venerdì 30 novembre 2012

Poesia e riflesso

E' oggi: tutto l'ieri andò cadendo
entro dita di luce e occhi di
sogno,
domani arriverà con passi verdi:
nessuno arresta il fiume dell'aurora.

Nessuno arresta il fiume delle tue mani,
gli occhi dei tuoi
sogni
, beneamata,
sei tremito del tempo che trascorre
tra luce verticale e sole cupo,

e il cielo chiude su te le sue ali
portandoti, traendoti alle mie braccia
con puntuale, misteriosa cortesia.

Per questo canto il giorno e la luna,
il mare, il tempo, tutti i pianeti,
la tua voce diurna e la tua pelle notturna.

Pablo
Neruda


idee perdute assillano
cuori in mareggiate immersi,
là dove brilla il sole
fredde lande aspettano...

giovedì 29 novembre 2012

Armonia

Un'armonia mi suona nelle vene

Un'armonia mi suona nelle vene,
allora simile a Dafne
mi trasmuto in un albero alto,
Apollo, perché tu non mi fermi.
Ma sono una Dafne
accecata dal fumo della follia,
non ho foglie nè fiori;
eppure mentre mi trasmigro
nasce profonda la luce
e nella solitudine arborea
volgo una triade di Dei

Alda Merini


rintocca la mente
di cose passate
e rumore di scrocchi
nell'alto fienile
con un filo di luce...


Per armonia si intende quando due o più suoni emessi contemporaneamente, risultano bene “insieme”.
Questa era la definizione più in uso fino ad alcuni anni fa, e si insegna ancora oggi nei corsi base di armonia nei conservatori.
Tuttavia è difficile stabilire se due suoni sono assolutamente gradevoli o meno all’orecchio: è molto soggettivo.
Oggi l’armonia è quella componente della musica che analizza o crea mediante uno o più suoni, sensazioni, emozioni, pensieri, secondo un tipo di cultura, di gusto o di modo, estrapolandone le regole che caratterizzano lo stile e riutilizzandole per ricreare ben definite sensazioni.
Se le note sono espressioni sonore di entità matematiche chiamate numeri l’armonia rappresenta la scienza che studia i rapporti tra 2 o più note ovvero tra 2 o più numeri definindo in questo modo uno spazio da 2 o più dimensioni (dalla rete).

mercoledì 28 novembre 2012

Canto Cheyenne

Dichiarazione senza parole

Un giovane in partenza per la guerra
mi ha fermato quest' oggi per la strada,
mi ha messo le mani nelle sue,
e quando se n'è andato
vi ho trovato un braccialetto giallo.

Cheyenne


la mia gialla visione
compare ogni tanto
da dietro le nubi
da ogni orizzonte...

martedì 27 novembre 2012

Ulisse

«Ulisse»,

che chiude la raccolta Mediterranee, è una lirica ispirata da un sentimento di serena, coraggiosa accettazione della vita che ha i suoi punti fermi (simboleggiati dal porto illuminato), ma nella sua essenza è ricerca incessante, navigazione verso l’ignoto. Il tema essenziale della poesia è quello ossessivo della solitudine e del rifiuto del conformismo, cioè dell’essere necessariamente come gli altri. Il poeta Saba, come un novello Ulisse, rifiuta la sicurezza del porto e si lascia trascinare al largo dall’amore della vita. La poesia può essere suddivisa in due blocchi presentati dagli indicatori temporali «Nella mia giovinezza» e «Oggi». Ciò che li caratterizza è il destino del poeta: all’«Ho navigato» della giovinezza corrisponde il «me al largo sospinge ancora» proprio della vecchiaia: il viaggio e la ricerca sono dunque la costante dell’esistenza. Nella prima parte Saba ricorda di quando, ancora giovinetto (probabilmente negli anni che intercorrono tra il 1899, cioè quando terminò gli studi all’accademia di commercio e nautica, e il 1903, quando si stabilì a Pisa), aveva navigato, in qualità di mozzo, nell’Adriatico, lungo le coste della Dalmazia; quel viaggio è qui utilizzato come metafora della
vita. Il ricordo si sofferma sugli isolotti, qui con ogni evidenza metafora dei pericoli e delle attrazioni (il male), belli ed insidiosi e abitati da uccelli rari (il bene); la loro scivolosità equivale alla pericolosità delle umane illusioni e dei richiami a cui un giovane non può resistere. Quegli isolotti con la marea e con l’oscurità della notte si rendono pressoché invisibili e così le navi si trovano a dover orientare le loro vele in senso opposto a quello da cui soffia il vento, per poterli scansare, per evitare di imbattersi in quegli ostacoli mortali. Anche qui possiamo leggere una metafora: quegli scogli potrebbero essere le illusioni umane ed i richiami che tanto attirano i giovani; a volte percepibili dall’uomo e a volte oscuri, essi portano il giovane ad addentrarsi in esperienze talvolta dannose. Nella seconda parte il poeta scrive di non avere più paura di quegli scogli, di quegli ostacoli che un tempo tentava di scansare; nella sua piena maturità («Oggi») egli vive «in quella terra di nessuno.» Qui si allaccia il ricordo del porto, simbolo di pace, di riposo e di sicurezza, quel posto dove Saba non può sostare perché egli né vuole népuò interrompere la ricerca perpetua che aveva avviato nella sua giovinezza; il porto è, la sicrezza delle sue luci sono per gli «altri», per chi vuole ritirarsi in una tranquilla vecchiaia. Saba non si può fermare, il suo spirito ribelle lo porta ad affrontare la vita, non lo lascia accasciare nella vecchiaia, lo fa lottare, abbracciarsi con le gioie e scontrarsi con le insidie. Il porto con le sue luci, il facile approdo, la sicurezza, non sono per lui; uno spirito ancora non domato, tuttora curioso di conoscere e di provare nuove esperienze e nuove emozioni, l'amore della vita che pure ha subito tante dolorose sconfitte, lo spingono al largo, a non accontentarsi di facili approdi e di territori già esplorati e senza rischi.
La lirica è rappresentata da un'unica strofa di tredici endecasillabi non legati da alcun sistema di rime, assenza compensata dall'importante parola–rima «largo» ai versi otto e undici, da una ricca sequenza di enjambement: raro/un uccello; al sole/belli; l’alta/marea; il porto/accende. Il nucleo tematico, il viaggio e la continua ricerca del poeta, è rivelato negli ultimi versi e la chiave interpretativa è già nel titolo, il quale suggerisce l’affinità del destino di ricerca che unisce Saba ad Ulisse. Egli intende affermare il proprio impegno morale di ricerca, che passa attraverso il rifiuto delle soluzioni facili e scontate (le luci del porto) che il poeta lascia agli altri. Il poeta paragona il proprio inquieto e avventuroso amore della vita allo spirito di ricerca che spinse Ulisse attraverso i mari. Gli isolotti che con la loro bellezza e insidiosità, sono punto di appoggio di uccelli rari, rappresentano la solitudine e la compresenza di male e bene tipiche della ricerca illimitata. Nel viaggio della vecchiaia il poeta vive in sé ed elegge a suo regno «quella terra di nessuno». La solitudine in questo modo si accentua e si pone come auto–esclusione. La seconda parte della poesia segna, infatti, un netto contrasto tra gli uomini che si fermano alle facili sicurezze che il porto può offrire e il poeta che è al largo, avendo scelto gli spazi del mare e dell’incognito che esso simboleggia. Il viaggio, proprio perché nasce da uno spirito che non è stato annullato dal male, ma è alimentato dall’amore legato al dolore della vita, non può conoscere soste e tende all’infinito (dalla rete).



Ulisse

Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più a largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.

Umberto Saba


Odisseo e Tiresia


isola lontana si vede
come azzurra magia,
per un attimo intenso,
poi ancora scompare
e riappare a marinai diversi...

lunedì 26 novembre 2012

Poesia e riflesso

Vano anche il futuro

Nulla che possa offrire
in integra sostanza
dei migliori anni miei?
Nè a guardare avanti m'incuora
fede ora
che la curva discende.

David Maria Turoldo

 

preso dal gioco rimando
considerazioni cosmiche
e vedo, trapela la sete,
il fresco di ieri è già pioggia...

domenica 25 novembre 2012

Piano, piano


Piano, piano,
come per non far rumore
in una stanza piena di gente;
la suggestione del brano è lì,
tutta lì...


L'Adagio in sol minore (Mi 26), noto anche con la denominazione piuttosto impropria Adagio di Albinoni, è una composizione musicale realizzata e pubblicata nel 1958 da Remo Giazotto. Giazotto dichiarò di aver "ricostruito" il presunto Adagio sulla base di una serie di frammenti di Tomaso Albinoni che sarebbero stati ritrovati tra le macerie della biblioteca di Stato di Dresda – l'unica biblioteca a possedere partiture autografe albinoniane – in seguito al bombardamento della città avvenuto durante la seconda guerra mondiale. I frammenti sarebbero stati parte di un movimento lento di sonata (o di concerto) in sol minore per archi e organo, di cui purtroppo non si hanno certezze concrete. In verità, a partire dal 1998, anno della morte di Remo Giazotto, l'Adagio è emerso essere un lavoro interamente originale di Giazotto, giacché nessun frammento di notazione è stato trovato in possesso della Biblioteca Nazionale Sassone. Il brano è comunemente orchestrato per archi con l'aggiunta dell'organo, o a piacere per archi soli. Ma la sua notorietà ha raggiunto un livello tale che sono frequenti le trascrizioni per molti altri strumenti. Il compositore e noto direttore d'orchestra Ino Savini ha strumentato l'Adagio per grande orchestra, dirigendo egli stesso le esecuzioni. Esiste una registrazione da lui diretta con la Janacek Philharmonic di Ostrava nel 1967 (CD "Ino Savini Live Collection" ISC-029) La composizione ha avuto un notevole successo anche grazie ai numerosi utilizzi e reinterpretazioni: fu usata da Carl Theodor Dreyer come parte della colonna sonora del suo film Ordet, che molti critici inseriscono tra le migliori pellicole della storia del cinema; è parte ad esempio della colonna sonora del film del 1981 Gli anni spezzati di Peter Weir, incentrato sulla famosa battaglia di Gallipoli combattuta nella prima guerra mondiale, e di quella del film di fantascienza Rollerball del 1975. È stata inoltre usata come sottofondo musicale in numerosissimi programmi televisivi e spot pubblicitari, per esempio nella popolare sitcom britannica Butterflies e nell'episodio "Il dominio del drago" (Dragon’s Domain) della serie di fantascienza Spazio 1999 (1975) (da wikipedia).

sabato 24 novembre 2012

Freddo


Freddo

Nei sensi si spinge
come un ago sottile
in un calando di voci.
le vie del sogno
sono ancora confuse
in un disegno sfocato.

Anonimo del XX° secolo
poesie ritrovate


Le ondate di freddo intenso, possono provocare problemi alla salute. Oltre che l’incremento di sindromi influenzali, le basse temperature possono causare, infatti, anche una recrudescenza della sintomatologia di malattie croniche, specialmente dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e muscolo scheletrico. Nelle condizioni più estreme, si possono verificare anche casi di ipotermia ed assideramento. Proprio per fronteggiare eventuali emergenze sanitarie correlate alle basse temperature e al clima invernale estremamente rigido, le autorità e le istituzioni del nostro Paese si sono attivate per predisporre e mettere in atto adeguate misure di sorveglianza e prevenzione nei confronti delle fasce più deboli e disagiate della popolazione, come anziani, malati cronici, bambini, persone povere e senza tetto. A livello nazionale è attivo il sistema di sorveglianza rapida sulla mortalità, in grado di intercettare e mettere in evidenza le possibili conseguenze sulla salute del clima rigido. Inoltre il Ministero della Salute ha messo a punto una guida ed un decalogo per prevenire e combattere gli effetti delle basse temperature sulla salute. Si tratta di alcune semplici regole per affrontare nel migliore dei modi il periodo più freddo dell'anno e proteggersi dai malanni dell'inverno. Ecco cosa si deve e non si deve fare:
1.Regolate la temperatura degli ambienti interni verificando che la stessa sia conforme agli standard consigliati e curate l’umidificazione degli ambienti di casa riempiendo le apposite vaschette dei radiatori: una casa troppo fredda e un’aria troppo secca possono costituire un’insidia per la salute. Può essere opportuno provvedere all’isolamento di porte e finestre, riducendo gli spifferi con appositi nastri o altro materiale isolante
2.Abbiate cura di aerare correttamente i locali: l’intossicazione da monossido di carbonio è assai frequente e può avere conseguenze mortali
3.Se usate stufe elettriche o altre fonti di calore (come la borsa di acqua calda) evitate il contatto ravvicinato con le mani o altre parti del corpo
4.Prestate particolare attenzione ai bambini molto piccoli e alle persone anziane non autosufficienti, controllando anche la loro temperatura corporea
5.Mantenete contatti frequenti con anziani che vivono soli (familiari, amici o vicini di casa) e verificate che dispongano di sufficienti riserve di cibo e medicinali. Segnalate ai servizi sociali la presenza di senzatetto, in condizioni di difficoltà.
6.Assumete pasti e bevande calde (almeno 1 litro e ½ di liquidi), evitate gli alcolici perché non aiutano contro il freddo, al contrario, favoriscono la dispersione del calore prodotto dal corpo
7.Uscite nelle ore meno fredde della giornata: evitate, se possibile, la mattina presto e la sera soprattutto se si soffre di malattie cardiovascolari o respiratorie
8.Indossate vestiti idonei: sciarpa, guanti, cappello, ed un caldo soprabito, sono ottimi ausili contro il freddo
9.Proteggetevi dagli sbalzi di temperatura quando passate da un ambiente caldo ad uno freddo e viceversa
10.Se viaggiate in automobile non dimenticate di portare con voi coperte e bevande calde.
Fonte: D.G. Prevenzione sanitaria - CCM - Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie -Ministero della Salute Data pubblicazione: 02 febbraio 2012

venerdì 23 novembre 2012

Esempio canto Apache

Esempio

Mio padre era un guerriero rispettato,
e così il padre di mio padre.
Io sarò degno
dei colori che coprono il mio viso.
Io sarò quello
di cui si parlerà
tra la mia gente,
un giorno.

Apache


e solcherò onde impetuose
se il fisico regge
se il cuore riposa...

giovedì 22 novembre 2012

Frammento riflesso


silenzi,
carichi di suoni
e soli
come luci lontane,
nel suolo le voci...

anonimo dl XX° secolo
frammenti ritrovati

mercoledì 21 novembre 2012

Frammento


contemplo l'ovvio
in un soliloquio unico
con animo spento ripiego
tristi contesti;
infine auspico e grido
soffocando urla violente
e cerco il dormire...

anonimo del XX°secolo
frammenti ritrovati

martedì 20 novembre 2012

Filastrocca e rfilesso


Il tempo

Non mi vedi, non mi senti,
non mi tocchi, non mi prendi.
Corro, corro, lesto lesto,
ora lieto ed ora mesto.
Corro corro e mai mi stanco
ed ai nonni il capo imbianco.

Lina Schwarz


nel tutto, nel nulla,
sento una stretta al petto
e mi discosto dai sempre
per connetermi ai mai...

lunedì 19 novembre 2012

I mesi

C'erano una volta due giovani fratelli che erano diversi fra loro com’è diverso il giorno dalla notte. Il maggiore, Cianne, avaro ed egoista, era riuscito ad arricchire a dismisura, mentre il minore, Lise, generoso ed altruista, si era ridotto in tale povertà da non sapere, al mattino, che cosa avrebbe mangiato alla sera. Tuttavia Lise era sempre allegro e pronto ad aiutare il prossimo, mentre Cianne, sospettoso di tutti e diffidente, soffriva di un malumore perpetuo.
Un giorno Lise pensò “ Qui in paese non farò mai fortuna, e non posso nemmeno chiedere a mio fratello di aiutarmi perché gli darei un dispiacere troppo grosso. E’ meglio che mene vada. Sono giovane e ho voglia di lavorare: il Cielo mi aiuterà”. Detto fatto, e senza prendere seco nemmeno un fagottino perché non possedeva niente, infilò la prima strada che vide, e via, seguendo il naso. Attraversò diverse contrade, ma invano: la fortuna volesse volgere le spalle al giovane, che però non aveva perso il suo solito buon umore.
Una sera Lise fu colto da un furioso temporale, e in un batter d’occhio fu fradicio fino al midollo. Per fortuna vide in lontananza un lumicino di campagna dove era certamente acceso il fuoco; infatti lo vide brillare attraverso i vetri. “ Almeno potrò asciugarmi gli abiti” pensò rallegrandosi; spinse la porta ed entrò. L’osteria era occupata da dodici viaggiatori che sedevano in cerchio attorno al focolare, e non c’era posto per lui.
- Buona sera, signori – disse rispettosamente; e sedette in distanza per non disturbare.
I dodici personaggi si volsero tutti insieme a guardarlo, e notarono che sgocciolava acqua da tutte le parti, i strinsero un po’.
- C’è posto anche per te – disse gentilmente uno di loro. – Vieni avanti e siedi qui con noi.
Lise non se lo fece ripetere; trascinò la sedia vicino alla fiamma e protese le mani al piacevole calore. Mentre si scaldava, guardava il viaggiatore seduto vicino a lui, e si accorse che era un uomo piuttosto giovane, ma con un aspetto corrucciato, proprio come se qualcuno lo avesse contrariato.
- Ti ha colto il temporale eh? – disse lo sconosciuto che gli sedeva accanto. – Che cosa ne dici, di questo tempaccio?
- Che cosa volete che dica? – replicò Lise. – Siamo nel mese di marzo, ed è giusto che piova. Noi ci lamentiamo sempre, dell’estate perché fa caldo, dell’inverno perché fa freddo, e della mezza stagione perché è mutevole. Ma il Signore ha fatto le cose per benino, e la colpa è nostra se siamo incontentabili.
- Ma del mese di marzo – insisté lo sconosciuto – che cosa ne pensi? A un giorno di sole segue un giorno di neve; soffia un po’ di venticello tiepido, e subito dopo ecco una gelida tramontana. Hanno ragione quelli che lo definiscono pazzo e lo detestano.
- Oh, no! – esclamò Lise vivacemente. – C’è il vento, si, ma serve a mandar via le nuvole e a spazzar bene il cielo. Nevica, si, ma nessuno se ne spaventa perché la neve marzolina viene alla sera e va via alla mattina. E infine è il mese che annuncia la primavera: basta un giorno di sole per ricoprire di fiori e i prati.
I dodici viaggiatori avevano ascoltato sorridendo, e più di tutti sorrideva il giovane sconosciuto che sedeva accanto a Lise.
- Sei proprio saggio, amico mio! – disse frugando nella sua bisaccia e ne trasse una cassettina di legno intarsiato.
- Accettala come mio ricordo. Quando avrai bisogno di qualche cosa, aprila e sarai esaudito. Noi ora dobbiamo partire.
E infatti i dodici viaggiatori si alzarono e uscirono dall’osteria, mentre Lise, meravigliato e incredulo, si profondeva in ringraziamenti. Anch’egli uscì e si rimise in cammino, ma si sentiva sfinito dalla stanchezza. “ che cosa ci sarà qui dentro? “ si chiese aprendo la cassettina. “ Avrei bisogno di trovarmi una bella carrozza foderata di velluto, tirata da due cavalli”.
Aveva appena detto questo, che dalla cassetta balzò una minuscola carrozzina foderata di velluto rosso, che subito s’ingrandì e diventò una carrozza vera tirata da due focosi cavalli. Lise vi entrò tutto beato e riprese il suo viaggio. Così galoppando e trottando la carrozza di Lise percorse un buon tratto di strada.
A un certo punto sentì un gran appetito; aprì la cassettina e disse:
- Vorrei un buon pranzo.
E subito una tavola sontuosamente imbandita e coperta di cibi prelibati apparve davanti a lui.
- E ora vorrei dormire – concluse, ancora trasecolato.
E subito la carrozza si fermò davanti a una sontuosa tenda di damasco rosso deve era preparato un morbido letto. Il giovane dormì saporitamente e al mattino si svegliò fresco e riposato.
- Ho già trovato la fortuna – concluse. – Non mi resta che tornare a casa per riabbracciare mio fratello. Ma voglio abiti degni di un re.
E subito apparve un sontuoso vestito tutto di panno nero foderato di lana gialla, ricamato d’oro e argento. Così Lise tornò a casa, e si presentò al fratello il quale lo guardò a bocca aperta.
- Come hai fatto a diventare tanto ricco? – chiese subito. – Insegnalo anche a me.
Lise non si fece pregare:raccontò della sera passata nella taverna, dell’incontro con i dodici viaggiatori e del dono che gli avevano fatto.
- Debbo uscire per un affare urgente – disse Cianne a questo punto. – Aspettami qui.
Sellò in tutta fretta il suo cavallo e partì al gran galoppo verso l’osteria di campagna. Vi giunse verso sera, ma per via fu colto da un violento temporale che lo infradiciò fino alle ossa. Brontolando pieno di malumore, entrò nell’osteria e vide i dodici viaggiatori seduti accanto al fuoco.
- Stringetevi un po’, perché ho diritto di asciugarmi anch’io – disse sgarbatamente. – accidenti a questo dannato mese di marzo.
I viaggiatori gli fecero posto accanto al fuoco, e il giovane che gli sedeva vicino domandò:
- Che cosa pensi, del mese di marzo?
- Che è pazzo! – gridò Cianne inviperito. – Oggi c’è il sole e domani la neve; oggi c’è caldo da scoppiare e domani un freddo da gelare. Sarei ben felice se fosse possibile cancellarlo dal calendario.
I dodici viaggiatori erano appunto i dodici mesi, e colui che parlava era proprio il mese di marzo. Egli frugò nella sua bisaccia e ne trasse un lungo bastone.
- Accettalo per mio ricordo – disse gentilmente. – Quando comanderai: “ Bastone, dammene cento “ sarai subito accontentato.
“ Cento scudi! “ pensò Cianne fra sé “ Evviva !”. I viaggiatori partirono, e anche Cianne uscì subito dopo; balzo a cavallo e galoppo verso casa. Non appena giunse in una località solitaria, fermò il cavallo e comandò al bastone:
- Bastone, dammene cento!
Subito il bastone incominciò a scaricargli una grandine di legnate, e inutilmente Cianne si diede a una fuga precipitosa. Il bastone lo inseguiva, e nemmeno un colpo andava a vuoto. Finalmente, dolorante e pieno di bernoccoli, giunse alla porta di casa.
- Aiutami, fratello mio! – supplicò.
Subito Lise aperse la cassettina e comandò al bastone di fermarsi. Finalmente il bastone si fermò, e Cianne poté gettarsi sopra il letto e riaversi dalla paura e dalla fatica.
- Ohimè, ohimè! – piagnucolava. – Ecco il bel regalo che mi hanno fatto i tuoi amici!
- Era questo, dunque, il tuo affare urgente? – chiese Lise. – Perché non mi hai detto la verità? Io ti avrei insegnato come comportarti. E che bisogno hai,
infine, di ricchezze? Possediamo già una cassettina: non basta per due?
Sentite queste parole Cianne gli chiese perdono per il disamore passato e, fatto un accordo come quello che fanno i mercanti per tenere alti i prezzi, si godettero insieme la buona sorte e da allora in poi Cianne disse bene di ogni cosa, per trista che fosse, perché

il cane scottato dall'acqua calda
ha paura anche dell'acqua fredda.



dal Pentamerone di Gianbattista Basile

domenica 18 novembre 2012

Poesia e riflesso

Scricchiolio di un ramo spezzato

Ramo spezzato e scheggiato
che ormai pende anno dopo anno
e asciutto scricchiola al vento il suo canto,
senza più fogliame nè scorza
spelato, scialbo, di lunga vita,
di lunga morte stanco.
Secco risuona e tenace il suo canto
caparbio risuona e in segreto angoscioso
ancora per tutta l'estate
per tutto un inverno ancora.

Hermann Hesse


stagioni rincorse con foga
alla ricerca del sogno
dell'unico oblio;
così come parlo ora taccio
e mi accosto al lungo cancello
di un viale che porta lontano...

sabato 17 novembre 2012

Li Po, tra poesia e riflesso


Li Po (701-662), considerato spesso come il più grande dei poeti cinesi, è certo il più conosciuto in Europa e il più tradotto.
Visse in uno dei periodi più neri della storia cinese, durante una guerra nella quale morirono trenta milioni di uomini; ma nei suoi versi riuscì a starne lontano, “colla testa appoggiata a un guanciale di nuvole azzurre”, per dirla con lui.
Da: Liriche cinesi (1753 a. C. – 1278 d. C.)
Antologia dell’antica poesia cinese a cura di Giorgia Valensin. Prefazione di Eugenio Montale (Einaudi 1981),
(dalla rete).




gialla visione con ali possenti
ritorni e ritrovi me stesso
in un attimo grido e dispero
poi dormo ogni tanto sereno...


 

Tristezza d'Autunno

Lungo
la gialla argilla dorata
della Grande Muraglia
lui cavalca il bianco cavallo.
Casì  lei sogna e sempre pensa
all'amato in guerra, nel deserto ostile.
Le lucciole sfiorano la sua finestra,
la luna accarezza i suoi capelli,
e lei,
abbandonata alla sua tristezza
nel colore delle foglie d'autunno
che cadono appassite,
vista da nessuno
piange e geme
pur sapendo
che le lacrime non salvano nulla.

Li Po

venerdì 16 novembre 2012

Autunno tra poesia e riflesso

L'autunno astronomico nell'emisfero boreale ha inizio il giorno dell'equinozio d'autunno, il 22 o il 23 settembre e termina il 20 o il 21 dicembre.
Avvicinandoci a questo periodo la parte illuminata e le ore di luce diminuiscono.
Il 22 o il 23 settembre (in base al giorno dell'equinozio d'autunno) i raggi del sole sono perpendicolari all'equatore e il circolo d'illuminazione passa per i poli.
Meteorologicamente invece si considerano estate e inverno i periodi di tre mesi rispettivamente più caldi e più freddi: in tal modo primavera e autunno sono definiti come i periodi intermedi.
In tal senso l'inizio dell'autunno meteorologico varierà da paese a paese principalmente in base alla latitudine (da wikipedia).

AUTUNNO
  Autunno mansueto, io mi posseggo
e piego alle tue acque a bermi il cielo,
fuga soave d'alberi e d'abissi.
Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:
povera cosa caduta
che la terra raccoglie.
 
Salvatore Quasimodo


colori ed umori
in languidi sbuffi di nebbia
fuori i contorni indecisi
dentro un poco di freddo...

giovedì 15 novembre 2012

Canto indiano e riflesso

Attrazioni

Ragazza,
tu mi parli con tale gentilezza
che io di certo non me ne scorderò.
Conserverò le tue parole nella mente
mentre sarò lontano e solo
nella notte.
Apache

Tranquillo Cremona, Attrazione


fnite le frasi, i baci,
cosa resta nel cuore?
una sete di tutto,
un sapore perduto...

mercoledì 14 novembre 2012

La teiera superba

C'era una volta una teiera molto superba. Andava orgogliosa soprattutto della sua porcellana, del suo manico e del suo cappuccio ricurvo. Del suo manico e del suo beccuccio, per dire le cose con esattezza, parlava in continuazione, mentre era più riservata a proposito del suo coperchietto, che un volta si era rotto in tre pezzi ed era stato aggiustato con la colla. Questo era il suo difetto, e dei difetti, si sa, non si parla mai volentieri, anche perché ci pensano sempre gli altri. Anche in questo caso, le tazze, i piattini, il piccolo bricco del latte, la zuccheriera, insomma, l'intero servizio da tè, preferivano chiacchierare delle debolezze della teiera, piuttosto che ricordarne i suoi pregi. Per loro contava di più quel coperchietto rotto che non il manico saldo e il grazioso beccuccio, e questo la teiera lo sapeva benissimo. "Io conosco il mondo"- sospirava- e d'altra parte conosco anche le mie mancanze, e soprattutto qui sta il segreto della mia umiltà e della mia modestia. Difetti ne abbiamo tutti, così come tutti abbiamo qualche pregio, ma io, parola d'ordine, possiedo molti più pregi che difetti. È vero, è capitata quella disgrazia al mio coperchietto, ma io ho un beccuccio e questo le tazze e la lattiera non lo avranno mai. È questo che mi rende la regina della tavola da tè. Sì è vero, alla zucchiera e alla lattiera è consentito di portare, come umili serve, lo zucchero e il latte:ma chi è che decide? Chi è che sparge benedizioni sull'umanità assetata? Nel mio interno le foglioline cinesi sprigionano il loro delizioso aroma nell'acqua bollente, e danno un infuso squisito. Così si consolava la teiera, nei giorni spensierati della sua giovinezza. Passarono gli anni, e un giorno fu sollevata dalla manina delicata di un bimbo. Una manina delicata…e un po' maldestra…tanto che lateiera ruzzolò sul pavimento e andò in frantumi. Il beccuccio si staccò e andò a rimbalzare sotto una sedia e anche il manico si ruppe, per non parlare del coperchio che, già malridotto era, andò in mille pezzi. Che dolore per la teiera: giaceva a terra, semi svenuta, mentre l'acqua bollente scorreva fuori da essa tutt'intorno. Era un brutto colpo quello che le era stato inferto, e il peggio era che le tazzine, i piattini, la lattiera, ridevano di lei, anziché ridere della manina maldestra. Molto più tardi la teiera si trovò nelle condizioni di raccontare la sua vita e, ricordando questo doloroso episodio, disse: "Questo fatto non potrò dimenticarlo mai. Dissero che ero mutilata, che oramai non servivo più a nulla, e mi cacciarono in un angolo. Il giorno dopo, la cameriera mi vide e mi regalò ad una povera donna. Potete immaginare in quale miseria piombai di colpo, io che ero abitata ad ogni lusso. Ma a volte la vita ci mette di fronte a fatti inspiegabili: si è una cosa e se diventa un'altra…e proprio allora per me incominciò una vita migliore. Mi riempirono di terra, e questo, sapete, per una teiera è come un sepoltura, ma nella terra piantarono un bulbo. Il bulbo stava dentro di me, diventò il mio cuore, il mio cuore vivo. E dire che prima, nella mia esistenza dorata, non ne avevo mai avuto uno. Passavano i giorni e il bulbo germogliava, riboccava di pensieri e di buoni sentimenti, che un giorno sbocciarono sottoforma di un fiore stupendo. Io lo avevo visto crescere, lo avevo portato in me, e così avevo dimenticato me stessa in virtù della sua grazia e della sua bellezza. Oh, non tutti possono capire che benedizione sia dimenticare se stessi per gli altri. Il fiore, per essere sinceri, non mi ringraziò nemmeno, e forse non si accorse neanche della mia esistenza. Fu ammirato e lodato e mi rallegrai per lui: certo, doveva essere molto felice. Tutti quelli che passavano lo ammiravano e quel giorno sentii dire che quel fiore meritava ben altro vaso che un rudere di teiera. Mi gettarono nel cortile e lì giaccio ancora, come un vecchi coccio: ma il ricordo, cari miei, il ricordo non lo perderò mai!"



martedì 13 novembre 2012

Poesia e riflesso

Così siamo

Dicevano, a Padova, "anch'io"
gli amici "l'ho conosciuto".
E c'era il romorio d'un'acqua sporca
prossima, e d'una sporca fabbrica:
stupende nel silenzio.
Perché era notte. "Anch'io
l'ho conosciuto".
Vitalmente ho pensato
a te che ora
non sei né soggetto né oggetto
né lingua usuale né gergo
né quiete né movimento
neppure il né che negava
e che per quanto s'affondino
gli occhi miei dentro la sua cruna
mai ti nega abbastanza

E così sia: ma io
credo con altrettanta
forza in tutto il mio nulla,
perciò non ti ho perduto
o, più ti perdo e più ti perdi,
più mi sei simile, più m'avvicini.

Andrea Zanzotto
da "IX Ecloghe"


fitti scrosci di pioggia
e paure ataviche emergono
da scene di ovvia follia
così siamo,
così vogliamo...

lunedì 12 novembre 2012

Veleggiare tra poesia e riflesso

veleggiare v. intr. [der. di vela] (io veléggio, ecc.; aus. avere). –
1.
Navigare con un veliero o un’imbarcazione a vela: v. nell’oceano; v. al largo; v. per diporto; in senso traslato: sto di punto in punto per perdermi, mentre mi conviene veleggiar tra scogli ed onde così rotte, che mi fanno, come si dice, perder la bussola (Galilei, alludendo alle difficoltà della discussione). Con uso trans., poet., v. il mare o un mare, solcarlo, percorrerlo con nave a vela: il navigante Che veleggiò quel mar sotto l’Eubea (Foscolo); Te ... accolse il comico navile Veleggiando la tacita laguna (Carducci, con riferimento a Carlo Goldoni).
2.
a. estens. Volare con un aliante, eseguire il volo a vela, compiere un volo senza l'uso del motore.b. poet. Di uccelli, volare o avanzare nell’acqua con le ali aperte: al fuggente nuotatore [il cigno] Che veleggia con pure ali di neve (Foscolo). ◆Part. pass. veleggiato, anche come agg.: volo veleggiato, di uccelli e di aeromobili (v. volo, n. 1 a e b).

Veleggio come un'ombra

Veleggio come un'ombra
nel sonno del giorno
e senza sapere
mi riconosco come tanti
schierata su un altare
per essere mangiata da chissà chi. 
Io penso che l'inferno
sia illuminato di queste stesse
strane lampadine.
Vogliono cibarsi della mia pena
perché la loro forse
non s'addormenta mai.

Alda Merini


quando l'ombra si stinge
compare il sole e il colore
richiama alla mente la luce
così si ristà a si geme
come piccole fragili ali...

domenica 11 novembre 2012

Frammento




note di luce
in un'alba uggiosa,
le mani concretano
stille di umori
è giorno tra poco...

anonimo del XX° secolo
frammenti ritrovati

sabato 10 novembre 2012

GYULA JUHÁSZ


Poeta ungherese (Szeged 1883 - ivi 1937).
Lirico crepuscolare e parnassiano, dalle forme di rara perfezione, specialmente nei sonetti.
È una delle maggiori figure della poesia ungherese della prima metà del Novecento.
Nei suoi volumi: Új versek 1908-1914 ("Versi nuovi", 1914); Kèső szüret ("Vendemmia tardiva", 1918); Nefelejts ("Non ti scordar di me", 1921); Testamentom (1925); Hárfa ("Arpa", 1929); Fiatalok még itt vagyok! ("Giovani, ancora sono qui!", 1935); Összes művei ("Tutte le opere", 3 voll., 1963) cantò il paesaggio magiaro, la vita di provincia, le vicende storiche della sua nazione, il sentimento religioso e il profondo desiderio d'amore.
Morì suicida (Treccani).

 

CANTILENA DI NOVEMBRE

I tristi pagliai anneriti
stanno in grembo all’autunno, spersi nella pioggia.
Un pioppo si rannicchia sotto il vecchio cielo
che specchia i tempi che se ne vanno.
O tristi pagliai anneriti,
dov’è l’estate, dove sono le frecce di fuoco e le danze?
Un pioppo si rannicchia sotto il vecchio cielo,
filtrano dell’autunno lacrimose fragranze.
I tristi pagliai anneriti
stanno in grembo all’autunno, spersi nella nebbia.
Ancora una volta il mondo si fa più desolato
e questo cuore ancora una volta muore sfinito.

Gyula JUHÁSZ


il fico ingiallito aspetta
per le foglie quell'ultimo volo
che poi è anche il solo,
lo guardo che piove

venerdì 9 novembre 2012

Canto indiano

Brithis Columbia, Canada, lago Tagish, una popolazione assolutamente pacifica deidta alla pesca ed alla caccia; tra poesie e canti di fede le donne tagish vivevano in simbiosi con la natura che le circondava.
Il grande Spirito, gli animali, il ciclo delle stagioni la nascita e la morte come un tuttuno con la volta celeste.
 
Canto d'amore di una donna
 
Perchè sono venuta a te,
a Dyea, dalla terra lontana
soltanto per scoprire
che tu sei andato via?
Io sono qui,
e ti chiamo.

Tagishdalla costa Nord-occidentale

 

sospinto dal seme
il cuore palpita sempre,
un pò meno di prima,
forse più silente
ma vivo e caldo...

giovedì 8 novembre 2012

Finestra tra poesia e riflesso

Una finestra è un'apertura praticata in una parete verticale della muratura per consentire, se non chiusa, l'ingresso della luce e, di norma, lo scambio dell'aria tra il vano interno di una costruzione e l'esterno. In architettura la finestra ha spesso un autonomo contenuto stilistico e talvolta caratterizza il prospetto, determinandone il movimento. In geometria descrittiva le finestre sono definite come casi di intersezione tra solidi, i quali, nei casi più frequenti, sono formati da prismi, piramidi e superfici di rotazione. Le dimensioni di una finestra variano in funzione di vari fattori: il clima del luogo; le esigenze di illuminazione e ombreggiamento; le esigenze di aerazione, riscaldamento o raffreddamento; l'estensione della stanza; le qualità estetiche e stilistiche, anche rapportate all'intero edificio; l'esposizione della struttura abitabile. I Romani furono i primi a dotare le finestre di tamponamento in vetro, una tecnica che poi si perse per scarsità di materiali durante l'alto Medioevo, per venire poi ripresa il larga scala solo nel periodo gotico (XII secolo - XIII secolo). Nel Rinascimento sono stati introdotti molti tipi di finestra, come la bifora, la trifora, la serliana, l'inginocchiata, l'occhio di bue e, tipicamente italiano, l'abbaino, che si apre nella copertura. Dalle influenze moresche e saracene derivano altri stili ed accessori della finestra, che è protetta esternamente dall'inferriata, dalla persiana, dal portello o dal cassettone ed all'interno dalla veneziana o dallo scuro. Si possono avere finestre che raggiungono la quota del pavimento, chiamate anche "porte-finestre"; finestre la cui quota del davanzale è circa di un metro e consente l'affaccio di persone; oppure finestre collocate più in alto, che danno solo luce e aria (nel diritto privato si chiamano infatti luci). Inoltre esistono tipi particolari di finestre, detti lucernari o cappuccine, che vengono praticate sulle coperture inclinate.

La finestra

Stanotte è arrivato un temporale e ha fatto saltare
l'elettricità. Quando ho guardato fuori
dalla finestra, gli alberi erano traslucidi.
Curvi e ricoperti di brina. Una calma enorme
s'estendeva sull'intera campagna.
Pur sapendo che non era vero, in quel momento
avevo la sensazione di non aver mai fatto, in vita
mia, una falsa promessa né d'aver mai commesso
neanche un atto impuro. I miei pensieri
erano pieni di virtù. Più tardi, nella mattinata,
naturalmente, hanno riattaccato l'elettricità.
Il sole è uscito da dietro le nuvole
e ha sciolto la brinata.
E tutto è tornato come prima.

Raymond Carver






lo sguardo indugia
sui monti e le nubi,
il primo freddo esalta
il ricamo di un ragno,
c'è una bava di vento...

mercoledì 7 novembre 2012

Poesia e riflesso

L'azzurro

Del sempiterno azzurro la serena ironia
Perséguita, indolente e bella come i fiori,
Il poeta impotente di genio e di follia
Attraverso un deserto sterile di Dolori.

Fuggendo, gli occhi chiusi, io lo sento che scruta
Intensamente, come un rimorso atterrante,
L'anima vuota. Dove fuggire? E quale cupa
Notte gettare a brani sul suo spregio straziante?

Nebbie, salite! Ceneri e monotoni veli
Versate, ad annegare questi autunni fangosi,
Lunghi cenci di bruma per i lividi cieli
Ed alzate soffitti immensi e silenziosi!

E tu, esci dai morti stagni letei e porta
Con te la verde melma e i pallidi canneti,
Caro Tedio, per chiudere con una mano accorta
I grandi buchi azzurri degli uccelli crudeli.

Ed ancora! che senza sosta i tristi camini
Fùmino, e di caligine una prigione errante
Estingua nell'orrore dei suoi neri confini
Il sole ormai morente giallastro all'orizzonte!

- Il cielo è morto. - A te, materia, accorro! dammi
L'oblio dell'Ideale crudele e del Peccato:
Questo martire viene a divider lo strame
Dove il gregge degli uomini felice è coricato.

Io voglio, poiché infine il mio cervello, vuoto
Come il vaso d'unguento gettato lungo un muro,
Più non sa agghindare il pensiero stentato,
Lugubre sbadigliare verso un trapasso oscuro...

Invano! Ecco trionfa l'Azzurro nella gloria
Delle campane. Anima, ecco, voce diventa
Per più farci paura con malvagia vittoria,
Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente!

Si espande tra la nebbia, antico ed attraversa
La tua agonia nativa, come un gladio sicuro:
Dove andare, in rivolta inutile e perversa?
Mia ossessione. Azzurro! Azzurro! Azzurro! Azzurro!

 
Stephane Mallarmé


e mi tuffo nel blu
profondo, profondo
per giungere a me
là dove sono...

martedì 6 novembre 2012

Poesia e riflesso

Lirica

Oh, dove prima al limite del giorno
s’appiattava  una forza ordinatrice,
quale scoscendimento pauroso
che mi rimonta sulla stessa ruota,
sulla ruota del giorno e del tormento?
E dove il digiuno di un incontro
rovesciare codeste verità?
Ah, fantasmi di te, mille fantasmi
arsi di sete, tutti, alla mia fonte!
Una forza stranissima si insinua
nelle mie labbra docili e le incurva;
io ruoto, sento, sul mio desiderio
schiava di un magnetismo che mi ha vinta.
La corsa dopo invaderà il mio corpo
che la esercita in sé, nel suo tormento,
per superare ciecamente il solco
dove tu, assente, non puoi più fiorire.
Ardo di mille musiche diverse,
ma dove è tempo di un incontro nuovo,
resiste il “poter essere” di te.

Alda Merini
13 marzo 1949


e quando il suono è bello
mi sento sollevare in aria
e la mente sogna e vive;
ogni ricordo è strano
in un oceano di verde...