CAPITOLO XVIII°
La prima luce di una nuova aurora li scorse galoppare a rotta di collo già molto lontano dalla città di Sinocon.
Cavalcarono per tutto il resto del giorno solcando, sulle ali del vento, le pianure e le foreste di quell'immenso reame.
Gujil, in testa, furiosamente frustava il proprio destriero tallonato dappresso dal fedele scudiero.
Nemmeno la notte potè fermare la loro ansimante cavalcata.
I cavalli, col mantello madido di sudore, sbavavano per la tremenda fatica ma, sorretti dall'ostinazione dei propri cavalieri, continuavano e galoppavano a perdifiato per prati e sentieri.
Fu quella una lunga notte.
Finalmente giunsero ai confini del regno e in Mizaurio si riaffacciarono alla mente riferimenti a lui noti perché già trascorsi: un sentiero seminascosto, le curve sinuose di un torrente, il tronco di una grande quercia, alcune case diroccate di un antico paese.
Cavalcarono ancora Gujil e Mizaurio e l'oscurità si stava di nuovo squarciando.
- Ci siamo mio Gujil! - gridò lo scudiero in preda all'agitazione - ci siamo! ormai non mancano che pochissime leghe ai confini di questo maledetto reame!
Disse ed insieme centuplicarono i loro sforzi attingendo alle residue energie loro e dei destrieri.
Colore che quella notte li intravidero ricordano un tutt'uno di uomini e cavalli a sfrecciare in direzione del regno di Ozman.
Dopo un'ennesima, estenuante, arrampicata uomini e destrieri approdarono ad una vasta radura sul cui sfondo si poteva immaginare la sagoma, peraltro appena distinguibile, di una città che si diramava lontanissimo sul fondo della vallata.
- Ancora un ultimo sforzo, amico mio, - disse a Gujil Mizaurio - in quella valle, passata questa radura, ci attendono le mura dolcissime e belle della tua Nobegmor!
Così disse con voce gioiosa e, con un repentino balzo, il suo cavallo superò il destriero di Gujil mentre la sottile trama del buio già si andava inesorabilmente dissolvendo per la nascente alba.
Quell'ultima furiosa corsa grondava copiosamente del sudore di uomini e cavalli.
Quando arrivò alla fine della radura lo scudiero proruppe in un urlo di gioia.
- Ce l'abbiamo fatta per tutti i demoni! quasi non oso crederci ma ce l'abbiamo proprio fatta! In barba a tutti gli aruspici e i maghi stiamo tornandocene a casa!
Disse e rallentò notevolmente l'andatura.
Fu proprio in quell'istante che il cavallo del Principe gli sfrecciò veloce di fianco ma più non portava con sé il suo cavaliere.
Stupefatto Mizaurio immediatamente si volse senza esitare e scorse, in lontananza, il corpo di Gujil disteso nell'erba.
Voltò allora il proprio cavallo e corse a raggiungere il suo amato Principe.
Lo trovò sdraiato col viso rivolto al terreno.
Si catapultò quindi da cavallo, con delicatezza lo girò di schiena e prese tra le mani il di lui capo.
- Gujil! ... - cominciò mescolando al suono di quel nome le lacrime.
Il Principe tossicchiò per scacciare dalla sua bocca la terra che vi si era infilata.
- Era ... era destino ... - sussurrò flebilmente l'ultimo fiato di Gujil.
Il Principe, con gli occhi sbarrati, distese allora i propri lineamenti e fermò per sempre il suo respiro.
Tra le alte chiome dei larici, ad est, in lontananza, filtravano alcuni raggi di sole di un'alba autunnale chiara e tersa.
La prima luce di una nuova aurora li scorse galoppare a rotta di collo già molto lontano dalla città di Sinocon.
Cavalcarono per tutto il resto del giorno solcando, sulle ali del vento, le pianure e le foreste di quell'immenso reame.
Gujil, in testa, furiosamente frustava il proprio destriero tallonato dappresso dal fedele scudiero.
Nemmeno la notte potè fermare la loro ansimante cavalcata.
I cavalli, col mantello madido di sudore, sbavavano per la tremenda fatica ma, sorretti dall'ostinazione dei propri cavalieri, continuavano e galoppavano a perdifiato per prati e sentieri.
Fu quella una lunga notte.
Finalmente giunsero ai confini del regno e in Mizaurio si riaffacciarono alla mente riferimenti a lui noti perché già trascorsi: un sentiero seminascosto, le curve sinuose di un torrente, il tronco di una grande quercia, alcune case diroccate di un antico paese.
Cavalcarono ancora Gujil e Mizaurio e l'oscurità si stava di nuovo squarciando.
- Ci siamo mio Gujil! - gridò lo scudiero in preda all'agitazione - ci siamo! ormai non mancano che pochissime leghe ai confini di questo maledetto reame!
Disse ed insieme centuplicarono i loro sforzi attingendo alle residue energie loro e dei destrieri.
Colore che quella notte li intravidero ricordano un tutt'uno di uomini e cavalli a sfrecciare in direzione del regno di Ozman.
Dopo un'ennesima, estenuante, arrampicata uomini e destrieri approdarono ad una vasta radura sul cui sfondo si poteva immaginare la sagoma, peraltro appena distinguibile, di una città che si diramava lontanissimo sul fondo della vallata.
- Ancora un ultimo sforzo, amico mio, - disse a Gujil Mizaurio - in quella valle, passata questa radura, ci attendono le mura dolcissime e belle della tua Nobegmor!
Così disse con voce gioiosa e, con un repentino balzo, il suo cavallo superò il destriero di Gujil mentre la sottile trama del buio già si andava inesorabilmente dissolvendo per la nascente alba.
Quell'ultima furiosa corsa grondava copiosamente del sudore di uomini e cavalli.
Quando arrivò alla fine della radura lo scudiero proruppe in un urlo di gioia.
- Ce l'abbiamo fatta per tutti i demoni! quasi non oso crederci ma ce l'abbiamo proprio fatta! In barba a tutti gli aruspici e i maghi stiamo tornandocene a casa!
Disse e rallentò notevolmente l'andatura.
Fu proprio in quell'istante che il cavallo del Principe gli sfrecciò veloce di fianco ma più non portava con sé il suo cavaliere.
Stupefatto Mizaurio immediatamente si volse senza esitare e scorse, in lontananza, il corpo di Gujil disteso nell'erba.
Voltò allora il proprio cavallo e corse a raggiungere il suo amato Principe.
Lo trovò sdraiato col viso rivolto al terreno.
Si catapultò quindi da cavallo, con delicatezza lo girò di schiena e prese tra le mani il di lui capo.
- Gujil! ... - cominciò mescolando al suono di quel nome le lacrime.
Il Principe tossicchiò per scacciare dalla sua bocca la terra che vi si era infilata.
- Era ... era destino ... - sussurrò flebilmente l'ultimo fiato di Gujil.
Il Principe, con gli occhi sbarrati, distese allora i propri lineamenti e fermò per sempre il suo respiro.
Tra le alte chiome dei larici, ad est, in lontananza, filtravano alcuni raggi di sole di un'alba autunnale chiara e tersa.
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