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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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lunedì 31 agosto 2009

A Cinque Lune da Nobegmor (XVII)

CAPITOLO XVII°


- ... è una storia veramente interessante - disse Arhiac a Gujil mentre passeggiavano sulle mura del castello.
Fecero alcuni passi in silenzio poi Arhiac si appoggiò al parapetto e gettò il suo sguardo oltre gli alti merli in direzione della sterminata foresta che cingeva la città.
La luna, alta nel cielo, irrorava di argentei riflessi ogni cosa esposta ai suoi deboli raggi.
- Sai Gujil - riprese Arhiac rivolgendosi al Principe - a volte ho paura e mi sveglio la notte sudata e tremante nel bel mezzo di un sogno; ed è sempre lo stesso che pare voglia affliggermi.
Sogno un cammino nel bosco ed all'improvviso ho di fronte una piccola gabbia dorata ed un piccolo uccello dal piumaggio tinto di meravigliosi colori cinguetta felice sul fondo di essa.
Io mi avvicino a guardare ed ecco che divento l'uccello e la gabbia trasforma le sue sbarre d'oro nelle mura di questo castello.
Poi, ogni volta, il sogno finisce e mi sveglio.
Una brezza leggera accarezzava i loro giovani volti.
Lei cercò di nascondere il viso allo sguardo di lui ma non vi riuscì.
Il Principe si accorse che stava piangendo, allora protese la sua mano ed asciugò con tenerezza quelle tiepide lacrime che scintillavano come diamanti al chiarore notturno.
Senza proferire parola Gujil la strinse forte a sé e lei si abbandonò sospirando a quel rassicurante abbraccio.
- Fa freddo qui fuori. - gli disse scossa da un brivido e Gujil sfilò dalle spalle il mantello e lo avvolse con cura attorno al corpo della Principessa.
- Vuoi che rientriamo? - le chiese allora il giovane Principe.
Arhiac assentì ed in pochi secondi furono nuovamente all'interno del castello.
Camminavano in silenzio e Gujil, di tanto in tanto, volgeva lo sguardo al dolce viso di Arhiac senza mai scorgervi la Benché minima traccia del più piccolo sorriso.
Le labbra di lei erano sempre serrate e tristemente inespressive.
Poco dopo giunsero alla soglia delle stanze della Principessa.
- ti prego, resta con me, - lei gli disse - è ancora lontano, dai miei occhi di stanotte, il potente richiamo del sonno e questa giovane notte è così tenera e lieve...
Disse e lo guidò con la mano quasi egli fosse un fragile bimbo e lui, docilmente la seguì fin dentro la stanza.
La porta si richiuse alle loro spalle.
La stanza era molto grande ma sobria ed elegante, non ostentava inutili ricchezze ma era arredata con gusto e praticità
Una preziosissima coperta di seta finissima ricopriva il letto di noce ai cui piedi era adagiato un grandissimo tappeto di damasco con ricamate scene campestri e di partite di caccia e di pesca.
Sopra il tappeto, in prossimità del letto, Gujil notò la presenza di un tavolino e due sedie.
- Voglio brindare con te a questa nostra nascente meravigliosa amicizia. - disse Arhiac distogliendo improvvisamente lo sguardo del Principe dal proprio assorto vagabondare in quei sottili misteri.
A quelle parole, Gujil portò istintivamente la mano a tastarsi il petto alla ricerca dell'ampolla di cui si era completamente scordato durante il ricevimento.
Il rassicurante contatto con essa gli fece trarre un profondo sospiro di sollievo.
Nel frattempo, ignara del tutto Arhiac aveva comandato ad una delle sue ancelle che venisse loro servito del vino.
Quando ogni cosa fu pronta, Principe e Principessa si sedettero l'uno di fronte all'altra e l'ancella versò loro da bere in due grandi calici d'oro massiccio dopodiché, inchinandosi, si congedò salutandoli ed uscì dalla stanza.
Gujil ed Arhiac rimasero soli.
Approfittando di un attimo di distrazione da parte della Principessa, Gujil versò velocemente l'intero contenuto dall'ampolla nel calice di lei che non si accorse di nulla.
Per molto tempo si fissarono a lungo, occhi negli occhi, senza dire parola alcuna, ascoltando la voce del proprio cuore che si ripercuoteva nella loro testa.
- Quanto tempo ho invano aspettato che qualcuno giungesse, oh Principe! - lei disse ai pensieri frastornanti e rapito do Gujil - tante notti da sola, passate a scorrere le immagini del sogno, quasi mi hanno fatto perdere ogni più tenue speranza.
Ma ora che tu sei qui, d'improvviso, questa mia stanza rischiara di una luce più forte di quella che le tante lingue di fuoco dei miei candelabri sanno produrre.
Narrami o Gujil, voglio sapere del mondo, degli uomini che vivono ed amano oltre gli sconfinati confini di Opoflop.
- No, non ora, mia dolcissima Arhiac, - disse il Principe a sua volta - non ora, mio piccolo e fragile fiore.
A suo tempo saprai.
Ora beviamo affinché questo nostro incontro sia come un suggello al realizzarsi dei nostri deboli ed importanti segreti.
Così a lei rispose il giovane Principe e, con mano un poco tremante, le porse la coppa dorata ricolma di vino.
Mentre il disegno sfumato e confuso delle loro ombre indecise danzava bizzarro sulle grandi pareti, Arhiac e Gujil bevvero in un'atmosfera di lento silenzio finché i loro calici non furono vuoti.
Un impercettibile sospiro di Arhiac ruppe l'incanto.
Sul viso emozionato di Gujil si accesero i bagliori della speranza.
Il Principe fece un timido tentativo di prendere, tra le proprie, la di lei mano, ma la Principessa si alzò.
Alloro a lui non rimase che osservarla, curioso e stupito, mentre lei muoveva i suoi corti e misurati passi verso l'imponente drappo che ricopriva la vetrata posta su di un lato della stanza.
Quando vi fu giunta la Principessa scostò i pesanti tendaggi che celavano ai loro occhi la visione dell'esterno poi, con gesto consumato da lungo tempo, Arhiac aprì la finestra.
Gujil venne investito dal gelido odore di una folata di vento che fece spegnere la fiamma di tutte le candele.
Il Principe, che d'istinto aveva prontamente serrato le palpebre, riaprì gli occhi e venne improvvisamente colpito da un luminosissimo raggio di luna che era rimbalzato sul vetro aperto.
Fu allora che vide; o almeno così si va raccontando ancora adesso.
Sul viso di Arhiac, pur'esso riflesso dal vetro, era ricomparso il sorriso creduto perduto ma, ai lati del suo volto specchiato, si materializza l'immagine oscura e sinistra di un uomo impiccato che dondolava lugubremente nel cuore della notte.
Nessuno seppe mai dire che cosa accadde con precisione.
Si sa che urlò il Principe di rabbia e di dolore squarciando, quasi fosse una tagliente lama, quel freddo silenzio e poi fuggì, come atterrito, da quella stanza.
Vagò Gujil, correndo per gli ampi saloni che il buio rendeva spettrali, per lunghi corridoi che mai pareva dovessero avere una fine.
Vagò con il fiato che gli strozzava la gola dolente finché una mano amica non bloccò la sua spalla ed interruppe quella folle lancinante corsa.
- Per di quà, mio Principe, svelto!
Ho già preparato nel cortile i nostri cavalli che frementi ci attendono.
Andiamo via ora! - disse Mizaurio.
Lo scudiero aiutò il frastornato e sconvolto suo Principe verso la più vicina uscita.

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