L'oblio rappresenta la dimenticanza intesa come fenomeno non temporaneo, non dovuto a distrazione o perdita temporanea di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione del ricordo con un particolare accento sullo stato di abbandono del pensiero e del sentimento. Da non confondersi con il concetto di amnesia, in quanto non condivide con questo la durata del fenomeno, tipicamente temporanea nell'amnesia, né il carattere di abbandono della volontà e del sentimento tipico dell'oblio. Nella mitologia classica l'oblio è associato al Lete, ossia il fiume che conduce all'oltretomba tanto nella tradizione greca che in quella romana. A questo fiume dovevano bere le anime dei defunti per cancellare i ricordi della loro vita terrena, oppure coloro che erano chiamati a rinascere per obliare quel che avevano visto nel mondo sotterraneo. Il tema dell'oblio è rintracciabile nella storia della filosofia a partire da Platone, il quale fonda interamente la sua dottrina sul concetto di anamnesi o reminiscenza delle idee. Le nostre conoscenze, secondo Platone, non derivano dall'esperienza, ma sembrano basarsi su forme e modelli geometrici che non trovano riscontro nella realtà fenomenica quotidiana; non esistono infatti i numeri in natura. Quei modelli matematici, che egli chiama appunto Idee, devono risultare pertanto da un processo di reminiscenza con cui giungono a risvegliarsi gradualmente nel nostro intelletto. Come si può notare, questa concezione presuppone l'innatismo della conoscenza, la quale presuppone a sua volta l'immortalità dell'anima, o meglio la sua reincarnazione (o metempsicosi), dottrina che Platone riprende probabilmente dalla tradizione orfica e pitagorica. Secondo questa dottrina, una volta che l'anima umana si separi dal corpo in seguito alla morte ha la possibilità di tornare a contemplare l'Iperuranio, sede delle idee, per assorbirne la sapienza, prima di rinascere in un altro corpo. Chi è ritornato subito sulla terra si reincarnerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l'Iperuranio per un tempo più lungo rinasceranno come saggi e come filosofi. I primi saranno più facilmente soggetti all'oblio, ovvero alla dimenticanza e all'ignoranza, che li porterà a scambiare le apparenze sensibili per la vera realtà. I potenziali filosofi invece conserveranno dentro di sé qualche bagliore che, se opportunamente stimolato, potrà provocare in loro la scintilla del ricordo, attraverso intuizioni e lampi improvvisi, invitandoli alla ricerca della vera sapienza. Come Platone stesso suggerisce in numerosi passi, anche per i filosofi è impossibile recuperare completamente la reminiscenza del mondo delle Idee. La conoscenza della verità è propria solo degli dèi, che l'osservano sempre. I filosofi tuttavia non la desidererebbero con tanta forza se non l'avessero già vista prima di incarnarsi, e non fossero certi in qualche modo della sua esistenza. Il tema platonico dell'oblio si connette in proposito con quello di inconscio, nozione introdotta per la prima volta da Platone, che parla di saggezza offuscata, ma non cancellata del tutto. Si tratta di un oblio delle idee, rimaste sepolte e dimenticate nell'inconscio dell'anima, che è vissuto drammaticamente dal filosofo come una grave perdita. Egli descrive la triste condizione dell'oblio soprattutto nel mito della caverna, dove gli uomini sono condannati a vedere soltanto le ombre del vero, e condannano i pochi illuminati che, usciti fuori dalla caverna, intendono svelare loro la luce del sole Per il suo intrinseco valore romantico il concetto di oblio è stato sovente utilizzato in poesia, vi si trovano riferimenti in Petrarca («Passa la nave mia colma d'oblio»[3]) o in Foscolo («Involve tutte cose l'obblio nella sua notte»[4]), per il quale l'oblio è visto come un antagonista alla vita eterna che la poesia può garantire attraverso il ricordo delle persone e delle generazioni future. In tale contesto l'oblio assume un'accezione fondamentalmente negativa e diventa un nemico dell'uomo che aspira all'immortalità. Dante nel canto ventottesimo del Purgatorio fa riferimento all'oblio come passo necessario per passare dal luogo di purificazione delle anime, il Purgatorio appunto, al Paradiso. Bere l'acqua del fiume Lete, infatti, implica il dimenticarsi di tutti i propri peccati e diventa in questo contesto un passo necessario accedere ad una vita di superiore virtù. Friedrich Nietzsche considera l'oblio una necessità per ciascun uomo per conseguire la felicità. Le superiori capacità mnemoniche degli uomini sugli animali sono, per il filosofo, una delle cause di sofferenza, infatti: « La serenità, la buona coscienza, la lieta azione la fiducia nel futuro dipendono [...] dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto'. » (Citato da Sull'utilità e il danno della storia per la vita, seconda delle Considerazioni inattuali) Il concetto di oblio è collegato ad alcune funzioni specifiche della memoria. Sigmund Freud identifica l'oblio come una delle facoltà difensive della mente umana che tende a rimuovere contenuti mnemonici e pensieri ritenuti minacciosi, i quali rimangono inconsci e repressi. Hermann Ebbinghaus inoltre identifica la curva dell'oblio quale rappresentazione delle dinamiche di memorizzazione relazionate al tempo di ritenzione delle informazioni. I suoi studi sono alla base di alcune moderne tecniche di memorizzazione come la ripetizione dilazionata (da wikipedia).
Mi Buenos Aires Querido
a Julio Gerchunoff
a Julio Gerchunoff
Seduto al bordo di una sedia sfondata,
Ubriaco, malato, quasi vivo,
Scrivo versi previamente pianti
Per la città dove sono nato.
Ubriaco, malato, quasi vivo,
Scrivo versi previamente pianti
Per la città dove sono nato.
Bisogna catturarli.
Anche qui
Sono nati dolci figli miei
Che in tutto questo dolore ti addolciscono con bellezza.
Bisogna imparare a resistere.
Anche qui
Sono nati dolci figli miei
Che in tutto questo dolore ti addolciscono con bellezza.
Bisogna imparare a resistere.
Nè ad andarsene
Nè a rimanere.
A resistere.
Anche se di sicuro
Ci sarà ancor più dolore e oblio.
Nè a rimanere.
A resistere.
Anche se di sicuro
Ci sarà ancor più dolore e oblio.
La rosa blindada, Buenos Aires 1962
traduzione di Marco Castellani
traduzione di Marco Castellani
"Bisogna imparare a resistere.
RispondiEliminaNè ad andarsene
Nè a rimanere.
A resistere"
...fosse semplice :-/
Come non essere daccordo.
RispondiEliminaLuca...resistiamo!
Gujil