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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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giovedì 20 ottobre 2016

Aquilone (a T. con amore)

L'aquilone è un oggetto più pesante dell'aria vincolato a terra da un filo, che può volare sfruttando la forza di portanza generata dal vento. Il vento può anche essere virtuale, cioè prodotto dalla camminata all'indietro del pilota.
Gli aquiloni sono stati spesso citati in poesia, il loro volo leggero, i loro colori sgargianti hanno sempre dato una sensazione di leggerezza e positività.
Vorrei pensare che le anime grandi possano assomigliare agli aquiloni nel cielo.



L'aquilone
 
 C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
 anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
 che sono intorno nate le viole.
 
 Son nate nella selva del convento
 dei cappuccini, tra le morte foglie
 che al ceppo delle quercie agita il vento.
 
 Si respira una dolce aria che scioglie
 le dure zolle, e visita le chiese
 di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
 
 un'aria d'altro luogo e d'altro mese
 e d'altra vita: un'aria celestina
 che regga molte bianche ali sospese...
 
 sì, gli aquiloni! È questa una mattina
 che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
 tra le siepi di rovo e d'albaspina.
 
 Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
 d'autunno ancora qualche mazzo rosso
 di bacche, e qualche fior di primavera
 
 bianco; e sui rami nudi il pettirosso
 saltava, e la lucertola il capino
 mostrava tra le foglie aspre del fosso.
 
 Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
 ventoso: ognuno manda da una balza
 la sua cometa per il ciel turchino.
 
 Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
 risale, prende il vento; ecco pian piano
 tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
 
 S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
 come un fiore che fugga su lo stelo
 esile, e vada a rifiorir lontano.
 
 S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
 petto del bimbo e l'avida pupilla
 e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
 
 Più su, più su: già come un punto brilla
 lassù lassù... Ma ecco una ventata
 di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
 
 Sono le voci della camerata
 mia: le conosco tutte all'improvviso,
 una dolce, una acuta, una velata...
 
 A uno a uno tutti vi ravviso,
 o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
 su l'omero il pallor muto del viso.
 
 Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
 e piansi: eppur, felice te che al vento
 non vedesti cader che gli aquiloni!
 
 Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
 solo avevi del rosso nei ginocchi,
 per quel nostro pregar sul pavimento.
 
 Oh! te felice che chiudesti gli occhi
 persuaso, stringendoti sul cuore
 il più caro dei tuoi cari balocchi!
 
 Oh! dolcemente, so ben io, si muore
 la sua stringendo fanciullezza al petto,
 come i candidi suoi pètali un fiore
 
 ancora in boccia! O morto giovinetto,
 anch'io presto verrò sotto le zolle
 là dove dormi placido e soletto...
 
 Meglio venirci ansante, roseo, molle
 di sudor, come dopo una gioconda
 corsa di gara per salire un colle!
 
 Meglio venirci con la testa bionda,
 che poi che fredda giacque sul guanciale,
 ti pettinò co' bei capelli a onda
 
tua madre... adagio, per non farti male.
 
Giovanni Pascoli
  
 
L’aquilone di Giovanni Pascoli racconta un episodio controverso dell’infanzia del poeta, in cui la gioia e la felicità di un ricordo del passato si uniscono all’amarezza per la morte di un compagno del collegio. In ventuno terzine in versi endecasillabi, Pascoli ribadisce un concetto che è diventato il cardine degli studi sulla memoria: il ricordo è un elemento bifronte, che può riaccendere sentimenti di pura e incontaminata nostalgia, ma anche intensi momenti di dolore.
Come il X Agosto, in cui Pascoli rievoca la morte del padre da cui era rimasto profondamente scosso, anche L’aquilone è una “poesia della memoria”, in cui si parla di una morte prematura, tanto violenta quanto inaspettata. La giornata particolare ha ricordato al poeta il suo passato. Con la mente è andato altrove e intorno gli sembra che siano nate le viole nel bosco del convento dei cappuccini tra le foglie morte cadute dalle querce.
L'aria mite ha sciolto la terra ghiacciata e ha lambito anche le chiese di campagna; è l'aria, per il poeta, di un luogo lontano e di un tempo diverso - l'aria che usava per far volare gli aquiloni. Pascoli rievoca una mattina senza scuola. Con i compagni esce nel cortile, tra le siepi irte, con qualche bacca rossa autunnale e qualche fiore primaverile bianco. Sugli alberi zampettava un pettirosso e da un fossato si vedeva uscire una lucertola. Davanti al poeta e ai suoi amici, era Urbino: nel vento tutti facevano volare nel cielo azzurro il loro aquilone.
Gli aquiloni volavano nel vento, mentre i ragazzi gridavano, prendendo il filo dalla mano di chi li faceva volare.
Con l'aquilone anche i ragazzi si sentivano come volare. Ma ogni tanto il vento faceva andare di sbieco l'aquilone: ciò faceva gridare i ragazzi.
Quelle voci ricordate fanno rimembrare al poeta i suoi compagni, soprattutto quello morente per cui ha pianto e pregato. Quel compagno è stato più fortunato perché il suo più grande dolore è stato vedere cadere gli aquiloni. Pascoli, infatti, crede che morire giovani è più dolce che da adulti, perché almeno vicino alla madre (dalla rete).
 
si era ricordato,
le ultime strofe, quelle belle,
dense di tutto, troppo,
troppo dolore...

mercoledì 19 ottobre 2016

Curva



La morte è la curva della strada
 
La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
 
Fernando Pessoa
 
 
 
curva
[cùr-va]
sostantivo femminile

1.- Nel luogo comune, linea non retta
2.- matematica. Linea || curva algebrica, quella definita da un'equazione algebrica
3.- nel linguaggio scientifico e tecnico, diagramma dell'andamento quantitativo di una grandezza in funzione di un'altra: curva dell'andamento dell'inflazione
4.- geografia. curva altimetrica o di livello, nella rappresentazione cartografica, linea che unisce tutti i punti della superficie terrestre aventi uguale altitudine rispetto al livello del mare; è detta anche isoipsa | curva batimetrica, linea che unisce i punti del fondo marino o lacustre aventi uguale profondità, detta anche isobata
5.- Profilo o tratto di superficie ad andamento curvilineo: la curva dell'orizzonte; in particolare tratto di strada che si incurva ad arco: una strada tutta curve || curva nord, sud, negli stadi, settore di gradinate sovrastante i lati minori del campo da gioco; estensivo tifoseria organizzata di una squadra che abitualmente si raduna in una delle due curve
6.- scherzoso (al plurale) Rotondità del corpo femminile, in particolare seno e fianchi: una donna tutta curve.

• diminutivo curvetta | accrecitivo curvona, curvone maschile | peggiorativo curvaccia


bella poesia,
però della morte scrivono i vivi,
la morte non può essere gioia,
forse serenità,
a volte per chi resta,
spesso per chi va...

martedì 18 ottobre 2016

Vita!


Il canto della vita
 
Vedo sento molto in questa stagione
in cui tutto è sospeso.
Eco che s’allontana e torna
il canto della vita:
alimenta confonde l’anima
nella favola nuova che mi attende.
E sanguinano speranza le ferite.
Sempre ferito è chi ama.
 
Gianni Rescigno
 

 


vorrei, vorrei, vorrei,
non posso che volere e non avere;
il buio continua, attanaglia
e mi manca la tua guida...
 

lunedì 17 ottobre 2016

Tino (10 settembre 1925, - 16 Ottobre 2016)


Tino
(10/09/1925, - 16/10/2016)
 
Tino ieri è partito,
con la sua valigia piena di colori.
E' andato molto, molto lontano,
ha lasciato per sempre la mia mano.
Tino è partito,
con il suo incedere importante.
E' andato molto, molto lontano,
non ha gridato, lo ha fatto piano.
Tino è partito,
non so se è andato lontano
mi piace pensarlo a un passo
con la matita in mano
mentre disegna un sasso,
mentre mi sorride invano.
 
Gujil

 
La tristezza che provo è dolore immenso, mi ha lasciato una parte di me, se ne è andata con lui.
In questi tre giorni di passione ho pensato molto, ho ricordato, gli ho tenuto stretta la mano per quanto ho potuto.
Dovrei essere sereno, ma non mi basta.
Dovrei essere sollevato, ma non ci riesco.
Ero con lui con tutto me stesso, ho cercato di fare da padre a mio padre quando aveva paura, quando sembrava capire. La sua presenza sempre, comunque, mai invadente, i suoi occhi vivi e pieni di colori pastello, i
suoi quadri che rimangono e ricordano.

Tino Messa
Il ponte di Ganda a Morbegno
E' stato un grande papà così grande che non riesco a dirlo.
In questi ultimi anni mi ha dato valori incalcolabili e insegnato la vita, l'amore per le piccole cose, la commozione per le stupidità che emozionano. Abbiamo parlato di tutto. Abbiamo mangiato, bevuto, scherzato, abbiamo ritrovato la gioia delle Domeniche insieme, soli tra tutti, sereni, quasi felici.
Ho capito lo sforzo che ha fatto per essere un padre diverso dal suo, un nonno come lui avrebbe voluto fosse stato suo padre.
Ora dovrò colmare il vuoto che mi aspetta, la solitudine dentro data dall' assenza di lui che mi manca, dovrò impostare di nuovo il mio quotidiano vivere. Mi aspettava i pomeriggi e il suo volto si illuminava quando mi vedeva arrivare come succedeva al mio quando mi veniva a trovare da bambino.
Ora la luce è soffusa, lo sento vicino, presente, costante, ma la disperazione travolge il ricordo in rimpianto.
E' stato un gran padre.
E' stato un gran padre.
 

domenica 16 ottobre 2016

Speranza


 Speranza
 
Se io avessi una botteguccia
fatta di una sola stanza
vorrei mettermi a vendere

sai cosa? La speranza.
"Speranza a buon mercato!"
Per un soldo ne darei
ad un solo cliente

quanto basta per sei.
E alla povera gente
che non ha da campare
darei tutta la mia speranza

senza fargliela pagare.
 
Gianni Rodari
  

Giotto
"Speranza"
Cappella Scrovegni - PD
condivido questa poesia,
filastrocca piena di altruismi,
piena di amore per la gente;
in questi giorni di pena
farei uguale la darei a tutti
una briciola di speranza
"Spes" ultima dea...
 

La Speranza altro non è che l'attesa fiduciosa, più o meno giustificata, di un evento gradito o favorevole: avere, nutrire speranza; gli sorride, lo sorregge la speranza; sempre in senso soggettivo, aspirazione, spesso illusoria, a un vago avvenire di bene o di felicità (O speranze, speranze, ameni inganni Della mia prima età!, Leopardi), atteggiamento baldanzoso nei confronti della vita (giovane di belle speranze), stato d'animo d'incoraggiante o consolante fiducia (infondere speranza), convinzione fiduciosa od ottimistica (ha speranza di vincere, di riuscire), complesso di ambizioni e di progetti proiettati nel futuro (aveva riposto in quel figlio tutte le sue speranza; ad un certo punto della vita non è la speranza l'ultima a morire, ma il morire è l'ultima speranza, Sciascia); in senso oggettivo, prospettiva o eventualità favorevole e positiva. "c'è ancora una debole speranza".
Pablo Neruda si chiedeva “Soffre più chi spera sempre o chi non sperò mai in nulla?“.

La speranza è intimamente legata ai sensi ed è la capacità umana di riunire tutte le nostre forze e di concentrarle per riuscire a raggiungere un obiettivo.
La parola speranza deriva dalla radice sanscrita spa-, che significa “tendere verso una meta”.
Ed è proprio questo che significa sperare: protenderci verso qualcosa che non possiamo ancora vedere, ma che ci aiuta ad andare avanti.
La speranza ha a che fare con emozioni positive. Quando speriamo in qualcosa, ci sentiamo bene, pieni e motivati.
Il nostro sguardo cambia, e così il nostro stato emotivo.
Ci sentiamo entusiasti e pieni di energia. È un sentimento che ci rende potenti. La speranza è la nostra compagna di viaggio. Insieme ad essa pensiamo a dove ci piacerebbe andare, che cosa ci piacerebbe diventare o chi ci piacerebbe avere al nostro fianco.
La speranza ci aiuta a trasformare i nostri sogni in realtà.
Sin da piccoli facciamo ricorso alla speranza per costruire i nostri progetti di vita, per delineare i nostri sogni e fissare le nostre mete.
Viviamo grazie ad essa, perché è la forza che ci spinge verso i nostri obiettivi. (dalla rete)
 

sabato 15 ottobre 2016

Giorni di minime #25

 
Vorrei darti un po'
di quello che ancora ho
per prolungare ciò che ti rimane.
Qui come vela
alla deriva nel vento
sto aspettando un momento
che non vorrei mai dovere aspettare

Gujil

venerdì 14 ottobre 2016

Strade non prese

Infinite sono le strade che ci appaiono nei sogni e che nascondono tantissimi significati.
L’interpretazione è molto semplice, ma allo stesso tempo intensa; basti pensare a quando ci troviamo ad un incrocio e non sappiamo dove andare: questo esprime tutta la nostra indecisione ed insicurezza.
Cosa significa sognare una strada? Le strade nei sogni indicano momenti della nostra vita e i passaggi evolutivi che ci formano o ci hanno formato come persone.
Le strade possono essere piene di sole o oscure e buie, che non ci permettono di vedere dove ci stiamo incamminando.
 A seconda delle difficoltà che troveremo possiamo percorrere strade con discese molto fitte, o salite estremamente ripide.
Bisogna analizzare attentamente i simboli nei sogni se vogliamo associare un’interpretazione valida alle nostre visioni oniriche.
Ricordate che le strade e i percorsi che vi si presentano dinnanzi sono costruite sulla base delle scelte da voi compiute e a seconda dei momenti e dei luoghi in cui avete vissuto, vivete e vivrete (dalla rete).

 
e la strada che non tutti
si vorrebbe prendere,
quella che porta al nulla,
troppo lontano per sperare
di sapere tornare...
 

La strada non presa
 
“Due strade divergevano in un bosco d’autunno
 e spiacente di non poterle percorrere entrambe,

 essendo uno solo, mi fermai a lungo
 e guardai, per quanto possibile, in fondo alla prima,
 verso dove svoltava, in mezzo agli arbusti.
 Poi presi l’altra, anch’essa discreta,
 forse con pretese migliori, perché era erbosa e meno segnata
 sebbene in realtà le tracce fossero uguali in entrambe le strade.
 Ed entrambe quella mattina erano ricoperte di foglie
 che nessun passo aveva annerito.
Tenni la prima per un altro giorno,
 anche se, sapendo che una strada porta verso
un’altra strada,
 dubitai di poter mai tornare indietro.

Racconterò questo con un sospiro
 Tra anni e anni:
 due strade divergevano in un bosco e io,
 io presi la meno battuta.
 Questo ha fatto la differenza.

Robert Frost
 
 
 

giovedì 13 ottobre 2016

Ciao Dario!

 
Dai dai, conta su...ah be, sì be...
 - Ho visto un re.
- Sa l'ha vist cus'è?
 - Ha visto un re!
- Ah, beh; sì, beh.
 - Un re che piangeva seduto sulla sella
 piangeva tante lacrime, ma tante che
 bagnava anche il cavallo!
 - Povero re!
 - E povero anche il cavallo!
- Ah, beh; sì, beh.
- È l'imperatore che gli ha portato via
 un bel castello...
 - Ohi che baloss!
 - ...di trentadue che lui ne ha.
 - Povero re!
 - E povero anche il cavallo!
- Ah, beh; sì, beh.
 - Ho visto un vesc.
- Sa l'ha vist cus'è?
 - Ha visto un vescovo!
- Ah, beh; sì, beh.
 - Anche lui, lui, piangeva, faceva
 un gran baccano, mordeva anche una mano.
 - La mano di chi?
 - La mano del sacrestano!
 - Povero vescovo!
 - E povero anche il sacrista!
- Ah, beh; sì, beh.
- è il cardinale che gli ha portato via
 un'abbazia...
 - Oh poer crist!
 - ...di trentadue che lui ne ha.
 - Povero vescovo!
 - E povero anche il sacrista!
- Ah, beh; sì, beh.
 - Ho visto un ric.
- Sa l'ha vist cus'è?
 - Ha visto un ricco! Un sciur!
- Ah, beh; sì, beh.
 - Il tapino lacrimava su un calice di vino
 ed ogni go-, ed ogni goccia andava...
 - Deren't al vin?
- Sì, che tutto l'annacquava!
 - Pover tapin!
 - E povero anche il vin!
- Ah, beh; sì, beh.
 - Il vescovo, il re, l'imperatore
 l'han mezzo rovinato
 gli han portato via
 tre case e un caseggiato
 di trentadue che lui ne ha.

 - Pover tapin!
 - E povero anche il vin!
- Ah, beh; sì, beh.
 - Ho vist un villan.
- Sa l'ha vist cus'è?
 - Un contadino!
- Ah, beh; sì, beh.
 - Il vescovo, il re, il ricco, l'imperatore,
 persino il cardinale, l'han mezzo rovinato
 gli han portato via:
 la casa
 il cascinale
 la mucca
 il violino
 la scatola di scacchi
 la radio a transistor
 i dischi di Little Tony
 la moglie!
- E po`, cus'è?
 - Un figlio militare
 gli hanno ammazzato anche il maiale...
- Pover purscel!
 - Nel senso del maiale...
- Ah, beh; sì, beh.
 - Ma lui no, lui, non piangeva, anzi: ridacchiava!
 Ah! Ah! Ah!
- Sa l'è, matt?
 - No!
- Il fatto è che noi villan...
 Noi villan...
 E sempre allegri bisogna stare
 che il nostro piangere fa male al re
 fa male al ricco e al cardinale
 diventan tristi se noi piangiam
 e sempre allegri bisogna stare
 che il nostro piangere fa male al re
 fa male al ricco e al cardinale
 diventan tristi se noi piangiam!
 
Dario Fo



mercoledì 12 ottobre 2016

Giorni di minime #24

 
 
sonno perduto,
sonno nascosto;
un attimo solo è riposo
solo un attimo che cosa..?
 
Gujil

martedì 11 ottobre 2016

Giorni di minime #23



è strano il sapore dell'attesa,
il palato secca e le labbra si dischiudono
ma non è come bere, come mangiare;
il bacio al nulla si ripercuote
in sensi che si ricercano, si stagliano,
le via cominciano ad essere visibili...
 
Gujil