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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.
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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.
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mercoledì 31 marzo 2010
martedì 30 marzo 2010
lunedì 29 marzo 2010

Soffermati sull’arida sponda
vòlti i guardi al varcato Ticino,
tutti assorti nel novo destino,
certi in cor dell’antica virtù,
han giurato: non fia che quest’onda
scorra più tra due rive straniere;
non fia loco ove sorgan barriere
tra l’Italia e l’Italia, mai più!
L’han giurato: altri forti a quel giuro
rispondean da fraterne contrade,
affilando nell’ombra le spade
che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
già le sacre parole son porte;
o compagni sul letto di morte,
o fratelli su libero suol.
Chi potrà della gemina Dora,
della Bormida al Tanaro sposa,
del Ticino e dell’Orba selvosa
scerner l’onde confuse nel Po;
chi stornargli del rapido Mella
e dell’Oglio le miste correnti,
chi ritorgliergli i mille torrenti
che la foce dell’Adda versò,
quello ancora una gente risorta
potrà scindere in volghi spregiati,
e a ritroso degli anni e dei fati,
risospingerla ai prischi dolor;
una gente che libera tutta
o fia serva tra l’Alpe ed il mare;
una d’arme, di lingua, d’altare,
di memorie, di sangue e di cor.
Con quel volto sfidato e dimesso,
con quel guardo atterrato ed incerto
con che stassi un mendico sofferto
per mercede nel suolo stranier,
star doveva in sua terra il Lombardo:
l’altrui voglia era legge per lui;
il suo fato un segreto d’altrui;
la sua parte servire e tacer.
O stranieri, nel proprio retaggio
torna Italia e il suo suolo riprende;
o stranieri, strappate le tende
da una terra che madre non v’è.
Non vedete che tutta si scote,
dal Cenisio alla balza di Scilla?
non sentite che infida vacilla
sotto il peso de’ barbari piè?
O stranieri! sui vostri stendardi
sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
un giudizio da voi proferito
v’accompagna a l’iniqua tenzon;
voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
ogni gente sia libera e pèra
della spada l’iniqua ragion.

preme i corpi de’ vostri oppressori,
se la faccia d’estranei signori
tanto amata vi parve in quei dì;
chi v’ha detto che sterile, eterno
saria il lutto dell’itale genti?
chi v’ha detto che ai nostri lamenti
saria sordo quel Dio che v’udì?
Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
chiuse il rio che inseguiva Israele,
quel che in pugno alla maschia Giaele
pose il maglio ed il colpo guidò;
quel che è Padre di tutte le genti,
che non disse al Germano giammai:
Va’, raccogli ove arato non hai;
spiega l’ugne; l’Italia ti do.
Cara Italia! dovunque il dolente
grido uscì del tuo lungo servaggio;
dove ancor dell’umano lignaggio
ogni speme deserta non è:
dove già libertade è fiorita.
Dove ancor nel segreto matura,
dove ha lacrime un’alta sventura,
non c’è cor che non batta per te.
Quante volte sull’alpe spïasti
l’apparir d’un amico stendardo!
quante intendesti lo sguardo
ne’ deserti del duplice mar!
ecco alfin dal tuo seno sboccati,
stretti intorno ai tuoi santi colori,
forti, armati dei propri dolori,
i tuoi figli son sorti a pugnar.
Oggi, o forti, sui volti baleni
il furor delle menti segrete:
per l’Italia si pugna, vincete!
il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
al convito dei popoli assisa,
o più serva, più vil, più derisa
sotto l’orrida verga starà.
Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
che da lunge, dal labbro d’altrui,
come un uomo straniero, le udrà!
che a’ suoi figli narrandole un giorno,
dovrà dir sospirando: "io non c’era";
che la santa vittrice bandiera
salutata quel dì non avrà.
Alessandro Manzoni
...
mercoledì 24 marzo 2010
Qualcosa che vaga

Un sole disegnato
una vecchia moneta sul polso
sottile e calda di me
un forellino per guardare il mondo
un giro di giostra e di stagione.
L’iride, la pupilla sul buio
i miei occhi segnati
il viso non mio e mio
del riposo sciupato
e dei pessimi sogni
la conoscenza inquieta
del sentiero tortuoso
che non porta in cima.
Qualcosa che vaga
nel mio cuore e non sa
qualcosa di molto solo
e implacabile
come una luna crescente.
Qualcosa come la primavera
e la magnolia in boccio
e l’amore.

Elevazione
Volando sopra stagni sopra monti e vallate,
sopra foreste e nubi e mari senza fine,
oltre il sole oltre l’etere, e l’estremo confine
ancora sorpassando delle sfere stellate,
tu vai, spirito mio, vai con agilità
e come un nuotatore che s’inebria dell’onda
lietamente attraversi l’immensità profonda
preso da un’indicibile e forte voluttà.
Vola, vola ben oltre i fetori malsani,
purìficati in alto, nell’aria fatta tersa,
bevi, come liquore che il cielo puro versa,
il chiaro fuoco che gli spazi empie lontani.
Scrollandosi la noia e le altre grandi pene
che opprimono la vita e la fanno nebbiosa,
felice chiunque può con ala vigorosa
slanciarsi verso terre luminose e serene,
chi sente i suoi pensieri come allodole in viaggio
nel cielo del mattino in libertà volare,
chi plana sulla vita e così può ascoltare
delle tacite cose e dei fiori il linguaggio.
Charles Baudelaire
Volando sopra stagni sopra monti e vallate,
sopra foreste e nubi e mari senza fine,
oltre il sole oltre l’etere, e l’estremo confine
ancora sorpassando delle sfere stellate,
tu vai, spirito mio, vai con agilità
e come un nuotatore che s’inebria dell’onda
lietamente attraversi l’immensità profonda
preso da un’indicibile e forte voluttà.
Vola, vola ben oltre i fetori malsani,
purìficati in alto, nell’aria fatta tersa,
bevi, come liquore che il cielo puro versa,
il chiaro fuoco che gli spazi empie lontani.
Scrollandosi la noia e le altre grandi pene
che opprimono la vita e la fanno nebbiosa,
felice chiunque può con ala vigorosa
slanciarsi verso terre luminose e serene,
chi sente i suoi pensieri come allodole in viaggio
nel cielo del mattino in libertà volare,
chi plana sulla vita e così può ascoltare
delle tacite cose e dei fiori il linguaggio.
Charles Baudelaire
martedì 23 marzo 2010

Mi chiedi con quanti baci, Lesbia,
tu possa giungere a saziarmi:
quanti sono i granelli di sabbia
che a Cirene assediano i filari di silfio
tra l'oracolo arroventato di Giove
e l'urna sacra dell'antico Batto,
o quante, nel silenzio della notte, le stelle
che vegliano i nostri amori furtivi.
Se tu mi baci con cosí tanti baci
che i curiosi non possano contarli
o le malelingue gettarvi una malia,
allora si placherà il delirio di Catullo.
tu possa giungere a saziarmi:
quanti sono i granelli di sabbia
che a Cirene assediano i filari di silfio
tra l'oracolo arroventato di Giove
e l'urna sacra dell'antico Batto,
o quante, nel silenzio della notte, le stelle
che vegliano i nostri amori furtivi.
Se tu mi baci con cosí tanti baci
che i curiosi non possano contarli
o le malelingue gettarvi una malia,
allora si placherà il delirio di Catullo.
Gaio Valerio Catullo
lunedì 22 marzo 2010

Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto, sul fico e sul moro
ornati di gèmmule d’oro?
Passata è l’uggiosa invernata,
passata, passata!
Di fuor dalla nuvola nera,
di fuor dalla nuvola bigia
che in cielo si pigia,
domani uscira’ Primavera
guernita di gemme e di gale,
di lucido sole,
di fresche viole,
di primule rosse, di battiti d’ale,
di nidi,
di gridi,
di rondini ed anche
di stelle di mandorlo, bianche...
Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto, sul fico e sul moro
ornati di gèmmule d’oro?
Ciò canta, ciò dice:
e il cuor che l’ascolta è felice.
Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto.
Angiolo Silvio Novaro
domenica 21 marzo 2010

Non sono né un artista né un poeta.
Ho trascorso i miei giorni scrivendo e dipingendo,
ma non sono in sintonia
con i miei giorni e le mie notti.
Sono una nube,
una nube che si confonde con gli oggetti,
ma ad essi mai si unisce.
Sono una nube,
e nella nube è la mia solitudine,
la mia fame e la mia sete.
La calamità è che la nube, la mia realtà,
anela di udire qualcun altro che dica:
Ho trascorso i miei giorni scrivendo e dipingendo,
ma non sono in sintonia
con i miei giorni e le mie notti.
Sono una nube,
una nube che si confonde con gli oggetti,
ma ad essi mai si unisce.
Sono una nube,
e nella nube è la mia solitudine,
la mia fame e la mia sete.
La calamità è che la nube, la mia realtà,
anela di udire qualcun altro che dica:
ma siamo due, insieme,
e io so chi sei tu".
Kahil Gibran
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