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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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giovedì 9 maggio 2013

Sera


La sera è una parte del giorno variamente definita a seconda delle culture, ma comunque incentrata sul periodo successivo al calare del sole.
Le ore serali sono convenzionalmente comprese nell'arco tra le 17:00 e le 21:00.
Esistono essenzialmente due definizioni del periodo serale: quella francese, utilizzata anche nella lingua italiana, indica la sera come il periodo intercorrente fra il tramonto e la mezzanotte, corrispondente all'ultimo quarto dell'ideale partizione delle 24 ore giornaliere; quella inglese invece, adottata anche nella lingua spagnola, indica la sera come il periodo in cui la luce diurna diminuisce, e si colloca tra il tardo pomeriggio, appena prima del tramonto del sole, e la notte fonda (da wikipedia).


Una sera

Un'aquila discese da quel cielo bianco d'arcangeli
E voi sostenetemi
Lascerete tremare a lungo tutte quelle lampade
Pregate pregate per me
La città è metallica ed è la sola stella
Annegata nei tuoi occhi blu
Quando i tranvai rotolavano scaturivano pallidi fuochi
Sopra uccelli rognosi
E tutto ciò che tremava nei tuoi occhi dei miei sogni
Che un sol uomo beveva
Sotto le luci a gas rosso come l'ovulo malefico
O vestita il tuo braccio si coglieva
Guarda l'istrione
fa la linguaccia alle attente
Un fantasma s'è suicidato
L'apostolo pende dal fico e lentamente saliva
Giochiamo dunque quest'amore ai dadi
Campane dal suono chiaro annunciano la tua nascita
Guarda
I sentieri sono fioriti e le palme avanzano
Verso di te.


Guillaume Apollinare


è tempo di pensare,

nel cuore, nel sonno,
è ora di dire, di dare
senza chiedere nulla...

mercoledì 8 maggio 2013

Poesia ritrovata



Non tralasciare
(a me)

Non tralasciare
cose apparentemente use
consegnano segni risaputi.
Non tralasciare
il consueto, il normale,
che è quello che colma.
Non tralasciare
di amarti, curarti,
di dirti sciocchezze.
Non tralasciare
i ricordi e le liti
e il sapore dei monti.
Non tralasciare
i confini morali,
le tracce silenti.
Il cuore è una teca
un sigillo, un cartiglio.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

martedì 7 maggio 2013

Poesia e riflesso

L'imbrunire


Cielo e Terra dicono qualcosa
l'uno all'altro nella dolce sera.
Una stella nell'aria di rosa,
un lumino nell'oscurità.
I Terreni parlano ai Celesti,
quando, o Terra, ridiventi nera;
quando sembra che l'ora s'arresti,
nell'attesa di ciò che sarà.
Tre pianeti su l'azzurro gorgo,
tre finestre lungo il fiume oscuro;
sette case nel tacito borgo,
sette Pleiadi un poco più su.
Case nere: bianche gallinelle!
Case sparse: Sirio, Algol, Arturo!
Una stella od un gruppo di stelle
per ogni uomo o per ogni tribù.
Quelle case sono ognuna un mondo
con la fiamma dentro, che traspare;
e c'è dentro un tumulto giocondo
che non s'ode a due passi di là.
E tra i mondi, come un grigio velo,
erra il fumo d'ogni focolare.
La Via Lattea s'esala nel cielo,
per la tremola serenità.

Giovanni Pascoli

Giovanni Segantini, Pantura sull'imbrunire, 1885
solo, senza sale
non sento rumore
solo silenzio...

lunedì 6 maggio 2013

Il pentolino magico

C'era una volta un contadino che aveva una figliola. Egli andava a giornata; la figliola filava stoppa o tesseva tela per conto delle vicine: così si guadagnavano la vita. Avvenne una gran siccità: nei campi non nacque un filo d'erba, e non ci fu più da lavorare per nessuno dei due. Avevano un gruzzoletto, messo prudentemente da parte nel buon tempo, e per parecchi mesi poterono tirare innanzi, vivendo quasi a pane e acqua. Il padre sospirava pensando all'avvenire; ma la ragazza, gioviale anche con la miseria, canticchiava da mattina a sera,come quand'era al telaio e con la rocca al fianco e lo stomaco pieno. Il padre brontolava: - Con che cuore canti? Ci rimane da mangiare appena per altri due giorni! - Quando sarò morta, non canterò più. - Mentre parlavano comparve sulla soglia una donna scarna, allampanata, che pareva il ritratto della fame. - Fate la carità, buona gente! - Siamo più miseri di voi, - rispose il padre. - Rivolgetevi altrove. La ragazza invece prese la pagnottella che doveva essere il suo desinare di quel giorno e la porse alla vecchia: - Mangiatela voi per me. - Grazie, figliola. Intascata la pagnottella, la vecchina cavò di sotto lo scialle unto e stracciato una padellina nuova di rame: - Tieni, figliola; non ho altro; forse ti servirà. E andò via. La ragazza si rimise a canterellare, picchiando con le nocche delle dita sulla padellina, che dava un bel suono; poi, per gioco, la posò sul focolare spento e, ridendo, disse al padre: - Che volete? Una costoletta? Una frittata? E non aveva ancora finito di parlare, che una fiammata si accese, e la padellina cominciò a friggere, spandendo attorno un odore che avrebbe risuscitato un morto. - Oh, che miracolo, figliola mia! Siamo ricchi! Nella padellina fumavano due costolette da bastare anche per quattro persone; e quando furono cotte, il fuoco si spense da sé. Metà ne mangiarono padre e figlia, metà ne spartirono tra le vicine più povere di loro. L'odore si sentiva per tutta la via. D'allora in poi, a ogni mezzogiorno, la ragazza metteva la padellina sul focolare spento e domandava al padre: - Che volete? Una costoletta? Una frittata? - Una frittata. E poco dopo la frittata era bell'e cotta da poter bastare fino per otto persone. Parte ne mangiavano padre e figlia, parte ne dividevano tra le vicine più povere di loro. L'odore si sentiva per tutta la via. La cosa fece scalpore. Le stesse vicine che ricevevano la carità cominciarono a ciarlare: come mai padre e figlia, con quella miseria, senza guadagno alcuno, se la scialavano a quel modo? Le ciarle giunsero fino all'orecchio del Re. Giusto in quei giorni la Regina s'era ammalata con un'inappetenza che non le permetteva di prendere nessun cibo, e i medici non sapevano come rimediarvi. La Regina avrebbe voluto qualcosa da ristorarla col solo odore, e il cuoco si stillava il cervello per accontentarla. Ma davanti alle pietanze più squisite, la Regina torceva il capo nauseata: - Portatele via; mi si rivolta lo stomaco. Il Re, che aveva sentito parlare del buon odore delle pietanze di quei contadini, disse ai medici: - Proviamo a far preparare il pranzo della Regina da costoro. Forse, per la stranezza, lo gradirà. E mandò a chiamare la ragazza. - Vuoi essere la cuoca della Regina? - Come piace a Vostra Maestà. - Vieni ad abitare nel palazzo reale. - A un patto, Maestà. In cucina, con me, dovrà stare soltanto mio padre. - Soltanto tuo padre. Giunta l'ora del desinare, la ragazza si presentò alla Regina: - Maestà, che volete? Una costoletta? Una frittata? - Una costoletta. La ragazza mandò via di cucina tutte le persone ch'erano a servizio del Re, dal cuoco allo sguattero, si chiuse a chiave dentro insieme col padre, e mise la padellina sul focolare spento: - Padellina, una costoletta! La Regina, all'odore della costoletta fumante nel piatto, si sentì ristorare: - Benedette le tue mani, ragazza mia! Mangiò con grand'appetito, come da più settimane non faceva, e in segno della sua gratitudine regalò alla ragazza una collana di brillanti. - Maestà, questa è una collana da regina, non da contadina mia pari. - Sei regina anche tu, regina di tutte le cuoche. E gliela mise al collo con le proprie mani. Ogni giorno, a ogni pranzo era un nuovo regalo; ora una spilla con un magnifico smeraldo, ora boccole di perle grosse come uova, ora un braccialetto finemente cesellato e tempestato di rubini. - Maestà, è ornamento da regina, non da contadina mia pari. - Sei regina anche tu, regina di tutte le cuoche. In corte non si ragionava che di quei mirabili pranzi; e i medici erano stupiti che il grave male della Regina fosse già guarito col semplice rimedio o d'una costoletta o d'una frittata, giacchè la padellina non dava altro. Un giorno il Reuccio entrò in camera della Regina che ella aveva appena terminato di mangiare l'ultimo boccone. - Che buon odore, Maestà! - Odor di costoletta, Reuccio. Un altro giorno: - Che buon odore, Maestà! - Odor di frittata, Reuccio. - Sempre le stesse cose, Maestà? - Sempre; ma ogni volta hanno un sapore diverso. - E come fa la vostra cuoca? - Lo sa lei. Il Reuccio entrò in grande curiosità, e volle andare in cucina per vederla lavorare. - In cucina dobbiamo starei soltanto mio padre e io. - Io sono il Reuccio! - Reuccio o non Reuccio, ho la parola di Sua Maestà; in cucina dobbiamo starei soltanto mio padre e io. Il Reuccio, indispettito, afferrò la padellina ch'era lì tutta affumicata e gliela strofinò sulla faccia, annerendogliela come quella d'una mora e se ne andò chiudendo la ragazza e il padre nella casa come prigionieri. Quel giorno, per caso, avevano da mangiare. Il giorno dopo però cominciarono a provar fame. Erano come murati in casa e non potevano nemmeno gridare al soccorso! - Ah, poveri noi! Morremo di fame. La padellina stava appesa a un chiodo, pulita e luccicante qual era rimasta dal momento che il Reuccio l'aveva strofinata sulla faccia della ragazza. La ragazza la guardava in cagnesco, con gli occhi pieni di lacrime, e si sentiva gorgogliare in gola: "Maledetta la padellina e chi me la dette!". La vide smuoversi e la sentì risonare come quando la prima volta vi aveva picchiato su con le nocche delle dita. La staccò dal chiodo, la posò sul focolare spento, e disse al padre: - Che volete? Una costoletta? Una frittata? Non aveva finito di parlare, che una fiammata si accese, e la padellina cominciò a friggere, spandendo attorno un odore che avrebbe risuscitato un morto. Padre e figlia, a una voce, esclamarono: - Benedetta la padellina e chi ce la dette! Corsero alla porta, ma il paletto non si poteva muovere; corsero alla finestra, ma il lucchetto era più duro del paletto. Intanto il buon odore delle pietanze si sentiva nella via. Il Re, saputa la cosa, mandò subito a prendere la ragazza. - Aprite, vi vuole Sua Maestà. - Non possiamo aprire; aprite voi. Il Re manda i fabbri per forzare la serratura o sfondare la porta; i fabbri tentano, ritentano, ma inutilmente. Manda allora i muratori per fare un gran buco nel muro; ma i picconi si spuntano, il muro par fatto di bronzo. La Regina agonizzava. Il Re avrebbe dato metà del suo regno pur di vederla risanare con le costolette e le frittate della padellina miracolosa. Che fare con quella serratura, con quella porta e con quel muro che resistevano a tutto? Un giorno finalmente la Regina chiude gli occhi e rimane immobile: la credono morta, e si leva un gran pianto per tutto il palazzo reale. Il Re, dalla disperazione e dal dolore, si strappava i capelli. A un tratto la Regina riapre gli occhi e dice: - Ho fatto un sogno. Mi pareva d'essere stata portata dietro la porta di quella casa, e che il solo odore delle pietanze m'avesse risanata. Maestà, voglio provare se il sogno è veritiero. I servitori presero il letto come una barella e portarono la Regina dietro la porta che non poteva aprirsi. - Regina delle cuoche, fammi sentire almeno l'odore delle tue pietanze, regina! Non rispose nessuno, e non si sentì odore di sorta. - Regina delle cuoche, fammi sentire almeno l'odore delle tue pietanze, regina! Non rispose nessuno, e non si sentì alcun odore. Il Re, quasi piangendo, gridò: - Regina delle cuoche, se fai sentire l'odore delle tue pietanze, sarai Regina per davvero. - Maestà, - disse un ministro, - che cosa vi e scappato di bocca! Parola di Re non va indietro. - E non andrà! Partano cento corrieri e vadano in cerca del Reuccio. - E se il Reuccio non vorrà sposarla? - L'adotterò per figliola, e sarà Reginotta. Si sentì subito un odore delizioso che si sparse per tutta la via. La Regina annusava e rinasceva da morte a vita. Annusavano il Re, i ministri, il seguito di corte, la folla pigiata nella via attorno al letto della Regina, e tutti si sentivano riempire lo stomaco, quasi avessero pranzato lautamente. Per parecchie settimane, nessuno pensò a fare spesa e ad accendere un fornello. Aspettavano che la Regina fosse portata col letto dietro la porta di quella casa, e appena l'odore delle pietanze cominciava a spandersi, si vedevano mille e mille nasi per aria annusare avidamente, e da lì a poco scoppiavano dei grand'Ah! di soddisfazione, come dopo un pranzo copioso. I corrieri reali eran partiti subito alla ricerca del Reuccio, ma le settimane passavano, nessuno di essi tornava, e l'odore intanto veniva meno di giorno in giorno, con gran terrore del Re e della Regina che non era ancora ristabilita in salute. La gente, preso gusto a quel genere di pranzo così buono e che non costava niente, malediva quegli stupidi corrieri incapaci di trovare il Reuccio. Una mattina, inaspettatamente, ecco uno dei corrieri e poi un altro e poi un altro, scalmanati, sfiniti. - Avete trovato il Reuccio? - Non l'abbiamo trovato. Due giorni dopo, ecco l'ultimo più scalmanato e più sfinito degli altri. - Hai trovato il Reuccio? - No, ma ho trovato chi sa dov'è. È un pastore che guarda le pecore laggiù, laggiù. Disse: "Indovinami prima quest'indovinello e poi saprai dov'è il Reuccio". Non l'ho indovinato e non me l'ha detto. - Che indovinello? Non ero nato per fare il pastore, Eppur dovevo mungere e tosare. - Bestia! È lui! - gridò il ministro, che di mungere e tosare se n'intendeva assai. - Conducimi dov'egli si trova. E partì insieme col corriere. Infatti era proprio lui. Ne aveva viste e patite tante, fino a essersi ridotto a fare il guardiano di pecore, che non gli pareva vero tornare Reuccio, anche a patto di sposare la regina delle cuoche. Appena arrivato, andò a picchiare alla porta che non si poteva aprire. - Sono il Reuccio. Invece della porta si aprì la finestra, e comparve la ragazza con la faccia nera e la padellina in mano; la padellina era affumicata. - Questa è la mia dote!? Chi mi vuole per mogliera Deve farsi la faccia nera. E se nera non la fa, D'onde viene se n'andrà. Il Reuccio esitava; non gli andava doversi impiastricciare di fumo al cospetto di tanta gente radunatasi alla notizia del suo arrivo. Poi si strinse nelle spalle, prese la padellina e, chiusi gli occhi, se la strofinò sulla faccia, tingendosi peggio di un moro. E mentre la sua anneriva, quella della ragazza ridiventava bianca come la cera. - Ora potete entrare. Infatti la porta si spalancò da sé, e il Reuccio trovò sulla soglia la ragazza vestita come una regina, con la collana, lo spillone, gli orecchini e i braccialetti regalatile quando faceva la cuoca; sembrava una regina nata, tanto era bella e dignitosa. Il popolo applaudiva: - Viva la Reginotta! Viva il Reuccio! E nello stesso tempo rideva, vedendo costui tutto impiastricciato a quel modo; ma rise per poco. La ragazza prese il grembiule, lo passò sulla faccia del Reuccio, e in men che non si dica gliela ripulì. Prima che si sposassero, la Regina era già bell'e guarita. Le feste delle nozze durarono un mese intero. - E della padellina che ne faremo? - disse il Reuccio. - Si faccia un bando: "Chi ha una padellina, venga a sfregarla con questa; friggerà da sé egualmente". Figuriamoci che cuccagna! Pareva tutti i giorni un festino. La gente si dava bel tempo, e all'ora del pranzo mettevano le padelline sui fornelli spenti: - Padellina, una costoletta! Padellina, una frittata! E tutte le padelline friggevano; la gente mangiava a ufo. Frittate e costolette avevano ogni volta un sapore diverso. Ma, purtroppo, chi non lavora non è mai contento!!? Cominciarono a brontolare: - Sempre costolette! Sempre frittate! La Fata che aveva regalato la padellina portentosa alla ragazza, in premio della carità da lei fatta, si sdegnò di quell'ingratitudine, e un bel giorno, anzi, un brutto giorno, prese di nuovo le sembianze di vecchina e si presentò alla Reginotta. - Sono quella della padellina. Brontolano: "Sempre costolette! Sempre frittate!". Ecco qui un'altra padellina che frigge diversamente. Strofinino le loro con questa e vedranno il miracolo. Corsero tutti, strofinarono, e si trovarono canzonati. Le padelline friggevano, sì, ma le pietanze erano più amare del veleno, e non si potevano mangiare. E per colpa di costoro non ci sono più al mondo padelline che friggano da se.

Jakob e Wilhelm Grimm

domenica 5 maggio 2013

Poesia e riflesso

il rapporto di Betocchi con la fede non è sempre troppo distante dalle ansie ermetiche, ossia dalla contorta e spesso irrisolta maniera novecentesca di problematizzare la relazione fra la carnale presenza umana e le entità metafisiche (o che dir si voglia: supreme, astrali), come dimostrerà il paragone fra l'ombra di una albatrella (che è una pianta e non un uccello) antropomorficamente semidormiente in campagna e le ingannevoli ombre umane. La poesia s'intitola Dell'ombra e ben chiarisce la meditazione di fondo dell'autore: gli uomini vivono esistenze umbratili, cariche d'ansia e di false irrequietudini; l'albatrella, invece, porta il messaggio di un'ombra pacificata con Dio e con lo scorrere dei giorni che Dio ha fatto e fa ad uso dell'uomo (dalla rete).

Dell'ombra

Un giorno di primavera
vidi l'ombra di un'albatrella
addormentata sulla brughiera
come una timida agnella.
Era lontano il suo cuore
e stava sospeso nel cielo;
nel mezzo del raggiante sole
bruno, dentro un bruno velo.
Ella si godeva il vento;
solitaria si rimuoveva
per far quell'albero contento
di fiammelle, qua e là, ardeva.
Non aveva fretta o pena;
altro che di sentir mattino,
poi il suo meriggio, poi la sera
con il suo fioco camino.
Fra tante ombre che vanno
continuamente, all'ombra eterna,
e copron la terra d'inganno
adoravo quest'ombra ferma.
Cosí, talvolta, tra noi
scende questa mite apparenza,
che giace, e sembra che si annoi
nell'erba e nella pazienza.

Carlo Betocchi


riflette il vetro l'ombra?
la fronte corruccia il senso
e ritorno lontano, ancora...

sabato 4 maggio 2013

Ancora una notte


Ancora una notte

Ancora una notte
piena di sonno e sogni
stringo più forte i pugni,
mi preparo alle botte.
Ancora una volta
ritrovo le cose più vere
ora vivo la svolta
nel ricordo di vivide sere.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate


One more night

One more night, one more night
I've been trying ooh so long to let you know
Let you know how I feel
And if I stumble if I fall, just help me back
So I can make you see

Please give me one more night, give me one more night
One more night cos I can't wait forever
Give me just one more night, oh just one more night
Oh one more night cos I can't wait forever

I've been sitting here so long
Wasting time, just staring at the phone
And I was wondering should I call you
Then I thought maybe you're not alone

Please give me one more night, give me just one more night
Oh one more night, cos I can't wait forever
Please give me one more night, ooh just one more night
Oh one more night, cos I can't wait forever
Give me one more night, give me just one more night
Ooh one more night, cos I can't wait forever

Like a river to the sea
I will always be with you
And if you sail away
I will follow you

Give me one more night, give me just one more night
Oh one more night, cos I can't wait forever
I know there'll never be a time you'll ever feel the same
And I know it's only words
But if you change your mind you know that I'll be here
And maybe we both can learn

Give me just one more night, give me just one more night
Ooh one more night, cos I can't wait forever
Give me just one more night, give me just one more night
Ooh one more night, cos I can't wait forever.

Phil Collins

venerdì 3 maggio 2013

Poesia e riflesso

La primavera

L’inverno aveva rinfrescato anche
il colore delle rocce. Dai monti scendevano,
vene d’argento, mille rivoletti silenziosi,
scintillanti tra il verde vivido dell’erba.
Il torrente sussultava in fondo alla valle tra
i peschi e i mandorli fioriti, E tutto ’era puro,
giovane, fresco, sotto la luce argentea del cielo.

Grazia Deledda


e conto anch'io
le foglie del noce,
quelle del fico
e arrivo dove non devo,
dove non voglio...

giovedì 2 maggio 2013

La rabbia

Che cos'è la rabbia? La rabbia è una emozione tipica, considerata fondamentale da tutte le teorie psicologiche poiché per essa è possibile identificare una specifica origine funzionale, degli antecedenti caratteristici, delle manifestazioni espressive e delle modificazioni fisiologiche costanti, delle prevedibili tendenze all'azione. Essendo un'emozione primitiva, essa può essere osservata sia in bambini molto piccoli che in specie animali diverse dell'uomo. Quindi, insieme alla gioia e al dolore, la rabbia è una tra le emozioni più precoci. Essendo l'emozione la cui manifestazione viene maggiormente inibita dalla cultura e dalle società attuali, molto interessanti risultano gli studi evolutivi, in grado di analizzare le pure espressioni della rabbia, prima cioè che vengano apprese quelle regole che ne controllano l'esibizione. Inoltre, la rabbia fa parte della triade dell'ostilità insieme al disgusto e al disprezzo, e ne rappresenta il fulcro e l'emozione di base. Tali sentimenti si presentano spesso in combinazione e pur avendo origini, vissuti e conseguenze diverse risulta difficile identificare l'emozione che predomina sulle altre. Moltissimi risultano essere i termini linguistici che si riferiscono a questa reazione emotiva: collera, esasperazione, furore ed ira rappresentano lo stato emotivo intenso della rabbia; altri invece esprimono lo stesso sentimento ma di intensità minore, come: irritazione, fastidio, impazienza. Da dove nasce la rabbia? Per la maggior parte delle teorie la rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica. Pur rappresentandone i denominatori comuni, la costrizione e la frustrazione non costituiscono in sé le condizioni sufficienti e neppure necessarie perché si origini il sentimento della rabbia. La relazione causale che lega la frustrazione alla rabbia non è affatto semplice. Altri fattori sembrano infatti implicati affinché origini l'emozione della rabbia. La responsabilità e la consapevolezza che si attribuisce alla persona che induce frustrazione o costrizione sembrano essere altri importanti fattori. Ancor più delle circostanze concrete del danno, quello che più pesa nell'attivare una emozione di rabbia sembra cioè essere la volontà che si attribuisce all'altro di ferire e l'eventuale possibilità di evitare l'evento o situazione frustrante. Insomma ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno, soprattutto quando viene percepita l'intenzionalità di ostacolare l'appagamento. Contro chi ci si arrabbia? L'emozione della rabbia può essere quindi definita come la reazione che consegue ad una precisa sequenza di eventi stato di bisogno oggetto (vivente o non vivente) che si oppone alla realizzazione di tale bisogno attribuzione a tale oggetto dell'intenzionalità di opporsi assenza di paura verso l'oggetto frustrante forte intenzione di attaccare, aggredire l'oggetto frustrante azione di aggressione che si realizza mediante l'attacco. Questo è quello che avviene in natura, anche se l'evoluzione sembra aver plasmato forti segnali che inducono la paura e di conseguenza la fuga, impedendo cosi l'aggressione dell'avversario. Nella specie umana, di solito, si assiste non solo ad una inibizione della tendenza all'azione di agg ressione e attacco ma addirittura al mascheramento dei segnali della rabbia verso l'oggetto frustrante. Nella specie umana, la cultura e le regole sociali a volte impediscono di dirigere la manifestazione e l'azione direttamente verso l'agente che scatena la rabbia. Tre possono quindi essere i fondamentali destinatari finali della nostra rabbia: oggetto che provoca la frustrazione un oggetto diverso rispetto a quello che provoca la frustrazione (spostamento dall'obiettivo originale) la rabbia può infine essere diretta verso se stessi, trasformandosi in autolesionismo ed auto aggressione. Come il corpo manifesta la rabbia? Per quanto siano estremamente forti le pressioni contro la manifestazione della rabbia, essa possiede una tipica espressione facciale, ben riconoscibile in tutte le culture studiate. L'aggrottare violento della fronte e delle sopracciglia e lo scoprire e digrignare i denti, rappresentano le modificazioni sintomatiche del viso che meglio esprimono l'emozione della rabbia. Tutta la muscolatura del corpo può estendersi fino all'immobilità. Le sensazioni soggettive più frequenti possono essere: la paura di perdere il controllo, l'irrigidimento della muscolatura, l'irrequietezza ed il calore. La voce si fa più intensa, il tono sibilante, stridulo e minaccioso. L'organismo si prepara all'azione, all'attacco e all'aggressione. Le variazioni psicofisiologiche sono quelle tipiche di una forte attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico, ossia: accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa e dell'irrorazione dei vasi sanguigni periferici, aumento della tensione muscolare e della sudorazione.
Gli studi sugli effetti dell'inibizione delle manifestazioni aggressive sembrano indicare che chi non esprime in alcun modo i propri sentimenti di rabbia tende a viverli per un tempo più lungo. Quali sono le funzioni della rabbia? Le modificazioni psicofisiologiche che si manifestano attraverso la potente impulsività e la forte propensione all'agire con modalità aggressive sono funzionali alla rimozione dell'oggetto frustrante. La rabbia è sicuramente uno stato emotivo che aumenta nell'organismo il propellente energetico utilizzabile per passare alle vie di fatto, siano queste azioni oppure solo espressioni verbali. La rimozione dell'ostacolo che si oppone alla realizzazione del bisogno può avvenire sia attraverso l'induzione della paura e la conseguente fuga sia mediante un violento attacco. Le numerose ricerche compiute sui comportamenti di specie diverse dall'uomo, hanno dimostrato che l'ira e le conseguenti manifestazioni aggressive sono determinate da motivi direttamente o indirettamente legati alla sopravvivenza dell'individuo e delle specie. Gli animali spesso attaccano perché qualcosa li spaventa oppure perché vengono aggrediti da predatori, per avere la meglio sul rivale sessuale, per cacciare un intruso dal territorio o per difendere la propria prole. Negli uomini invece, i motivi alla base di un attacco di rabbia riguardano maggiormente la frustrazione di attività che erano connesse con l'immagine e la realizzazione di sé. Lo scopo in questo caso sembra più rivolto a modificare un comportamento che non si ritiene adeguato. L'arrabbiarsi, motivando chiaramente le motivazioni dello scontento, sembra infatti essere una procedura per ottenere un utile cambiamento (dalla rete).


mercoledì 1 maggio 2013

Brindisi

Brindisi" deriva dallo spagnolo brindis, mutuato dal tedesco bring dir’s, cioè “lo porto a te", inteso il saluto. La parola prosit significa "sia utile, faccia bene, giovi!", o anche "sia a favore". Essa è una voce del verbo latino prodesse ("giovare, essere di vantaggio"): precisamente si tratta della terza persona singolare del congiuntivo presente. Cin cin ha origini cinesi: deriva infatti da ch’ing ch’ing ( pinyin: qǐng qǐng), che significa "prego, prego". Usato tra i marinai di Canton come forma di saluto cordiale ma scherzoso, fu esportato nei porti europei. In alcuni paesi attecchì subito per il suono onomatopeico al rumore prodotto dal battere due bicchieri tra loro. Nell'antica Grecia si usava declamare discorsi o versi poetici durante il brindisi e l'usanza richiedeva che le parole fossero improvvisate. Dal Seicento in poi, si diffuse il cosiddetto brindisi poetico e numerosi furono gli autori che se ne occuparono, da Chiabrera a Giovanni Mario Crescimbeni, per non parlare del Brindisi funebre carducciano.  
File:PS Krøyer - Hip hip hurra! Kunstnerfest på Skagen 1888.jpg
Il brindisi in un quadro di Peder Severin Kroye

L’ Encyclopædia Britannica, in merito all'origine dell'usanza, dice: "L’usanza di bere ‘alla salute’ dei vivi deriva molto probabilmente dall’antico rito religioso di bere in onore degli dèi e dei defunti. Ai pasti i greci e i romani versavano libagioni agli dèi, e ai banchetti cerimoniali bevevano in onore degli dèi e dei defunti", aggiungendo: "Il bere alla salute dei vivi dev’essere stato strettamente collegato a queste usanze che in sostanza equivalevano a libagioni". 
Un'opera più recente (1995) dice: "[Il brindisi] è probabilmente un vestigio religioso di antiche libagioni sacrificali in cui un liquido sacro veniva offerto agli dèi: sangue o vino in cambio di un desiderio, una preghiera riassunta con le parole 'lunga vita!' o 'alla salute'.
Prosit è un'esclamazione latina utilizzata all'atto del brindisi, il gesto che si fa alzando e toccando i bicchieri prima di bere. Brindare significa salutare o ricordare qualcosa o qualcuno, o augurare una buona sorte per un'impresa, un'azione. Il brindare è diffuso in tutto il mondo; variano ovviamente le esclamazioni usate (dalla rete).


Brindisi

Nulla, una schiuma, vergine verso
solo a indicare la coppa;
così al largo si tuffa una frotta
di sirene, taluna riversa.

Noi navighiamo, o miei diversi
amici, io di già sulla poppa
voi sulla prora fastosa che fende
il flutto di lampi e d'inverni;

una bella ebbrezza mi spinge
né temo il suo beccheggiare
in piedi a far questo brindisi

solitudine, stella, scogliera
a tutto quello che valse
il bianco affanno della nostra vela.

Stéphane Mallarmé






brindo alla vita,
alle cose in divenire,
bevo al presente,
al passato ci penso...


martedì 30 aprile 2013

Poesia e riflesso



La nonna


Tra tutti quei riccioli al vento,
tra tutti quei biondi corimbi,
sembrava, quel capo d'argento,
dicesse col tremito, bimbi,
sì... piccoli, sì...
E i bimbi cercavano in festa,
talora, con grido giulivo,
le tremule mani e la testa
che avevano solo di vivo
quel povero sì.
Sì, solo; sì, sempre, dal canto
del fuoco, dall'umile trono;
sì, per ogni scoppio di pianto,
per ogni preghiera: perdono,
sì... voglio, sì... sì!
Sì, pure al lettino del bimbo
malato... La Morte guardava,
La Morte presente in un nimbo...
La tremula testa dell'ava
diceva sì! sì!
Sì, sempre; sì, solo; le notti
lunghissime, altissime! Nera
moveva, ai lamenti interrotti,
la Morte da un angolo... C'era
quel tremulo sì,
quel sì, presso il letto... E sì, prese
la nonna, la prese, lasciandole
vivere il bimbo. Si tese
quel capo in un brivido blando,
nell'ultimo sì.

Giovanni Pascoli
(Canti di Castelvecchio)


i seni vuoti
ed il cuore grande,
la testa ormai pesante
e i ricordi passati...