CAPITOLO I°
- Mio Principe, non dovresti stare così lontano dal fuoco, questa terra è piena di insidie, la notte più del giorno.
- Lo so Mizaurio, ma continuo a pensare a ciò che mi narrasti prima della nostra partenza da Ozman.
Vorrei che tu mi raccontassi di nuovo quella storia.
- Mio Principe, non è bene parlare di queste cose proprio qui. - disse Mizaurio roteando con circospezione lo sguardo ad abbracciare la radura senza badare a mascherare il timore che in lui si era destato - Si, - riprese - non è proprio bene.
- Non essere sciocco, - disse il Principe Gujil, prorompendo in un'affettuosa e sonora risata - Chi vuoi che ci senta. Forse quella civetta che poco fa è volata sul nostro campo? Oppure hai paura che, sentendo il tuo racconto, gli alberi di questa foresta ti assassinino nel sonno strangolandoti con i loro lunghi rami?
Ciò detto il Principe si alzò e prese la direzione del fuoco con la speranza di sgelare, al calore delle fiamme, il freddo di quella notte di mezza stagione.
Mizaurio lo seguì e si sedette accanto a lui.
Il silenzio passò sui loro volti accarezzandoli con una folata di vento che quasi fece spegnere le fiamme.
Ad un gesto del Principe una guardia della sua scorta posò altra legna sul fuoco e la fiamma riprese vigore.
- Le mie orecchie stanno aspettando il suono delle tue parole, amico mio. - ruppe il silenzio la tranquilla voce di Gujil.
La sorpresa del servo fu grande, farfugliando rispose:
- Ma ... mio Signore, to ho spiegato che ...
- Non voglio sentir ragioni stupido codardo, - lo interruppe il Principe - voglio quella storia e la voglio sentire ora. Subito!
Accompagnò le sue parole con un esplicativo movimento del braccio.
- Come tu vuoi o mio Signore, ma non essere avventato, to prego di rifletteva ancora prima di commettere qualche imprudenza.
Accorgendosi, dal cipiglio del Principe, che le Sue parole non avrebbero sortito risultato alcuno, Mizaurio tirò un profondo sospiro e, dopo aver nascosto allo sguardo di Gujil un gesto di scongiuro, cominciò:
- Bene ...
Molti e molti anni fa bussò alla porta del castello di Sinocon uno straniero dal fulgido e maestoso aspetto e dai modi che non lasciano alcun dubbio riguardo alla sua discendenza da nobili origini.
La porta gli fu subito aperta.
Fu una lunga notte di festeggiamenti e di suoni.
Le tavole delle grandi sale traboccavano di ogni ben di Dio, c'erano selvaggina e frutti di lontani paesi.
Le luci del castello illuminavano a giorno le fantastiche storie raccontate dai preziosi arazzi che adornavano le pareti dei saloni, nell'aria aromi e musiche si mescolavano e creavano atmosfere da sogno, da ogni fontana sprizzavano le stille della felicità che animava il reame di opoflop.
Verso la mezzanotte lo straniero si alzò dal suo posto e, tra lo stupore generale, prese la parola.
O grande Re, - disse nel silenzio che si era formato - sono venuto a voi da molto lontano attirato dai coloriti racconti che giunsero ai miei sensi.
E vedo che nessuna esagerazione era stata fatta a riguardo, anzi.
Voglio mostrarti la mia gratitudine per questa splendida accoglienza degna di un magnanimo Re quale tu, effettivamente, ti stai dimostrando.
Il Re sorrise grato allo straniero e lo invitò a proseguire.
- Voglio farti un regalo. - disse e battè più volte le mani.
Poco dopo alcuni schiavi portarono al suo cospetto uno scrigno d'oro massiccio tempestato di gemme.
Lo straniero lo prese e, dopo aver congedato i servi, abbandonò il suo posto e con passo elegante si diresse alla volta del trono.
Sostò per un attimo al cospetto del Re e della Principessa Arhiac e, inchinandosi, porse al Signore di Sinocon lo scrigno prezioso.
Il Re lo accettò.
- Puoi aprirlo mio Re. - disse lo straniero.
Lo stupore di tutti era grande, sui volti degli invitati si poteva leggere e indovinare la curiosità di conoscere il contenuto di un così prezioso dono.
Nell'attimo stesso in cui il Re sollevò il coperchio dallo scrigno cominciò a fuoriuscire un pulviscolo colore del sole al tramonto che presto si sparse per tutto il castello invadendone anche ogni più riposto angolo.
Dal castello il pulviscolo si espanse su tutto quanto il reame di opoflop.
Dicono che il tempo, in quel posto, fermò per un interminabile attimo il suo corso e che accaddero cose incredibili.
- Che genere di cose? - chiese Gujil.
- Nessuno potrà mai dirlo o Principe, fatto sta che quando il tempo riprese a macinare le sue dimensioni qualcosa era, inspiegabilmente, mutato.
Dicono che il Re richiuse lo scrigno e la festa riprese.
Del pulviscolo però non fu mai rinvenuta traccia alcuna, eppure era stato visto da tutti.
Fu allora che lo straniero sorridendo porse la mano alla Principessa Arhiac e le danze ricominciarono.
Alcuni giorni dopo, per le quattro direzioni del reame, i corrieri del Re portarono in tutti i villaggi la notizia delle prossime nozze tra la Principessa e lo straniero.
Il palazzo ferveva nei preparativi per il gran giorno, vennero invitati decine e decine di ambasciatori nei regni vicini e lontani, i cacciatori del Re batterono in lungo ed in largo l'immensa foresta che sai in cerca di prelibate selvaggine ed i lavori nelle miniere preziose vennero decuplicati alla ricerca di meravigliose gemme perché servissero come dote alla sposa.
Chi in quei giorni ebbe occasione di frequentare la Principessa Arhiac la descrive felice come non mai con i già delicati lineamenti ancor più addolciti dall'intenso sentimento che, in così breve tempo, le aveva pervaso il cuore ed i pensieri.
Il vecchio Re sembrava ritornato bambino, si prodigava con entusiasmo affinché il fatidico giorno potesse rivelarsi tra i più splendenti che il reame di Opoflop avesse mai visto.
Il popolo rispecchiava la gioia che si viveva a corte e ben presto l'intera Sinocon traboccò di gente venuta da tutte le parti del mondo per assistere al matrimonio.
C'erano prodi e famosi cavalieri con i loro seguiti ad affollare le locande, giocolieri bravissimi con i loro numeri di abilità, maghi potenti con i loro apprendisti, circhi stracolmi di animali mai visti provenienti dalle lontane regioni d'oriente.
Tutto sembrava avvolto da un magico incanto che non lasciava spazio a nessuna cosa cattiva.
Venne il giorno delle nozze.
Fin dal mattino fu un suono di trombe a chiamare a raccolta il reame e la gente si accalcava nella piazza principale di Sinocon per vedere la cerimonia mascherando l'impazienza con canti e balli.
Dalla porta principale del palazzo due file di armigeri proteggevano, tenendolo sgombro, il camminamento che avrebbe dovuto percorrere il corte nuziale.
L'altare per celebrare il matrimonio, un enorme blocco rosato di marmo massiccio venato di colori di sogno, si stagliava illuminato dal solo che lo carezzava di mille riflessi, sulla terrazza più ampia.
La strada che conduceva all'entrata più grande del castello era gremita, ai suoi bordi, da due ali di folla eccitata; le prime file erano occupate da ragazzi e ragazze che imbracciavano panieri di giunco da cui estraevano, spargendoli sul selciato tirato a lustro, petali multicolori di fiori profumati e freschissimi.
La gente assiepata nella piazza aspettava impaziente l'arrivo della carrozza dello sposo.
La loro attesa venne presto esaudita.
il clamore della folla cominciò a sollevarsi e convergere verso la piazza fin dai limiti della città.
Ben presto, accompagnata da suoni di trombe e tamburi, irruppe nella piazza una magnifica carrozza colore del cielo trainata da dodici splendidi cavalli neri come la pece bardati da finimenti richissimi.
Quando la carrozza fermò la sua corsa di fronte alla grande porta la folla d'istinto zittì la sua gioia e, trattenendo il fiato, aspettò che ne discendesse lo straniero.
Quando egli scese si levò un unanime gemito di meraviglia. Lui era là.
La sua statura possente troneggiava nella piazza di Sinocon.
Nel suo viso gli occhi dardeggiavano riflessi incredibili, i capelli corvini, lunghi fino a ricoprirgli le spalle, si andavano via via accorciando mano a mano che si confondevano e tramutavano nella folta barba che gli incorniciava il volto.
Nel mantello, nerissimo pure esso, risaltava la figura stilizzata di un ippogrifo dalle cui nari fuoriuscivano getti di vapore misti a fiamme.
Una scorta nutrita gli fece strada accompagnandolo dal Re e dalla sua promessa sposa.
Una volta giunto in loro presenza lo straniero prese la mano di Arhiac tra le sue con gesto studiato.
Anche qui, mio Gujil, il racconto perde spessore di verità, poiché nessuno ha mai saputo dire con esattezza che cosà successe.
Comunque Arhiac, nel suo splendido abito di seta gialla che faceva risaltare ancor di più la sua regale bellezza, era felice e perdeva il proprio sguardo negli occhi di lui che le sorrideva amabilmente.
Il lungo strascico della sposa, sorretto da innumerevoli ancelle, si muoveva agitato dal vento leggero come fa l'acqua di un ridente ruscello; la sua corona, d'oro e diamanti, luccicava come una stella.
La minuta figura della Principessa quel giorno fece piangere di gioia e d'invidia tutte quante le donne di Opoflop.
Per il resto il matrimonio non fu diverso da tutti gli altri che si svolgono in ogni parte del mondo ma, una volta che questo fu suggellato da tutti i sacri crismi e fu pronunciato il fatidico "lo voglio!" da entrambi gli sposi, si dice che accadde una cosa imprevedibile.
Infatti lo straniero cominciò a ridere fragorosamente tra lo stupore di tutti e cingendo al suo petto la bella Arhiac urlò con voce tonante:
- Da oggi io sono il Signore e padrone di Opoflop!
Pochi giorni dopo la cerimonia il padre della Principessa Arhiac, il saggio Re di Opoflop, moriva di uno sconosciuto morbo che nessun cerusico o mago era riuscito a contrastare.
Il grave lutto colpì in maniera violenta, con il maglio possente del dolore interiore, la sua giovane figlia.
Suo marito, poco dopo, l'abbandonò fuggendo in una notte di plenilunio non senza aver completamente depredato le ricchezze di Sinocon e di lui nessuno seppe più nulla.
Qualcuno asserisce che lo straniero in questione altri non fosse che il perfido stregone Drosan di Ilamon e che questi, con un altro dei suoi malefici trucchi, non abbia fatto che aggiungere un ulteriore malefatto alla lunga catena dei suoi riprovevoli delitti ed altre preziose ricchezze a quelle già rubate da altri.
Si mormorava che, per mettersi al riparo dalla vendetta di Arhiac, prima della sua fuga abbia assassinato il Re e scagliato un potente incantesimo sulla Principessa sua sposa e su tutto il reame di Opoflop.
I risultati sarebbero quelli che tu sai e che da giorni stiamo attraversando per arrivare a Sinocon.
Ti prego Gujil, non fare pazzie, dai ordine ai tuoi uomini di levare le tende e terniamocene a Ozman.
Sii saggio mio Principe, ti supplico.
- Non se ne parla nemmeno Mizaurio, già ti dissi la mia intenzione di conoscere Arhiac.
Voglio quella donna, qualcosa nel sonno mi agita il respiro quando le immagini del sogno mi portano a lei.
La voglio Mizaurio, ho bisogno di lei come dell'acqua che bevo ed il cibo di cui mi nutro.
Ciò detto il discorso venne arginato dal muro delle riflessioni silenti ed entrambi tacquero immersi nei loro pensieri.
D'un tratto la tranquillità della notte fu scossa da un rumore concitato di passi e di voci.
- Cosa sta succedendo? - tuonò Gujil destandosi rapidamente dal sopore che aveva pervaso le sue membra.
- Non si riesce a capire o Principe, - gli rispose uno dei soldati - tutto era calmo quando, all'improvviso, i nostri cavalli si sono inspiegabilmente messi in agitazione ed hanno cercato di liberarsi dalle pastoie nitrendo furiosamente.
Abbiamo pensato ad una qualche belva ma le perlustrazioni intorno al campo non hanno rilevato niente di sospetto.
Tutto sembrerebbe normale ma gli uccelli notturni hanno alzato il loro volo all'unisono e le creature della notte hanno zittito o loro rumori.
Anche Mizaurio, destatosi dal sonno, si era subito precipitato vicino a Gujil.
Urlando ordinò alle guardie di aggiungere altra legna al fuoco che stava spegnendosi.
Appena la legna fu posta, la fiamma si alzò alta nel buio notturno e cominciò a parlare, dapprima con voce incomprensibile, poi via via più chiara.
Il terrore invase il corpo degli armigeri che, stupiti ed intimoriti, si disposero a cerchio intorno alla fiamma.
La bocca spalancata di Mizaurio non riusciva a proferire parola, Gujil dal canto suo, a spada sguainata, si diresse coraggiosamente verso il centro del fuoco.
- Fermati Gujil! - risuonò nell'aria un comando imperioso.
A quelle parole il giovane Principe fermò il suo stupore e la sua lama.
Come per incanto, quella che prima era solamente una massa informe, si tramutò in una figura di vecchio il cui corpo scintillava, rivestito com'era di fiamme.
- Come sei irruente giovane Gujil, - continuò quella strana apparizione - ho forse fatto del male a te o ai tuoi uomini? Figliolo, non essere mai precipitoso nelle tue azioni, non tutto ciò che risulta alla mente incomprensibile è necessariamente qualcosa di negativo.
Non ti sembra?
Lo stupore di Gujil e del suo seguito era enorme.
La calma era nuovamente tornata nella foresta.
- Dove diavolo ho messo ... - riprese il vecchio senza badare agli inebetiti spettatori - ah ... eccoli!
Scusami figliolo, ma senza le mie lenti sono cieco come una vecchia talpa. - disse l'apparizione inforcando sul naso uno strano marchingegno che reggeva due limpidissimi pezzi di vetro perfettamente arrotondati.
- Cosa stavo dicendo? ... ah! ecco, si ..., si ... dunque.
Scusami questo strano modo di presentarmi ma le mie arti si sono un po' arruginite in questi ultimi tempi di inattività.
E' veramente tanto che da queste parti non passa più nessuno ed io avevo quasi perso la speranza di rivedere gente, anche se la mia sfera ha sempre affermato il contrario.
Benedetto figliolo, vi vedo preoccupati!
- Chi ... chi sei? - chiese Gujil senza peraltro abbandonare né la sua spada né l'atteggiamento difensivo.
- Come chi sono.
Sono Noretex!
Già, già ... Noretex ...
Piuttosto, lascia stare la tua curiosità ed ascoltami perché non ho molto tempo.
Ciò che vuoi fare è buono e lodevole ed io sono ormai molte lune che aspetto che qualche uomo di valore riesca a trovare il coraggio necessario per raggiungere Sinocon.
Perché tu vuoi raggiungere Arhiac a Sinocon, nevvero?
Il giovane Principe, più stupito che spaventato, limitò la sua risposta ad un breve cenno di assenso con il capo.
- bene, bene.
Ho visto giusto allora.
Sentimi ora.
Domattina riprendi il tuo cammino e noi ci rivedremo assai presto.
Quando questo sarà potrò spiegare tutto ciò che ora al tuo cervello frulla sotto forma di troppe domande.
Quando raggiungerai la collina dei cipressi là ferma il tuo campo e sali con Miz..., insomma, con chi come cavolo si chiama?
- Mizaurio forse? - arrischiò il fedele scudiero di Gujil con un filo di voce tremolante.
- Si, si, proprio quel tale ... - riprese il vecchio - proprio lui!
Dicevo, sali in cima a quell'altura e là troverai Phuxarius, lui sa tutto.
Hai capito bene?
Ricorda!
Ricord...!
Ricor...!
Rico...!
Ric...!
Ri...!
R...!
- Mio Principe, non dovresti stare così lontano dal fuoco, questa terra è piena di insidie, la notte più del giorno.
- Lo so Mizaurio, ma continuo a pensare a ciò che mi narrasti prima della nostra partenza da Ozman.
Vorrei che tu mi raccontassi di nuovo quella storia.
- Mio Principe, non è bene parlare di queste cose proprio qui. - disse Mizaurio roteando con circospezione lo sguardo ad abbracciare la radura senza badare a mascherare il timore che in lui si era destato - Si, - riprese - non è proprio bene.
- Non essere sciocco, - disse il Principe Gujil, prorompendo in un'affettuosa e sonora risata - Chi vuoi che ci senta. Forse quella civetta che poco fa è volata sul nostro campo? Oppure hai paura che, sentendo il tuo racconto, gli alberi di questa foresta ti assassinino nel sonno strangolandoti con i loro lunghi rami?
Ciò detto il Principe si alzò e prese la direzione del fuoco con la speranza di sgelare, al calore delle fiamme, il freddo di quella notte di mezza stagione.
Mizaurio lo seguì e si sedette accanto a lui.
Il silenzio passò sui loro volti accarezzandoli con una folata di vento che quasi fece spegnere le fiamme.
Ad un gesto del Principe una guardia della sua scorta posò altra legna sul fuoco e la fiamma riprese vigore.
- Le mie orecchie stanno aspettando il suono delle tue parole, amico mio. - ruppe il silenzio la tranquilla voce di Gujil.
La sorpresa del servo fu grande, farfugliando rispose:
- Ma ... mio Signore, to ho spiegato che ...
- Non voglio sentir ragioni stupido codardo, - lo interruppe il Principe - voglio quella storia e la voglio sentire ora. Subito!
Accompagnò le sue parole con un esplicativo movimento del braccio.
- Come tu vuoi o mio Signore, ma non essere avventato, to prego di rifletteva ancora prima di commettere qualche imprudenza.
Accorgendosi, dal cipiglio del Principe, che le Sue parole non avrebbero sortito risultato alcuno, Mizaurio tirò un profondo sospiro e, dopo aver nascosto allo sguardo di Gujil un gesto di scongiuro, cominciò:
- Bene ...
Molti e molti anni fa bussò alla porta del castello di Sinocon uno straniero dal fulgido e maestoso aspetto e dai modi che non lasciano alcun dubbio riguardo alla sua discendenza da nobili origini.
La porta gli fu subito aperta.
Fu una lunga notte di festeggiamenti e di suoni.
Le tavole delle grandi sale traboccavano di ogni ben di Dio, c'erano selvaggina e frutti di lontani paesi.
Le luci del castello illuminavano a giorno le fantastiche storie raccontate dai preziosi arazzi che adornavano le pareti dei saloni, nell'aria aromi e musiche si mescolavano e creavano atmosfere da sogno, da ogni fontana sprizzavano le stille della felicità che animava il reame di opoflop.
Verso la mezzanotte lo straniero si alzò dal suo posto e, tra lo stupore generale, prese la parola.
O grande Re, - disse nel silenzio che si era formato - sono venuto a voi da molto lontano attirato dai coloriti racconti che giunsero ai miei sensi.
E vedo che nessuna esagerazione era stata fatta a riguardo, anzi.
Voglio mostrarti la mia gratitudine per questa splendida accoglienza degna di un magnanimo Re quale tu, effettivamente, ti stai dimostrando.
Il Re sorrise grato allo straniero e lo invitò a proseguire.
- Voglio farti un regalo. - disse e battè più volte le mani.
Poco dopo alcuni schiavi portarono al suo cospetto uno scrigno d'oro massiccio tempestato di gemme.
Lo straniero lo prese e, dopo aver congedato i servi, abbandonò il suo posto e con passo elegante si diresse alla volta del trono.
Sostò per un attimo al cospetto del Re e della Principessa Arhiac e, inchinandosi, porse al Signore di Sinocon lo scrigno prezioso.
Il Re lo accettò.
- Puoi aprirlo mio Re. - disse lo straniero.
Lo stupore di tutti era grande, sui volti degli invitati si poteva leggere e indovinare la curiosità di conoscere il contenuto di un così prezioso dono.
Nell'attimo stesso in cui il Re sollevò il coperchio dallo scrigno cominciò a fuoriuscire un pulviscolo colore del sole al tramonto che presto si sparse per tutto il castello invadendone anche ogni più riposto angolo.
Dal castello il pulviscolo si espanse su tutto quanto il reame di opoflop.
Dicono che il tempo, in quel posto, fermò per un interminabile attimo il suo corso e che accaddero cose incredibili.
- Che genere di cose? - chiese Gujil.
- Nessuno potrà mai dirlo o Principe, fatto sta che quando il tempo riprese a macinare le sue dimensioni qualcosa era, inspiegabilmente, mutato.
Dicono che il Re richiuse lo scrigno e la festa riprese.
Del pulviscolo però non fu mai rinvenuta traccia alcuna, eppure era stato visto da tutti.
Fu allora che lo straniero sorridendo porse la mano alla Principessa Arhiac e le danze ricominciarono.
Alcuni giorni dopo, per le quattro direzioni del reame, i corrieri del Re portarono in tutti i villaggi la notizia delle prossime nozze tra la Principessa e lo straniero.
Il palazzo ferveva nei preparativi per il gran giorno, vennero invitati decine e decine di ambasciatori nei regni vicini e lontani, i cacciatori del Re batterono in lungo ed in largo l'immensa foresta che sai in cerca di prelibate selvaggine ed i lavori nelle miniere preziose vennero decuplicati alla ricerca di meravigliose gemme perché servissero come dote alla sposa.
Chi in quei giorni ebbe occasione di frequentare la Principessa Arhiac la descrive felice come non mai con i già delicati lineamenti ancor più addolciti dall'intenso sentimento che, in così breve tempo, le aveva pervaso il cuore ed i pensieri.
Il vecchio Re sembrava ritornato bambino, si prodigava con entusiasmo affinché il fatidico giorno potesse rivelarsi tra i più splendenti che il reame di Opoflop avesse mai visto.
Il popolo rispecchiava la gioia che si viveva a corte e ben presto l'intera Sinocon traboccò di gente venuta da tutte le parti del mondo per assistere al matrimonio.
C'erano prodi e famosi cavalieri con i loro seguiti ad affollare le locande, giocolieri bravissimi con i loro numeri di abilità, maghi potenti con i loro apprendisti, circhi stracolmi di animali mai visti provenienti dalle lontane regioni d'oriente.
Tutto sembrava avvolto da un magico incanto che non lasciava spazio a nessuna cosa cattiva.
Venne il giorno delle nozze.
Fin dal mattino fu un suono di trombe a chiamare a raccolta il reame e la gente si accalcava nella piazza principale di Sinocon per vedere la cerimonia mascherando l'impazienza con canti e balli.
Dalla porta principale del palazzo due file di armigeri proteggevano, tenendolo sgombro, il camminamento che avrebbe dovuto percorrere il corte nuziale.
L'altare per celebrare il matrimonio, un enorme blocco rosato di marmo massiccio venato di colori di sogno, si stagliava illuminato dal solo che lo carezzava di mille riflessi, sulla terrazza più ampia.
La strada che conduceva all'entrata più grande del castello era gremita, ai suoi bordi, da due ali di folla eccitata; le prime file erano occupate da ragazzi e ragazze che imbracciavano panieri di giunco da cui estraevano, spargendoli sul selciato tirato a lustro, petali multicolori di fiori profumati e freschissimi.
La gente assiepata nella piazza aspettava impaziente l'arrivo della carrozza dello sposo.
La loro attesa venne presto esaudita.
il clamore della folla cominciò a sollevarsi e convergere verso la piazza fin dai limiti della città.
Ben presto, accompagnata da suoni di trombe e tamburi, irruppe nella piazza una magnifica carrozza colore del cielo trainata da dodici splendidi cavalli neri come la pece bardati da finimenti richissimi.
Quando la carrozza fermò la sua corsa di fronte alla grande porta la folla d'istinto zittì la sua gioia e, trattenendo il fiato, aspettò che ne discendesse lo straniero.
Quando egli scese si levò un unanime gemito di meraviglia. Lui era là.
La sua statura possente troneggiava nella piazza di Sinocon.
Nel suo viso gli occhi dardeggiavano riflessi incredibili, i capelli corvini, lunghi fino a ricoprirgli le spalle, si andavano via via accorciando mano a mano che si confondevano e tramutavano nella folta barba che gli incorniciava il volto.
Nel mantello, nerissimo pure esso, risaltava la figura stilizzata di un ippogrifo dalle cui nari fuoriuscivano getti di vapore misti a fiamme.
Una scorta nutrita gli fece strada accompagnandolo dal Re e dalla sua promessa sposa.
Una volta giunto in loro presenza lo straniero prese la mano di Arhiac tra le sue con gesto studiato.
Anche qui, mio Gujil, il racconto perde spessore di verità, poiché nessuno ha mai saputo dire con esattezza che cosà successe.
Comunque Arhiac, nel suo splendido abito di seta gialla che faceva risaltare ancor di più la sua regale bellezza, era felice e perdeva il proprio sguardo negli occhi di lui che le sorrideva amabilmente.
Il lungo strascico della sposa, sorretto da innumerevoli ancelle, si muoveva agitato dal vento leggero come fa l'acqua di un ridente ruscello; la sua corona, d'oro e diamanti, luccicava come una stella.
La minuta figura della Principessa quel giorno fece piangere di gioia e d'invidia tutte quante le donne di Opoflop.
Per il resto il matrimonio non fu diverso da tutti gli altri che si svolgono in ogni parte del mondo ma, una volta che questo fu suggellato da tutti i sacri crismi e fu pronunciato il fatidico "lo voglio!" da entrambi gli sposi, si dice che accadde una cosa imprevedibile.
Infatti lo straniero cominciò a ridere fragorosamente tra lo stupore di tutti e cingendo al suo petto la bella Arhiac urlò con voce tonante:
- Da oggi io sono il Signore e padrone di Opoflop!
Pochi giorni dopo la cerimonia il padre della Principessa Arhiac, il saggio Re di Opoflop, moriva di uno sconosciuto morbo che nessun cerusico o mago era riuscito a contrastare.
Il grave lutto colpì in maniera violenta, con il maglio possente del dolore interiore, la sua giovane figlia.
Suo marito, poco dopo, l'abbandonò fuggendo in una notte di plenilunio non senza aver completamente depredato le ricchezze di Sinocon e di lui nessuno seppe più nulla.
Qualcuno asserisce che lo straniero in questione altri non fosse che il perfido stregone Drosan di Ilamon e che questi, con un altro dei suoi malefici trucchi, non abbia fatto che aggiungere un ulteriore malefatto alla lunga catena dei suoi riprovevoli delitti ed altre preziose ricchezze a quelle già rubate da altri.
Si mormorava che, per mettersi al riparo dalla vendetta di Arhiac, prima della sua fuga abbia assassinato il Re e scagliato un potente incantesimo sulla Principessa sua sposa e su tutto il reame di Opoflop.
I risultati sarebbero quelli che tu sai e che da giorni stiamo attraversando per arrivare a Sinocon.
Ti prego Gujil, non fare pazzie, dai ordine ai tuoi uomini di levare le tende e terniamocene a Ozman.
Sii saggio mio Principe, ti supplico.
- Non se ne parla nemmeno Mizaurio, già ti dissi la mia intenzione di conoscere Arhiac.
Voglio quella donna, qualcosa nel sonno mi agita il respiro quando le immagini del sogno mi portano a lei.
La voglio Mizaurio, ho bisogno di lei come dell'acqua che bevo ed il cibo di cui mi nutro.
Ciò detto il discorso venne arginato dal muro delle riflessioni silenti ed entrambi tacquero immersi nei loro pensieri.
D'un tratto la tranquillità della notte fu scossa da un rumore concitato di passi e di voci.
- Cosa sta succedendo? - tuonò Gujil destandosi rapidamente dal sopore che aveva pervaso le sue membra.
- Non si riesce a capire o Principe, - gli rispose uno dei soldati - tutto era calmo quando, all'improvviso, i nostri cavalli si sono inspiegabilmente messi in agitazione ed hanno cercato di liberarsi dalle pastoie nitrendo furiosamente.
Abbiamo pensato ad una qualche belva ma le perlustrazioni intorno al campo non hanno rilevato niente di sospetto.
Tutto sembrerebbe normale ma gli uccelli notturni hanno alzato il loro volo all'unisono e le creature della notte hanno zittito o loro rumori.
Anche Mizaurio, destatosi dal sonno, si era subito precipitato vicino a Gujil.
Urlando ordinò alle guardie di aggiungere altra legna al fuoco che stava spegnendosi.
Appena la legna fu posta, la fiamma si alzò alta nel buio notturno e cominciò a parlare, dapprima con voce incomprensibile, poi via via più chiara.
Il terrore invase il corpo degli armigeri che, stupiti ed intimoriti, si disposero a cerchio intorno alla fiamma.
La bocca spalancata di Mizaurio non riusciva a proferire parola, Gujil dal canto suo, a spada sguainata, si diresse coraggiosamente verso il centro del fuoco.
- Fermati Gujil! - risuonò nell'aria un comando imperioso.
A quelle parole il giovane Principe fermò il suo stupore e la sua lama.
Come per incanto, quella che prima era solamente una massa informe, si tramutò in una figura di vecchio il cui corpo scintillava, rivestito com'era di fiamme.
- Come sei irruente giovane Gujil, - continuò quella strana apparizione - ho forse fatto del male a te o ai tuoi uomini? Figliolo, non essere mai precipitoso nelle tue azioni, non tutto ciò che risulta alla mente incomprensibile è necessariamente qualcosa di negativo.
Non ti sembra?
Lo stupore di Gujil e del suo seguito era enorme.
La calma era nuovamente tornata nella foresta.
- Dove diavolo ho messo ... - riprese il vecchio senza badare agli inebetiti spettatori - ah ... eccoli!
Scusami figliolo, ma senza le mie lenti sono cieco come una vecchia talpa. - disse l'apparizione inforcando sul naso uno strano marchingegno che reggeva due limpidissimi pezzi di vetro perfettamente arrotondati.
- Cosa stavo dicendo? ... ah! ecco, si ..., si ... dunque.
Scusami questo strano modo di presentarmi ma le mie arti si sono un po' arruginite in questi ultimi tempi di inattività.
E' veramente tanto che da queste parti non passa più nessuno ed io avevo quasi perso la speranza di rivedere gente, anche se la mia sfera ha sempre affermato il contrario.
Benedetto figliolo, vi vedo preoccupati!
- Chi ... chi sei? - chiese Gujil senza peraltro abbandonare né la sua spada né l'atteggiamento difensivo.
- Come chi sono.
Sono Noretex!
Già, già ... Noretex ...
Piuttosto, lascia stare la tua curiosità ed ascoltami perché non ho molto tempo.
Ciò che vuoi fare è buono e lodevole ed io sono ormai molte lune che aspetto che qualche uomo di valore riesca a trovare il coraggio necessario per raggiungere Sinocon.
Perché tu vuoi raggiungere Arhiac a Sinocon, nevvero?
Il giovane Principe, più stupito che spaventato, limitò la sua risposta ad un breve cenno di assenso con il capo.
- bene, bene.
Ho visto giusto allora.
Sentimi ora.
Domattina riprendi il tuo cammino e noi ci rivedremo assai presto.
Quando questo sarà potrò spiegare tutto ciò che ora al tuo cervello frulla sotto forma di troppe domande.
Quando raggiungerai la collina dei cipressi là ferma il tuo campo e sali con Miz..., insomma, con chi come cavolo si chiama?
- Mizaurio forse? - arrischiò il fedele scudiero di Gujil con un filo di voce tremolante.
- Si, si, proprio quel tale ... - riprese il vecchio - proprio lui!
Dicevo, sali in cima a quell'altura e là troverai Phuxarius, lui sa tutto.
Hai capito bene?
Ricorda!
Ricord...!
Ricor...!
Rico...!
Ric...!
Ri...!
R...!
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