Quando nel 1857 escono a Parigi I Fiori del male, presso il libraio editore Poulet-Malassis al numero 4 di rue de Buci, Charles Baudelaire ha 36 anni e conosce tutto della vita. Dopo aver abbandonato gli studi universitari, non riesce a terminare nemmeno un viaggio in India. Diventato maggiorenne dilapida l' eredità paterna, si prende come amante la mulatta Jeanne Duval e nel 1844 la famiglia lo fa interdire. Tenta il suicidio, collabora a riviste, a giornali, a quel che capita; nel 1848 si getta nelle sommosse, fa vita disordinata e dispendiosa (in una lettera alla madre confessa di provare «dolori nervosi insopportabili» per eccesso di acquavite); poi si trova un' altra amante, l' attrice Marie Daubrun, senza però lasciare la mulatta. E prima di quel 1857 ha già tradotto Poe, cercando nelle taverne mozzi e marinai inglesi per sciogliere i termini del gergo marinaresco. La poesia per lui, in quegli anni densi di eccessi e di allucinazioni, diventa la dimensione vera, sacra. Per questo motivo, allorché alla fine del 1856 decide di dare alle stampe i suoi versi, rifiuta «la sciatteria» di un' edizione commerciale presso Lévy e sceglie appunto Poulet-Malassis, convinto che stamperà un lavoro «elegante». Il 30 dicembre firma il contratto. La tiratura prevista è di mille copie. Sarebbe un errore credere che Baudelaire avesse scritto in breve tempo Les Fleurs du mal, riferimento indiscutibile della poesia moderna e contemporanea: in queste pagine egli raccoglie sensazioni e testi che andava elaborando dal 1840. La pubblicazione, comunque, non avviene tranquillamente: prima dell' uscita chiede e ottiene tre giri di bozze, dove gli interventi sono a volte maniacali. Persino la pagina del cosiddetto «falso titolo» si deve cambiare: nella prima prova scrive un «pas jolie» sottolineato: evidentemente non gli vanno bene gli spazi, il carattere e chissà che altro perché in essa ci sono soltanto le quattro parole che presentano il libro. Solo nella seconda prova concede il suo imprimatur, l' approvazione per stampare: «Bon a tirer. C. Baudelaire». Né si creda che per il frontespizio sia andato tutto liscio. L' editore dopo il titolo «Les Fleurs du Mal» vi ha aggiunto «Poésies». Apriti cielo. Baudelaire fa togliere la precisazione e si scaglia con due frasi contro di essa ricordando che «è chiaro che i Fiori del male sono poesie...». La dedica a Théophile Gautier si presenta in due versioni manoscritte, quindi in una stampata, corretta e poi cancellata, infine in altre due stampate, entrambe tormentate da interventi. Queste osservazioni non nascono da una nostra mania tipografico-editoriale ma sono state possibili grazie alla pubblicazione, avvenuta in questi giorni, dell' edizione diplomatica. È costata decenni di lavoro ed è curata da Claude Pichois e Jacques Dupont: si intitola L' Atelier de Baudelaire: «Les Fleurs du Mal», con tutti i fac-simili delle edizioni e i documenti. Ha visto la luce a Parigi in 4 volumi da Honoré Champion (pagine 3626, euro 625; ma sino al 31 dicembre il prezzo di lancio è di euro 475). Aprirla è come sedersi accanto a Baudelaire e osservarlo mentre scrive, condividerne i dubbi, le cancellazioni, i ripensamenti; a volte è possibile seguire la sua penna quando corre o quando si arresta, se si accanisce su un punto, se preferisce chiosare un verso. Questo patrimonio, o laboratorio o officina che dir si voglia, sino ad oggi non si conosceva. Le edizioni critiche presentano il testo del 1861 (la seconda edizione, considerata di riferimento e utilizzata anche per le traduzioni italiane), in nota al quale si danno le varianti. Ma è risultato freddo e non permette di osservare l' evoluzione di un cambiamento, come una frase si è caricata di rabbia o di dolcezza, la materia viva del poetare insomma. Per fare un esempio, basterà notare che quando dà della «puttana» alla compagna mulatta: «Tu mettrais l' univers entier dans ta ruelle/ Femme impure!...» (dove «ruelle» più che il letterario secentesco «alcova» indica l' organo genitale femminile, e oggi con disinvoltura taluni lo tradurrebbero «figa»; ovvero la «viuzza» dove la donna metterebbe «l' universo intero») nel foglio del 1857 corretto per l' edizione non si nota alcun segno, se non una grossa cancellatura al verso 9 per togliere una «s» da «féconde». Quando invece, pur senza scordarsi di lei, si rivolge a se stesso la penna interviene. È il caso della poesia «Que diras-tu ce soir, pauvre âme solitaire»: il verso 11 «Son fantôme dans l' air danse comme un flambeau» (Giovanni Raboni nei Meridiani Mondadori del 1996 traduce: «Il suo fantasma danza, torcia, nell' aria») nella bozza del 1857 presentava un più greve «danza e marcia» («danse et marche»). E poi sotto una lunga precisazione per una virgola e le virgolette. Tutti i dubbi si vedono pagina dopo pagina. Così la poesia che inizia «Ricordo ancora, appena fuori porta,/ la nostra casa bianca...» al verso 7 recava in originale «semblaient du fond du ciel en témoine curieux» è trasformato sulla bozza da Baudelaire in «Semblait, grand oeil ouvert dans le ciel curieux» (Raboni traduce: «immenso occhio spalancato nel cielo»). Non sicuro, trascrive sotto lo spazio bianco la correzione, ne aggiunge un' altra, le riquadra. Le nostre note si limitano a questi cenni, anche perché le oltre tremila e seicento pagine brulicano di varianti, di correzioni, a volte di disegni. I due studiosi, Pichois e Dupont, hanno riportato i manoscritti, le bozze, le riviste o i giornali su cui sono state pubblicate la prima volta le poesie e le edizioni del 1857 e del 1861. L' importanza dell' iniziativa non è soltanto filologica: si sa che Baudelaire, dopo l' uscita dell' opera, fu condannato dal tribunale di Parigi a 300 franchi di ammenda per «l' immoralità» delle Fleurs du mal e la giustizia colpì l' editore che dovette sborsarne 100, ma soprattutto ordinò la soppressione di sei poesie (I gioielli, Il Lete, A colei che è troppo gaia, Lesbo, Donne dannate, Le metamorfosi del vampiro). L' edizione del 1861 non incluse queste composizioni ma ne aggiunse altre (in essa vi compaiono per la prima volta i Quadri di Parigi e Il viaggio). Anche in tal caso, volendo fare un esempio con Lesbos si può notare che al verso 4 «des jours otieux» è corretto in «des jours glorieux», ovvero i giorni da oziosi diventano gloriosi; mentre al verso 31 «dieux» lo rende maiuscolo, per rispetto agli antichi dei. Né va dimenticato che nel 1868, un anno dopo la morte del poeta, Gautier e Asselinau prepararono una terza edizione, in cui venivano inserite altre liriche, tratte in parte dalla raccolta Épaves, ovvero Relitti, che Baudelaire aveva pubblicato in Belgio nel 1866. In tal caso l' edizione diplomatica di cui stiamo parlando, si limita a riprodurre questi ultimi testi ma non il libro postumo. Offre però i fac-simili di tutti i progetti lasciati sulle Fleurs, i cosiddetti preoriginali (dal 1850), i dossier di ogni poesia (anche dell' edizione post mortem), tante altre cose. Che aggiungere? Iniziative come questa sono a dir poco preziose, soprattutto in un' epoca in cui i poeti non frequentano più gli abissi della vita né i filosofi conoscono le allucinazioni veggenti di Nietzsche. Basterebbe soffermarsi su L' albatros per commuoversi: la stesura originale era di tre quartine e Baudelaire a penna vi aggiunse la quarta, senza una correzione. È quella in cui descrive «il fiacco e sinistro viaggiatore alato», ovvero se stesso. Non poteva essere capito, ma ancora oggi sa comunicare a carne e spirito le emozioni per volare oltre la mediocrità che ogni giorno ci stringe con sempre più forza. Le liriche uscirono nel 1857 facendo scandalo e furono sequestrate per «oltraggio morale» «I Fiori del male» di Charles Baudelaire (Parigi, 1821-1867) fecero scandalo fin dal loro primo apparire. Messa in vendita il 25 giugno 1857, la prima edizione della raccolta fu sequestrata pochi giorni dopo per «oltraggio alla morale». Autore ed editore furono processati il 20 agosto. Pubblico ministero era Ernest Picard, lo stesso che un mese prima aveva sostenuto l' accusa contro «Madame Bovary» di Flaubert. Condannati, dovettero sopprimere sei poesie. Baudelaire, negli appunti per il suo difensore, scrisse «il libro deve essere giudicato nel suo insieme: solo così si può coglierne la terribile moralità».
Armando Torno venerdì, 9 dicembre, 2005
Baudelaire
Il poeta. lui solo, ha unificato il mondo
che in ognuno di noi in frantumi è scisso.
Del bello è testimone inaudito,
ma esaltando anche ciò che lo tormenta
dà alla rovina purezza infinita:
e persino la furia che annienta si fa mondo.
che in ognuno di noi in frantumi è scisso.
Del bello è testimone inaudito,
ma esaltando anche ciò che lo tormenta
dà alla rovina purezza infinita:
e persino la furia che annienta si fa mondo.
Rainer Maria Rilke
chi di più?
lo spleen le cose andate,
fiori nascosti, duri
e qualche raggio di luce...
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