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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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giovedì 11 febbraio 2016

Le Ceneri

L'origine del Mercoledì delle ceneri è da ricercare nell'antica prassi penitenziale. Originariamente il sacramento della penitenza non era celebrato secondo le modalità attuali.
Il liturgista Pelagio Visentin sottolinea che l'evoluzione della disciplina penitenziale è triplice: "da una celebrazione pubblica ad una celebrazione privata; da una riconciliazione con la Chiesa, concessa una sola volta, ad una celebrazione frequente del sacramento, intesa come aiuto-rimedio nella vita del penitente; da una espiazione, previa all'assoluzione, prolungata e rigorosa, ad una soddisfazione, successiva all'assoluzione".
La celebrazione delle ceneri nasce a motivo della celebrazione pubblica della penitenza, costituiva infatti il rito che dava inizio al cammino di penitenza dei fedeli che sarebbero stati assolti dai loro peccati la mattina del giovedì santo.
Nel tempo il gesto dell'imposizione delle ceneri si estende a tutti i fedeli e la riforma liturgica ha ritenuto opportuno conservare l'importanza di questo segno.
La teologia biblica rivela un duplice significato dell'uso delle ceneri.
1 - Anzitutto sono segno della debole e fragile condizione dell'uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere..." (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: "Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere" (Gb 30,19).
In tanti altri passi biblici può essere riscontrata questa dimensione precaria dell'uomo simboleggiata dalla cenere (Sap 2,3; Sir 10,9; Sir 17,27).
2 - Ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore.
Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona: "I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere" (Gio 3,5-9). Anche Giuditta invita invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: "Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore" (Gdt 4,11).
La semplice ma coinvolgente liturgia del mercoledì delle ceneri conserva questo duplice significato che è esplicitato nelle formule di imposizione: "Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai" e "Convertitevi, e credete al Vangelo".
Adrien Nocent sottolinea che l'antica formula (Ricordati che sei polvere...) è strettamente legata al gesto di versare le ceneri, mentre la nuova formula (Convertitevi...) esprime meglio l'aspetto positivo della quaresima che con questa celebrazione ha il suo inizio.
Lo stesso liturgista propone una soluzione rituale molto significativa: "Se la cosa non risultasse troppo lunga, si potrebbe unire insieme l'antica e la nuova formula che, congiuntamente, esprimerebbero certo al meglio il significato della celebrazione: "Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai; dunque convertiti e credi al Vangelo".
Il rito dell'imposizione delle ceneri, pur celebrato dopo l'omelia, sostituisce l'atto penitenziale della messa; inoltre può essere compiuto anche senza la messa attraverso questo schema celebrativo: canto di ingresso, colletta, letture proprie, omelia, imposizione delle ceneri, preghiera dei fedeli, benedizione solenne del tempo di quaresima, congedo.
Le ceneri possono essere imposte in tutte le celebrazioni eucaristiche del mercoledì ma sarà opportuno indicare una celebrazione comunitaria "privilegiata" nella quale sia posta ancor più in evidenza la dimensione ecclesiale del cammino di conversione che si sta iniziando.
Enrico Beraudo, dalla rete
 
 
mestizia e credo, non credenza,
le Ceneri e la polvere,
qualcosa di mistico, in fondo,
lo abbiamo un po' tutti
 
Gujil
 

  
Mercoledì delle Ceneri
 
Perch’i’ non spero più di ritornare
 Perch’i’ non spero
 Perch’i’ non spero più di ritornare
 Desiderando di questo il talento e dell’altro lo scopo
 Non posso più sforzarmi di raggiungere
 Simili cose (perché l’aquila antica
 Dovrebbe spalancare le sue ali?)
 Perché dovreí rimpiangere
 La svanita potenza del regno consueto?
Poi
 che non spero più di conoscere
 La gloria incerta dell’ora positiva
 Poi che non penso più
 Poi che ormai so di non poter conoscere
 L’unica vera potenza transitoria
 Poi che non posso bere
 Là dove gli alberi fioriscono e le sorgenti sgorgano, perché non c’è più nulla
Poi che ora so che il tempo è sempre il tempo
 E che lo spazio è sempre ed è soltanto spazio
 E che ciò che è reale lo è solo per un tempo
 E per un solo spazio
 Godo che quelle cose siano come sono
 E rinuncio a quel viso benedetto
 E rinuncio alla voce
 Poi che non posso sperare di tornare ancora
 Di conseguenza godo, dovendo costruire qualche cosa
 Di cui allietarmi
E prego Dio che abbia pietà di noi
 E prego di poter dimenticare
 Queste cose che troppo
 Discuto con me stesso e troppo spiego
 Poi che non spero più di ritornare
 Queste parole possano rispondere
 Di ciò che è fatto e non si farà più
 Verso di noi il giudizio non sia troppo severo
E poi che queste ali più non sono ali
 Atte a volare ma soltanto piume
 Che battono nell’aria
 L’aria che ora è limitata e secca
 Più limitata e secca della volontà
 Insegnaci a aver cura e a non curare
 Insegnaci a starcene quieti.
Prega per noi peccatori ora e nell’ora della nostra morte
 Prega per noi ora e nell’ora della nostra morte.
II
 Signora, tre leopardi bianchi giacevano sotto un ginepro
 Nella frescura del giorno, nutriti a sazietà
 Delle, mie braccia e del mio cuore e del mio fegato e di quanto
 Era stato contenuto nel cavo rotondo del mio cranio. E Dio disse
 Vivranno queste ossa? vivranno
 Queste ossa? E tutto quanto era stato contenuto
 Nelle ossa (che già erano aride) disse stridendo
 Per la bontà di questa Signora
 E, per la sua grazia, e perché
 Ella onora la Vergine in meditazione
 , Noi risplendiamo con tanta lucentezza. E io che sono
 Qui dismembrato offro all’oblìo le mie gesta, e il mio amore
 Alla posterità del deserto e al frutto della zucca.
 E’ questo che ristora
 Le mie viscere le fibre dei miei occhi e le porzioni indigeste
 Che i leopardi rifiutano. La Signora si è ritirata
 In una bianca veste, alla contemplazione, in una bianca veste.
 Che la bianchezza dell’ossa espii fino all’oblìo.
 In esse non c’è vita. E come io sono dimenticato e vorrei essere
 Dimenticato, così vorrei dimenticare
 Consacrato in tal modo, ben saldo nel proposito. E Dio disse
 Profetizza al vento, al vento solo perché
 Il vento solo darà ascolto. E le ossa cantarono stridendo
 Col ritornello della cavalletta, dicendo
Signora dei silenzi
 Quieta e affranta
 Consunta e più integra
 Rosa della memoria
 Rosa della dimenticanza
 Esausta e feconda
 Tormentata che doni riposo
 La Rosa unica
 Ora è il giardino
 Dove ogni amore finisce
 Terminato il tormento
 Dell’amore insoddisfatto
 Più grande tormento
 Dell’amore soddisfatto
 Fine dell’ínfinito
 Viaggio verso il nulla
 Conclusione di tutto ciò
 Che non può essere concluso
 Linguaggio senza parola
 E parola di nessun linguaggio
 Grazia alla Madre
 Per il Giardino
 Dove tutto l’amore finisce.
Sotto un ginepro le ossa cantarono, disperse e rilucenti
 Noi siamo liete d’essere disperse, poco bene facernmo l’una all’altra,
 Nella frescura del giorno sotto un albero, con la benedizione della sabbia,
 Dimenticando noi stesse e l’un l’altra, unite
 Nella serenità del deserto. Questa è la terra che voi
 Spartirete. E né divisione né unione
 Hanno importanza. Questa è la terra. Ecco, abbiamo la nostra eredità.
III
 Là dalla prima rampa della seconda scala
 Mi volsi e vidi in basso
 La stessa forma avvinta alla ringhiera
 Sotto la nebbia nell’aria fetida
 In lotta col demonio delle scale
 Dall’ingannevole volto della speranza e della disperazione.
Alla seconda rampa della seconda scala
 Li lasciai avvinghiati, volti in basso;
 Non v’erano più volti e la scala era oscura,
 Scheggiata ed umida, come la bocca guasta
 E bavosa di un vecchio, o la gola dentata di un antico squalo.
Là sulla prima rampa della terza scala
 Una finestra a inferriata con il ventre gonfìo
 Come quello di un fico e al di là
 Del biancospino in fìore e della scena agreste
 Quella figura dalle spalle ampie vestita in verde e azzurro
 Affascinava il maggio con un flauto antico.
 Sono dolci le chiome arruffate, le chiome brune arruffate sulla bocca,
 Lillà e chiome brune;
 Lo sgomento, la musica del flauto, le pause e i passi della mente sulla terza scala,
 Svaniscono, svaniscono; al di là della speranza e al di là della disperazione
 La forza sale sulla terza scala.
Signore, non son degno
 Signore, non son degno
 ma di’ una sola parola.
IV
 Colei che camminò fra viola e viola
 Che camminò
 Fra i diversi filari del variato verde
 In bianco e azzurro procedendo, colori di Maria,
 Parlando di cose banali
 In ignoranza e scienza del dolore eterno
 Che mosse in mezzo agli altri che già stavano andando
 Che allora fece forti le fontane e fresche le sorgenti
Rese fredda la roccia inaridita e solida la sabbia
 In blu di speronella, blu del colore di anni Maria,
 Sovegna vos
Ecco gli anni che passano in mezzo, portando
 Lontano i violini e i flauti, ravvivando
 Una che muove nel tempo fra il sonno e la veglia, che indossa
Luce bianca ravvolta, di cui si riveste, ravvolta.
 Passano gli anni nuovi ravvivano
 Con una splendida nube di lacrime, gli anni, ravvivano
 La rima antica con un verso nuovo. Redimi
 Il tempo. Redimi
 La visione non letta nel sogno più alto
 Mentre unicorni ingioiellati traggono il catafalco d’oro.
La silenziosa sorella velata in bianco e azzurro
 Fra gli alberi di tasso, dietro il dio del giardino,
 Il cui flauto tace, piegò la testa e fece un cenno ma non parlò parola
Ma la sorgente zampillò e l’uccello cantò verso la terra
 Redimi il tempo, redimi il sogno
 La promessa del verbo non detto e non udito
Finché il vento non scuota mille bisbigli dal tasso
E dopo questo nostro esilio
V
 Se la parola perduta è perduta, se la parola spesa è spesa
 Se la parola non detta e non udita
 E’ non udita e non detta,
 Sempre è la parola non detta, il Verbo non udito,
 Il Verbo senza parola, il Verbo
 Nel mondo e per il mondo;
 E la luce brillò nelle tenebre e
 Il mondo inquieto contro il Verbo ancora
 Ruotava attorno al centro del Verbo silenzioso
.
0 mio popolo, che cosa ti ho fatto.
Dove ritroveremo la parola, dove risuonerà
 La parola? Non qui, che qui il silenzio non basta
 Non sul mare o sulle isole, né sopra
 La terraferma, nel deserto o nei luoghi di pioggia,
 Per coloro che vanno nella tenebra
 Durante il giorno e la notte
 Il tempo giusto e il luogo giusto non sono qui
 Non v’è luogo di grazia per coloro che evitano il volto
 Non v’è tempo di gioire per coloro che passano in mezzo al rumore e negano la voce
Pregherà la sorella velata per coloro
 Che vanno nelle tenebre, per coloro che ti scelsero e si oppongono
 A te, per coloro che sono straziati sul corno fra stagione e stagione, tempo e ternpo, Fra ora e ora, parola e parola, potenza e potenza, per coloro che attendono
 Nelle tenebre? Pregherà la sorella velata
 Per i fanciulli al cancello
 Che non lo varcheranno e non possono pregare:
 Prega per coloro che ti scelsero e ti si oppongono
0 mio popolo, che cosa ti ho fatto.
Pregherà la sorella velata fra gli alberi magri di tasso
 Per coloro che l’offendono e sono
 Terriffcati e non possono arrendersi
 E affermano di fronte al mondo e fra le rocce negano
 Nell’ultimo deserto e fra le ultime rocce azzurre
 Il deserto nel giardino il giardino nel deserto
 Della secchezza, sputano dalla bocca il secco seme di mela.
0 mio popolo.
VI
Benché non speri più di ritornare
 Benché non speri
 Benché non speri di ritornare
A oscillare fra perdita e profitto
 in questo breve transito dove i sogni si incrociano
 Il crepuscolo incrociato dai sogni fra nascita e morte
 (Benedicimi padre) sebbene non desideri più di desiderare queste cose
 Dalla fìne finestra spalancata verso la riva di granito
 Le vele bianche volano ancora verso il mare, verso il mare volano
 Le ali non spezzate
E il cuore perduto si rinsalda e allieta
 Nel perduto lillà e nelle voci del mare perduto
 E Io spirito fragile s’avviva a ribellarsi
Per la ricurva verga d’oro e l’odore del mare perduto
 S’avviva a ritrovare
 Il grido della quaglia e il piviere che ruota
 E l’occhio cieco crea
 Le vuote forme fra le porte d’avorio
 E l’odore rinnova il sapore salmastro della terra sabbiosa
 Questo è il tempo della tensione fra la morte e la nascita
 Il luogo della solitudine dove tre sogni s’incrociano
 Fra rocce azzurre
 Ma quando le voci scosse dall’albero di tasso si partono
 Che l’altro tasso sia scosso e risponda.
 Sorella benedetta, santa madre, spirito della fonte,. spirito del giardino
 Non permettere che ci si irrida con la falsità
 Insegnaci a aver cura e a non curare
 Insegnaci a starcene quieti
 Anche fra queste rocce,
 E’n la Sua volontarie è nostra pace
 E anche fra queste rocce
 Sorella, madre
 E spirito del fiume, spirito del mare,
 Non sopportare che io sia separato
E a Te giunga il mio grido.
 
Thomas Stearns Eliot

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