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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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sabato 16 maggio 2015

Habeas corpus

locuzione latina (abbi il tuo corpo) usata in italiano come sostantivo maschile. Istituto giuridico anglosassone di antichissima origine e tuttora vigente nell'ordinamento inglese e statunitense a tutela della libertà personale del cittadino. Consiste nell'ordine emanato dal giudice all'autorità di polizia di presentare entro un termine perentorio chiunque sia detenuto, indicando i motivi dell'arresto.
Alla base dell'habeas corpus
(parole con le quali inizia il testo della legge inglese relativa)
sta il diritto del cittadino di non essere imprigionato se il giudice competente non lo considera colpevole del reato per cui è stato fermato.
Coevo della Magna Charta, l'habeas corpus ricomparve nella Petition of Rights del 1628; nel 1679 fu promulgato l'Habeas Corpus Act, che sancì il principio della inviolabilità personale. Nella Costituzione italiana il rispetto di tale principio è garantito dall'art. 13, che limita i casi di violazione della libertà personale (dalla rete).
 

Habeas Corpus
                 
Tu hai il corpo, ossa e sangue,
peli e denti, unghie e occhi.
Tu hai il corpo - la pelle tesa
alla luce lunare, il mare che erode
i monti vuoti, il pelo
sul corpo elastico, eretto...
Un vento umido di pioggia
batte e sferza spighe d'orzo
e il lampo per un attimo
infiamma l'aria, poi svanisce;
e io ti dico che la memoria
della carne è reale come carne viva,

pietra che cade, fuoco che brucia...                 
Tu hai il corpo e il solare
broccato bruno e rosa nudo
corpo sposato, l'eterno suo
sangue che attende il verme e la sua ora.

                 
Traduzione di Francesco Dalessandro
Kenneth Rexroth
 
 
ormai in declino, lo guardo,
mi inseguo infelice, triste;
rasserena la mattina,
la luce mi vede al risveglio...

venerdì 15 maggio 2015

Riflesso

un sogno,
solo un sogno vorrei;
quasi sempre soltanto faville,
poi il fuoco,
i colori,
la luce,
ancora il buio...
 
 

giovedì 14 maggio 2015

Osservazione

sostantivo femminile
[dal lat. observatio -onis] - TRECCANI -
 
1. L’atto di osservare, sia per notare semplicemente (con o senza determinati fini) ciò che si può percepire con l’occhio, talora con l’aiuto di strumenti ottici, sia applicando la mente per formulare considerazioni su ciò che si vede, sia infine sottoponendo qualche cosa ad esame, a riflessione, a indagine di varia natura: questo è un ottimo luogo d’o.; un posto di vedetta che consente l’o. dall’alto; alla sua o. non sfugge nulla; strumenti d’o.; l’o. degli astri; o. a occhio nudo, o compiuta col microscopio, col telescopio. Con prevalente riferimento all’attività della mente, campo, materia d’o.; argomento degno di o.; spirito di o., la capacità di cogliere e ritenere non solo gli aspetti esteriori delle cose ma anche il carattere delle persone, la realtà di una situazione e, in genere, quanto nelle cose, nelle parole, in un’opera, è degno di esser notato e di diventare materia di considerazione.
- 2.
a. Nelle varie discipline scientifiche, la fase primaria dell’indagine, costituita dal complesso di operazioni necessarie per la rilevazione dei dati riguardanti lo svolgimento di un determinato fenomeno, in modo da renderne possibile la descrizione (qualitativa e quantitativa) e, in seguito, il riconoscimento; o. astronomica, meteorologica, geofisica, ecc., a seconda del tipo di fenomeno interessato.
b. In metrologia, il valore di una generica grandezza fisica, determinato sperimentalmente: o. diretta e o. indiretta, secondo che il valore della grandezza in esame sia misurato direttamente (cioè direttamente osservato), oppure sia indirettamente determinato mediante la misura di altre grandezze alle quali si trovi legato da relazioni note.
- 3. Con accezioni e usi specifici:
a. Nel linguaggio milit., attività di fondamentale importanza destinata a fornire, attraverso la visione diretta o indiretta del campo di battaglia e delle retrovie nemiche, notizie e informazioni atte a determinare le modalità d’azione idonee al conseguimento dello scopo prefisso: o. terrestre, effettuata da opportune postazioni terrestri (posti di o. o osservatorî); o. aerea, effettuata da bordo di aerei pilotati e, in tempi più recenti, teleguidati; o. visuale, compiuta con l’ausilio di strumenti ottici (binocoli, cannocchiali, ecc.); o. strumentale, che si serve di opportune apparecchiature elettriche o elettroniche; o. strategica, effettuata sulle più lontane retrovie nemiche, o. tattica, nelle immediate vicinanze del fronte, o. d’allarme, nella zona immediatamente antistante il proprio schieramento. In partic., in artiglieria, piano di o., piano verticale passante per il posto d’osservazione e per il segno dell’obiettivo; angolo di o., angolo acuto formato dal piano di direzione e dal piano di osservazione.
b. Nella pratica medica, tenere o trattenere un malato in o., sottoporlo a permanente controllo clinico allo scopo d’intervenire rapidamente in caso di necessità; con sign. più specifico, sottoporre un soggetto a un particolare studio clinico per stabilire se sia o no necessario un dato provvedimento medico-legale (per es., un eventuale esonero dal servizio militare).  
- 4. Con valore concr.:
a. Ciò che si fa (o si vuol fare) osservare o notare, quindi considerazione, appunto, giudizio più o meno critico: avrei da fare un’o. in proposito; mi si permetta un’o.; un’o. opportuna, inopportuna, acuta, intelligente, ovvia; ti prego di leggere l’articolo e di comunicarmi poi le tue o.; l’editore mi ha restituito il manoscritto con alcune o. in margine; il presidente ascoltò il resoconto e poi fece alcune osservazioni.
b. In opere a stampa, titoletto con cui si introduce una nota (o, al plur., una serie di note) di carattere esplicativo, critico e sim. c. Espressione di rimprovero o di biasimo non grave, rilievo di una scorrettezza o mancanza (reale o presunta) nel comportamento di qualcuno: è così suscettibile che alla minima o. si offende; mi fece un’o. perché ero arrivato in ritardo; è sempre pronto a fare osservazioni agli altri; non tollero osservazioni da nessuno.
- 5. ant. Adempimento di un dovere o di un obbligo, rispetto delle regole o prescrizioni (con il sign., quindi, proprio di osservanza).
 
◆ Diminutivo osservazioncèlla (nel sign. 4 a),
    meno comune osservazioncina
 


Osservazione
                 
Se non vado a passeggio per il parco,
nelle alte sfere potrò aprirmi un varco.
Se ogni sera alle dieci vado a letto,
non dovrò consumare il mio belletto.
Se gli stravizi riuscirò a evitare,
qualcuno forse potrò diventare.
Ma rimarrò quel che sono al presente,
perché non me ne importa un accidente.


Traduzione di Silvio Raffo
Dorothy Parker
Tanto vale vivere


  
presenti artefatti...passati,
le ali libere delle notti,
i corpi del giorno
e le mille facce...

mercoledì 13 maggio 2015

Non sapere, non volere...

Io non so più, io non voglio più

Io non so più da dove sia nata la mia collera;
ha parlato... e le sue colpe sono scomparse.
I suoi occhi imploravano, la sua bocca voleva piacere:
dove sei fuggita, mia timida collera?
Non lo so più.

Non voglio più guardare ciò che amo.
Non appena sorride, tutti i miei pianti svaniscono.
Invano, per forza o per dolcezza suprema,
l’amore e lui vogliono ancora che io ami;
io non voglio più.

Non so più evitarlo nella sua assenza;
tutti i miei giuramenti sono ormai superflui.
Senza tradirmi, ho sfidato la sua presenza;
ma senza morire sopportare la sua assenza
io non so più.
 
 

Je ne sais plus, je ne veux plus

Je ne sais plus d’où naissait ma colère;
Il a parlé... Ses torts sont disparus.
Ses yeux priaient, sa bouche voulait plaire:
Où fuyais-tu, ma timide colère?
Je ne sais plus.

Je ne veux plus regarder ce que j’aime.
Dès qu’il sourit, tous mes pleurs sont perdus.
En vain, par force ou par douceur suprême,
L’amour et lui veulent encor que j’aime;
Je ne veux plus.

Je ne sais plus le fuir en son absence;
Tous mes serments alors sont superflus.
Sans me trahir, j’ai bravé sa présence;
Mais sans mourir supporter son absence,
Je ne sais plus!
 
 Marcelina Desbordes Valmore
 
 
nell'intrico dei sentimenti
un aria nuova nell'ansia;
sapere, non sapere, intuire
e poi..?
 
 Marceline Desbordes Valmore
(1786-1859)
 
E' l’unica poetessa inclusa nella celebre antologia di Verlaine “I poeti maledetti”.
Fu particolarmente stimata da Charles Baudelaire, che la considerò la perfetta incarnazione della donna:
«Mme Desbordes-Valmore fu donna, fu sempre donna e non fu nient'altro che donna; ma ebbe un grado straordinario di espressione poetica intrisa di tutte le bellezze naturali della donna».  
Vissuta in miseria, rimasta orfana di madre a 16 anni, si dedicò al canto e al teatro. Studiò da autodidatta e a 22 anni pubblicò la sua prima raccolta di poesie. Conobbe lo scrittore Henry Latouche ed ebbe con lui una storia d'amore tormentata.Dalla relazione nacque un figlio, che morì in tenera età. Nel frattempo sposò Prosper Valmore, che la amò sinceramente, mentre l'amato Latouche non la ricambiava. Dal matrimonio nacquero quattro figli, di cui morirono tre. Morì di cancro (dalla rete).
 

martedì 12 maggio 2015

Assonanza

Assonanze
                 
Eccoti qui a riempire la giornata
di cose e di rammendi
da fare tra ferita e ferita
aspettando che finisca l'attesa
che arrivi la sorpresa d'un avviso
l'offerta d'una mano per carezzarti il viso
la voce d'un umano.
E la sera trascorre
per giungere alla sfera
del silenzio

nel tempio.


Lucio Mariani
Alla destra del mondo
 
 
diapason naturali
risuonano in testa
come corde d'arpa
o come ottoni;
la dinamica incalza
e la fatica aumenta...
 
 
L'assonanza (da assonare, nel senso di «avere suono simile») è un fenomeno di metrica che consiste nella parziale identità di suoni di due o più versi.
La forma più comune di assonanza è una rima imperfetta in cui le parole hanno le stesse vocali a partire dalla vocale accentata (vocale tonica), mentre le consonanti sono diverse, anche se spesso di suono simile, ma si possono distinguere diverse tipologie: assonanza semplice, quando coincidono soltanto le vocali (diffidi = audivi; rasone/colore) assonanza della sola tonica, quando coincide solo la vocale accentata (pieta/demandava)(puma/luna) assonanza atona, quando coincide la vocale non accentata (limo/toro) o la sillaba non accentata (mare/sere). consonanza tonica (o assonanza consonantica), quando coincidono le consonanti (partire = splendore; colle = elle).
L'assonanza è praticata soprattutto nelle canzoni popolari e nei proverbi (Aprile, dolce dormire), ma anche nelle opere più antiche della poesia romanza: le strofe di cui è costituita la Chanson de Roland, dette lasse, erano spesso assonanzate, e si possono trovare assonanze in alcune composizioni dei trovatori, così come nei più antichi testi spagnoli.
L'assonanza è impiegata spesso nella poesia del Novecento al posto della rima, ed è frequente nel linguaggio della pubblicità.
Talvolta accade che dei neologismi siano creati per semplice assonanza e non per derivazione etimologica. Il caso più recente quello del suffisso -poli, che deriva dalla parola greca pólis che vuol dire città. Questo suffisso, dal cosiddetto periodo denominato Tangentopoli, (letteralmente la città e, per estensione, il mondo, delle tangenti) viene utilizzato per indicare casi di corruzione o scandalo (vallettopoli, bancopoli, calciopoli ecc), erroneamente perché ad esempio vallettopoli letteralmente significa città delle vallette. Lo stesso fenomeno era accaduto, per gli scandali politici, dopo il caso del Watergate (cia gate, sexy gate, Iran gate ecc.). da wikipedia

lunedì 11 maggio 2015

Sguardo

Maurizio Cristofolini
- Sguardo di Medusa -
sostantivo maschile [der. di sguardare].
- TRECCANI -
 
1.
- a. L’atto di guardare: rivolgere uno s.; evitare lo s. di una persona, per timidezza, pudore o consapevolezza di colpa nei suoi riguardi; rispondere allo s., guardare a nostra volta chi ci guarda; non degnare di uno s., disprezzare; uno s. pieno di odio, e assol. uno s. di odio, di compassione. Frequenti le espressioni dare, gettare uno s., in cui è sottolineata la rapidità, la fretta con cui si guarda: dai uno s. a questo mio articolo e dimmi la tua impressione; gettò uno s. intorno per vedere se c’era qualcuno che lo conoscesse; com. anche la locuz. al primo s., subito, immediatamente, a prima vista: s’accorse al primo s. che suo fratello gli nascondeva qualcosa.
- b. Determinando il modo del guardare e il sentimento, lo stato d’animo espresso: s. benevolo, dolce, pietoso, tenero, sprezzante; uno s. fiero e leale; s. timidi, furtivi.
2. estens.
- a. L’esercizio della facoltà di guardare, la capacità visiva: fissare lo s.; Quante volte intendesti lo sguardo Nei deserti del duplice mar! (Manzoni); fin dove arrivava lo s. non vedeva che deserto; la città è un’enorme produzione di s. non richiesti (Antonio Pascale); anche, la vista, gli occhi stessi: alzare, sollevare, abbassare lo sguardo.
- b. Visuale, vista, veduta: dalla terrazza si gode un bellissimo s. sulla vallata; di qui bellosguardo, luogo da cui si gode un bel panorama, frequente come toponimo (per es. Bellosguardo, località e villa su una collina a sud-ovest di Firenze).
 
Un dialogo di sguardi
                 
Lasciati celebrare. Io non
ho conosciuto mai nessuna
più bella di te. Io cammino
al tuo fianco, ti guardo
muoverti al mio fianco, guardo
la quieta grazia della mano
e della coscia, guardo il tuo viso
cambiare espressione per parole
che non dici, guardo i tuoi occhi
severi rivolti a me o a te stessa,
lesti o lenti, pieni di sapienza,
guardo le tue labbra tumide

aprirsi sorridere o farsi serie,
guardo la tua vita sottile,
le natiche superbe nella loro
grazia, cigno che scivola sull'acqua,
un animale libero, come te,
che non si può sottomettere,
ma solo abbandonare, come io
a te, quando ascolto per caso
l'armonioso discorso d'impulso
e d'amore, fiducia e sicurezza
che pronunci mentre giochi
con le nostre bambine o le fai
mangiare. Io non ho conosciuto
mai una più bella di te.
                 
Traduzione di Francesco Dalessandro
Kenneth Rexroth
(La santità del reale)
 
 



ci si parla con gli occhi,
si dicono cose indicibili,
si arriva ad amare gli sguardi;
compresi? assolti?
nel vivere guardo lo sguardo...

domenica 10 maggio 2015

Riflesso e dolore

esitando riprendo,
antichi percorsi (vecchi forse),
gli inutili sforzi, le ansie,
i giorni di vento;
poi cado, stremato...
 
 
un augurio
a tutte le mamme,
alla mia
solo col pensiero,
vorrei riabbracciarla...

sabato 9 maggio 2015

Caleidoscopio

Caleidoscopio
(ca-lei-do-scò-pio)
sostantivo maschile (pl., pi)
 - Sabatini Coletti -

1 - Tubo corto e chiuso, nel quale pezzetti di vetro colorato vengono riflessi da specchietti angolati sistemati lungo l'asse longitudinale, in modo che, al ruotare del tubo, si formano svariate composizioni
2 - estens. Susseguirsi di immagini
Gioco ottico, che consiste in un tubo al cui interno sono posti longitudinalmente due o più specchi, che riflettono frammenti di vetro colorato generando piacevoli immagini geometriche, che cambiano continuamente ruotando il tubo; susseguirsi di immagini dall'inglese kaleidoscope, nome coniato dal suo inventore, sir David Brewster, nel 1817.
È composto dal greco kalós bello, eidos immagine e
- scopio elemento che indica apparecchi atti all'osservazione di qualcosa - dal greco skopéo osservare.
Il caleidoscopio è un oggetto tanto affascinante quanto inutile.
Grazie alle simmetrie generate dagli specchi che contiene, ponendo l'occhio a un'estremità del caleidoscopio si osservano visioni geometriche cangianti, più o meno complesse a seconda della raffinatezza dell'oggetto, del numero di specchi e dell'accortezza con cui i frammenti di vetro colorato vi sono posti dentro.
Girandolo, l'immagine ottenuta cambia sempre.
Possiamo intendere che fosse uno stimolante passatempo nell'Europa della Restaurazione, ma oggi non è che un aggeggio curioso.
Chi si mette mai a guardare un caleidoscopio?
Ad ogni modo, i caratteri di questo oggetto hanno permesso una fertile estensione dei significati attribuiti al suo nome: il caleidoscopio può diventare genericamente un susseguirsi fantasmagorico di immagini.
Il film fantastico è un caleidoscopio di ambientazioni suggestive, l'invettiva del vecchio al bar è un caleidoscopio di improperi, e la lezione del professore carismatico è un caleidoscopio di citazioni e collegamenti. Una varietà positiva e gradevole.
Inoltre, per caleidoscopio si può anche intendere una figura retorica (meglio individuata dal nome 'entrelacement'), che descrive una narrazione che progredisce intrecciando le storie di una moltitudine di personaggi: ad esempio, si può parlare del caleidoscopio dell'Orlando Furioso o delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.
Una parola che ci dice una cosa importante, che sir Brewster sapeva bene: la piacevolezza della vista è qualcosa da coltivare e apprezzare (dalla rete).
 
 
Caleidoscopio
 
Ruota e cambia figura
lo specchio costretto dell'anima,
un verde rianima luce riflessa
poi è fantasia di rossi,
un blu oltremare...
Lapislazzuli, attimi,
vagano alterne figure,
veloci,
rappresaglia di vita
costituiscono sogni
speranze,
rivolte;
poi la luce che scema
scurisce i contorni
e il colore si attenua.
 
Anonimo
del XX° Secolo
poesie ritrovate
 

venerdì 8 maggio 2015

Madrigale

[ma-dri-gà-le] s.m. - Sabatini Coletti -

  • 1 mus. Composizione polifonica, talvolta con accompagnamento strumentale, sviluppatasi tra il sec. XIV e il XVII
  • 2 Componimento poetico, generalmente breve, di tema amoroso e bucolico, tipico dei secc. XIV-XVII
 
Componimento poetico di origine italiana, basato sul modello metrico della ballata e dello strambotto, connesso in origine al canto a più voci, d’argomento prevalentemente amoroso a sfondo idillico, soprattutto pastorale. Tra i più antichi m. sono da ricordare quelli petrarcheschi. In origine lo schema prevedeva due strofe di tre versi ciascuna, variamente rimati, chiuse da una coppia di versi a rima baciata. Le varietà sono tuttavia numerose. Dal 16° sec. il m. si stacca dal canto e muta profondamente. Oltre all’endecasillabo viene ammesso il settenario e si afferma una grande varietà metrica. Anche l’ispirazione si allarga e abbraccia la politica, la morale, la filosofia. Nel 18° sec. il m. viene usato soprattutto per esprimere un complimento galante, spesso chiuso in un’arguzia; come tale ebbe fortuna presso gli Arcadi. Successivamente, nella sua forma antica, torna in uso presso poeti di gusto arcaizzante del 19° sec.: G. Carducci, S. Ferrari, G. D’Annunzio. 
Dal punto di vista musicale, il m. del primo periodo (14° sec.) si distingueva dalle altre forme dell’Ars nova, la caccia e la ballata, per esser meno descrittivo della prima e metricamente diverso dalla seconda. Di forma strofica, il m. trecentesco consisteva di due sezioni musicali (una per le strofe e una per il ritornello); era a 2 o 3 parti, di cui la superiore, più ricca melodicamente, predominava sulle altre (spesso affidata anche a strumenti). Come costruzione polifonica, la base, la parte più importante stava però nel tenor; il tessuto a più voci era svolto in uno stile omoritmico, talvolta con fioriture, ma sempre con grande aderenza della musica al testo (F. Landino). Il m. rinascimentale (16° sec.) era una forma esclusivamente vocale, di natura contrappuntistica. Dalle forme profane popolaresche contemporanee (frottole, strambotti, villotte ecc.) il m. aveva tratto alcune tendenze come la ritmica ben marcata, l’avvicendarsi di polifonia e omofonia, la predominanza della voce superiore, la possibilità di sostituire le voci inferiori con il liuto. Inizialmente a 4 o a 3 voci, il m. fu, dal 1550 circa, quasi sempre a 5 voci. Altra caratteristica importante fu la ricerca di un rapporto sempre più stretto tra parola e musica, tendendo questa a illustrare i significati e le più riposte sfumature del testo attraverso l’uso del cromatismo, del contrappunto e del timbro. Tra gli autori più noti di questo periodo si ricordano L. Marenzio, C. Gesualdo da Venosa, O. di Lasso e C. Monteverdi, che introdusse ritornelli strumentali e ideò il m. rappresentativo (il cui antecedente può essere costituito dal m. dialogico di O. Vecchi e A. Banchieri). 
- Enciclopedia TRECCANI -  

Madrigale

Padiglione di mandorli nel biondo
colore di febbraio è la campagna;
e al rapido infittirsi dei germogli
che traboccano, o in punto d'incarnarsi,
la voluttà mi afferra senza braccia.                 

L'immagine di lei si acciglia e ride
sotto un gioco di rondini, al suo collo
mobile di baleni accosto il labbro
e alla sua bocca, foglia di sibilla.
ma insiste per i campi un assiuolo
l'armonia di velluto, e fa un profumo
dal suo bruno languore misurato
la viola; io ripenso le sue dita
rosse all'estremità, petali intinti
di porpora, tracciare sulla sabbia
dei millenni il mio nome all'infinito.
 
Giovanna Bemporad
 
 
poetiche in disuso
le mie stanche frasi,
a fasi alterne vivo,
sopravvivo a me stesso...
 
 
Il termine è di origine incerta: ne è stata suggerita la derivazione da mandriale, in relazione al soggetto pastorale dei primi madrigali, oppure da madrigale, cioè “nella lingua madre”. Sono comunque due forme musicali distinte tra loro sia come epoche di formazione che come obiettivi.
Nella prima accezione, il madrigale è una delle forme poetico-musicali della cosiddetta “ars nova” italiana; come le altre forme di quella scuola, esso è uno dei primi esempi di musica polifonica profana, e veniva eseguito, come testimoniano le fonti letterarie, in liete riunioni di giovani, nelle case signorili o all’aria aperta.
Il madrigale di questa accezione fa la sua prima comparsa ufficiale con Giovanni Boccaccio, nientemeno. Infatti nel Decameron, alla fine di ognuna delle dieci giornate, il giovane di turno canta un madrigale, di soggetto amoroso-pastorale. Siamo nel secolo XIV, e tra le forme dell’ars nova, il madrigale è quella che meglio realizza l’ideale di eletta semplicità propria della borghesia fiorentina.
Nella seconda accezione, che si fa risalire al secolo XVI, il termine cominciò ad essere usato intorno al 1530 per indicare componimenti musicali molto simili alla frottola. È molto curioso l’evolversi delle parole e della loro valenza: oggi per frottola si intende un’espressione burlesca e non vera; nel secolo XIV era un componimento popolaresco di vario metro, fatto di pensieri bizzarri, motti sentenziosi, indovinelli che venne a trasformarsi in composizione polifonica vocale e strumentale.
Alla frottola si sostituisce il madrigale che acquista una maggiore dignità perché coinvolge più voci, viene osservato con interesse dai Palestrina e contemporanei e poi da essi stessi ottiene piena cittadinanza artistica. Verso la fine del secolo il madrigale incarna più di ogni altra forma musicale le esigenze di sentimentalità e di espressione degli affetti che caratterizzano il tardo Rinascimento.
Oltre al Palestrina, il maggiore autore di madrigali è Claudio Monteverdi (Cremona 1567 - Venezia 1643), che ne scrisse ben otto libri, rimasti celebri nella musica, di vastità sorprendente, straordinari come invenzione musicale, come soggetto, come allegoria.
Escludendo il madrigale rappresentativo monteverdiano, che viene a costituire un vero e proprio melodramma, il madrigale espresse nei suoi vari stili i più aristocratici ideali del rinascimento musicale, sia per la raffinatezza dei testi poetici, sia per l’elaborazione della scrittura, sia per l’intimo impegno dell’espressione.
Eseguito da pochi solisti che si sedevano attorno a una tavola, ognuno leggendo la propria parte su appositi libretti, il madrigale veniva di norma eseguito per il piacere di chi cantava e di pochi eletti ascoltatori.
Il carattere elitario del madrigale, soprattutto nella sua estrema fioritura, fu avvertito già dai contemporanei, che lo definirono anche musica riservata. Divenne poi, all’inizio del XVIII secolo, melodramma ad ogni effetto, ad esempio con Il combattimento di Tancredi e Clorinda, uno dei capolavori di Monteverdi, rappresentato in casa del conte Mocenigo a Venezia nel 1624. È la prima volta che, nei madrigali, alla forma rappresentativa si unisce lo stile concitato, traendo la fonte da un episodio della Gerusalemme liberata (dalla rete).

giovedì 7 maggio 2015

Oblio

L'oblio rappresenta la dimenticanza intesa come fenomeno non temporaneo, non dovuto a distrazione o perdita temporanea di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione del ricordo con un particolare accento sullo stato di abbandono del pensiero e del sentimento.
Da non confondersi con il concetto di amnesia, in quanto non condivide con questo la durata del fenomeno, tipicamente temporanea nell'amnesia, né il carattere di abbandono della volontà e del sentimento tipico dell'oblio.
Nella mitologia classica l'oblio è associato al Lete, ossia il fiume che conduce all'oltretomba tanto nella tradizione greca che in quella romana.
A questo fiume dovevano bere le anime dei defunti per cancellare i ricordi della loro vita terrena, oppure coloro che erano chiamati a rinascere per obliare quel che avevano visto nel mondo sotterraneo.
Bere l'acqua del fiume Lete, infatti, implica il dimenticarsi di tutti i propri peccati e diventa in questo contesto un passo necessario accedere ad una vita di superiore virtù.
Il concetto di oblio è collegato ad alcune funzioni specifiche della memoria. Sigmund Freud identifica l'oblio come una delle facoltà difensive della mente umana che tende a rimuovere contenuti mnemonici e pensieri ritenuti minacciosi, i quali rimangono inconsci e repressi. Hermann Ebbinghaus inoltre identifica la curva dell'oblio quale rappresentazione delle dinamiche di memorizzazione relazionate al tempo di ritenzione delle informazioni. I suoi studi sono alla base di alcune moderne tecniche di memorizzazione come la ripetizione dilazionata.

Il tempo e l'oblio hanno cancellato
 
Il tempo e l'oblio hanno cancellato
ormai quel sorriso d'incanto
gli anni hanno spento la freschezza
muffa e umidità sfigurano il volto.
Ma la ciocca di capelli di seta
ancora intrecciata sotto il ritratto
dice quale fosse un tempo quel viso
ne ritrae l'immagine alla memoria.
Bianca la mano che ha vergato quel verso
"Amore sappimi sempre fedele"
veloci correvano le belle dita
quando la penna tracciava quel motto.
 
Emily Bronte 
 

l tema dell'oblio è rintracciabile nella storia della filosofia a partire da Platone, il quale fonda interamente la sua dottrina sul concetto di anamnesi o reminiscenza delle idee. Le nostre conoscenze, secondo Platone, non derivano dall'esperienza, ma sembrano basarsi su forme e modelli geometrici che non trovano riscontro nella realtà fenomenica quotidiana; non esistono infatti i numeri in natura. Quei modelli matematici, che egli chiama appunto Idee, devono risultare pertanto da un processo di reminiscenza con cui giungono a risvegliarsi gradualmente nel nostro intelletto. Come si può notare, questa concezione presuppone l'innatismo della conoscenza, la quale presuppone a sua volta l'immortalità dell'anima, o meglio la sua reincarnazione (o metempsicosi), dottrina che Platone riprende probabilmente dalla tradizione orfica e pitagorica. Secondo questa dottrina, una volta che l'anima umana si separi dal corpo in seguito alla morte ha la possibilità di tornare a contemplare l'Iperuranio, sede delle idee, per assorbirne la sapienza, prima di rinascere in un altro corpo.
Chi è ritornato subito sulla terra si reincarnerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l'Iperuranio per un tempo più lungo rinasceranno come saggi e come filosofi. I primi saranno più facilmente soggetti all'oblio, ovvero alla dimenticanza e all'ignoranza, che li porterà a scambiare le apparenze sensibili per la vera realtà. I potenziali filosofi invece conserveranno dentro di sé qualche bagliore che, se opportunamente stimolato, potrà provocare in loro la scintilla del ricordo, attraverso intuizioni e lampi improvvisi, invitandoli alla ricerca della vera sapienza.
Come Platone stesso suggerisce in numerosi passi, anche per i filosofi è impossibile recuperare completamente la reminiscenza del mondo delle Idee.
La conoscenza della verità è propria solo degli dèi, che l'osservano sempre. I filosofi tuttavia non la desidererebbero con tanta forza se non l'avessero già vista prima di incarnarsi, e non fossero certi in qualche modo della sua esistenza.
Il tema platonico dell'oblio si connette in proposito con quello di inconscio, nozione introdotta per la prima volta da Platone, che parla di saggezza offuscata, ma non cancellata del tutto.
Si tratta di un oblio delle idee, rimaste sepolte e dimenticate nell'inconscio dell'anima, che è vissuto drammaticamente dal filosofo come una grave perdita.
Egli descrive la triste condizione dell'oblio soprattutto nel mito della caverna, dove gli uomini sono condannati a vedere soltanto le ombre del vero, e condannano i pochi illuminati che, usciti fuori dalla caverna, intendono svelare loro la luce del sole.
Per il suo intrinseco valore romantico il concetto di oblio è stato sovente utilizzato in poesia, vi si trovano riferimenti in Petrarca («Passa la nave mia colma d'oblio») o in Foscolo («Involve tutte cose l'obblio nella sua notte»), per il quale l'oblio è visto come un antagonista alla vita eterna che la poesia può garantire attraverso il ricordo delle persone e delle generazioni future. In tale contesto l'oblio assume un'accezione fondamentalmente negativa e diventa un nemico dell'uomo che aspira all'immortalità. Dante nel canto ventottesimo del Purgatorio fa riferimento all'oblio come passo necessario per passare dal luogo di purificazione delle anime, il Purgatorio appunto, al Paradiso. Bere l'acqua del fiume Lete, infatti, implica il dimenticarsi di tutti i propri peccati e diventa in questo contesto un passo necessario accedere ad una vita di superiore virtù.
Friedrich Nietzsche considera l'oblio una necessità per ciascun uomo per conseguire la felicità. Le superiori capacità mnemoniche degli uomini sugli animali sono, per il filosofo, una delle cause di sofferenza, infatti:
« La serenità, la buona coscienza, la lieta azione la fiducia nel futuro dipendono [...] dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto'. »
(Citato da Sull'utilità e il danno della storia per la vita, seconda delle Considerazioni inattuali) (da Wikipedia)


rimangono a volte sbiaditi,
i ricordi e le immagini;
i volti si contornano poco,
resta un'essenza e un profumo,
resta il sentore...