venerdì 30 aprile 2010

Avere la forza!

Sembra così semplice e alla portata di mano che diamo sempre per scontato di riuscire a trovare le energie dentro di noi in qualunque situazione ci si trovi. Non è mai così semplice purtroppo, in realtà capita sempre di avere bisogno di risorse nei momenti meno opportuni, in quelli più bui ed ecco che diventa tutto molto più delicato e difficile. Non c'è un metodo accreditato, un sistema sicuro, c'è la forza di volontà, la dicisione di non arrendersi e combattere fino in fondo le nostre piccole guerre della vita. Sono momenti difficili ma, prima o poi, capitano a tutti.



HO ANCORA LA FORZA

Ho ancora la forza che serve a camminare,
picchiare ancora contro
per non lasciarmi stare
ho ancora quella forza che ti serve quando dici:
"Si comincia!"
Ho ancora la forza di guardarmi attorno
mischiando le parole con 2 pacchetti al giorno,
di farmi trovar lì da chi mi vuole sempre nella mia camicia...
Abito sempre qui da me,
in questa stessa strada che non sai mai se c’è
nel mondo sono andato, dal mondo son tornato sempre vivo …
Ho ancora la forza di starvi a raccontare
le mie storie di sempre, di come posso amare
tutti quegli sbagli che per un motivo o l'altro so rifare...
Ho ancora la forza di chiedere anche scusa
O di incazzarmi ancora
Con la coscienza offesa e dirvi che comunque la mia parte
Ve la posso garantire …
Abito sempre qui da me,
in questa stessa strada che non sai mai se c’è
nel mondo sono andato, dal mondo son tornato sempre vivo …
Ho ancora la forza di non tirarmi indietro
scegliermi la vita, masticando ogni metro
far la conta degli amici andati
e dire: “ci vediam più tardi!”
Ho ancora la forza
di scegliere le parole e gioco per il gusto di potermi sfogare
perché che piaccia o no è capitato
sia quello che so fare
Abito sempre qui da me,
in questa stessa strada che non sai mai se c’è
nel mondo sono andato, dal mondo son tornato sempre vivo


Luciano Ligabue

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giovedì 29 aprile 2010

L’ultimo sole


Cerco l’ultimo sole
nel polline
nella polvere d’acqua
sul canale
nei campi sparuti di città.

Cerco te
nell’ultimo sole
lontano
sospeso nel silenzio.

Cerco un po’ di fiato
al giorno, l’idea
che sia passato
e un altro
veda il tuo ritorno.




Afterglow

Sempre è commovente il tramonto
per indigente o sgargiante che sia,
ma più commovente ancora
è quel brillìo disperato e finale
che arrugginisce la pianura
quando il sole ultimo si è sprofondato.
Ci duole sostenere quella luce tesa e diversa,
quella allucinazione che impone allo spazio
l'unanime paura dell'ombra
e che cessa di colpo
quando notiamo la sua falsità,
come cessano i sogni
quando sappiamo di sognare.

Jorge Luis Borges

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Tramonto in Pianura
Aurora Pison, acquerello
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Già, "Afterglow" le ultime luci del giorno, i residui bagliori che preludono alla notte ed al buio...Borges come pochi ha saputo guardare al di là delle pure immagini e vedere all'interno dei sentimenti, dei pensieri profondi. Una metafora della senilità? della ultima parte della vita? o è solo la dolcezza che prende (a volte) nelle sere primaverili ed estive ed invita al riposo, quello che ristora e ci fa addormentare con il sorriso a fior di labbra.
L'acquerello o acquarello è una tecnica pittorica che prevede l'uso di pigmenti finemente tritati e mescolati con un legante, diluiti in acqua. L'acquarello è una tecnica popolare per la sua rapidità e per la trasportabilità facile dei materiali, che lo hanno reso la tecnica per eccellenza di chi dipinge viaggiando e all'aria aperta.
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Già...Afterglow
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mercoledì 28 aprile 2010





PAPEL de PLATA

Papel de plata quisiera
plumita de oro tuviera
para escribir una carta
a mi negra mas querida

Ay, palomita,
ay, corazoncito,
hasta cuando estar?
yo sufriendo.

Inti Illimani




Canto de pueblos andinos (1975), pubblicato con in copertina la scritta "Inti-Illimani 3 - Canto de pueblos andinos", è il terzo LP del gruppo cileno degli Inti-Illimani pubblicato in Italia. Registrato nel febbraio del 1975 questo disco è costituito esclusivamente da brani già pubblicati dal gruppo nei suoi dischi precedenti (in gran parte i brani provengono dal disco Inti Illimani e dall'omonimo, ma con track-list diversa, Canto de pueblos andinos). Tutte le tracce sono state ri-registrate per l'occasione. Nel periodo che va dalla fondazione del gruppo all'immediata vigilia del golpe di Augusto Pinochet (1967-1973) gli Inti-Illimani avevano sempre alternato dischi contenenti soprattutto brani legati al movimento della Nueva Canción Chilena (più esplicitamente politici) con dischi che guardavano alla tradizione musicale della Ande e anche nei loro primi anni di esilio continuano questa alternanza decidendo quindi di pubblicare un disco apparentemente meno politico e meno legato alla cronaca di quei mesi. All'interno della copertina è però presente uno scritto attribuito al gruppo che spiega il senso di questa operazione e nel quale si legge, tra l'altro: "La musica delle popolazioni andine non è una musica morta, non è cimelio da museo, bensì fonte ricca di suoni magici, retaggio da coltivare e difendere. In questo disco, uniti da un comune denominatore, sono incisi temi del folklore, temi che fanno parte del patrimonio popolare e temi di autori contemporanei che hanno fatto della musica popolare la loro arma in questa lotta per la dignità, per la vera indipendenza [...] Naturalmente, si tratta di un piccolo campionario di quella stupenda varietà di ritmi e melodie che ci viene offerta dai paesi andini ma questo campionario è stato messo insieme da uomini che amano questa terra e i suoi abitanti e che ne condividono la lotta.". All'interno del disco sono anche presenti delle brevi note introduttive per ognuno dei 12 brani che lo compongono unitamente ad alcuni dei testi cantati (tradotti in italiano e inglese). Il brano qui intitolato Lamento del indio era stato precedentemente pubblicato dal gruppo con il titolo Los arados. Nella prima edizione il disco aveva come copertina l'immagine di un uomo andino nell'atto di suonare un flauto (forse una quena), alla fine degli anni '70, quando la EMI acquisisce il catalogo italiano degli Inti-Illimani, il disco viene ristampato modificando completamente la grafica originale, all'immagine realistica dell'uomo andino viene sostituita quella (stilizzata in stile murales) di una figura umana che suona una specie di flauto di pan (forse dei sikus), inoltre il logo Inti-Illimani, in questa seconda edizione e a differenza della prima, viene scritto in maniera assai poco fedele all'originale. Questa nuova immagine comparirà in tutte le ulteriori ristampe, compresa quella che a metà degli anni '90 farà la CGD nel rieditare il disco in formato CD.

Papel de Plata è un altro esempio di canzone al massimo della delicatezza e dell'amabilità, il charango imposta, come in punta dei piedi, il tema su note dolci e tintinnanti, quindi lo stesso tema è cantato da Horacio Salinas prima e dai sikus dopo sempre con un andamento placato e tenero. Il brano quindi volge su un altro tema sempre eseguito dalla voce prima e dalla quena dopo per poi sovrapposrsi al primo con ottimo effetto
(da Wikipedia)

martedì 27 aprile 2010


Fiore di Campo

Fiore di campo che cresci
tenacemente vitale nel prato
rinnovi colori e calori
di Primavere continue.

Fiore di campo che elevi
nel sole il tuo stelo robusto
aleggi nel vento di Aprile
come vela sull'erba.

Fiore di campo che doni
agli sguardi una pace serena
resisti a temporali violenti
sferzato da scrosci di pioggia.

Anonimo del 1900
poesie ritrovate


lunedì 26 aprile 2010



GIORNO DOPO GIORNO

Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue
e l'oro. Vi riconosco, miei simili, o mostri
della terra. Al vostro morso è caduta la pietà,
e la croce gentile ci ha lasciati.
E più non posso tornare nel mio eliso.
Alzeremo tombe in riva al mare, sui campi dilaniati,
ma non uno dei sarcofaghi che segnano gli eroi.
Con noi la morte ha più volte giocato:
s'udiva nell'aria un battere monotono di foglie,
come nella brughiera se al vento di scirocco
la folaga palustre sale sulla nube.

Salvatore Quasimodo
Tratto da La voce della resistenza,

a cura del Comitato nazionale dell'Ampi - Roma, 1981


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Il giorno dopo è sempre qualcosa di strano, se sei stato felice la felicità si ridimensiona in sorriso, se sei stato triste la tristezza si stempera nella rassegnazione.
Il giorno dopo è dopo ogni cosa, denso di passato ci affaccia al futuro mediando le nostre sensazioni ed il nostro essere intero.
E' il dopo, l'immagine chiara di ciò che è accaduto ma spesso noi non lo vediamo, ci piace solo osservare il riflesso del nostro intimo, come appare nello specchio della vita e come segna il nostro corpo.
Molto spesso piangiamo, il giorno dopo, di quel pianto che libera e permette di ricominciare a macinare la vita.; a volte invece ne ridiamo ancora ed il cielo è di un azzurro indicibile.
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domenica 25 aprile 2010

Bella Ciao

Una mattina mi son svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l'invasor.
O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.
E seppellire lassù in montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E seppellire lassù in montagna
sotto l'ombra di un bel fior.
E tutte le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E tutte le genti che passeranno
Mi diranno «Che bel fior!»
«È questo il fiore del partigiano»,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
«È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!»


Canto Popolare


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Si chiamava Angelo Zanoni,
tornava a salutare la madre
dopo la grecia,
dopo il rastrellamento di Buglio,
tornava come la rondine al nido,
l'uccisero
aveva poco più di 20 anni,
non l'ho conosciuto
ma è nel mio cuore


Anonimo del XX° Secolo


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sabato 24 aprile 2010



E' come un sospiro
come una nenia
non è una commedia
non è presa in giro

la coppa stracolma
di tedio e stanchezza
mi pare che dorma
nella mia fanciullezza

nel fresco richiamo
il sonno ci culla
un pensiero trastulla
ciò che noi siamo

Anonimo del XX° Secolo
frammenti ritrovati
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venerdì 23 aprile 2010


Passato

I ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo,
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo,
i lugubri e durevoli ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
E tu non sei più che un ricordo.
Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì, posso dire
che m'appartieni
e qualche cosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
tutto finì così rapido!
Precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse.
Di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovevamo saperlo che l'amore
brucia la vita e fa volare il tempo.


Vincenzo Cardarelli

giovedì 22 aprile 2010

Ho trovato questa bella poesia girovagando nella rete e mi è piaciuta così l'ho inserita tra le mie riflessioni ed è ora parte di questo piccolo spazio senza tante pretese e dei suoi lettori.
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Il Glicine in Fiore


Il glicine
lancia volute aeree
come volesse agganciarsi
al cuore del cielo.
Allaccia l'arco
in un abbraccio e
regala all'Universo
magia imperturbata
di sospese nuvole fiorite.
Nella notte
il suo profumo celestiale
inebria la luna e nasce
un dialogo lieve in sussurri
di parole mai dette.
Ascoltando in silenzio
si percepisce un fremito sommesso:
il glicine è come me,
perennemente in fuga
percorso da un'ansia d'infinito.

Giovanna Faro
Da "Direttamente dalle nuvole"
Poesia selezionata

per l'antologia del Premio Age Bassi 2003

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Il mio di Glicine ha fiori piccoli di un azzurro cielo ed è precoce, fiorisce prima degi altri in un piccoo giardino in cui il sole fatica ad arrivare; ha fiori piccoli ma di una bellezza che scioglie il cuore e mi ricorda che la Primavera arriva sempre, anche dopo i più duri Inverni.
Il mio glicine ha in sè ricordi di tempi passati, di quando in un piccolo vaso mi fu regalato da una persona che non vedo da tanto tempo ma che ha fatto parte intensa della mia vita per un lungo percorso.
Il mio glicine mi accoglie tutte le mattine quando l'alba arriva e mi trova già alla finestra ancora intento a decifrare le mie considerazioni notturne; le prime avvisaglie di luce si colorano di cielo terso coi pochi bisbigli dei passeri e dei merli che canticchiando mi presentano al mattino.
Il mio glicine vive su un muro di mattoni cercando di raggiungere il sole e condivide con altri piante 'angusto spazio che gli ho dedicata.
Il mio glicine canta accompagnato dai refoli di vento primaverile e stormisce le sue foglie in un suono frusciante.
Il mio glicine è come me, si attacca dove ama, con tutta la tenacia possibile, cercando di non essere invadente ma vivo e presente.
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Nome: Wistaria
Nome volgare: Glicine
Famiglia Papilionacee.
Genere: Fabaceae
Pianta rampicante originaria dalla Cina, assai robusta e longeva, che si fa notare fin dall’inizio della primavera per il profumo intenso e gradevole dei suoi fiori lilla o bianchi che si raccolgono numerosi in grappoli penduli. Rifiorisce anche, con pochi grappoli isolati, in tarda estate. Le parti tossiche sono i semi e la radice. In caso di ingestione i primi sintomi sono simili a quelli di una gastroenterite: vomito e dolori addominali con diarrea, congestione del volto e dilatazione pupillare.
il nome del genere è stato attribuito in onore di Gaspare Wister (1761-1818), rinomato studioso di anatomia di Filadelfia, comprende meno di dieci specie arbustive rampicanti, un tempo attribuite al genere Glycine, e classificate da alcuni autori anche con il nome di Wistaria.
Tra le specie più note e coltivate ricordiamo:
La Wisteria sinensis nota volgarmente come Glicine, originaria della Cina, è una pianta arbustiva rampicante, rustica e vigorosa, con apparato radicale robusto che si espande facilmente, fusti volubili, che raggiungono i 10-20 m di altezza a seconda del sostegno, foglie decidue, imparipennate, composte da 7-13 foglioline ovali-lanceolate con l'apice accuminato, fiori ermafroditi e profumati, con corolla papilionacea di colore azzurro-lilla o malva, riuniti in vistosi grappoli pendenti lunghi 20-30 cm, con fioriture a fine inverno inizio primavera, il frutto è un legume di 8-15 cm di lunghezza; sono state selezionate varietà a fiori bianchi, rosati, violacei.
La Wisteria floribunda originaria del Giappone, arbusto volubile, alto fino a 10 m, foglie composte imparipennate, formate da 13-15 foglioline ovato-lanceolate, di colore verde-chiaro, fiori papilionacei, profumati, di colore rosa o viola-azzurrato, riuniti in stupende infiorescenze a grappolo lunghi 25-30 cm, con fioriture in maggio-giugno; in alcune varietà i grappoli colorati di bianco, viola, rosso raggiungono il metro di lunghezza.
La Wisteria brachybotrys originaria del Giappone, arbusto volubile, alto fino a 7,5 m, con i fiori colorati di bianco.
La Wisteria frutescens originaria del Nord America
Utilizzo in giardinaggio:
Come pianta ornamentale per ricoprire muri, pergolati, recinzioni o arrampicarsi ad alberi, nei giardini e sulle terrazze grazie al rapido sviluppo, le giovani piante opportunamente potate formano piccoli alberetti adatti alla coltivazione in vaso. Desidera posizioni soleggiate, con terreno profondo e fresco, argilloso e ricco di elementi nutritivi, si adatta comunque a qualunque tipo di terreno esclusi quelli calcarei, annafiature moderate, per ottenere forme compatte e fioriture raccolte, è necessario effettuare ogni anno prima della ripresa vegetativa una potatura 'a sperone', tagliando cioè le cacciate di 1 anno, lasciando solo alcune gemme, è prevista anche una potatura verde estiva per alcune specie.
Si moltiplica d'estate per talea o propaggine, per alcune varietà si pratica in marzo l'innesto su soggetto di Wisteria sinensis.
Effetti tossici :Wisteria : semi e baccelli contengono la wistarina, tossico sia per l'uomo che per gli animali: causa vomito violento, diarrea e dolori addominali.
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mercoledì 21 aprile 2010

Forza d'Amore

Un omettino giallo e brutto. Cammina male. Tutto cappello e pastrano. Scende lentamente le scale interminabili e ripide: entra nella via, rumorosa benché sia di mattina. Ma c'è il carretto del lattaio, il carretto del mugnaio, il carretto del panettiere. E c'è le vecchine che vanno a Messa con il velo in capo strascicando le ciabatte. Da tutti i campanili della città le campane si chiamano e si rispondono.
Egli cammina assai lento a ridosso dei muri vecchi dai colori sbiaditi. Conosce tutti gli scrostamenti dei vecchi muri. Sa tutti i buchi che i monelli di due tre generazioni vi han fatto.
E le parole che vi han scritte. E tutto egli sa dei vecchi muri. Da vent'anni fa questa strada, ogni mattina. Ha strisciato contro questi vecchi muri trecento giorni l'anno, quattro volte il giorno. Ed ha cambiato solo una volta il pastrano, proprio perché era tutto mende e sfilaccia. E stamattina ancora, come sempre, guarda il marciapiede consunto e le finestre chiuse. Si dondola su le gambe storte, pensoso.
Stamattina e sempre.
Entra in una chiesa. Vecchine e donnette inginocchiate per le panche e un prete che dice Messa. Egli si fa il segno della Croce, restando in fondo. Sente lo squillo di campanello del Sanctus. S'inginocchia. Perché egli crede e non si sente forte che quando è in ginocchio.
Venti anni fa, pensava ancora a lottare per farsi un nome, abbacinato da un sogno di gloria. Ha scritto molte cose ed era pieno di sé. È stato abbattuto e non gli è restata che la Croce di Cristo. Quella che sorge consolatrice da tutte le rovine spirituali. Quella che ha sempre le braccia aperte.
Allora s'è rinchiuso in un ufficio, non ha pensato più che a sua madre, vecchia povera donna ignorante che ha pianto e pregato per lui quando la chimera lo teneva lontano lontano. Ha trovato nei meandri del suo cuore turbolento la pace e la fede, come si trova sempre nello squallore autunnale una foglia verde che trema.
Ora è lì in ginocchio.
E' squillato il campanello dell'Elevazione. Ora egli deve andare al lavoro perché si fa molto tardi. S'alza. Esce.
A casa sua madre dormiva quando partì. Egli non ha voluto destarla e s'è fatto il caffè, così, semplicemente, sorridendo. E sua madre sorrideva nel sogno. Non ha voluto destarla. Ed essa dormiva nel grande letto matrimoniale, vecchio di quattro generazioni.
Esce nella via di nuovo. Striscia contro i muri e trova la porta del suo ufficio. Una porticina verniciata da poco, in un angolo silenzioso: un angolo da archivio. Egli spinge con un sospiro la porta che s'apre taciturnamente. Entra. Richiude. V'è di già un uomo al lavoro. Alza un poco la testa per osservare il nuovo venuto.
"Buon giorno!".
"Buon giorno".
Egli si leva il pastrano e l'appende ad un chiodo del muro: un chiodo vecchio vecchio.
Siede. Non s'ode per poco che la corsa delle due penne sui fogli bianchi ed il fruscio dei fogli.
Sta copiando un libro che uscirà fra poco e l'autore non ha tempo di copiare.
Ma ci sono due copisti ch'han l'ufficio e lo studio in un angolo buio da archivio.
Egli scrive e scrive distendendo lunghi sogni bizzarri di righe nere sul foglio bianco. Con una furia frenetica. Senza badare allo scipito contenuto del libro. Pensa al suo avvilimento, al suo sogno di gloria vanito nel turbine della vita. Ha un interno moto di ribellione.
Ma ecco: si ricorda di sua madre. Si calma. Sorride.
Ora la penna scorre leggera come un volo d'ombra ed egli ha l'impressione di scrivere pagine d'oro sul libro della sua vita. Sa di valere più d'un giorno, quando i suoi articoli filosofici scatenavano polemiche e discussioni: e sua madre piangeva.
Ora essa dorme contenta nel gran letto degli avi. Dorme ancora, non si desta. E pure è già squillato il segnale della seconda Messa! Ella dorme e sorride ancora.
Ecco che l'altro impiegato ha deposto la penna. È stanco. Va alla finestra sbuffando.
Ma egli lavora e non s'alza. Sa che l'altro non ha più una madre che gli stia nei pensieri come una lampada di consolazione. Sa che l'altro è solo e non ha Gesù cui sorridere nel lavoro per averne un poco di forza: solo un poco da arrivare a mezzodì. Egli ha Gesù e sua madre: di più non può desiderare.
"Non siete stufo di questa vitaccia?".
Risponde dolcemente: "No".
"Siete peggio d'una macchina: ecco cosa siete!" E sbuffa.
Risponde dolcemente "Sì". Ma non alza il capo dal lavoro.
La penna scorre sul foglio bianco, leggera come il respiro d'un bimbo.
Come il respiro della madre che dorme nel torpore d'una mattinata invernale. E pure è l'ora che le donne vanno per le compere. Ella dorme ancora.
Egli pensa: "E se anche a me morisse, come a lui?". Ha un brivido di spavento.
Pensa: "Oh! Tanto, poco ha da vivere ancora. Dalla mia vita non posso più spremere che amore: il resto tutto l'ho spremuto. Morrei con lei ed anche sotterra le terrei compagnia".
Pensa: "Le mamme non muoiono mica: anche sotterra si ricordano d'aver dei figliuoli che bisogna sostenere nel turbine con la grande forza d'amore".
Pensa: "E poi ho Gesù. Gli posso domandare, gli posso chiedere di morire".
E di nuovo la penna è leggera come una piuma d'angelo.
Come le palpebre della madre, chiuse nel sonno che non ha fine.

Gianni Rodari
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martedì 20 aprile 2010



La mente vaga,
nel percorso scosceso dell'ansia,
discendo il crinale.

Quasi una musica,
la nenia pervade e comprime,
lasciandomi inerte.

Le quasi assonanze,
confuse dal senso inquieto,
riprendono forza.
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Anonimo
del XX° secolo,
frammenti ritrovati

lunedì 19 aprile 2010

LA DISPERAZIONE E' SEDUTA SU UNA PANCHINA

In un giardinetto su una panchina
C'è un tale che vi chiama se passate
Ha un paio d'occhialini un vecchio abito grigio
Fuma un piccolo sigaro è seduto
E vi chiama se passate
O più timidamente vi fa un cenno
Non bisogna guardarlo
Non bisogna ascoltarlo
Ma tirar dritto
Fingere di non vederlo
Fingere di non averlo neppure sentito
Passare via frettolosi
Perchè se lo guardate
O se gli date retta
Vi fa un suo cenno e niente nessuno
Vi può impedire di sedergli accanto
Allora vi guarda in faccia vi sorride
Facendovi soffrire atrocemente
E lui continua il suo sorriso
E voi stessi sorridete esattamente
Di quel sorriso
Più sorridete e più soffrite
Atrocemente
E più soffrite più sorridete
Irrimediabilmente
Restando fissi là
Come congelati
Sorridendo sulla panchina
Bambini giocano a due passi da voi
Passanti passano
Tranquillamente
Uccelli volano
Volano via da un albero
Si posano su un altro
E voi restate là
Sulla panchina
E già sapete bene
Che non potrete più
Giocare come quei bambini
Sapete che non potrete più
Passare come quei passanti
Tranquillamente
Né che mai più potrete volar via
Lasciando un albero per l'altro
Come quegli uccelli.

Jacques Prevert
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Il quadro "Disperazione...depressione" è di Vincent Van Gogh e riesce ad esprimere in modo assolutamente perfetto quel momento di caduta totale che ogni tanto ci capita di avvertire. Lo sconforto è un male maggiore e bisogna cercare in noi la reazione e la voglia di lottare contro le negatività della vita. Per superare certi momenti tutti gli strumenti devono essere usati e abusati, devono strizzare il cervello fina all'usura totale dei pensieri, fino a raggiungere quello sfinimento che lascia posto alla requie ed al sonno. Io...per me...faccio fatica a dormire.
...

domenica 18 aprile 2010


in questi momenti di ritorni, inattesi, cattivi
mi piego su ginocchia di vetro, affranto
da dubbi e visioni confuse...
continuo il travagliato corso più stanco,
le vie obbligate costringono il passo...mi chiedo
e non so darmi risposte sicure... le vie dell'Oriente vacillano sull'ala che batte
di una gialla visione riapparsa...

anonimo XX° Secolo,
frammenti ritrovati
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venerdì 16 aprile 2010



Pianga Venere, piangano Amore
e tutti gli uomini gentili:
è morto il passero del mio amore,
morto il passero che il mio amore
amava più degli occhi suoi.
Dolcissimo, la riconosceva
come una bambina la madre,
non si staccava dal suo grembo,
le saltellava intorno
e soltanto per lei cinguettava.
Ora se ne va per quella strada oscura
da cui, giurano, non torna nessuno.
Siate maledette, maledette tenebre
dell'Orco che ogni cosa bella divorate:
una delizia di passero m'avete strappato.
Maledette, passerotto infelice:
ora per te gli occhi, perle del mio amore,
si arrossano un poco, gonfi di pianto.
---
Caio Valerio Catullo

giovedì 15 aprile 2010

C'est le Vent, Betty

Il vento di questo pezzo di Gabriel Jared ha agitato molte immagini e molti pensieri di quando ero giovane ma non troppo, perfino un noto produttore di abiti colorati lo ha usato in una delle sue pubblicità più riuscite (è lì che credo di averlo scoperto). Il film "Betty Blue 37° le matin" è un buon pezzo di spaccato di vita di quel periodo, godibile e vedibile, la colonna sonora molto bella mi è stata regalato da un mio carissimo amico in occasione di un compleanno e preludeva in parte a quel desiderio di "New Age" che ha poi creato un genere e uno stuolo di intenditori amatori che ancora ascolta questo genere musicale (io sono fra questi).

mercoledì 14 aprile 2010

Adolescente

Su te, vergine adolescente,
sta come un'ombra sacra.
Nulla è più misterioso
e adorabile e proprio
della tua carne spogliata.
Ma ti recludi nell'attenta veste
e abiti lontano
con la tua grazia
dove non sai chi ti raggiungerà.
Certo non io. Se ti veggo passare
a tanta regale distanza,
con la chioma sciolta
e tutta la persona astata,
la vertigine mi si porta via.
Sei l'imporosa e liscia creatura
cui preme nel suo respiro
l'oscuro gaudio della carne che appena
sopporta la sua pienezza.
Nel sangue, che ha diffusioni
di fiamma sulla tua faccia,
il cosmo fa le sue risa
come nell'occhio nero della rondine.
La tua pupilla è bruciata
dal sole che dentro vi sta.
La tua bocca è serrata.
Non sanno le mani tue bianche
il sudore umiliante dei contatti.
E penso come il tuo corpo
difficoltoso e vago
fa disperare l'amore
nel cuor dell'uomo!
Pure qualcuno ti disfiorerà,
bocca di sorgiva.
Qualcuno che non lo saprà,
un pescatore di spugne,
avrà questa perla rara.
Gli sarà grazia e fortuna
il non averti cercata
e non sapere chi sei
e non poterti godere
con la sottile coscienza
che offende il geloso Iddio.
Oh sì, l'animale sarà
abbastanza ignaro
per non morire prima di toccarti.
E tutto è così.
Tu anche non sai chi sei.
E prendere ti lascerai,
ma per vedere come il gioco è fatto,
per ridere un poco insieme.
Come fiamma si perde nella luce,
al tocco della realtà
i misteri che tu prometti
si disciolgono in nulla.
Inconsumata passerà
tanta gioia!
Tu ti darai, tu ti perderai,
per il capriccio che non indovina
mai, col primo che ti piacerà.
Ama il tempo lo scherzo
che lo seconda,
non il cauto volere che indugia.
Così la fanciullezza
fa ruzzolare il mondo
e il saggio non è che un fanciullo
che si duole di essere cresciuto.

Vincenzo Cardarelli

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martedì 13 aprile 2010

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Il prato

Tutto il prato è un traforo
di luci a cento a cento!
Son ranuncoli d'oro,
son viburni d'argento:
son corimbi sospesi
sul velluto dell'erba:
son gli occhietti accesi
dell'estate superba.
E così sembra il prato,
trapunto di colori,
un cielo costellato
che ha per stelle i fiori.
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Antonia Pozzi


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Il prato è il primo insediamento vegetale in qualunque ambiente agrario che poi si evolve e stabilizza in ecosistemi diversificati, specializzati e maturi. Dopo le specie erbacee una qualunque comunità vegetale si evolve a cespugli ed in seguito ad alberi ad alto fusto.
Ci sono prati a foraggio e a pascolo, monofiti e polifiti, cioè costituiti da una o più specie vegetali.
Il prato ornamentale e sportivo è un tipo di prato che si differenzia notevolmente da quello agrario tradizionale. Lo si può definire come prato tecnico, cioè costruito con tecniche e materiali che miodificano sostanzialmente il luogo originario ove si situa.
Il prato agrario non non prevede un'utilizzazione del suolo anche per camminare, correre, giocare; il prato ornamentale non ha fini produttivi ma proprio questi scopi specifici.

lunedì 12 aprile 2010

Il Profeta


SULLA PREGHIERA

Allora una sacerdotessa disse: Parlaci della Preghiera.
E lui rispose dicendo:
Voi pregate nell'angoscia e nel bisogno, ma dovreste pregare anche nella pienezza della gioia e nei giorni dell'abbondanza.
Perché non è forse la preghiera l'espansione di voi stessi nell'etere vivente ?
Se riversare la vostra notte nello spazio vi conforta, è gioia anche esprimere l'alba del vostro cuore.
E se non potete fare a meno di piangere quando l'anima vi chiama alla preghiera, essa dovrebbe spingervi sempre e ancora al sorriso.
Pregando vi innalzate sino a incontrare nell'aria coloro che pregano nello stesso istante, e non potete incontrarli che nella preghiera.
Perciò la visita a questo tempio invisibile non sia altro che estasi e dolce comunione.
Giacche se entrate nel tempio soltanto per chiedere, voi non avrete.
E se entrate per umiliarvi, non sarete innalzati.
O se entrate a supplicare per il bene altrui, non sarete ascoltati.
Entrare nel tempio invisibile è sufficiente.
Con la parola io non posso insegnarvi a pregare.
Dio non ascolta le vostre parole, se non le pronuncia egli stesso attraverso le vostre labbra.
E io non posso insegnarvi la preghiera dei monti, dei mari e delle foreste.
Ma voi, nati dalle foreste, dai monti e dai mari, potete scoprire le loro preghiere nel vostro cuore,
E se solo tendete l'orecchio nella quiete della notte, udrete nel silenzio:
"Dio nostro, ala di noi stessi, noi vogliamo secondo la tua volontà.
Desideriamo secondo il tuo desiderio.
Il tuo impero trasforma le nostre notti, che sono le tue notti, in giorni che sono i tuoi giorni.
Nulla possiamo chiederti, perché tu conosci i nostri bisogni prima ancora che nascano in noi.
Tu sei il nostro bisogno, e nel donarci più di te stesso, tutto ci doni".
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domenica 11 aprile 2010

TRISTEZZA

Tristezza, tu discendi oggi dal Sole.
La tua specie mutevole è la nube
del cielo, e son le spume
del mare gli orli del tuo lino lungo.
Sembri Ermione, sola come lei
che pel silenzio vienti incontro sola
traendo in guisa d'ala il bianco lembo.
Sì le somigli, ch'io m'ingannerei
se non vedessi ciocca di viola
su la sua gota umida ancor del nembo.
Ha tante rose in grembo
che la spina dell'ultima le punge
il mento e glie l'ingemma d'un granato.
Come fauno barbato
accosto accosto mòrdica le rose
il capricorno sordido e bisulco

Gabriele D'Annunzio

sabato 10 aprile 2010


Spleen

Quando il cielo basso pesa come un coperchio
sullo spirito che geme, preda d'un tedio ininterrotto,
quando dell'orizzonte abbracciando tutto il cerchio
dispensa un giorno nero più triste della notte;
quando la terra si muta in un'umida cella,
e la Speranza, come un pipistrello maldestro,
va urtando i muri con la sua ala timida
e ai soffitti marciti cozzando con la testa;
quando la pioggia svolgendo le strisce sterminate
imita le sbarre di una prigione immensa,
e accorre un popolo muto di ragni infami
che appende le sue reti dentro i nostri cervelli;
campane all'improvviso saltano con furia
e scagliano verso il cielo un atroce lamento,
come spiriti erranti inquieti e senza patria
che si mettano a gemere ostinatamente.
- E carri funebri, senza tamburi né musica,
mi sfilano nell'anima in lungo e lento corteo;
la Speranza, vinta, piange, e l'Angoscia, dispotica,
mi pianta sul cranio reclino il suo vessillo nero.

Charles Baudelaire

venerdì 9 aprile 2010





Fontinalis

e noi
lasciamo che scorra
il rio delle cose,
nel folto,
erbai fluttuanti,
serpeggiano lenti
cullati dal flusso.

Anonimo
del XX° secolo,
frammenti






Nella zona di passaggio tra l'alta e la bassa pianura le acque della falda, una specie di fiume sotterraneo, affiorano in superficie formando le risorgive. Si creano così delle zone umide e paludose.
Un tempo la pianura Padana, compresa la zona di Milano, per la presenza di numerose risorgive era un susseguirsi di paludi e foreste umide. Proprio per drenare l'acqua e bonificare questi terreni paludosi, attorno all’anno Mille (XI secolo), furono progettati e costruiti i fontanili. Solo verso il 1500 (XVI secolo) si iniziò ad utilizzare le acque dei fontanili per irrigare i campi. Da allora l’importanza dei fontanili per l’agricoltura andò via via crescendo raggiungendo il suo massimo sviluppo tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900. L’introduzione di nuove e più economiche pratiche agricole e la nascita dell’industria, provocando l’abbassamento della falda e inquinandone le acque, causarono la perdita di importanza dei fontanili che furono abbandonati. Questo provocò anche la scomparsa dell’ecosistema caratteristico del fontanile.
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giovedì 8 aprile 2010


Presagio

Esita l'ultima luce
fra le dita congiunte dei pioppi
L'ombra trema di freddo e d'attesa
dietro di noi
e lenta muove intorno la braccia
per farci più soli.
Cade l'ultima luce
sulle chiome dei tigli-
In cielo le dita dei pioppi
s'inanellano di stelle.
Qualcosa dal cielo discende
verso l'ombra che trema-
Qualcosa passa
nella tenebra nostra
come un biancore-
forse qualcosa che ancora non è
forse qualcuno che sarà
domani-
forse una creatura
del nostro pianto.

Antonia Pozzi
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Carlo Fornara,
Il presagio
(Autunno, autunno inoltrato)
Olio su tela, cm 11x162
Trittico 1899-1901

mercoledì 7 aprile 2010

La Grande Jatte

E' una Domenica pomeriggio di un giorno caldo all'Isola della Grande Jatte e Seurat lo imprime su una tela famosissima quanto bella... ed il post-impressionismo compare sulla scena francese e punteggia di colori il mondo che lancia i suoi messaggi di modernità a quella borghesia illuminata che comincia a perdere aristocraticità in favore di un populismo che poi si esaspererà nel corso del '900.
La gente è sulle rive a godersi il riposo ed il sole e tutto è tranquillo come a dimostrare che ci si può fermare e si piuò rallentare le frenesie vitali che a volte esplodono nei conflitti sociali. E Parigi, Paris, è lì che guarda il nuovo secolo dalle lamiere della tour Eiffel che Debussy si rifiutava di guardare orripilato dal ferro citato come arte; è lì con Baudelaire e Rimbaud a rincorrere i versi di Verlaine e Mallarmè. Parigi è cara al cuore di molti e respira a pieni polmoni il primo smog e la cultura del tempo. Allora i giovani pittori affollavano le rive della Senna ed i bistrot.
Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte o semplicemente la Grande Jatte è un'opera (207,6 x 308 cm) realizzata tra il 1884 ed il 1886 dal pittore francese Georges-Pierre Seurat. Il quadro è tra le opere più note del movimento pittorico del puntinismo. La sua realizzazione fu preceduta, come di consueto nella tradizione puntinista, da una numerosa produzione di studi disegnati o dipinti. Fu acquistato nel 1924 da Frederic Clay Bartlett che lo prestò al The Art Institute di Chicago dove è tuttora esposto. Inoltre questo dipinto è caratterizzato da un aspetto puramente parodistico, che ha lo scopo di apportare critiche alla società borghese del tempo (basta osservare per esempio la donna che porta a spasso una scimmietta piuttosto che un cane). L'opera è organizzata secondo precise regole geometriche, a partire dalla simmetria rispetto all'asse centrale determinato dalla donne con la bambina.
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La tour Eiffel, 1889
Il quadro è finito nel museo Art Institute di Chicago.
...
C'è in Seurat un lato inquietante. Il suo stile ha qualcosa di voluto, di artificioso. Le sue teorie sulla divisione dei toni e sulla costituzione della luce sono astratte [...] Seurat giunge a un Impressionismo fondato su un modo di rappresentazione della luce un po' diverso dal precedente.
Ma non basta sostituire il divisionismo alla macchia impressionista per fondare uno stile, vale a dire una visione, registrazione cosciente dei nuovi rapporti tra gli oggetti o tra oggetto e soggetto. In Seurat la trama della rappresentazione spaziale è assolutamente tradizionale: rispetto dello spazio cubico, delle prospettive lineari. In breve, è un passo indietro rispetto all'Impressionismo. E la sua tecnica sa di ricetta [...] Seurat è, malgrado tutto, importante. Seurat non ha dimostrato, contrariamente a quanto si sostiene talvolta, come i contrasti di colore possano servire a costruire lo spazio: questa è la lezione di van Gogh. L'esperienza di Seurat si è fatta, principalmente, sulle figure e [...] ha mostrato come si possano rappresentare corpi a tre dimensioni in uno spazio bidimensionale per mezzo di processi non imitativi. È vero che anche qui la lezione di Seurat si congiunge a quella dei contemporanei, specialmente di Cézanne». (Wikipedia)

Georges Pierre Seurat nasce a Parigi il 2 Dicembre del 1859, terzo di quattro figli di una famiglia di borghesi benestanti. Frequenta un collegio e scopre la vocazione per il disegno a sette anni, stimolato dallo zio Paul Haumonte'-Faivre, un pittore dilettante. Frequenta la scuola municipale di disegno, dove incontra Edmond Aman-Jean, che sara' suo amico per tutta la vita e nel 1878 viene ammesso all'Ecole des beaux-Arts. Nel 1879 affitta un atelier al 32 di Rue de l'Arbalete con l'amico Aman-Jean ed Ernest Laurent. Viene fortemente influenzato dalla quarta esposizione degli impressionisti, in particolare da Pissarro, Degas e Monet. Nel 1883 il Salon accetta di esporre un suo disegno, ma l'anno seguente rifiuta il dipinto da lui presentato, Bagnanti ad Asnieres. Insieme ad altri artisti "refuses" forma la Societe' des Artistes Independants, in cui sono esposte le opere di 450 pittori. Nel Marzo del 1886 partecipa alla rassegna degli impressionisti allestita da Durand-Ruel a New York e dal 15 Maggio al 15 Giugno all'ultima mostra degli impressionisti a Parigi. Intanto porta a termine la sua opera piu' importante, la Grande Jatte, che espone con vivo successo al Salon des Independants di quell'anno e al Salon des XX di Bruxelles l'anno seguente. Il dipinto rappresenta il manifesto della nuova tecnica puntinista, nata parallelamente agli studi di ottica e basata sulla scomposizione dei colori. Nel 1889 Seurat conosce la modella Madeleine Knoblok, da cui ha due figli. Il 29 Marzo del 1891 muore di difterite o forse di angina infettiva, a soli 32 anni.

martedì 6 aprile 2010

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Il salto grande della Cascata delle Marmore è uno spumeggiare di acque a dissolversi nelle migliai di piccole gocce che rinfrescano i visi attoniti di fronte a questo meraviglioso spettacolo della natura. Il fiume rompe la sua linearità e si butta nel vuoro con la gioia tipica delle cascascate che non sono fargore ma suoni ancestrali.
Il rito dell'acqua è antico come il mondo e come il mondo ci accompagna da sempre riempiendoci cuore ed anima di sensazioni positive e visioni serene.
Poche cascata danno inquietudine, forse solo le più grandi, quelle violente che portano acque limacciose di piene devastanti.
Questa no, ripete il suo ciclico corso all'infinito.
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lunedì 5 aprile 2010


Nel silenzio mi piego

e mi attardo

non ali mi levano

in volo...io solo

sereno mi attardo

e ricordo.


Frammenti di Anonimo del XX* secolo

domenica 4 aprile 2010


E' una Pasqua diversa, lontana da quella che si pensava di trascorrere, sarà piena di pensieri a mezzaria, di tristi presentimenti che si cercherà di trattenere dentro di sè per non trqasmettere agli altri il senso di disagio che pervade il mio profondo.

Avrei voluto una Pasqua di sole, di fiori, con nelll'aria quell'odore di primavera che tanto mi piace e che ora difficilmente colgo.

Ricordo le campane della mia giovinezza, di quando il primo sole mi svelava segreti indicibili ed io percorrevo distanze infinite con la mente e con la bicicletta. Ricordo un paese denso di quei profumi che ancora ho in mente, ricordo i fontanili sgorganti purezza ed il volo delle rondini.

Oggi, a guardare questo plumbeo cielo ho un peso sul cuore.
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sabato 3 aprile 2010






Dopo la pioggia

Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l'arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede - questo è il male -
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.
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Gianni Rodari

giovedì 1 aprile 2010

Cicogne


Non c’è luogo
dove le speranze vivano
come cicogne su un muro antico
alte sul mondo
sul rumore.
Quiete, serene
in nidi di passato e sogni.

Sono così bambine
le mie fantasie
che m’inteneriscono fino al pianto.
Così smarrite e femmine
che si abbracciano furtive nel buio
e fanno l’amore tra loro.

Le condurrei lungo cammini
di fiaba, se non fossi così stanca
così sola, sempre, e muta.

Quando trovo la voce
mormora linee d’hennè
che sbiadiscono piano.
Tintinna leggera e falsa
come moneta bucata
nell’acqua s’allenta.

Arriva a te in un sussurro
e non dice: amami, ora
che ho ancora fiato e mani.

Dice cose inutili fiorite
fuori stagione
senza rami, senza radici.

dorme sopita la bestia

in noi abita e convive con la parte più razionale, quella che lucidamente ci porta alla riflessione e ci protegg dai colpi di testa dell'anima ancestrale. La bstia è affascinante, il lato oscuro, quel Mr. Hyde che ci fa paura ma ci piace pensarlo dentro di noi in attesa di poter uscire e mostrare a tutti la sua vera natura.

La imbrigliamo, la bestia, la incxateniamo con la parte consapevolmente e ragionevolmente più sociale...ma è lì, in attesa ed ogni tanto esce e fa danni che ben conosciamo.

Dovremmo tutti avere un posto segreto nel quale sfogare la nostra parte più recondita ed atavica senza che si possa o debba essere giudicati dagli altri o dagli eventi; questo posto esiste, è il mondo fantastico di quando si era fanciulli e che spesso si scorda.

Lì dobbiamo andare e liberare i gridi del nostro animalesco alter-ego.