Endimione
(gr. ᾿Ενδυμίων)
Eroe della mitologia greca; nelle versioni più importanti del suo mito appare amato da Selene (la Luna). Secondo Pausania e Apollodoro era re di Elide; ebbe da Selene 50 figlie; da Zeus ricevette la possibilità di sostituire la morte con un sonno eterno. Il motivo del sonno ricorre nella versione asiatica: qui è Selene stessa che immerge in un sonno eterno l’eroe in una grotta del monte Latmo in Caria.
Secondo altre tradizioni il dio Ipno avrebbe dato la possibilità a E., del quale si era innamorato, di dormire a occhi aperti.
La straordinaria bellezza dell’eroe fu soggetto frequente dell’arte antica, che lo presenta come pastore o cacciatore (TRECCANI).
Nicolas-Guy Brenet "Sonno di Endimione" (1756) |
Endimione
Lì se ne va, il raccoglitore di versi, il perdigiorno
dell’universo. Non rivela perché lo guidi
il suo senso intimo per lo sfavillio.
È positivo, assoluto nei riguardi della luna,
questa butterata alleata dell’universo.
Quel che si dice di lei, lo lascia indifferente.
È ritornato, ora scopre sulla terra
i crateri e i deserti. Nel suo eremitaggio tiene
la porta aperta, vive in incognito, rivolto a tutto.
Durs Grünbein
da "Librazioni lunari e liriche"
traduzione di Gio Batta Bucciol
traduzione di Gio Batta Bucciol
Nella mitologia greca, Selene è la personificazione della Luna.
E’ la sorella di Helios (il Sole) e Eos ( l’Aurora).
I tre fratelli ricevono in dono, dalla nascita, un compito prezioso ma anche gravoso: quello di non potersi incontrare mai, e doversi sempre rincorrere nella volta celeste, per dare ad ogni ora luce all’umanità.
I tre fratelli ricevono in dono, dalla nascita, un compito prezioso ma anche gravoso: quello di non potersi incontrare mai, e doversi sempre rincorrere nella volta celeste, per dare ad ogni ora luce all’umanità.
Così ogni giorno, Selene attraversa il cielo con il suo carro trainato
da due cavalli d’argento, per poi lasciare il posto ai colori caldi
rassicuranti delle ali di Eos (l’Aurora), la quale lascia poi il passo
all’indomabile carro infuocato di Elios.
Sospese lassù per l’eternità, a queste divinità astrali capita di osservare spesso e volentieri le varie esistenze degli esseri umani.
Sospese lassù per l’eternità, a queste divinità astrali capita di osservare spesso e volentieri le varie esistenze degli esseri umani.
Così una notte, mentre brillava bianca e algida sulla valle di Olimpia, Selene vede un bellissimo giovane, di nome Endimione:
un pastore che al calar del sole fa riparare le sue greggi in una
grotta del monte Latmo. Affascinata dalla sua bellezza, Selene si
innamora perdutamente di lui e con la sua luce entra nella grotta. Anche
Endimione è subito catturato dallo splendore della Dea d’argento
vestita. Ma Endimione è un semplice umano, mentre Selene è una Dea,
quindi immortale, inoltre ha un compito da portare a termine: deve
continuare il suo viaggio, ha solo poche ore per portare il carro a
destinazione, verso Ponente, dove si tuffa ad ogni alba nelle acque
fredde di Oceano, le quali ogni giorno rinnovano lo splendore della sua
pelle morbida e candida.
Selene però è affranta, vuole rivedere il bellissimo mortale, lo vuole
rivedere per sempre. Non sopporta l’idea di vivere l’eternità senza di
lui e chiede pietà a Zeus. Questi accoglie il suo desiderio e stabilisce
che Endimione dormirà per sempre, Selene lo andrà a trovare ogni sera
nella stessa grotta, dove lo sfiorerà, l’osserverà, lo bacerà.
Endimione, per contro, diverrà l’oggetto eterno di un amore divino, un
amore immobile, inerte, ma sempre giovane e bello. Dormirà con gli occhi
aperti, in modo che il mondo possa ammirare in eterno la meraviglia del
suo volto.
E così Selene continua ogni notte a visitare Endimione, così come ogni notte la Luna solca il cielo stellato.
Endimione ancora dorme in quella grotta del monte Latmo, dove gli dei lo hanno deposto. Ancora sogna quell’amore lucente che lo stregò in una sola, singola notte, e ancora fissa con lo sguardo immobile lo splendore argenteo della Luna che si staglia nel profondo cielo blu (dalla rete).
Endimione ancora dorme in quella grotta del monte Latmo, dove gli dei lo hanno deposto. Ancora sogna quell’amore lucente che lo stregò in una sola, singola notte, e ancora fissa con lo sguardo immobile lo splendore argenteo della Luna che si staglia nel profondo cielo blu (dalla rete).
quante cose non si sanno, conoscono,
eppure ci atteggiamo tutti a vati,
siamo imperiosi nelle nostre pochezze;
io, per me, altero e stupito mi spiego...
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