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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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giovedì 22 marzo 2012

Confidare

confidare[con-fi-dà-re] v.• v.tr. [sogg-v-arg-prep.arg] Rivelare qlco. a qlcu. fidandosi della sua discrezione: c. un segreto a un amico; anche con l'arg. diretto espresso da frase (introd. da che, di): gli confidò che si era innamorato; mi ha confidato di aver avuto paura
• v.intr. (aus. avere) [sogg-v-prep.arg] Avere fiducia in qlcu. o qlco.: c. in Dio; con arg. espresso da frase (introd. da di, che), sperare di riuscire a fare qlco.: confido di partire presto; confidava che sarebbe arrivato in tempo
• confidarsi
• v.rifl. [sogg-v-prep.arg] Comunicare i pensieri e i sentimenti più intimi a qlcu. di cui ci si fida: c. con la mamma (dalla rete).


Confidare

Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.

Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.

Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.

Antonia Pozzi
8 dicembre 1934


mercoledì 21 marzo 2012

Poesia e riflesso di primavera

Dialoghi di primavera

Il bimbo dice:
« Quel vostro nido è piccolo,
rondini come fate?
I vostri figli crescono
e ormai più non ci state! »
Le rondini:
«Ci stiamo, sì! Stringendoci
così tutti vicini;
stanno più caldi e morbidi
i nostri rondinini;
poco posto si tiene,
quando ci si vuoI bene! »

Lina Schwarz


incubi notturni non frenano
la voglia che in me dilaga
di sole, di luce e colori;
un attimo di respiro pieno
e saluti di uccelli nell'aria...

martedì 20 marzo 2012

Angoscia

Quasi tutti hanno conosciuto in un certo momento della loro vita quel sentimento spiacevole di apprensione per un qualcosa d’indefinito e indefinibile. E’ proprio l'indefinitezza, il non riuscire a dare un senso logico e razionale alla propria apprensione che caratterizza il sentimento dell’angoscia. In alcuni momenti questi stati di apprensione possono avere delle impennate improvvise e, apparentemente, ingiustificate, dando luogo alle cosiddette “crisi d’ansia”. Quando ciò accade, il quadro ansioso si complica con l’insorgenza di svariati sintomi quali un aumento del battito cardiaco, sudorazione, dispnea, l’impressione di perdere la conoscenza e, tra tutti i sintomi il più spiacevole, quello di essere sul punto di morire.
Nei primi tentativi di dare un significato al sentimento dell’angoscia, già in ambiti filosofici, l’angoscia era presentata come la minaccia all’integrità del Sé. Quando si percepisce soltanto la minaccia, si può parlare di ansia normale, quando, invece, si ha l’impressione che sia in atto un processo di dissoluzione del Sé, è il caso di parlare di ansia neurotica. Occorre distinguere, ancora, tra paura ed ansia. Nel primo caso la minaccia è riferita ad un qualcosa di esterno e oggettivo, nel secondo caso, ad un pericolo interno, irrazionale e inconscio, che il soggetto non è in grado di spiegare.
 Nell’uomo c’è una fisiologica e, quindi, normale preoccupazione della propria condizione esistenziale. Questa preoccupazione viene dalla consapevolezza dei propri limiti. E così, l’idea della morte o della malattia o che il Caso possa portarci in qualche situazione di vita impegnativa dalla quale si può uscire sconfitti, porta ad un senso di fragilità che sfocia, inevitabilmente, nel sentimento dell’angoscia.
Ciò che ad un uomo interessa più di qualsiasi altra cosa è sfuggire alla morte vissuta non soltanto come morte fisica ma come dissoluzione del proprio Sé.
Quale che sia il modello teorico interpretativo che si voglia scegliere per dare un senso all’angoscia, appare evidente che il sintomo sottenda una psicodinamica complessa nei suoi significati, non del tutto chiarita nei suoi aspetti epistemologici, impegnativa per il paziente. Se un essere umano si allontana da un principio che è biologico prima ancora che psicologico, contrasta la naturale tendenza dell’Io a cercare il piacere, preferendo di andare incontro al dispiacere, è verosimile pensare che la posta in gioco sia molto alta. Di là dai fraintendimenti e dalla distorsione neurotica dei fatti psichici, la ricerca di un equilibrio psichico fittizio non esprime evidentemente una difesa generica, nei confronti di un qualche pericolo più o meno grave, ma è specificamente correlata al bisogno di conservare la propria integrità minacciata da un senso di annichilimento che, prima ancora che doloroso, è percepito, appunto, con terrore. E a ragione. Un Io destrutturato, non solo, avrebbe difficoltà ad affrontare i compiti della vita ma, cosa ancora più grave, potrebbe non riuscire a sopravvivere. In questo senso, si può capire come l’idea della morte, percepita, come abbiamo già detto, non solo come morte fisica quanto soprattutto come dissolvimento del Sé, scomparsa, alienazione, basta e avanza per spingere un essere umano a cercare qualsiasi strategia possibile per sfuggire a questo rischio mortale. Che poi, nella realtà, le cose non siano esattamente così, il rimedio sia peggiore del male, è cosa evidente per tutti quelli che non sono rimasti impigliati nella psicodinamica che abbiamo descritto. Ma per il paziente non ci sono argomentazioni e rassicurazioni convincenti. Sarà compito di una psicoterapia, capace di andare in profondità, quello di convincere il paziente a confrontarsi con i suoi fantasmi, evocarli e mandarli via o, al peggio, come diceva Oscar Wilde, farli danzare (dalla rete).



ANGOSCIA

Non vengo questa sera per il tuo corpo, o bestia
Che i peccati d'un popolo accogli, né a scavare
Nei tuoi capelli impuri una triste tempesta
Sotto il tedio incurabile che versa il mio baciare:

Chiedo al tuo letto il sonno pesante, senza sogni,
Librato sotto il velo segreto dei rimorsi,
E che tu puoi gustare dopo le tue menzogne
Nere, tu che del nulla conosci più che i morti.

Poi che il Vizio, rodendomi l'antica nobiltà,
M'ha come te segnato di sua sterilità;
Ma mentre nel tuo seno di pietra abita un cuore

Che crimine o rimorso mai potrà divorare,
Io pallido, disfatto, fuggo col mio sudario,
Sgomento di morire se dormo solitario.

Stephane Mallarmè

lunedì 19 marzo 2012

Anima

Ho trovato girovagando nel WEB un sito
che contiene favole e fiabe,
attingerò di tanto in tanto quelle che mi piacciono
e le proporrò in una sorta di intervallo virtuale
tra poesie e pensieri,
tra frammenti e riflessi.
Non ho potuto raccogliere maggiori informazioni
sull'autore che cito con il suo nome d'arte,
Darkfanio.
La fiaba è assai carina.


Anima

Buttato nell’angolo, quel violino viveva accantonato dal mondo. Nato pezzo di legno, solo tale si sentiva. Nessuno spirito, nessun’anima e nessuna utilità, solo un pezzo di legno al quale era stata data una forma.
Ogni giorno osservava il mondo che lo circondava e soprattutto gli uomini ai quali invidiava di provare sentimenti di gioia o di dolore, di poter ridere o piangere, insomma, di essere vivi.
Anche un’arpa, nello stesso istante, provava le stesse emozioni. Qualcuno le aveva dato quella forma armonica, per lasciarla inutilizzata facendola sentire un oggetto privo di scopo. 
In un’altra casa, un mandolino rimirava allo specchio le sue forme bombate, il suo manico ben modellato e osservava gli uomini intorno a sé vivere e comunicare mentre quello che lui comunicava a se stesso era solo un grande senso di vuoto…perché qualcuno l’aveva creato?
Un giorno, Jenny rincaso’ particolarmente triste, vide quell’oggetto buttato lì nell’angolo. Un violino…..lo prese e sfioro’ una delle sue corde….che suono malinconico ne scaturì!
“Ehi – pensò il violino – “sono io a produrre questo suono, quale magia! Forse è questa la mia anima…e quanta malinconia c’è, e quanta solitudine, in fondo all’anima di chi mi sta suonando!”.
In un’altra casa, Astrid rincasò con il cuore che era un battito convulso, un battito d’amore. Fece una di quelle cose senza senso che si fanno quando si è innamorati: prese l’arpa, che era sempre rimasta buttata lì per terra, e provò a suonarla. Un suono dolce ne scaturì, riempendo di struggente poesia il suo cuore pieno d’amore ma ancora solo.
L’arpa capì finalmente a cosa servivano quelle strane corde montate tra la sua testa e i suoi piedi e mentre quei fantastici suoni scaturivano da lei, non si sentì più così vuota.
Saturo di felicità, Mario rincasava, afferrava il mandolino (che strano e inutilizzato strumento!) mettendosi a suonare e a ballare una tarantella.
“Forse sono nato per dare gioia”—pensò il mandolino—“per riempire la mia e di altri anima, di serenità."
Nei giorni successivi, i proprietari degli strumenti, si conobbero, grazie a quei giochi che il destino spesso fa con gli uomini. I progetti di ognuno si fusero e nacque un gruppo e mentre i musicisti stringevano amicizie per la vita anche gli strumenti scoprirono cosa vuole dire amore reciproco.
Suonano spesso tutti insieme e quando li vai ad ascoltare, se ascolti bene, ma proprio bene, in quella melodia di suoni e emozioni fuse tra loro puoi vedere con gli occhi dell’anima il tuo paradiso (Darkfanio, dalla rete).

domenica 18 marzo 2012

Poesia e riflesso

Fissità

Da me a quell'ombra in bilico tra fiume e mare
solo una striscia di esistenza
in controluce dalla foce.
Quell'uomo.
Rammenda reti, ritinteggia uno scafo.
Cose che io non so fare. Nominarle appena.
Da me a lui nient'altro: una fissità.
Ogni eccedenza andata altrove. O spenta.

Vittorio Sereni



risapute ombre si affacciano
alle soglie delle cose più vane
nel percorrere fantasiosi riscontri
riperdo il contesto e mi fermo;
il pensare si pesa alle voglie
che irrorano ancora il mio volto...

sabato 17 marzo 2012

Poesia e riflesso

NEL FOGLIAME ROSSO DI CHITARRE PIENO...

Nel fogliame rosso di chitarre pieno
sventola delle fanciulle la gialla chioma
allo steccato dove girasoli stanno.
Tra nuvole passa un carro dorato.

Nella pace di ombre brune tacciono
i vecchi che si abbracciano tonti.
Gli orfani dolcemente il vespro cantano.
Nei vapori gialli ronzano le mosche.

Al ruscello ancora fanno il bucato le donne.
Gli appesi panni ondeggiano.
La piccina che mi piacque a lungo,
di nuovo ritorna nel grigio della sera.

Dal cielo tiepido precipitano
rondini in verdi buchi di putrescenza pieni.
All'affamato illude guarigione
un profumo di pane e di aspre spezie.

Georg Trakl

 
Alexis Auguste Delahogue, Carovana nel deserto

lontane isole del nulla
sfidano le nebbie della mente
in un diminuito bisogno di senso
come ancestrale richiamo;
flebili suoni ovattano
le grida in lontananza;
dov'è la mia vita?
cos'è questo umore?
dolente note rintoccano
le vie della sete,
le strade di Damasco
e le città morte della Siria...

venerdì 16 marzo 2012

I giardini di Marzo

come facesse Lucio Battisti
a gridare sottovoce "gelati"
è sempre stato uno dei miei
grandi dubbi amletici...
battute a parte
questa canzone è nel nostro
immaginario collettivo da tempo
e queste belle giornate di sole
mi paiono adatte per postarla,
buon ascolto...



I giardini di Marzo

Il carretto passava e quell'uomo gridava gelati
al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti
io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti
il più bello era nero coi fiori non ancora appassiti
All'uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri
io restavo a guardarli cercando il coraggio per imitarli
poi sconfitto tornavo a giocar con la mente i suoi tarli
e alla sera al telefono tu mi chiedevi perché non parli
Che anno è che giorno è
questo è il tempo di vivere con te
le mie mani come vedi non tremano più
e ho nell'anima
in fondo all'anima cieli immensi
e immenso amore
e poi ancora ancora amore amor per te
fiumi azzurri e colline e praterie
dove corrono dolcissime le mie malinconie
l'universo trova spazio dentro me
ma il coraggio di vivere quello ancora non c'è
I giardini di marzo si vestono di nuovi colori
e le giovani donne in quei mesi vivono nuovi amori
camminavi al mio fianco e ad un tratto dicesti "tu muori
se mi aiuti son certa che io ne verrò fuori"
ma non una parola chiarì i miei pensieri
continuai a camminare lasciandoti attrice di ieri
Che anno è che giorno è
questo è il tempo di vivere con te
le mie mani come vedi non tremano più
e ho nell'anima
in fondo all'anima cieli immensi
e immenso amore
e poi ancora ancora amore amor per te
fiumi azzurri e colline e praterie
dove corrono dolcissime le mie malinconie
l'universo trova spazio dentro me
ma il coraggio di vivere quello ancora non c'è

Mogol-Battisti

giovedì 15 marzo 2012

Feritoia su poesia e riflesso

La feritoia è un'apertura presente nelle mura delle fortificazioni (ma anche, in senso più generale, nei veicoli blindati) pensata per colpire il nemico rimanendo al riparo.
Generalmente le feritoie sono caratterizzate da una stretta fessura, verticale, orizzontale o a forma di croce, che progressivamente si allarga verso l'interno allo scopo di permettere sufficiente spazio di manovra al tiratore che la utilizza. Dato il tipico spessore delle mura, infatti, non sarebbe altrimenti possibile ruotare lateralmente o inclinarsi verticalmente per tenere sotto tiro una vasta area esterna.
Allo sviluppo delle armi da lancio durante il medioevo corrispose la diffusione della feritoia che affiancò le caditoie non più in grado di assicurare un'adeguata difesa. Grazie a questa fenditura gli assediati avevano la possibilità di colpire il nemico anche a distanza con archi e balestre senza esporsi.
Inizialmente le feritoie erano spesso usate anche ai piani inferiori, più vicine al terreno, ma in seguito si capì che la loro presenza alla base della fortificazione suggeriva chiaramente al nemico l'esistenza di punti deboli causati dal corrispondente assottigliamento delle mura. In questo modo agli assedianti veniva implicitamente indicato il luogo dove scavare gallerie sotterranee fino alle fondamenta della fortificazione, con l'intento di far crollare le mura stesse (tecnica della mina).
Con l'avvento delle armi da fuoco le feritoie rettangolari vennero sostituite da quelle a forma circolare più adatte ad archibugi e moschetti.
In epoca più recente le feritoie hanno dato il loro contributo alla difesa di bunker e fortificazioni moderne offrendo protezione alle mitragliatrici di posizione o, su scala maggiore, ad artiglierie più pesanti (da wikipedia).

SOGNO D'OMBRA

Rantolo d'avo, rantolo d'infante.
Par l'uno il cigolìo d'un abbaino
a cui percuota l'aquilone errante:

l'altro e come a fior d'acqua un improvviso
vanir di bolla, donde un cerchiolino
s'apre ogni volta e scivola nel viso.

Vissero. Quanto? le pupille fisse
chiedono. Uno la gente di sua gente
vide; l'altro, non sé. Ma l'uno visse
quello che l'altro: un sogno d'ombra, un niente.

Giovanni Pascoli
Myricae


lunghe feritoie del buio
invitano a luoghi e distese
in cui essere liberi, vivi;
nel quantum del tempo
ritrovo lo spazio e storno
dal viso le ombre notturne...

mercoledì 14 marzo 2012

Poesia e riflesso

Farfalle

Se piove
non vedi farfalle
volare, nel piano.
Scomparse, nascoste ....Ma dove?
Dentro le primule gialle,
nel calice del tulipano...
Farfalle di cento colori
trovan rifugio nei fiori.

Rabindranath Tagore


e nel volo leggero risveglio
voglia di colorati spazi
circondati da vento e profumi;
come un nulla di speme
riesco a dardeggiare
i miei alati riflessi argentati...

martedì 13 marzo 2012

While my guitar gently weeps

While my guitar gently weeps

I look at you all
see the love there that’s sleeping
While my guitar gently weeps
I look at the floor
and I see it need sweeping
Still my guitar gently weeps
I don’t know why nobody told you
how to unfold you love
I don’t know how someone controlled you
they bought and sold you
I look at the world and I notice it’s turning
While my guitar gently weeps
With every mistake we must surely be learning
Still my guitar gently weeps
I don’t know how you were diverted
you were perverted too
I don’t know how you were inverted
no one alerted you
I look at you all see the love there that’s sleeping
While my guitar gently weeps
I look at you all
Still my guitar gently weeps
Oh oh oh
oh oh oh oh oh oh oh
oh oh oh oh oh oh
Yeah yeah yeah yeah
yeah yeah yeah yeah

George Harrison



Mentre la mia chitarra piange dolcemente

Ti guardo tutta
vedo l’amore lì che dorme
Mentre la mia chitarra piange dolcemente
Guardo il pavimento
e vedo che ha bisogno di essere spazzato
La mia chitarra piange dolcemente, ancora
Non so perché nessuno t’abbia detto
Come spiegare il tuo amore
Non so come qualcuno ti abbia controllata
Ti hanno comprato e venduto
Guardo il mondo e mi accorco che sta girando
Mentre la mia chitarra piange dolcemente
Con tutti gli errori da cui sicuramente dovremo imparare
La mia chitarra piange dolcemente, ancora
Io non so come tu sia stata dirottata
eri pervertita anche tu
Non so come tu sia stata invertita
nessuno ti avvisato
Ti guardo tutta, vedo l’amore lì che dorme
Mentre la mia chitarra piange dolcemente
Guardo il pavimento
La mia chitarra piange dolcemente, ancora
Oh oh oh
oh oh oh oh oh oh oh
oh oh oh oh oh oh
Yeah yeah yeah yeah
yeah yeah yeah yeah

George Harrison