggi, la ricchezza, la salute, che aumenta la terra” (Yasna, V).
lunedì 8 ottobre 2007
LAND'S END III°
domenica 7 ottobre 2007
Inviti superflui
di DINO BUZZATI
Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti assieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo per le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spianavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, nè battesti mai alla porta del castello deserto, nè camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, nè ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremmo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade nascono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremmo semplicemente per mano e andremmo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo sempre tenendoci per mano, poichè le anime si parlano senza parola. Ma tu - adesso mi ricordo - non mi dicesti cose insensate, stupide e care. Nè puoi quindi amare quelle domeniche che io dico, nè l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, nè riconosci all'ora giusta l'incantesimo della città, nè le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrare fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient'altro.
Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telefono quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello!" Niente altro diresti perchè noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come fossero nate allora.
Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telefono quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello!" Niente altro diresti perchè noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come fossero nate allora.
Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti "Che bello!", ma altre povere cose che a me non importano. Perchè purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colma di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando sopra di sè una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristalloe gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, nè dei presentimenti che passano, nè ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Nè udresti quella specie di musica, nè capiresti perchè la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade sugli ultimi raggi. Ed io sarei solo. E' inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, nè guarderò le nubi, nè darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso che ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centtnaia di chilometri difficili da valicare, tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco perchè ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
sabato 6 ottobre 2007
La casa dei doganieri
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
Eugenio Montale
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
Eugenio Montale
L'infinito
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
De l'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
Spazio di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e 'l suon di lei. Così tra questa
Infinità s'annega il pensier mio:
E 'l naufragar m'è dolce in questo mare.
Giacomo Leopardi
Testo tratto dal secondo manoscritto autografo
(Visso, Archivio Comunale)
E questa siepe, che da tanta parte
De l'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
Spazio di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e 'l suon di lei. Così tra questa
Infinità s'annega il pensier mio:
E 'l naufragar m'è dolce in questo mare.
Giacomo Leopardi
Testo tratto dal secondo manoscritto autografo
(Visso, Archivio Comunale)
Words between the lines of edge
- Dimmi, vecchio: perché sempre piu spesso le parole mi sfuggono?
- Chi ha mai detto che le parole abbiano a che fare con la verità? Che possano ritrarre la realtà e renderne condivisibile un'idea coerente e compiuta? Affermarlo mi pare la più ardita follia.
- Non capisco. In quale altro modo potremmo comunicare? Tu stesso stai parlando con me, e io ti comprendo.
- Chi mai può affermare senza leggerezza di parlare lo stesso linguaggio con qualcuno, addirittura di avere la certezza di percepire lo stesso mondo?
- Ciascuno vive nel proprio universo fatto di sensazioni inconoscibili e incomunicabili. Si dicono cose senza capirne né poterne esprimere il significato. Solo uno stolto può pensare di affermare la verità parlandone o, peggio ancora, affermandola a gran voce.
- Continuo a non capirti. Che cos'ha a che vedere tutto questo con il fatto che ultimamente non trovo le parole, e spesso scelgo il silenzio?
- Chi comincia a rendersi conto di ciò a volte comincia a rifiutare la parola. Sbaglia.
- La schiavitù risiede nella pretesa di fondare sul verbo una vera conoscenza. Nessuna saggezza lo insegna, nessuno veramente partecipe dell'Uno affermerebbe mai di potersi avvicinare all'Essere tramite questa via.
- E allora, non ha senso parlare?
- La parola veicola sogni e apparenze; la vera libertà è nella la perdita delle illusioni, nell'abbandonare la pretesa di custodire e affermare il senso.
- Ma allora, come posso avvicinarmi alla verità?
- Seguendo la saggezza. Scegliendo di non scegliere, astenendosi dal giudizio. Entrando in comunicazione con il frammento dell'Essere che si trova dentro ciascuno di noi.
- E la moltitudine di parole che profferiamo ogni giorno? Dovemmo tacere, forse?
- No, basterebbe restituire alla parola la sua funzione di sempre, che non ha niente a che vedere con la descrizione dei fenomeni, né, tantomeno, con la verità.
- E allora la parola non serve?
- Al contrario, è uno strumento potente. La parola è capace di creare le illusioni nelle quali viviamo, di mutare l'apparenza che ci fa da dimora terrena. Con la parola possiamo persino fuggire verso altre dimensioni pur restando visibili ai nostri simili.
- Ne parli come se esistesse davvero una magia, con formule da pronunciare per suscitare prodigi.
- Esattamente di questo si tratta. L'antica saggezza possedeva la magia del fare, proprio perché il saggio mantiene la consapevolezza di vivere in un mondo d'ombre.
- Ma allora il vero mondo appartiene agli dei?
- No, no, gli dei sarebbero vittime dello stesso inganno. Non c'è alcun cielo iperuranio. L'Essere è dappertutto. Solo, non si lascia imbrigliare in parole comuni. Il vero Verbo esiste, ma si trova oltre il confine della Saggezza.
- Ci potrò mai arrivare?
- Prima dovrai accettare di non scegliere, come ti ho già detto. Abbandonare le idee, scioglierti da ogni convinzione. Continuare la vita di ogni giorno rinunciando a ogni certezza. Solo dopo, forse, potrai cominciare a percepire l'illuminazione.
- Vecchio, tu stai tratteggiando il ritratto di uno stolto. Come potrei rinunciare ai miei studi e alle convinzioni che ne ho tratto, per mutarmi in un perfetto idiota?
- Credi davvero? Sei davvero convinto che lo stolto sappia rinunciare alle proprie misere convinzioni, da ripetere ossessivamente ogni qual volta ne avrà l'occasione? Più le sue convinzioni sono esigue e scontate, maggiore sarà la frequenza e la protervia nel proclamarle.
- Chi abbandona le idee non rinuncia a nient'altro che le proprie catene.
- Vivi gioioso nell'apparenza, allieta i tuoi simili con le avventure degli eroi, con l'orrore dei loro fantasmi, con l'incanto dei sogni più mirabili. Ma non cercare di dispensare loro l'inganno della tua impossibile verità, ne pagheresti la colpa.
- La parola può uccidere come può guarire i mali, devi solo saperla usare, ma devi anche saperla riconoscere per ciò che è veramente. Il Vero ti giungerà per altre vie, quando avrai accettato di non poterne parlare, quando avrai svincolato il tuo dire dalle anguste catene del senso.
- Ora capisco, e provo pena per gli altri. Come possono vivere?
- Procedono nell'inconsapevolezza. Gareggiano come topolini ciechi in diverse e casuali direzioni. Sono schiavi gli uni degli altri, rincorrono la reciproca approvazione senza mai ottenerla, poiché nessuno ha la minima idea di che cosa desidera veramente. E se mai lo ottenesse da un altro, lo rigetterebbe disgustato.
- Dovrei forse spiegare tutto ciò, aiutarli a capire, a liberarsi?
- No, per diversi motivi.
- Primo: ti chiamerebbero pazzo e ti perseguiterebbero, come hanno fatto a me.
- Secondo: ricadresti nell'errore iniziale: come potresti esprimere la verità a parole? Questo stesso nostro discorso sarebbe incomprensibile ai più. Lo considererebbero un'astrattezza filosofica, nel migliore dei casi; una pericolosa eresia, nel peggiore.
- Dammi retta: inventa canzoni e storie, allieterai i tuoi simili e in tal modo - anche se ti potrà sembrare strano - ti avvicinerai maggiormente alla verità che tanto insegui. Deliziali con sogni cangianti, turbali con i loro stessi incubi. Lo crederanno un gioco e te ne saranno grati. Mentre tu acquisirai il potere della parola: accorreranno a te come da un profeta, e tu avrai le loro menti.
- Starà poi a te decidere che cosa farne. Potrai approfittarne per avere potere e successo nella materia, e allora tornerai schiavo. Oppure potrai decidere di rimanere semplicemente il loro menestrello, il loro narratore. A te la scelta.
- Solo se non dimenticherai mai di essere un dispensatore d'illusioni saprai dire e scrivere parole vere, fatte d'aria impalpabile e d'acqua gorgogliante. Gli stolti le ritengono nulla, senza considerare che entrambe sono il fondamento della loro stessa esistenza.
- Vedi com'è banale la verità?
- Aria e acqua, nient'altro.
- Potresti mai affermarla ed essere creduto?
- Aria e acqua, che importa?
- Chi ha mai detto che le parole abbiano a che fare con la verità? Che possano ritrarre la realtà e renderne condivisibile un'idea coerente e compiuta? Affermarlo mi pare la più ardita follia.
- Non capisco. In quale altro modo potremmo comunicare? Tu stesso stai parlando con me, e io ti comprendo.
- Chi mai può affermare senza leggerezza di parlare lo stesso linguaggio con qualcuno, addirittura di avere la certezza di percepire lo stesso mondo?
- Ciascuno vive nel proprio universo fatto di sensazioni inconoscibili e incomunicabili. Si dicono cose senza capirne né poterne esprimere il significato. Solo uno stolto può pensare di affermare la verità parlandone o, peggio ancora, affermandola a gran voce.
- Continuo a non capirti. Che cos'ha a che vedere tutto questo con il fatto che ultimamente non trovo le parole, e spesso scelgo il silenzio?
- Chi comincia a rendersi conto di ciò a volte comincia a rifiutare la parola. Sbaglia.
- La schiavitù risiede nella pretesa di fondare sul verbo una vera conoscenza. Nessuna saggezza lo insegna, nessuno veramente partecipe dell'Uno affermerebbe mai di potersi avvicinare all'Essere tramite questa via.
- E allora, non ha senso parlare?
- La parola veicola sogni e apparenze; la vera libertà è nella la perdita delle illusioni, nell'abbandonare la pretesa di custodire e affermare il senso.
- Ma allora, come posso avvicinarmi alla verità?
- Seguendo la saggezza. Scegliendo di non scegliere, astenendosi dal giudizio. Entrando in comunicazione con il frammento dell'Essere che si trova dentro ciascuno di noi.
- E la moltitudine di parole che profferiamo ogni giorno? Dovemmo tacere, forse?
- No, basterebbe restituire alla parola la sua funzione di sempre, che non ha niente a che vedere con la descrizione dei fenomeni, né, tantomeno, con la verità.
- E allora la parola non serve?
- Al contrario, è uno strumento potente. La parola è capace di creare le illusioni nelle quali viviamo, di mutare l'apparenza che ci fa da dimora terrena. Con la parola possiamo persino fuggire verso altre dimensioni pur restando visibili ai nostri simili.
- Ne parli come se esistesse davvero una magia, con formule da pronunciare per suscitare prodigi.
- Esattamente di questo si tratta. L'antica saggezza possedeva la magia del fare, proprio perché il saggio mantiene la consapevolezza di vivere in un mondo d'ombre.
- Ma allora il vero mondo appartiene agli dei?
- No, no, gli dei sarebbero vittime dello stesso inganno. Non c'è alcun cielo iperuranio. L'Essere è dappertutto. Solo, non si lascia imbrigliare in parole comuni. Il vero Verbo esiste, ma si trova oltre il confine della Saggezza.
- Ci potrò mai arrivare?
- Prima dovrai accettare di non scegliere, come ti ho già detto. Abbandonare le idee, scioglierti da ogni convinzione. Continuare la vita di ogni giorno rinunciando a ogni certezza. Solo dopo, forse, potrai cominciare a percepire l'illuminazione.
- Vecchio, tu stai tratteggiando il ritratto di uno stolto. Come potrei rinunciare ai miei studi e alle convinzioni che ne ho tratto, per mutarmi in un perfetto idiota?
- Credi davvero? Sei davvero convinto che lo stolto sappia rinunciare alle proprie misere convinzioni, da ripetere ossessivamente ogni qual volta ne avrà l'occasione? Più le sue convinzioni sono esigue e scontate, maggiore sarà la frequenza e la protervia nel proclamarle.
- Chi abbandona le idee non rinuncia a nient'altro che le proprie catene.
- Vivi gioioso nell'apparenza, allieta i tuoi simili con le avventure degli eroi, con l'orrore dei loro fantasmi, con l'incanto dei sogni più mirabili. Ma non cercare di dispensare loro l'inganno della tua impossibile verità, ne pagheresti la colpa.
- La parola può uccidere come può guarire i mali, devi solo saperla usare, ma devi anche saperla riconoscere per ciò che è veramente. Il Vero ti giungerà per altre vie, quando avrai accettato di non poterne parlare, quando avrai svincolato il tuo dire dalle anguste catene del senso.
- Ora capisco, e provo pena per gli altri. Come possono vivere?
- Procedono nell'inconsapevolezza. Gareggiano come topolini ciechi in diverse e casuali direzioni. Sono schiavi gli uni degli altri, rincorrono la reciproca approvazione senza mai ottenerla, poiché nessuno ha la minima idea di che cosa desidera veramente. E se mai lo ottenesse da un altro, lo rigetterebbe disgustato.
- Dovrei forse spiegare tutto ciò, aiutarli a capire, a liberarsi?
- No, per diversi motivi.
- Primo: ti chiamerebbero pazzo e ti perseguiterebbero, come hanno fatto a me.
- Secondo: ricadresti nell'errore iniziale: come potresti esprimere la verità a parole? Questo stesso nostro discorso sarebbe incomprensibile ai più. Lo considererebbero un'astrattezza filosofica, nel migliore dei casi; una pericolosa eresia, nel peggiore.
- Dammi retta: inventa canzoni e storie, allieterai i tuoi simili e in tal modo - anche se ti potrà sembrare strano - ti avvicinerai maggiormente alla verità che tanto insegui. Deliziali con sogni cangianti, turbali con i loro stessi incubi. Lo crederanno un gioco e te ne saranno grati. Mentre tu acquisirai il potere della parola: accorreranno a te come da un profeta, e tu avrai le loro menti.
- Starà poi a te decidere che cosa farne. Potrai approfittarne per avere potere e successo nella materia, e allora tornerai schiavo. Oppure potrai decidere di rimanere semplicemente il loro menestrello, il loro narratore. A te la scelta.
- Solo se non dimenticherai mai di essere un dispensatore d'illusioni saprai dire e scrivere parole vere, fatte d'aria impalpabile e d'acqua gorgogliante. Gli stolti le ritengono nulla, senza considerare che entrambe sono il fondamento della loro stessa esistenza.
- Vedi com'è banale la verità?
- Aria e acqua, nient'altro.
- Potresti mai affermarla ed essere creduto?
- Aria e acqua, che importa?
mercoledì 3 ottobre 2007
LAND'S END
martedì 2 ottobre 2007
Elenco parziale delle 927 (o 928?) verità eterne
- E’ tutto qui
- Non ci sono significati reconditi
- Non puoi arrivarci da qui e non c’è nessun altro posto dove andare
- Siamo tutti moribondi
- Nulla dura per sempre
- Non c’è alcun modo per ottenere tutto ciò che si vuole.
- Non puoi aver nulla a meno che non lasci la presa
- Puoi conservare solo ciò che dai via
- Non c’è alcuna ragione particolare per cui non hai ricevuto alcune cose
- Il mondo non è necessariamente giusto. L’essere buoni spesso non viene ricompensato e non c’è alcun risarcimento per la sventura
- Nondimeno hai la responsabilità di dare il tuo meglio
- E’ un universo casuale al quale noi apportiamo significato
- In realtà non controlli nulla
- Non puoi costringere nessuno ad amarti
- Nessuno è più forte o più debole di te
- Tutti sono, a modo proprio, vulnerabili
- Non ci sono grandi uomini
- Se hai un eroe, dagli un altro sguardo: in qualche modo hai diminuito te stesso
- Tutti mentono, ingannano, fingono (sì, anche tu, e certamente io)
- Tutto il male costituisce una vitalità potenziale bisognosa di trasformazione
- Ogni tua sfumatura ha un valore, se solo la accetti
- Il progresso è un’illusione
- Il male può essere spostato, mai cancellato
- Tutte le soluzioni generano nuovi problemi
- Tuttavia è necessario continuare a lottare verso una nuova soluzione
- L’infanzia è un incubo
- Ma è così difficile essere un adulto indipendente, autosufficiente, consapevole di dover badare a se stesso poiché non c’è nessun altro a farlo
- Ciascuno di noi è, in definitiva, solo
- L’amore non basta, ma certamente aiuta
- Le cose più importanti, ciascun uomo deve farle da sé
- Abbiamo soltanto noi stessi e la fratellanza che ci unisce gli uni agli altri. Forse non è molto, ma non c’è altro
- Che strano che tanto spesso, tutto sembri valere la pena
- Dobbiamo vivere nell’ambiguità di una libertà parziale, di un potere parziale e di una conoscenza parziale
- Tuttavia siamo gli unici responsabili di tutti i nostri atti
- Nessuna scusa sarà accettata
- Puoi fuggire, ma non puoi nasconderti
- E’ importantissimo trovarsi senza capri espiatori
- Dobbiamo imparare la forza di vivere con la nostra impotenza
- L’unica vittoria importante sta nell’arrendersi a se stessi
- Tutte le battaglie significative vengono combattute all’interno del Sé
- Sei libero di fare qualsiasi cosa, devi solo affrontarne le conseguenze
- Cosa sai…con sicurezza…ad ogni modo?
- Impara a perdonarti più e più volteTratto da: SHELDON B. KOPP, Se incontri il Buddha per la strada uccidilo!
lunedì 1 ottobre 2007
Le Belle Donne 3
Hathor (Athor),
Signora di Dendera, Leonessa selvaggia fuori d’Egitto, è diventata regina della pace e dell’amore nel paese che l’ha adottata ed adorata.
E’ rappresentata come una giovane a bellissima donna che porta sulla testa il sole tra due corni di vacca, Hathor è la donna con la D maiuscola e la madre per eccellenza. Ella rappresenta l’ebbrezza ed il brivido che danno il piacere assoluto (specialmente quello erotico e carnale), l’amore coniugale, la fertilità. Sotto il regno di Ra, Hathor abitava la Nubia (guarda caso una delle più belle donne egiziane, Nefertari, proveniva da quella regione del sud). Era una leonessa sanguinaria. Ra sentì il bisogno di avere Hathor presso di sé. Inviò Shu e Thot a cercarla. Questi riuscirono a persuaderla a venire in Egitto, paese della gioia e del vino. Una volta giunta, ella abbandonò la sua ferocia e divenne la grazia e il sorriso.
E’ rappresentata come una giovane a bellissima donna che porta sulla testa il sole tra due corni di vacca, Hathor è la donna con la D maiuscola e la madre per eccellenza. Ella rappresenta l’ebbrezza ed il brivido che danno il piacere assoluto (specialmente quello erotico e carnale), l’amore coniugale, la fertilità. Sotto il regno di Ra, Hathor abitava la Nubia (guarda caso una delle più belle donne egiziane, Nefertari, proveniva da quella regione del sud). Era una leonessa sanguinaria. Ra sentì il bisogno di avere Hathor presso di sé. Inviò Shu e Thot a cercarla. Questi riuscirono a persuaderla a venire in Egitto, paese della gioia e del vino. Una volta giunta, ella abbandonò la sua ferocia e divenne la grazia e il sorriso.
E’ la sposa di Horus (dio dalla testa di falco e figlio di Osiride ed Iside), al quale rende visita una volta l’anno nel corso delle festa del Buon Incontro (immaginate da soli i dettagli scabrosi).
Il resto dell’anno abita a Dendera e si occupa degli altri.
Hathor è la personificazione delle donne, nume tutelare della bellezza, dell’amore e del matrimonio e dei fronzoli che ci avvengono dentro e fuori.
Hathor è la personificazione delle donne, nume tutelare della bellezza, dell’amore e del matrimonio e dei fronzoli che ci avvengono dentro e fuori.
Che gli Egiziani (come tutte le popolazioni dell’intero pianeta del resto) ci tenessero alla bellezza femminile ce lo dicono i reperti storici e ce lo tramandano scribi ed artisti quando operano e descrivono mirabilie di Nefertari (moglie Nubiana di Ramsete II) e Nefertiti (sposa di Akenathon) e della meno conosciuta regina Tiy.
Hathor?, Nefertari? La sovrapponibilità delle due figure è la dimostrazione di quanto gli Egiziani avevano idealizzato la bellezza femminile. Comparare la regina alla dea poneva la donna sullo stesso piano del potente faraone. Quindi per gli egiziani Nefertari e Nefertiti divennero due dee da adorare ed anche da prendere ad esempio ed imitare.
Hathor?, Nefertari? La sovrapponibilità delle due figure è la dimostrazione di quanto gli Egiziani avevano idealizzato la bellezza femminile. Comparare la regina alla dea poneva la donna sullo stesso piano del potente faraone. Quindi per gli egiziani Nefertari e Nefertiti divennero due dee da adorare ed anche da prendere ad esempio ed imitare.
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