mercoledì 29 febbraio 2012

Luisa

Il viaggio di Luisa

...e in un attimo le ali dispiego
non vedo che sole e il calore
riscalda questo mio vecchio corpo
poi sono nel prato e lo sterpo
si avvinghia al secco terreno del cuore
mi apre visioni confuse e io nego
alla mente il raccolto,
alle membra la noia,
l'amore, gli odori, la gioia,
di partenze per posti lontani
con un brivido qui, nelle mani,
e un non sò di sereno nel volto...

anonimo del XX° secolo

Alfabeto

L'alfabeto è una collezione di simboli grafici, aventi di solito un ordine ben preciso, che servono a rappresentare le parole di una lingua.
Spesso succede che i segni siano lettere, ovvero segni che rappresentano idealmente singoli suoni linguistici, ma non sempre si ha un perfetta rappresentazione tra l'alfabeto e sistema fonologico di una lingua, per cui nascono a volte combinazioni di lettere rappresentanti suoni altrimenti orfani oppure può capitare che lo stesso suono sia rappresentato da più lettere ma in contesti diversi.
La parola deriva etimologicamente dall'unione dei nomi delle prime due lettere dell'alfabeto greco Alpha e Beta, ma sono stati i Fenici ad inventarlo.
In genere un alfabeto è associato ad una lingua o ad un linguaggio (anche formale) che costruisce le proprie parole sull' alfabeto.
L'alfabeto italiano è composto da 21 lettere: a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z; le lettere j k w x y sono entrate di fatto in uso nella scrittura italiana attraverso prestiti da altre lingue.
L'alfabeto in senso stretto va distinto da altre forme di scrittura come le abugide, i sillabari e le scritture logografiche.
L'alfabeto latino è il sistema di scrittura alfabetica più diffuso nel mondo (da wikipedia).


B.P.

Tutte le lettere dell'alfabeto
hanno un suono vivace e lieto
tranne l'Acca che, come si sa,
un suono proprio non ce l'ha.
Ci sono lettere importanti:
l'A che a tutte sta davanti,
del suo primato è molto orgogliosa
e porta sempre la Maglia rosa;
la Zeta, con cui si scrive «zero»,
è più temuta dell'Uomo Nero.
Ci sono lettere buone e care
come la G del verbo giocare.
Certe lettere vanno in coppia,
e la T spesso si raddoppia...
Ma la coppia più speciale,
famosa su scala internazionale,
è quella che vedete qui:
una B. con una P.
B.P... Che vuol dire? Pensateci un po':
forse Buon Pranzo... forse Buon Pro...
Oppure... Buona Passeggiata?
Trovate da soli la ... Bella Pensata.

Gianni Rodari

martedì 28 febbraio 2012

Poesia e pensiero

Non posso esistere senza di te
 
Non posso esistere senza di te.
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
la mia vita sembra che si arresti lì,
non vedo più avanti.
Mi hai assorbito.
In questo momento ho la sensazione come di dissolvermi:
sarei estremamente triste senza la speranza di rivederti presto.
Avrei paura a staccarmi da te.
Mi hai rapito via l''anima con un potere cui non posso resistere;
eppure potei resistere finché non ti vidi;
e anche dopo averti veduta mi sforzai spesso di ragionare
contro le ragioni del mio amore.
Ora non ne sono più capace.
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista.
Non posso respirare senza di te.
 
John Keats


ragioni del cuore soverchiano
realtà disinvolte, ferree,
in un calando di tensione
verso gli indugi di sempre;
nella fine del resto
si trovano cose perdute
eppure la mente gioca
con le farfalle ferite
del percorso di un'anima...

lunedì 27 febbraio 2012

Poeta

I poeti lavorano di notte 

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,         
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.

Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.

Alda Merini


In senso stretto un poeta è uno scrittore di poesie.
Il sostantivo deriva dal verbo greco ποιεω (traslit. poieo), il cui significato letterale è "fare".
I primi poeti declamavano le loro opere oralmente, accompagnandosi con la musica, come già Omero, il poeta più famoso dell'antichità.
I primi a scrivere poesie in italiano furono gli esponenti della scuola siciliana da cui derivò il dolce stil novo; tra i grandi del periodo spiccano Dante, Petrarca e Boccaccio.
Il valore dei testi dei poeti va al di là del vero significato delle parole, e coinvolge aspetti fonetici e musicali, attraverso un linguaggio che spesso si presta a varie interpretazioni e può suscitare forti emozioni.
Perciò in senso lato si suole definire poeta chiunque, artista o no, manifesti questa capacità nelle proprie opere o anche soltanto nel proprio modo di comunicare (dalla rete).

domenica 26 febbraio 2012

Orto Invernale

In inverno gli appassionati di orticoltura possono decidere di sospendere le attività nel loro amato fazzoletto di terra, oppure realizzare un orto invernale.
Nel primo caso il terreno deve essere vangato per aerarlo ed eliminare i parassiti, esponendole le uova alla rigida temperatura invernale invece d lasciare “al calduccio” sotto la superficie… tutto questo senza usare dannosi insetticidi chimici.
Chi invece vuole assaporare le delizie della terra anche nei mesi più freddi, avrà provveduto già a novembre a interrare ortaggi come l’aglio e la cipolla, la verza e il cavolo, le cime di rapa e gli spinaci. Queste ed altre specie resistono al freddo ed alla diminuzione delle ore di luce solare, tipica di questa stagione. Anzi ce ne sono alcune, come la verza e il broccolo, che addirtutra traggono giovamento dalle gelate.
Se il freddo è molto intenso o prolungato, però, non sarà male coprire l’orto con agritessuto (TNT): questo materiale infatti protegge dal gelo ed attenua l’escursione termica fra il giorno e la notte, ma non impedisce il passaggio dell’acqua, dell’aria e della luce.
Un accorgimento molo utile durante questa stagione consiste nel preparare delle aiuole rialzate circa 20-30 cm rispetto al livello del suolo; questo infatti permette agli ortaggi di rimanere più asciutti in caso di precipitazioni abbondanti e prolungate, impedendo ristagni d’acqua che possono provocare marciumi (dalla rete).


Orto a Febbraio

Orticello color saio
dell'inverno alla ventura,
già innanzi è febbraio,
vicina è,la potatura.
Forse domani ti rassetti.
Cadranno le morte rame
al lampo dei falcetti
e odorerai di letame.
Non più il freddo ti addenta.
A righe fitte uguali
presto cadrà la sementa:
già corre l'acqua nei canali...
Piccola speranza verde
fra il muro di casa e la strada:
sentiero che non si perde,
fra due rive di rugiada.

Lina Carpanini

sabato 25 febbraio 2012

Poesia e riflesso

SOLITARIO

Grigiodorate maglie di luna fanno
tutta la notte un velo,
lampioni a riva sul dormiente lago
viticci di alburno tràmano.

Maligne canne bisbigliano alla notte
un nome - il suo nome -
e l'anima mia tutta di delizia,
di vergogna vien meno.

James Joyce


solitamente stanchi
vagano volti nel mio animo
come leggerezze stupide
si insinuano e amano;
soliloqui inutili appannano
i vetri delle mie finestre
che guardano il mondo...


venerdì 24 febbraio 2012

Menta e Rosmarino

La menta (genere Mentha) è una pianta aromatica della famiglia delle Labiate (Lamiaceae).
Ne esistono di diverse specie: la menta piperita, la mentuccia, la menta romana, la menta acquatica, menta longifolia, ecc…
La menta piperita è un ibrido orticolo ottenuto dall'incrocio tra Mentha aquatica L. e Mentha spicata L., ed è una tra le più utilizzate e conosciute.
La menta piperita è una pianta erbacea perenne della famiglia delle labiate, originaria del bacino mediterraneo è diffusa in tutta Europa (specialmente in Italia e Inghilterra), in Asia e Africa, è molto resistente e di facile propagazione. La menta può raggiungere l'altezza di un metro circa, ha fusti eretti o ascendenti e possiede piccoli fiori di colore bianchi o roseo-violacei che sono riuniti in una densa spiga conica all'apice degli steli; ha foglie ovali di colore verde scuro, dai margini seghettati che, se strofinate, emanano un forte aroma, per questo viene definita pianta aromatica. Il frutto è una capsula che contiene da 1 a 4 semi.
La menta di solito cresce in pianura ma la si può trovare anche fino a 700 m d'altezza, a patto che sia al riparo dal vento e con media esposizione solare.
Della menta si utilizzano le foglie, che vengono raccolte a giugno, e le sommità fiorite, in luglio e agosto, poiché la fioritura avviene in piena estate e prosegue fino all'autunno.
Ecco alcune varietà di menta tra le più comuni:
L'uso della menta in cucina, è molto diffuso in Italia, Spagna, India, Medio Oriente ed in Nord Africa. Per il suo sapore molto intenso, in cucina deve essere impiegata con molta moderazione, e si abbina molto bene a tutte le carni con sapore molto deciso come agnello, anatra e montone.
Il suo aroma fresco fa si che si accosti bene alle verdure estive: pomodori, cetrioli, patate novelle, melanzane e zucchini, ed è un'ottima aggiunta alle preparazioni a base di frutta come macedonie e dolci vari.
Essiccata, viene usata anche per tisane e per aromatizzare the e altre bevande, ed è anche usata nella preparazione di caramelle, gomme da masticare, sciroppi e molti liquori. Usata anche nei cocktail come il mojto, dove viene pestata con lo zucchero e accompagnata da ghiaccio e rum.
L'olio essenziale di menta piperita contiene il mentolo, sostanza che calma i tessuti muscolari lisci dell’apparato digerente e rilassa il tratto intestinale, ha una azione spasmolitica, antisettica e mitiga il dolore provocato da eccesso di gas. Nei dolori gastrointestinali molto forti sviluppa la stessa azione calmante di 1-2cg di morfina.
La menta è un ottimo rimedio nei disturbi gastrointestinali, grazie alle sue proprietà digestive, ed è utile per chi soffre di colon irritabile. Inoltre ha una attività decongestionante e balsamica e fluidifica le secrezioni dell’apparato respiratorio.
Le proprietà sedative ed antiematiche di questa essenza, la rendono un ottimo rimedio per il mal d'auto, il mal di mare e il mal d'aria, e può arrestare il vomito in breve tempo.
Ha inoltre proprietà antipruriginose, che la rendono un ottimo rimedio contro le punture di zanzare ed altri insetti.
E’ anche usata per regolarizzare il ciclo ed il flusso mestruale e ridurne i dolori.
L'essenza è molto utile per rinfrescare e deodorare l'alito, e, grazie alle sue proprietà antisettiche, antinfiammatorie si è rivelata un ottimo rimedio per le stomatiti e le afte; è altresì valido rimedio contro eczemi, tigna, scabbia, ulcere, herpes zoster e dermatosi.
L'olio essenziale di menta piperita è indicato in molti problemi di tipo neurovegetativo come ansie, insonnia, vertigini, depressione, tachicardie ed emicranie.
Le foglie di menta hanno un effetto astringe, purificante e combattono l’irritazione; per questo motivo sono impiegate nella preparazione di maschere di bellezza.
La menta è controindicata in presenza di esofagite, nelle epatiti, in presenza di favismo.
L’olio essenziale di menta è sconsigliato in dosi massicce in concomitanza con cure omeopatiche, perché potrebbe interagire ostacolando l’azione dei farmaci omeopatici, ed è sconsigliato l’uso della sua essenza pura per via esterna in quanto potrebbe essere irritante.
La menta è sconsigliata nelle persone affette da gastralgie e ulcere, poiché provoca un aumento delle secrezione gastrica, ed è sconsigliata in persone affette da calcoli biliari. Inoltre, per periodi lunghi e in dosi massicce può essere nefrotossica e provocare insonnia. E’ sconsigliato l’uso di olio essenziale di menta da parte di bambini, di donne che allattano o in gravidanza.
Bisogna fare molta attenzione all’uso dell’olio essenziale di menta, che ad alte dosi può avere proprietà simili agli stupefacenti provocando agitazione, tremiti, convulsioni e quindi una forte depressione. Attenzione anche al mentolo puro: è tossico, ed anche un solo cucchiaino da thè può essere letale, mentre l’olio essenziale può causare aritmie cardiache, e non va somministrato senza prescrizione medica, in quanto provoca reazioni allergiche ed e’ irritante (dalla rete).





Menta e Rosmarino

Cadono giu stalle - stelle
Lacrima (il) tramonto
Gocce di luce dagli occhi
Nella notte cieca
E qui che a casa mia ormai ritorno
C'incontreremo stasera
Menta e Rosmarino
Che ho preso a calci le notti
Per starti piu vicino
Amor, d'amor sia l'amor perduto!!

I feel so lonely tonight
Se per farmi male ti amai
I feel so lonely tonight
Se per farmi vivo t'amai

Cadono giu stalle - stelle,
E una monetina,
I miei pensieri in farfalle dentro la mattina
E qui che a casa mia ormai ritorno.

I feel so lonely tonight
Se per farmi male ti amai
I feel so lonely tonight
Se per farmi vivo ti amai

Con l'anima in piena
Mi sgominai
Mi smemorai.

I feel so lonely tonight
Se per farmi male ti amai
I feel so lonely tonight
Se per farmi vivo ti amai

I feel so lonely tonight
Se per farmi male ti amai
I feel so lonely tonight
Se per farmi vivo ti amai
E t'amo ancora.

Zucchero

Il rosmarino (Rosmarinus officinalis) è un arbusto perenne spontaneo appartenente alla famiglia delle Lambiate e originario di Europa, Asia ed Africa anche se ormai si trova praticamente ovunque.
Il fusto, molto ramificato, può raggiungere un altezza che varia dai 50 cm ai 3 metri ed è ricoperto da piccole foglie aghiformi, lunghe 2 o 3 cm, di colore verde scuro nella parte superiore, liscia, e biancastre in quella inferiore, abbastanza ruvida.
I piccoli fiori del rosmarino possono avere colore azzurro o violetto chiaro a seconda della specie e sbocciano in vari periodi dell’anno a seconda del clima; i frutti invece sono composti da quattro piccoli semi oleosi di colore bruno, racchiusi nel fondo del calice.
Il rosmarino in cucina, è molto apprezzato ed utilizzato per aromatizzare varie pietanze : il fiore viene utilizzato per aromatizzare le insalate, le foglie, fresche o essiccate, vengono aggiunte a molte pietanze come arrosti, intingoli, piatti a base di patate come le torte rustiche. Si usa nei patè di fegato, con l'agnello, il manzo, il coniglio, l'anatra e l'oca; ottimo persino su pane e focacce!
I rametti di rosmarino, inoltre, vengono utilizzati per aromatizzare olio ed aceto con risultati eccellenti; il suo uso rende i cibi non solo più gustosi, ma anche più digeribili!
Sarebbe preferibile usare il rosmarino nelle pietanze fresco, tenendone magari un vasetto sul balcone o nell’orto.
Secondo una leggenda i fiori del rosmarino una volta erano bianchi: divennero azzurri quando la Madonna, durante la fuga in Egitto, lasciò cadere il suo mantello su una pianta di rosmarino.
Pare, inoltre, che il rosmarino abbia virtù curative; a sostegno di questa tesi, si racconta che la regina Isabella d'Ungheria, settantenne, rugosa e piena d'acciacchi, ritrovasse la salute e una seconda giovinezza, tanto da essere chiesta in sposa dal re di Polonia, grazie ad un'acqua che prende il suo nome. La ricetta è semplicissima: alcolaturo di rosmarino, lavanda e menta. Peccato che non se ne conoscano le dosi!
Un tempo si bruciavano i suoi ramoscelli nelle stanze degli ammalati per purificare l'aria e, durante le pestilenze, venivano tenuti rami di rosmarino nelle tasche e nei manici dei bastoni, per poterlo annusare in zone malsane.
Napoleone, inoltre, sfruttava il rosmarino per la sua proprietà di stimolare la concentrazione intellettuale, era convinto che il suo profumo lo aiutasse a preparare i piani di manovra degli eserciti. Sembra che usasse una quantità impressionante di bottiglie di acqua di Colonia al Rosmarino, pianta che senza dubbio, gli ricordava la nativa amata Corsica, dove cresce spontanea.
Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta la storia della principessa di Persia Leucotoe, che sedotta da Apollo, dovette subire l'ira del padre, che la uccise per la sua debolezza.
Sulla tomba della principessa i raggi del sole penetrarono fino a raggiungere le spoglie della fanciulla, che lentamente si trasformò in una pianta dalla fragranza intensa, dalle esili foglie e dai fiori viola-azzurro pallido.
Da questa leggenda deriva l'usanza degli antichi Greci e Romani di coltivare il rosmarino come simbolo d'immortalità dell'anima (dalla rete).

giovedì 23 febbraio 2012

Ossi del dolore


"Ossi di seppia" è un grande classico, una tappa esistenziale nel cammino della poesia europea del Novecento, un'opera in cui la tensione ininterrotta del pensiero si esprime nella sintesi di uscite folgoranti, ma anche nell'articolarsi per immagini della meditazione lirica.
Con il suo senso della solitudine, la sua mancanza di salde certezze e la concezione della vita come dolore, Eugenio Montale è l’interprete forse più suggestivo e originale della condizione di crisi dell’uomo contemporaneo.
Nessun poeta italiano del Novecento quanto Montale rappresenta il simbolo di un secolo di inquietudine sociale e di angoscia esistenziale per la caduta di punti fermi ideologici e morali.
Tematicamente la prima raccolta, Ossi di seppia, rappresenta la poesia della negatività per eccellenza.
Gli ossi sono una delle tante “forme della vita che si sgretola”, gli inutili rigurgiti che il mare abbandona sulla riva con il suo continuo rifluire.
Questa prima opera poetica, il cui titolo allude alla conchiglia che galleggia dopo la morte dell’animale, fu pubblicata nel 1925 nelle edizioni di Piero Gobetti e in seconda edizione nel 1928.
Il titolo, che propriamente spetta a un gruppo di brevi liriche poste al centro del volume, vuole significare l’essenzialità cui il poeta mirava e richiamarsi insieme al paesaggio marino della Liguria, ispiratore della maggior parte delle poesie della raccolta.
Il paesaggio ligure infatti, aspro e sassoso, è contemplato e descritto da Montale in tutta la sua aridità e pietrosità.
Di questa terra, egli scrisse:” La Liguria orientale – la terra in cui trascorsi parte della mia giovinezza – ha questa bellezza scarna, scabra, allucinante” e aggiunse, in modo significativo, di aver cercato un verso che aderisse intimamente a quelle caratteristiche.
Il paesaggio ligure, scarno e sassoso, ha dunque nella raccolta un significato preciso perché correlato a sentimenti di aridità e di solitudine che abitano l’io dell’uomo. Montale infatti indicando oggetti concreti e reali, stabilisce fra di essi una trama di relazioni complesse.
L’oggetto viene considerato non nella sua realtà materiale, ma nel suo significato emblematico.
Così le immagini concrete del muro, della crepa, dello spacco, molto presenti negli Ossi, alludono all’umana condizione di sofferenza dell’uomo (dalla rete).



Arremba su la strinata proda
le navi di cartone, e dormi,
fanciulletto padrone: che non oda
tu i malevoli spiriti che veleggiano a stormi.
Nel chiuso dell'ortino svolacchia il gufo
e i fumacchi dei tetti sono pesi.
L'attimo che rovina l'opera lenta di mesi
giunge: ora incrina segreto, ora divelge in un buffo.

Viene lo spacco; forse senza strepito.
Chi ha edfflcato sente la sua condanna.
t l'ora che si salva solo la barca in panna.
Amarra la tua flotta tra le siepi.

Eugenio Montale
ossi di seppia

mercoledì 22 febbraio 2012

Il bove e la fune


I marinai dovendo caricare un bove sulla nave, pensarono di legarlo saldamente per le corna e poi sollevarlo di peso da terra fino al ponte.
Il bove, mentre lo legavano, faceva voti agli dèi perché la fune con la quale volevano alzarlo di peso, si rompesse; ma quando i marinai incominciarono a sollevarlo, ritrovandosi sospeso nell'aria incominciò a raccomandarsi agli dèi e a far voti perché la coda non si spezzasse.
- Guarda un po' -disse la corda - com'è ridicolo costui che per il comodo suo, prima invoca la mia morte e poi la mia vita!

Leon Battista Alberti


martedì 21 febbraio 2012

Su Alcyone


Il 7 luglio del 1899 D'Annunzio scrive all'editore Treves di un progetto poetico lungo e complesso al quale sta lavorando:

"Ho passato questi giorni in una quiete profonda, disteso in una barca al sole.
Tu non conosci questi luoghi: sono divini.
La foce dell'Arno ha una soavità così pura che non so paragonarle nessuna bocca di donna amata. Avevo bisogno di questo riposo e di questo bagno nel silenzio delle cose naturali.
Ora sto molto meglio; [...].
Non so se alla Capponcina mi attenda qualche tua lettera.
Non so più nulla di nulla.
Nessuno sa che io son qui, fortunatamente, ed ho evitato di avere la corrispondenza cotidiana e i giornali.
Ho scambiato qualche parola con un marinaio ingenuo, che è la sola persona umana cui io mi sia accostato. - Come si può vivere dunque nelle città immonde - io mi chiedo - e dimenticare queste consolazioni?
Credo che finirò eremita, su un promontorio.
Penso all'ora in cui dovrò riprendere il treno, con un rammarico indicibile.
Vorrei rimanere qui, e cantare.
Ho una volontà di cantare così veemente che i versi nascono spontanei dalla mia anima (dalla rete).

Alcyone è una raccolta che contiene tra le più belle e liriche poetiche di Gabriele D'Annunzio; le poesie sono altamente evocative e le atmosfere non possono che avvolgere il lettore e portarlo direttamente al cospetto dei sensi del poeta; può ovviamente anche non piacere, a chi legge ed odia D'Annunzio consiglio di sbirciare questa poesia senza pensare a chi l'ha scritta. A chi invece lo ama posso solo consigliare di leggerlo spogliandolo da quell'aura di superuomo niciano che si è letteralmente cucito addosso.
L'uomo D'annunzio non è probabilmente il poeta D'Annunzio.


Tristezza

Tristezza, tu discendi oggi dal Sole.
La tua specie mutevole è la nube
del cielo, e son le spume
del mare gli orli del tuo lino lungo.

Sembri Ermione, sola come lei
che pel silenzio vienti incontro sola
traendo in guisa d'ala il bianco lembo.
Sì le somigli, ch'io m'ingannerei
se non vedessi ciocca di viola
su la sua gota umida ancor del nembo.
Ha tante rose in grembo
che la spina dell'ultima le punge
il mento e glie l'ingemma d'un granato.
Come fauno barbato
accosto accosto mòrdica le rose
il capricorno sordido e bisulco.

Gabriele D'Annunzio

lunedì 20 febbraio 2012

Eliot e Rosa

Rosa Fortunato, Terso mattino
 invernale sulla sponda del fiume
Rosa Fortunato

Nata a Benevento, Rosa Fortunato deve a questa città e, soprattutto, al territorio naturale del Sannio la formazione della sua personalità, eclettica, variegata, proiettata verso la Natura e l’Arte.
Per soddisfare queste sue passioni, consegue in giovanissima età la laurea in Scienze biologiche, ma contemporaneamente non smette mai di disegnare e dipingere, ricercando e approfondendo nuove tecniche espressive di cui si impadronisce con grande perizia.
Attualmente è docente di Scienze naturali e risiede a Fratamaggiore (Na), dove realizza le sue opere.
Dice del quadro a fianco:
"La mia idea dell’arte che, in questo momento, è per me desiderio di contemplazione: intrecci di rami, forme di foglie e fiori, riflessi nell’acqua, scintillio di luci, mutamenti atmosferici."
Ciò che colpisce delle opere di Rosa Fortunato è la luce.
Una meravigliosa luce, assolutamente naturale, che attraversa i corpi, gli oggetti e gli esseri per donargli vigore e vita nuovi.
È possibile notare questo sia nelle opere strettamente realistiche, che nei dipinti in cui i soggetti sono resi attraverso una suddivisione della tela che richiama gli antichi mosaici o le vetrate medievali, anzi, proprio in questi lavori la luce assume un ruolo da protagonista, viene valorizzata dalla scansione degli spazi e delle figure, assume una dimensione d'unicità in ogni ritaglio (dalla rete).

 
Mattino alla finestra

Sbattono piatti da colazione nelle cucine del seminterrato,
E lungo i marciapiedi che risuonano di passi
Scorgo anime umide di donne di servizio
Sbucare sconsolate dai cancelli che danno sulla strada.
Ondate brune di nebbia levano contro di me
Volti contorti dal fondo della strada,
Strappano a una passante con la gonna inzaccherata
Un vacuo sorriso che s'alza leggero nell'aria
E lungo il filo dei tetti svanisce.

Thomas Stearns Eliot


Rosa Fortunato, Le quattro stagioni

domenica 19 febbraio 2012

Poesia e pensiero

I recessi ombrosi...


I recessi ombrosi dove in sogno io vedo
i piu' vaghi uccelli canori,
son come labbra - e tutta la tua melodia
di parole cui il labbro da forma. -

I tuoi occhi, gemme nel cielo del cuore,
desolati si posano allora,
o Dio!, sulla mia mente funerea -
luce di stelle su un nero drappo.

Il tuo cuore - il tuo cuore! Mi ridesto
e sospiro, e dormo per sognare
di quella verita' che l' oro non puo' mai comprare -
e di quelle futilita' che sempre puo', invece.

Edgard Allan Poe


l'ombra chiede luce
ed un pertugio minimo
difende con forza il buio;
nel cogliere sensi,
durante percosse e scossoni,
trovai in un disegno il filo
che ancora mi guida
che ancora sfida la tenebra...

sabato 18 febbraio 2012

Ancora musica

 

L'insieme delle note sul pentagramma dà origine alle composizioni musicali, esse devono rispettare regole al pari di quelle grammaticali.
Per nota musicale si intendono fondamentalmente due cose: il segno con cui si rappresentano i suoni usati nella musica e il singolo suono stesso, generato da uno strumento o dalla voce umana.
Nel sistema di scrittura tradizionalmente impiegato per la musica colta europea degli ultimi quattro secoli, le note scritte sono cerchietti vuoti o pieni, dotati o meno di diversi tipi di altri segni specifici, che trovano posto sul pentagramma.
Le note che hanno frequenza pari a una potenza intera (positiva o negativa) di due rispetto alle altre sono simili: l'intervallo determinato da queste note è detto ottava.
Di conseguenza sono comunemente chiamate con lo stesso nome.
Pertanto, per identificare una nota in modo univoco si deve indicare anche l'ottava di appartenenza.

Le note musicali della scala diatonica sono sette:
do · re · mi · fa · sol · la · si

Se consideriamo la scala cromatica, ci sono altri suoni che si ottengono abbassando o alzando di un semitono le 7 note diatoniche mediante bemolle e diesis.
Gli antichi non conoscevano una notazione musicale propriamente detta, limitandosi a indicare i suoni della scala diatonica con le prime lettere dell'alfabeto (da wikipedia).



Musica

O musica, soave conoscenza,
tanto innaturi l'anima fin ch'ella
delle imagini vere la più bella
in sua voce ritrova e in sua movenza;
e come a noi perman l'intelligenza
se vada in labilsuono di favella,
armoniosa in te non si cancella
l'eterna verità mentre è parvenza.
Virtù ti crea che non par segreta,
ma il ritmo snuda l'amor che discende
dall'universo a rivelar la meta:
amor che nel cammino nostro accende
l'inconsapevol brama triste o lieta,
e in te, raggiunto il tempo, lo trascende.

Clemente Rebora

venerdì 17 febbraio 2012

Ancora ciocco

Il ciocco, Canto Secondo

Ed il ciocco arse, e fu bevuto il vino
arzillo, tutto. Io salutai la veglia
cupo ronzante, e me ne andai: non solo:
m'accompagnava lo Zi Meo salcigno.
Era novembre. Già dormiva ognuno,
sopra le nuove spoglie di granturco.
Non c'era un lume. Ma brillava il cielo
d'un infinito riscintillamento.
E la Terra fuggiva in una corsa
vertiginosa per la molle strada,
e rotolava tutta in sé rattratta
per la puntura dell'eterno assillo.
E rotolando per fuggir lo strale
d'acuto fuoco che le ruma in cuore,
ella esalava per lo spazio freddo
ansimando il suo grave alito azzurro.
Così, nel denso fiato della corsa
ella vedeva l'iridi degli astri
sguazzare, e nella cava ombra del Cosmo
ella vedeva brividi da squamme
verdi di draghi, e svincoli da fruste
rosse d'aurighi, e lampi dalle freccie
de' sagittari, e spazzi dalle gemme
delle corone, e guizzi dalle corde
delle auree lire; e gli occhi dei leoni
vigili e i sonnolenti occhi dell'orse.
Noi scambiavamo rade le ginocchia
sotto le stelle. Ad ogni nostro passo
trenta miglia la terra era trascorsa,
coi duri monti e le maree sonore.
E seco noi riconduceva al Sole,
e intorno al Sole essa vedea rotare
gli altri prigioni, come lei, nel cielo,
di quella fiamma, che con sé li mena.
Come le sfingi, fosche atropi ossute,
l'acri zanzare e l'esili tignuole,
e qualche spolverìo di moscerini,
girano intorno una lanterna accesa:
una lanterna pendula che oscilla
nella mano d'un bimbo: egli perduta
la monetina in una landa immensa,
la cerca invano per la via che fece
e rifà ora singhiozzando al buio:
e nessun ode e vede lui, ch'è ombra,
ma vede e svede un lume che cammina,
né par che vada, e sempre con lui vanno,
gravi ronzando intorno a lui, le sfingi:
lontan lontano son per tutto il cielo
altri lumi che stanno, ombre che vanno,
che per meglio vedere alzano in vano
verso le solitarie Nebulose
l'ardor di Mira e il folgorio di Vega.
Così pensavo; e non trovai me stesso
più, né l'alta marmorea Pietrapana,
sopra un grano di polvere dell'ala
della falena che ronzava al lume:
dell'ala che in quel punto era nell'ombra;
della falena che coi duri monti
e col sonoro risciacquar dei mari
mille miglia in quel punto era trascorsa.
Ed incrociò con la sua via la strada
d'un mondo infranto, e nella strada ardeva,
come brillante nuvola di fuoco,
la polvere del suo lungo passaggio.
Ma niuno sa donde venisse, e quanto
lontane plaghe già battesse il carro
che senza più l'auriga ora sfavilla
passando rotto per le vie del Sole.
Né sa che cosa carreggiasse intorno
ad uno sconosciuto astro di vita,
allora forse di su lui cantando
i viatori per la via tranquilla;
quando urtò, forviò, si spezzò, corse
in fumo e fiamme per gli eterei borri,
precipitando contro il nostro Sole,
versando il suo tesoro oltresolare:
stelle; che accese in un attimo e spente,
rigano il cielo d'un pensier di luce.
Là, dove i mondi sembrano con lenti
passi, come concorde immensa mandra,
pascere il fior dell'etere pian piano,
beati della eternità serena;
pieno è di crolli, e per le vie, battute
da stelle in fuga, come rossa nube
fuma la densa polvere del cielo;
e una mischia incessante arde tra il fumo
delle rovine, come se Titani
aeriformi, agli angoli del Cosmo,
l'un l'altro ardendo di ferir, lo spazio
fendessero con grandi astri divelti.
Ma verrà tempo che sia pace, e i mondi,
fatti più densi dal cader dei mondi,
stringan le vene e succhino d'intorno
e in sé serrino ogni atomo di vita:
quando sarà tra mondo e mondo il Vuoto
gelido oscuro tacito perenne;
e il Tutto si confonderà nel Nulla,
come il bronzo nel cavo della forma;
e più la morte non sarà. Ma il vento
freddo che sibilando odo staccare
le foglie secche, non sarà più forse,
quando si spiccherà l'ultima foglia?
E nel silenzio tutto avrà riposo
dalle sue morti; e ciò sarà la morte.

Io riguardava il placido universo
e il breve incendio che v'ardea da un canto.

Tempo sarà (ma è! poi ch'il veloce
immobilmente fiume della vita
è nella fonte, sempre, e nella foce),
tempo, che persuasa da due dita
leggiere, mi si chiuda la pupilla:
né però sia la vision finita.
Oh! il cieco io sia che, nella sua tranquilla
anima, vede, fin che sa che intorno
a lui c'è qualche aperto occhio che brilla!
Così, quand'io, nel nostro breve giorno,
guardo, e poi, quasi in ciò che guardo un velo
fosse, un'ombra, col lento occhio ritorno
a un guizzo d'ala, a un tremolìo di stelo:
qundo a mirar torniamo anche una volta
ciò ch'arde in cuore, ciò che brilla in cielo;
noi s'è la buona umanità che ascolta
l'esile strido, il subito richiamo,
il dubbio della umanità sepolta:
e le risponde: - Io vivo, sì, viviamo. -

Tempo sarà che tu, Terra, percossa
dall'urto d'una vagabonda mole,
divampi come una meteora rossa;
e in te scompaia, in te mutata in Sole,
morte con vita, come arde e scompare
la carta scritta con le sue parole.
Ma forse allora ondeggerà nel Mare
del nettare l'azzurra acqua, e la vita
verzicherà su l'Appennin lunare.
La vecchia tomba rivivrà, fiorita
di ninfèe grandi, e più di noi sereno
vedrà la luce il primo Selenita.
Poi, la placida notte, quando il Seno
dell'iridi ed il Lago alto e selvaggio
dei sogni trema sotto il Sol terreno;
errerà forse, in quell'eremitaggio
del Cosmo, alcuno in cerca del mistero;
e nello spettro ammirerà d'un raggio
la traccia ignita dell'uman pensiero.

O sarà tempo, che di là, da quella
profondità dell'infinito abisso,
dove niuno mai vide orma di stella;
un atomo d'un altro atomo scisso
in mille nulla, a mezzo il dì, da un canto
guardi la Terra come un occhio fisso;
e venga, e sembri come un elianto,
la notte, e il giorno, come luna piena;
e la Terra alzi il cupo ultimo pianto;
e sotto il nuovo Sole che balena
nella notte non più notte, risplenda
la Terra, come una deserta arena;
e Sole avanzi contro Sole, e prenda
già mezzo il cielo, e come un cielo immenso
su noi discenda, e tutto in lui discenda...
Io guardo là dove biancheggia un denso
sciame di mondi, quanti atomi a volo
sono in un raggio: alla Galassia: e penso:
O Sole, eterno tu non sei - né solo! -

Anima nostra! fanciulletto mesto!
nostro buono malato fanciulletto,
che non t'addormi, s'altri non è desto!
felice, se vicina al bianco letto
s'indugia la tua madre che conduce
la tua manina dalla fronte al petto;
contento almeno, se per te traluce
l'uscio da canto, e tu senti il respiro
uguale della madre tua che cuce;
il respiro o il sospiro; anche il sospiro;
o almeno che tu oda uno in faccende
per casa, o almeno per le strade a giro;
o veda almeno un lume che s'accende
da lungi, e senta un suono di campane
che lento ascende e che dal cielo pende;
almeno un lume, e l'uggiolìo d'un cane:
un fioco lume, un debole uggiolìo:
un lumicino... Sirio: occhio del Cane
che veglia sopra il limitar di Dio!

Ma se al fine dei tempi entra il silenzio?
se tutto nel silenzio entra? la stella
della rugiada e l'astro dell'assenzio?
Atair, Algol? se, dopo la procella
dell'Universo, lenta cade e i Soli
la neve della Eternità cancella?
che poseranno senza mai più voli
né mai più urti né mai più faville,
fermi per sempre ed in eterno soli!
Una cripta di morti astri, di mille
fossili mondi, ove non più risuoni
né un appartato gocciolìo di stille;
non fiumi più, di tanti milioni
d'esseri, un fiato; non rimanga un moto,
delle infinite costellazioni!
Un sepolcreto in cui da sé remoto
dorma il gran Tutto, e dalle larghe porte
non entri un sogno ad aleggiar nel vuoto
sonno di ciò che fu! - Questa è la morte! -

Questa, la morte! questa sol, la tomba...
se già l'ignoto Spirito non piova
con un gran tuono, con una gran romba;
e forse le macerie anco sommuova,
e batta a Vega Aldebaran che forse
dian, le due selci, la scintilla nuova;
e prenda in mano, e getti alle lor corse,
sotto una nuova lampada polare,
altri Cigni, altri Aurighi, altre Grand'Orse;
e li getti a cozzare, a naufragare,
a seminare dei rottami sparsi
del lor naufragio il loro etereo mare;
e li getti a impietrarsi a consumarsi,
fermi i lunghi millenni de' millenni
nell'impietrarsi, ed in un attimo arsi;
all'infinito lor volo li impenni,
anzi no, li abbandoni all'infinita
loro caduta: a rimorir perenni:
alla vita alla vita, anzi: alla vita!
Io mi rivolgo al segno del Leone
dond'arde il fuoco in che si muta un astro,
alle Pleiadi, ai Carri, alle Corone,
indifferenti al tacito disastro;
ai tanti Soli, ai Soli bianchi, ai rossi
Soli, lucenti appena come crune,
ai lor pianeti, ignoti a noi, ma scossi
dalla misteriosa ansia comune;
a voi, a voi, girovaghe Comete
che sapete le vie del ciel profondo;
o Nebulose oscure, a voi che siete
granai del cielo, ogni cui grano è un mondo:
di là di voi, di là del firmamento,
di là del più lontano ultimo Sole;
io grido il lungo fievole lamento
d'un fanciulletto che non può, non vuole
dormire! di questa anima fanciulla
che non ci vuole, non ci sa morire!
che chiuder gli occhi, e non veder più nulla,
vuole sotto il chiaror dell'avvenire!
morire, sì; ma che si viva ancora
intorno al suo gran sonno, al suo profondo
oblìo; per sempre, ov'ella visse un'ora;
nella sua casa, nel suo dolce mondo:
anche, se questa Terra arsa, distrutto
questo Sole, dall'ultimo sfacelo
un astro nuovo emerga, uno, tra tutto
il polverìo del nostro vecchio cielo.
Così pensavo: e lo Zi Meo guardando
ciò ch'io guardava, mormorò tranquillo:
"Stellato fisso: domattina piove".
Era andato alle porche il suo pensiero.
Bene egli aveva sementato il grano
nella polvere, all'aspro; e San Martino
avea tenuta per più dì la pioggia
per non scoprire e portar via la seme.
Ma era già durata assai la state
di San Martino, e facea bono l'acqua.
E lo Zi Meo, sicuro di svegliarsi
domani al rombo d'una grande acquata,
era contento, e andava a riposare,
parlando di Chioccetta e di Mercanti,
sopra le nuove spoglie di granturco,
la cara vita cui nutrisce il pane.

Giovanni Pascoli