domenica 31 luglio 2011

Dodici Versi



Dodici versi di Attilio Bertolucci, scritti negli anni Trenta o Quaranta, prendono il titolo dal primo: "Come lucciola allor ch’estate volge". Rimasti inediti fino alla morte dell’autore, sono stati pubblicati da Stefano Crespi sull’inserto del "Sole-24 Ore" di domenica 18 giugno 2000. La luce fioca della lucciola è presagio della fine di una vita.

Come lucciola allor ch’estate volge
All’ardor di luglio, stanca posa
Sull’erba che la vide errare quando
Più temperate sere il cielo invia,
Dov’è caduta luce tramortita
E fioca, e così sola nella notte,
Così l’anima giace poi che il curvo
Giro degli anni a suo fine declina.
Una stellata notte allor consoli
Nostra tremante quiete, quale questa
Che s’apre dolce e silente
Su te, lucciola morente.


Attilio Bertolucci

sabato 30 luglio 2011

Poesia

al mare

Al mare getta un dì sogni ed amori
come l'altra sua amante solitaria
gli getta fra due nubi fiori ed ori.
E ride con la sua anima varia,
mentre le spume in favolosi aprili
fioriscon gigli fatti d'acqua e d'aria.
Ella getta nel mar tutti i monili
dei quali, per piacere a sé, si para
la stoltezza dei cuori giovanili.
E ride ancora, ma con bocca amara.
Sul bene ch'ella non possiede piiì
sembran le spume i fiori d'una bara
e un poco di sé stessa è ormai laggiù.

Amalia Guglielminetti

venerdì 29 luglio 2011

Cielo di Luglio



Ercole, l’antico eroe semidio, alto verso lo zenith, pare piegare le ginocchia e levare le braccia in atto di chiedere clemenza agli dei.
Lo precedono il Bifolco con Arturo e la Corona Boreale. Ad est lo segue la splendida luce di Vega mentre a nord l’alto cielo è occupato dal sinuoso corpo del Drago.
 Dodici sono le costellazioni zodiacali e di queste, nel cielo di luglio sono visibili: al tramonto il Leone, seguito dalla Vergine e dalla Bilancia, quadrangolo di stelle di terza grandezza, alfa, beta, gamma, sigma, tra cui alfa è una facile doppia.
Lo Zodiaco continua con lo Scorpione dove sono gli ammassi globulari M 80 e M 4.
Ofiuco, avvolto dalle spire del Serpente, pur attraversata da un buon tratto dell’eclittica, non è costellazione zodiacale. 
Lo segue il Sagittario, appena spuntato dall’orizzonte sud orientale.
Questa costellazione appare composta da un piccolo rettangolo sghembo costituito dalle stelle tau, zeta, sigma, fi, preceduto da un arco di 5 stelle: mi, lambda, delta, epsilon, eta, dove è già pronta a scoccare la freccia con la stella gamma.
 Qui si ritrova il meraviglioso centro della Via Lattea, con alcune delle più belle nebulose diffuse galattiche: M 20 o nebulosa “trifida”, così chiamata perché nelle fotografie appare divisa in tre lobi, la nebulosa M 8 “della laguna” che, più esattamente, è costituita da una nebulosa diffusa e da un ammasso aperto, M 17 o nebulosa a “ferro di cavallo” e M 24.
L’ ammasso aperto M 21 e l’ammasso globulare l’M 22. Ancora più ad oriente del Sagittario, appena sopra l’orizzonte, le poche pallide stelle del Capricorno.
 La Via Lattea attraversa il cielo orientale da nord a sud dividendosi in due grandi rami luminosi laddove il Cigno spicca il suo volo.
Il Delfino, l’Aquila e la Saetta splendono ad est.
L’alato cavallo Pegaso si eleva a nord est con le stelle epsilon, zeta, alfa, beta e gamma, trascinando con sé l’incatenata Andromeda.
Il meridiano è determinato da una linea che dalla Polare scenda verso sud, passando presso la eta del Drago, la tau e la kappa di Ercole, la gamma del Serpente e la beta dello Scorpione (astrogeo.va.it).

giovedì 28 luglio 2011

Giorno di Pioggia

sulla tranquillità della gente (quando piove ed il traffico va in tilt) non ci scommetteri ma questo nulla toglie all'atmosfera triste e magica di questo brano di un Francesco De Gregori giovanissimo, agli esordi con questo suo secondo disco
molto rudimentale ma coraggiosissimo (FdG, 1974).
Il testo è degno di un poeta ermetico.
Che altro dire, proprio un brano da ascoltare in un giornata così umida e piovosa come potrebbe essere oggi
(almeno qui al Nord).

Buon listening.


Giorno di Pioggia

Oggi giorno di pioggia,
ma la gente è tranquilla,
io sono figlio della gente.
Prendimi la mano dammela,
cerchiamo di venire insieme,
la tua tessera è scaduta.
Grazie per l'invito sì,
stasera non ho voglia di vedere
gli incidenti stradali lungo il fiume.
Oggi giorno di pioggia

ma la gente si muove,
io sono figlio della pioggia.
La festa è stata magica,
le ragazze han ballato,
mi han coperto di lodi e di sorrisi.
La prossima vigilia di Natale

avremo tutti partorito,
potremo farne un'altra per allora.
A volte potrai avermi con un fiore,
a volte un fiore non ti basterà,
a volte penserai
di avermi chiuso in una stanza.
Dammi le tue chiavi dolci,
voglio farne una copia,
voglio scrivere una lunga poesia per le tue braccia.


Francesco De Gregori

mercoledì 27 luglio 2011

Poesia

TRISTEZZA

Interrogo la tristezza e scopro
che non ha il dono della parola;
eppure, se potesse,
sono convinto che pronuncerebbe
una parola più dolce della gioia.

Kahlil Gibran

martedì 26 luglio 2011

Le Moire (a Luigi)


Angelo Morbelli, Le Parche
Le tre Moire, note anche con il nome di Parche o Norne, sono figure appartenenti alla mitologia greca.
Figlie di Zeus e Temi, erano la personificazione del destino ineluttabile.
Il loro compito era tessere il filo del fato di ogni uomo, svolgerlo ed infine reciderlo segnandone la morte.
Le Moire è il nome dato alle figlie di Zeus e di Temi o secondo altri di Ananke.
Ad esse era connessa l'esecuzione del destino assegnato a ciascuna persona e quindi erano la personificazione del destino ineluttabile.
Palazzo Segni Masetti, Cloto
Erano tre:
1) Cloto,
nome che in greco antico significa "io filo", che appunto filava lo stame della vita.
2) Lachesi,
che significa "destino", che lo svolgeva sul fuso.
3) Atropo,
che significa "inevitabile", che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile.
La lunghezza dei fili prodotti può variare, esattamente come quella della vita degli uomini.
 A fili cortissimi corrisponderà una vita assai breve, come quella di un neonato, e viceversa. 
Palazzo Segni Masetti, Lachesi
Si pensava ad esempio che Sofocle, uno dei più longevi autori greci (90 anni), avesse avuto in sorte un filo assai lungo.
Si tratta di tre donne dall'anziano aspetto che servono il regno dei morti, l'Ade.
Il sensibile distacco che si avverte da parte di queste figure e la loro totale indifferenza per la vita degli uomini accentuano e rappresentano perfettamente la mentalità fatalistica degli antichi greci.
Pindaro, in epoca più tarda, le indicò invece come le ancelle di Temi, al suo matrimonio con Zeus.
Esse agivano spesso contro la volontà di Zeus. 
Ma tutti gli dei erano tenuti all'obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l'ordine dell'universo, al quale anche gli dei erano soggetti.
Palazzo Segni Masetti, Atropo
Nonostante molti pensino che le Moire avessero un solo occhio e che se lo passassero vicendevolmente, bisogna dire che si tratta di una convinzione errata.
Questa caratteristica, infatti, è propria delle Graie, come si può ben notare nel mito di Perseo, dove quest'ultime vengono descritte con un solo occhio e un solo dente, dei quali fanno uso a turno.
E sarà proprio questa loro debolezza che permetterà a Perseo di scoprire il nascondiglio delle Gorgoni.
(dalla Rete, Wikipedia)


Mi mandi Via?

Io rubo, fornico, uccido,
faccio il mezzano e la spia:
ebbene? mi mandi via?
ti rido in faccia, ti rido.

La vita è breve ed è un gioco
che si perde troppo presto.
Mette conto essere onesto
(breve la vita) per poco?

Io rubo, uccido, fornico,
so tender bene i miei lacci:
e che per ciò? mi discacci?
Càlmati, càlmati, amico.

Mio Dio, la vita è sì corta,
si fa sera tanto presto
che l'esser buono ed onesto
è ormai di un'epoca morta.

Ci credi, sii sincero,
ci credi punto per punto
alle virtù di un defunto?
Se ci credo io? No davvero.

Essere onesto! ma è come
porre una foglia di fico
su un tondino d'ombelico:
eccesso di precauzione.

Essere onesto! Non oso
nemmeno pensarci. Onesto!
Finché nel mondo ci resto
non vo' trovarlo noioso.

Io rubo, fornico, uccido,
faccio il mezzano e la spia
e vendo l'anima mia
a un Mefistofele fido.

Ebbene? Mi mandi via?
Vado, fratello mio buono,
ma ti assicuro che sono
in ottima compagnia.

Marino Moretti
Bernardo Strozzi, Le tre Parche

lunedì 25 luglio 2011

Poesia


Sentimento del Tempo è una raccolta di poesie di Giuseppe Ungaretti.
Il tema centrale è la percezione fra il presente, il passato, e l'eterno.
Si è parlato, per questa raccolta del 1933 (poi '36 e '42), sia d'una forma di sensibilità barocca (ispirata, per ammissione del poeta stesso, dal paesaggio romano) sia d'un neoclassicismo che succederebbe all'espressionismo dell' Allegria.
In entrambi i casi, si tratta di una distensione della poesia ungarettiana entro forme garantite dalla tradizione, in coerenza con la "restaurazione" che si venne operando in Italia, a partire all'incirca dagli anni venti, dopo l'acceso sperimentalismo delle avanguardie.
Il rinnovamento è riscontrabile sul piano contenutistico e su quello formale.
In questa poesia si avverte un'ansia religiosaLa prima edizione risale al 1933, pubblicata a Firenze da Vallecchi, con la prefazione di Alfredo Gargiulo.(wikipedia).
Nel 1936 venne pubblicata, ampliata e corretta, da Novissima, Roma.
L'edizione definitiva confluì nella Vita di un uomo edita da Mondadori nel 1943, ed infine nel Meridiano Vita di un uomo - Tutte le poesie nel 1968. (wikipedia)



SENZA PIU' PESO

Per un Iddio che rida come un bimbo,
Tanti gridi di passeri,
Tante danze nei rami,

Un'anima si fa senza più peso,
I prati hanno una tale tenerezza,
Tale pudore negli occhi rivive,

Le mani come foglie
S'incantano nell'aria...

Chi teme più, chi giudica?

Giuseppe Ungaretti

domenica 24 luglio 2011

Frammento

l'attesa brucia nel tempo che resta
così come siamo noi eravamo
e nell'attimo solo conta il riporto
di pensieri distratti e risaputi stanchi;
nel cuore galleggia il rimorso
di un chiarore lancinante
di un disatteso incontro
eppure rimane indelebile il gesto
e l'insieme percorso
e le risa,
i discorsi,
gli abbracci
e le strette di mano...

anonimo del XX° secolo
frammenti ritrovati
 

sabato 23 luglio 2011

Frutteto a Louveciennes


"Frutteto a Louveciennes" è un dipinto autografo di Camille Pissarro realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1870-72 , misura 47 x 56 cm. ed è custodito in collezione privata in U.S.A.
Chi ha avuto la fortuna di vedre quest'opera non la dimeticherà così facilmente; la campagna francese è descritta in una maniera meravigliosa e il dipinto è bellissimo. Sembra quasi di toccare il cielo carico di nuvole e di sentire nell'aria grilli e cicale ed il lavoro dei contadini nei campi scandito dai rintocchi del campanile.
Mi auguro solo che il proprietario abbia il coraggio di tenerlo esposto in casa (magari in una bella biblioteca) e non rinchiuso in una squallida cassaforte nel sotterraneo di una banca.

Louveciennes è un comune francese di 7.111 abitanti situato nel dipartimento degli Yvelines nella regione dell'Île-de-France.

Camille Pisarro: frutteto a Louveciennes


Il frutteto

Anche né malinconico né lieto
(forse la consuetudine assecondo
cara d'un tempo al bel fanciullo biondo)
oggi varco la soglia del frutteto.

Ah! Vedo, vedo! Come lo ravviso!
È bene questo il luogo; in questa calma
conchiusa, certo l'intangibil salma
giacque per sempre dell'amor ucciso,

del vero antico Amore ch'io cercai
malinconicamente per l'inquieta
mia giovinezza, la raggiante mèta
sì perseguìta e non raggiunta mai.

Or mi soffermo con pupille intente:
le cose mi ritornano lontano
nel Tempo - irrevocabile richiamo! -
mi rivedo fanciullo, adolescente.

O belle, belle come i belli nomi,
Simona e Gasparina, le gemelle!
Pur vi rivedo in vesta d'angelelle
dolce-ridenti in mezzo a questi pomi.

Ed anche qui le statue e le siepi
ed il busso ribelle alle cesoie.
(Natali dell'infanzia, o buone gioie,
quando n'ornavo i colli dei presepi!)

Ma sull'erme, sui cori, sopra il busso
simmetrico, sui lauri, sugli spessi
carpini, sulle rose, sui cipressi,
sulle vestigia dell'antico lusso

da cento anni un folto si compose
di pomi e peri; il regno statuario
ricoperse; nel florido sudario
sfiorirono le siepi delle rose;

nell'ombre il musco ricoperse i cori
curvi di marmo intatto (l'Antenata
non vede lo sfacelo, contristata?)
e nell'ombre languirono gli allori.

Son l'ombre di una gran pace tranquille:
il sole, trasparendo dall'intrico,
segna la ghiaia del giardino antico
di monete, di lunule, d'armille.

M'avanzo pel sentiero ormai distrutto
dalla gramigna e dal navone folto;
ascolto il gran silenzio, intento, ascolto
il tonfo malinconico d'un frutto.

Ma quanti frutti! Cadono in gran copia
in terra, sui busseti, sui rosai:
sire Autunno, quest'anno come mai,
munifico vuotò la cornucopia.

O gioco strano! Pur nella faretra
di Diana cadde una perfetta pera,
così perfetta che non sembra vera
ma sculturata nell'istessa pietra.

Il frutto altorecato assai mi tenta:
balzo sul plinto, il dono della Terra
tolgo alli acuti simboli di Guerra,
avvincendomi all'erma sonnolenta.

S'adonta ella, forse, ch'io la tocchi,
l'erma dal guardo gelido e sinistro?
(il tempo edace lineò di bistro
le palpebre lapidee delli occhi).

Ma un sorriso ermetico, ha la faccia
attirante, soffuso di promesse,
- O miti elleni! - s'ella mi stringesse
d'improvviso, così, tra le sue braccia! -

E tolgo e mordo il frutto avventurato
e mi pare di suggere dal frutto
un'infinita pace, un bene, tutto
tutto l'oblio del tedio e del passato.

Ma guardo in torno. Vedo teoria
d'erme ridenti in loro bianche clamidi,
ridendi tra le squallide piramidi
del busso. - Torna la malinconia:

Ridevano così quando mio padre
esalò la grande anima e pur tali
(udranno allor le mie grida mortali?)
sorrideranno e morirà mia madre.

Ridevano così che nella culla
dormivo inconsapevole d'affanno:
implacabili ancor sorrideranno
quando di me non resterà più nulla.

Guido Gozzano

venerdì 22 luglio 2011

Poesia

Fantasia

Tu parli; e, de la voce a la molle aura
lenta cedendo, si abbandona l'anima
del tuo parlar su l'onde carezzevoli,
e a strane plaghe naviga.
Naviga in un tepor di sole occiduo
ridente a le cerulee solitudini:
tra cielo e mar candidi augelli volano,
isole verdi passano,
e i templi su le cime ardui lampeggiano
di candor pario ne l'occaso roseo,
ed i cipressi de la riva fremono,
e i mirti densi odorano.
Erra lungi l'odor su le salse aure
e si mesce al cantar lento de' nauti,
mentre una nave in vista al porto ammaina
le rosse vele placida.
Veggo fanciulle scender da l'acropoli
in ordin lungo; ed han bei pepli candidi,
serti hanno al capo, in man rami di lauro,
tendon le braccia e cantano.
Piantata l'asta in su l'arena patria,
a terra salta un uom ne l'armi splendido:
è forse Alceo da le battaglie reduce
a le vergini lesbie?

Giosuè Carducci

giovedì 21 luglio 2011

Filastrocca


La corda è un insieme di fili intrecciati, di materiali vari, capaci di sopportare sforzi di trazione.
Può essere costituita da materiali fibrosi (naturali o sintetici) o metallici.
Nel primo caso viene comunemente chiamata corda, nel secondo si usa il nome di fune.


Un rotolo di corda

Un rotolo di corda
se ne sta lì tutto arrotolato
e finge di essere un pitone addormentato.
Una nuvola finge
di essere un castello,
una balena un cammello.
Ieri uno specchio ha finto
di essere la mia faccia e mi mostrava i denti.
Con tanti bugiardi in giro bisogna stare attenti!
Un sacco nero finge
di essere spazzatura:
in realtà è un abito da sera.

Gianni Rodari
 

mercoledì 20 luglio 2011

Poesia

Non è vile la mia anima

Non è vile la mia anima
non trema nella tempestosa sfera del mondo
vedo risplendere la gloria celeste
risplende così la mia fede armandomi contro ogni paura

O Dio nel mio cuore,
onnipotente, onnipresente Divinità
vita, che in me riposa,
come io, Vita Immortale, ho forza in te.

Vane sono le mille convinzioni
vive nel cuore degli uomini, inesprimibilmente vane,
come erba avvizzita non hanno forza,
come la pigra schiuma tra le libere onde

Per suscitare dubbi in chi crede
così intensamente alla tua infinità
in chi con tanta certezza si regge
alla salda roccia dell'immortalità

Con amore che tutto abbraccia
il tuo spirito anima gli inni dell'eternità
pervade ed in alto si libra,
muta, sorregge, dissolve, crea e serba la vita

Se terra e luna svanissero
se cessassero di esistere soli e universi
se tu solo esistessi
ogni esistenza esisterebbe in te

Non vi è spazio per la morte
non un solo atomo che la sua forza possa annientare
poichè tu sei Essenza e Respiro
e quel che tu sei non può venire distrutto

Emily Bronte

martedì 19 luglio 2011

Octavio Paz


Nacque e morì a Città del Messico (31 marzo 1914 - 19 aprile 1998). Pubblicò i suoi primi poemi nel diario El Nacional e nella rivista Barandal quando aveva 17 anni.
La sua prima pubblicazione in forma di "plaquette" fu Luna silvestre (1933), titolo cui seguì Non passeranno ! (1936), Radice dell'uomo e Sotto la tua chiara ombra e altri poemi sulla Spagna (1937), Fra la pietra ed il fiore (1941); vari dei poemi anteriori raccolti in Alla orilla del mondo (1942).
Fondatore delle riviste letterarie Barandal (1931-1932) e Taller (1938-1941), fu anche editore responsabile di Quaderni del Valle di Messico (1933-1934) e il Figlio Prodigo (1943-1946).
Verso 1935 conobbe e fece amicizia con i poeti del grupo "Contemporáneos". Nel 1937 viaggiò a Valencia per partecipare al II Congresso di Scrittori Antifascisti. Ritornato in Messico partecipò alla fondazione di El Popular, giornale della sinistra messicana; dopo la firma del patto germano sovietico, decise di abbandonarlo. Nel 1942 conobbe Victor Serge, Benjamin Péret e Jean Malaquais, intellettuali che esercitarono un'influenza dissidente nell'evoluzione delle sue idee politiche.
Poco prima di andare negli Stati Uniti, grazie a una borsa di studio Guggenheim, prima della sua prima uscita prolungata, pubblicò in Messico la prima selezione della sua poesia sotto il titolo Ai confini del mondo, una sorte di principio e fine poetico. A San Francisco e dopo a New York si tuffò nella poesia del modernismo anglo americano (1943-1945). Nel frattempo entrò nel Servizio Estero Messicano (1944) e compì missioni diplomatiche negli Stati Uniti (1944-1945) e Francia (1945-1951).
Grazie alla intermediazioni di Alfonso Reyes, nel 1949 pubblicò Libertà sotto parola, considerato dallo stesso Paz il suo "vero primo libro". Nello stesso periodo pubblicò il suo conosciuto ensayo sui messicani: Il labirinto della solitudine (1959) e il libro di poemi in prosa con "contagio" surrealista: Aquila o sole ? (1951).
Dopo un periodo itinerante tra New Delhi, Tokio e Ginevra (1952-1953) al servizio del ministero d'affari esteri, Paz ritornò in Messico per scrivere un essai su l'esperienza e le rivelazioni poetiche, intitolato più tardi L'arco e la Lira (1956). Nel 1954 pubblicò semi per un inno. Prende parte nell'avventura teatrale Poesia in Alta Voce iniziata nel 1956, accanto tra altri a Juan José Arreola, Juan Soriano, Elena Garro e Leonora Carrington. Di questo periodo è l'opera drammatica La figlia di Rappaccini (1956). È nominato direttore degli Organismi Internazionali del Servizio Estero Messicano (1956). Pubblicò il suo gran poema Petra di sole (1957) e i libri di poesia La stazione violenta (1958) e Libertà sotto parola: opera poetica 1935-1937 (1960), Salamandra (1962), e il libro d'essai Le pere dell'olmo (1957) in cui è incluso il leggendario studio Poesia di solitudine e poesia di comunione.
Ambasciatore in India negli anni 1962-1968, pubblicò i suoi libri di poesia con influenza orientale: Vento intero (1965), Bianco (1967), Dischi visuali (1968), Ladera est (1969). Nel 1969 pubblicò le sue riflessioni sui poeti López Velarde, Darío, Pessoa e Cernuda nel volume Cuadrivio, nonché i libri d'essai: I segni in rotazione (1965), Porte al campo (1966), Claude Lévi-Strauss o il nuovo festino di Esopo, Corrente alterna (1967), Marcel Duchamp o il castello della purezza (1968) e Coniuizioni e Disgiunzioni (1969), importante revisione degli usi e abitudini in Oriente e Occidente. Sposò Marie José Tramini.
Nel 1968 diede le dimissioni per la repressione del governo messicano agli studenti a Tlatelolco. Viaggiò in Inghilterra diventando professore invitato dalla Università di Cambirdge (1979-1971). Pubblicò il suo essai Postdata (1970) che contiene la sua revisione del 68 messicano a traverso di Olimpiade e Tlatelolco e Critica della piramide, e i libri di poesia Topoemas (1971) e Renga (1972).
Nella decade dei settanta ottiene una serie di riconoscimenti internazionali tra cui il Premio del Festival di Poesia di Flandes (1972), il Premio Gerusalemme di Letteratura (1977) e la Gran Aquila d'Oro del Festival Internazionale del (Nizza, 1979). A questo periodo appartengono i libri d'essai Il segno e lo scarabocchio (1973), I figli del limo : dal romanticismo alla avanguardia (1974) e il volume dove raccoglie tutte le sue traduzioni di poemi dall'inglese, francese, portoghese, svedese, cinese e giapponese: Versioni e diversioni (1974). Di 1974 è La scimmia grammatica, sorte d'essai, poesia e ante romanzo dove i sentieri della creazione si riconciliano in una lucida riflessione sul linguaggio, i corpi e il risplendere amoroso. Nel 1974 pubblica il libro di poesia Passato in chiaro sorte d'itinerario biografico e poetico, e nel 1976 Vuelta, che include il poema Notturno di San Ildefonso. Del 1978 è il volume L'ogro filantropico : storia e politica 1971-1978, e del 1979 le sue riflessioni sulla letteratura e la poesia portano il titolo Immediazioni.
I premi, riconoscimenti, dottorati Honoris Causa si accumulano; da notare il Premio Miguel di Cervantes (1982), il Premio Alexis di Tocqueville (1989), il Premio Nobel di Letteratura (1990), il Premio Principe di Asturias e la Gran Croce della Legione d'Onore di Francia (1994).
A partire del 1991 Octavio Paz diresse in Spagna e dopo in Messico, l'edizione delle sue Opere complete, magno progetto di 15 volumi tuttora in corso di pubblicazione. Per desiderio del poeta, il tomo 12, che include gli ultimi poemi non raccolti nel libro si pubblicarà al finale della collezione.
Il 17 dicembre 1997, poco mesi prima della sua morte, Octavio Paz presidiò la cerimonia d'apertura della Fondazione che porta il suo nome (dalla rete).


Scritto con inchiostro verde

L'inchiostro verde crea giardini, selve, prati,
fogliami dove cantano le lettere,
parole che son alberi,
frasi che son verdi costellazioni.

Lascia che le parole mie scendano e ti ricoprano
come una pioggia di foglie su un campo di neve,
come la statua l'edera,
come l'inchiostro questo foglio.
Braccia, cintura, collo, seno,
la fronte pura come il mare,
la nuca di bosco in autunno,
i denti che mordono un filo d'erba.

Segni verdi costellano il tuo corpo
come il corpo dell'albero le gemme.
Non t'importi di tante piccole cicatrici luminose:
guarda il cielo e il suo verde tatuaggio di stelle.

Octavio Paz