Diario invernale
Ecco: i barbuti cacciatori di martore,
coi loro lunghi ferri acuminati,
entran nel tiepido fienile
incitando a frugare nel foraggio
i famelici cani sguinzagliati.
E viene avanti, lentamente,
lo storpio con le sue quattro gambe gracili,
dalla triste figura
di trampoliere malato,
che mai non mi domanda niente
ma, appena mi vede sulla porta,
si ferma e mi saluta militarmente.
Per la campagna squallida,
tutta essata di bianche strade,
passa la famiglia dello zingaro
con la sua casetta ambulante,
piccola arca di Noè terrena.
Oh, lei felice!
Più di quella del milionario,
gode cento stagioni in un sol anno.
Niente fischi d' uccelli,
o romanelle di lavoratrici.
Solo s' odon pei campi,
che, così arati, han l'aria
d' un mare in secca sparso di naufragi,
r esclamazioni strane dei boari
che guidan file spettrali di buoi,
e il dolce scricchiolìo del pettirosso
lungo le siepi, dove resta ancora
qualche tono di verde, di giallo, di rosso;
foglie tenaci, bacche di rose canine ;
vagan canti di galli,
come in un' alba che non ha mai fine.
Non si vedon più fiori nei giardini.
Si trovan solo dentro i cimiteri :
crisantemi di brina,
ghirlande di galaverna ;
si vedono apparir fugacemente
i loro candidi fantasmi sopra i vetri,
quando si schiudon le finestre ;
io devo sempre disegnar col dito
diavoli birichini,
mammoni con le corna e con la coda,
per contentare i miei bambini !
Malinconici cimiteri !
Esposizioni di corone funebri
per tutte le persone che han voglia di piangere;
tavole pitagoriche di pietre,
pei fanciulli curiosi
che fanno le addizioni con le croci.
Sembrano, in questi giorni,
tutti pieni di baionette nere
con corone di foglie morte appese,
come dei cimiteri di soldati :
dei poveri soldati di tutta la terra,
marciti all' intemperie ed insepolti
nei campi dell' infame guerra,
da qualche commosso angelo raccolti
e qui portati dove l'odio tace,
dove possono alfin dormire in pace.
L' inverno, come è deprimente !
Quanti pensieri di malinconia suscita !
Val la pena di vivere la vita
in mezzo a tanto freddo, tanto grigio,.
tanto squallore ?
Come uno stillicidio d' agonia
colano l' ore.
Dalle nuvole basse e plumbee
filtra una luce pallida e gelata :
forse il sole sta diventando
una gran luna livida malata ?
Il vento non mulina più le foglie :
sono tutte cadute e putrefatte.
Gli alberi sorgono dalla pianura
spogli ed irrigiditi, come in un incanto,
e la nebbia s' addensa sempre più :
par che la terra sia tutta corrotta
come un immenso letamaio che fuma.
La sera, dopo il breve fluttuare
delle campane dei paesi sparsi
che mi fan piccolino piccolino,
lontano nell' infanzia candida, in cammino
verso le meraviglie del Natale,
s' alzano all' orizzonte sinistri bagliori
come umidi incendi che si spengono.
E tutta la campagna, con le case e con le strade,
è sommersa è scomparsa :
dovunque si rivolge il passo,
si ha r impressione d' essere alla riva
d' un oceano opaco e muto.
Negli alti, vecchi e spaventosi alberi
che circondan la grande casa nera,
come se stesse per gettarla in un abisso,
tutta la notte romba la bufera.
Dio, come ogni cosa cambia luogo, si trasforma, muta!
Diventa foglia verde, roseo fiore, dolce frutto
più in là, la piccola gemma puntuta :
il verme che strisciava sul terreno,
tutto zampe e pelosi anelli,
ecco che frulla e danza nell' azzurro
come un ventaglio di colori gai ;
il vapore, che sfuma su dai campi,
diventa bella nube vagabonda
che sfiora i monti, accarezza il sereno :
la nube, a un tratto, tuona, manda lampi,
si scioglie in fresca pioggia
in cui trema l'arcobaleno.
Persino le cornacchie lugubri invernali
diventan cinguettanti rondini primaverili.
Io non muto mai, non cambio mai:
nell'odio e nell'amore
resto sempre il monotono me stesso.
E sono sempre qui, immobile e triste,
come un vecchio albero amputato
che abbrividisce, freme e s' agita,
con tutte le sue foglie ed i suoi rami,
dalla voglia d'andarsene lontano, via, col vento.
Ma perchè mi lamento?
Perchè non sono mai contento?
O mio povero cuore,
lascia pur che si spenga e cada
nell'ombra e nel silenzio
questa tua ansia ardente
questo strazio inumano,
se così vuole il tuo destino.
Tutto nel mondo è piccolo, tutto è vano.
L'immenso, e forse felice, astro
ch'io guardo quasi incredulo e stupito,
non è da più, così distante,
d'un misterioso pallido cerino:
anche il mare, versato nell'infinito,
non sarebbe che un poco di rugiada
che scintilla sul prato, brevemente,
alla luce illusoria del mattino.
Corrado Govoni
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