fósco agg. [lat. fŭscus] (pl. m. -chi). – Tendente allo scuro, a un tono grigio cupo: un quadro a tinte f.; Non fronda verde, ma di color fosco (Dante); offuscato, privo di chiarezza e di trasparenza: luce f., velata, che non lascia distinguere chiaramente le cose; aria, atmosfera f., caliginosa; È fosco l’aere, Il cielo è muto (Fusinato). Con usi fig.: rappresentare (cosa o persona) a tinte f., mettere in cattiva luce; occhio, sguardo f., velato, non limpido, e più spesso cupo, torvo; e così pensieri f.; aspetto f., d’una persona, che non lascia presagire nulla di buono, che rivela animo cattivo; avvenire f., incerto, minaccioso.
◆ Avv. foscaménte, in modo fosco, cioè scuro, cupo, non chiaro, soprattutto in senso fig.: guardare, rappresentare foscamente.
fosco /'fosko/ agg. [lat. fuscus] (pl. m. -chi). - 1. (non com.) [che ha poca luce] ≈ buio, cupo, offuscato, oscuro, plumbeo, scuro, (lett.) stigio. ↔ chiaro, luminoso. 2. [di atmosfera, privo di limpidità] ≈ brumoso, nebbioso. ‖ nuvolo, nuvoloso. ↔ limpido, nitido, terso, trasparente. 3. (fig.) a. [che mostra cattiva disposizione d'animo: sguardo f.; pensieri f.] ≈ cupo, sinistro, torbido, torvo. ↔ benevolo, bonario, ridente. b. [che lascia presagire sventure] ≈ cupo, nero. ↔ propizio, roseo....(TRECCANI)
La storia della Fosca
La storia della Fosca
...Spesso quando la tempesta si scatenava, illuminando con tetro bagliore la selva, i valligiani vedevano scendere lentamente dal castello di Savignone una processione di spettri che si spargevano per le valli deserte e all'alba svaniva nel nulla.
Re, duchi, cardinali e baroni, vestiti magnificamente, accompagnati da una atmosfera lugubre e misteriosa, avvolti nella nebbia della notte, sembravano rievocare antichi riti. E la fantasia creava così personaggi ed avventure: passaggi segreti, tesori, grandi amori e raduni di streghe...
C'era una volta, tanto tempo fa, un sovrano, nel Ducato di Milano, che si innamorò perdutamente di una bellissima fanciulla, figlia di un conte del feudo di Savignone, e la volle in sposa. La felicità dei protagonisti si manifestò nell'organizzazione di uno splendido banchetto nuziale, che durò per oltre un anno ed al quale parteciparono tutti i migliori cavalieri dei due regni.
Un brutto giorno, però, la Fosca, così era timidamente chiamata la giovane principessa, perse il profumo delle virtù che la rendevano angelica, tra i corrotti costumi della corte milanese, e divenne malvagia e cattiva, tanto che il popolo del suo nuovo regno si vergognava dei suoi mondani comportamenti.
La giovane fanciulla decise fermamente di abbandonare il vetusto regno lombardo ed iniziò a viaggiare di corte in corte, da Mantova a Venezia, lasciando in tutti i posti una triste immagine di sé.
La fama, come si sà, è simile al vento e si accresce di luogo in luogo, di bocca in bocca, e quando giunse agli orecchi del principe era ormai offuscata a tal punto da indurlo alla tremenda vendetta. Solo uccidendo la Fosca ed il suo reale amante, egli avrebbe lavato la macchia recata al suo nome ed al suo casato.
La bellissima sovrana, consapevole del suo tragico destino, decise di trovare rifugio nella solitudine delle montagne del suo antico regno, Savignone, rifugiandosi all'interno dell'inespugnabile castello paterno.
Alcuni giorni dopo il suo segreto arrivo, un pellegrino dalla lunga barba cadente sul petto, coperto da un saio lacero, salì al castello e chiese, per misericordia, che gli fosse concessa ospitalità presso la Cappella di San Rocco, ai piedi del dirupo. Grazie alla diplomazia della giovane principessa, gli venne offerto ricovero ed ospitalità.
Ogni giorno la fanciulla si recava dal viandante a fargli visita, intrattenendosi per lunghe e frequenti orazioni.
In poco tempo la fama di quest'uomo, paragonata a quella di un santo, arrivò anche nei paesi vicini. Ben presto la Fosca dovette interrompere le sue visite, poiché intorno al castello giravano tipi sospetti, forse sicari di quel lontano marito bramoso di vendetta.
Il pellegrino, turbato e preoccupato dalla continua assenza della fanciulla alle loro ormai famose riunioni, decise di avere sue notizie.
In una notte tetra, dall'interno della piccola cappella si scorgeva un filo di luce, che rompeva la monotonia dell'oscurità circostante, mentre due occhi pensierosi e languidi cercavano invano dalle gotiche arcate del castello di lanciare un messaggio al cielo, che dominava il profondo burrone. Se un raggio di luna avesse illuminato le cavità della voragine, si sarebbe visto un baldo giovane, abile come uno scoiattolo, arrampicarsi lungo la parete rocciosa, afferrarsi agli sterpi, riuscire faticosamente a raggiungere la base del verone, che poco prima era stato malamente chiuso. Dall'alto di una torre, una fune gli veniva segretamente calata ed in un baleno il giovane scalatore sparire all'interno di una finestra.
Il giovane era il fedele amante della fosca, che per necessità aveva dovuto cambiare il luogo dei loro segreti incontri.
Al mattino la fanciulla sempre si affrettava a mandare le provviste al suo giovane amico, sinché un brutto giorno i servitori non lo trovarono da nessuno parte. Tutto il paese fu messo a ferro e fuoco, ma di lui nessuna traccia.
Poco tempo dopo venne ritrovato un giovane imberbe sfracellato in fondo al burrone del castello, avvolto da un enorme serpente. Gli scherani del principe milanese avevano compiuto tristemente il loro compito. L'infelice era passato in un attimo dagli amplessi al sepolcro.
Da quel giorno la rocca prese il nome di Salto dell'Uomo.
La Fosca si riconciliò con il principe suo marito e si vendicò avvelenandolo.
La leggenda continua dicendo che in certi periodi dell'anno si notano dall'alto della rocca due fiammelle che si agitano nel vento, volteggiando, unendosi ed infine dividendosi, una verso la strada per il castello e l'altra per il dirupo.
Come tutti sanno le leggende possono contenere anche un fondamento di verità.
Isabella Fieschi, figlia di Carlo Fieschi, conte del feudo di Savignone, e nipote di papa Adriano V, sposò Luchino Visconti, signore del ducato di Milano. La storia tramanda che la fanciulla fosse realmente bellissima e le cronache che narrano che si lasciò andare a numerose avventure amorose con i migliori cavalieri dell'epoca, tra cui il Doge di Venezia, Francesco Dandolo, e Ugolino Gonzaga, signore di Mantova.
La fantasia popolare identifica nelle due fiammelle le anime di due amanti, Isabella Fieschi ed un baldo giovane, mentre nella serpe Luchino Visconti, il cui stemma di famiglia era un enorme biscione a due teste.
(Alta Valle Scrivia, dalla rete)
Re, duchi, cardinali e baroni, vestiti magnificamente, accompagnati da una atmosfera lugubre e misteriosa, avvolti nella nebbia della notte, sembravano rievocare antichi riti. E la fantasia creava così personaggi ed avventure: passaggi segreti, tesori, grandi amori e raduni di streghe...
C'era una volta, tanto tempo fa, un sovrano, nel Ducato di Milano, che si innamorò perdutamente di una bellissima fanciulla, figlia di un conte del feudo di Savignone, e la volle in sposa. La felicità dei protagonisti si manifestò nell'organizzazione di uno splendido banchetto nuziale, che durò per oltre un anno ed al quale parteciparono tutti i migliori cavalieri dei due regni.
Un brutto giorno, però, la Fosca, così era timidamente chiamata la giovane principessa, perse il profumo delle virtù che la rendevano angelica, tra i corrotti costumi della corte milanese, e divenne malvagia e cattiva, tanto che il popolo del suo nuovo regno si vergognava dei suoi mondani comportamenti.
La giovane fanciulla decise fermamente di abbandonare il vetusto regno lombardo ed iniziò a viaggiare di corte in corte, da Mantova a Venezia, lasciando in tutti i posti una triste immagine di sé.
La fama, come si sà, è simile al vento e si accresce di luogo in luogo, di bocca in bocca, e quando giunse agli orecchi del principe era ormai offuscata a tal punto da indurlo alla tremenda vendetta. Solo uccidendo la Fosca ed il suo reale amante, egli avrebbe lavato la macchia recata al suo nome ed al suo casato.
La bellissima sovrana, consapevole del suo tragico destino, decise di trovare rifugio nella solitudine delle montagne del suo antico regno, Savignone, rifugiandosi all'interno dell'inespugnabile castello paterno.
Alcuni giorni dopo il suo segreto arrivo, un pellegrino dalla lunga barba cadente sul petto, coperto da un saio lacero, salì al castello e chiese, per misericordia, che gli fosse concessa ospitalità presso la Cappella di San Rocco, ai piedi del dirupo. Grazie alla diplomazia della giovane principessa, gli venne offerto ricovero ed ospitalità.
Ogni giorno la fanciulla si recava dal viandante a fargli visita, intrattenendosi per lunghe e frequenti orazioni.
In poco tempo la fama di quest'uomo, paragonata a quella di un santo, arrivò anche nei paesi vicini. Ben presto la Fosca dovette interrompere le sue visite, poiché intorno al castello giravano tipi sospetti, forse sicari di quel lontano marito bramoso di vendetta.
Il pellegrino, turbato e preoccupato dalla continua assenza della fanciulla alle loro ormai famose riunioni, decise di avere sue notizie.
In una notte tetra, dall'interno della piccola cappella si scorgeva un filo di luce, che rompeva la monotonia dell'oscurità circostante, mentre due occhi pensierosi e languidi cercavano invano dalle gotiche arcate del castello di lanciare un messaggio al cielo, che dominava il profondo burrone. Se un raggio di luna avesse illuminato le cavità della voragine, si sarebbe visto un baldo giovane, abile come uno scoiattolo, arrampicarsi lungo la parete rocciosa, afferrarsi agli sterpi, riuscire faticosamente a raggiungere la base del verone, che poco prima era stato malamente chiuso. Dall'alto di una torre, una fune gli veniva segretamente calata ed in un baleno il giovane scalatore sparire all'interno di una finestra.
Il giovane era il fedele amante della fosca, che per necessità aveva dovuto cambiare il luogo dei loro segreti incontri.
Al mattino la fanciulla sempre si affrettava a mandare le provviste al suo giovane amico, sinché un brutto giorno i servitori non lo trovarono da nessuno parte. Tutto il paese fu messo a ferro e fuoco, ma di lui nessuna traccia.
Poco tempo dopo venne ritrovato un giovane imberbe sfracellato in fondo al burrone del castello, avvolto da un enorme serpente. Gli scherani del principe milanese avevano compiuto tristemente il loro compito. L'infelice era passato in un attimo dagli amplessi al sepolcro.
Da quel giorno la rocca prese il nome di Salto dell'Uomo.
La Fosca si riconciliò con il principe suo marito e si vendicò avvelenandolo.
La leggenda continua dicendo che in certi periodi dell'anno si notano dall'alto della rocca due fiammelle che si agitano nel vento, volteggiando, unendosi ed infine dividendosi, una verso la strada per il castello e l'altra per il dirupo.
Come tutti sanno le leggende possono contenere anche un fondamento di verità.
Isabella Fieschi, figlia di Carlo Fieschi, conte del feudo di Savignone, e nipote di papa Adriano V, sposò Luchino Visconti, signore del ducato di Milano. La storia tramanda che la fanciulla fosse realmente bellissima e le cronache che narrano che si lasciò andare a numerose avventure amorose con i migliori cavalieri dell'epoca, tra cui il Doge di Venezia, Francesco Dandolo, e Ugolino Gonzaga, signore di Mantova.
Nessun commento:
Posta un commento